SALVINI MANDA AVANTI IL DANDY E MORTICIA
RIFORMA DELLE AUTONOMIE, ALTRA ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA PER NON PARLARE DEI RUBLI
Manda avanti i governatori del Nord ed è una strategia studiata a tavolino, quella del leader del Carroccio, che si serve di Attilio Fontana e Luca Zaia per provare a indebolire il premier Giuseppe Conte, l’avvocato del popolo che, secondo l’ultimo sondaggio Ipsos, sarebbe apprezzato dal 54,9 per cento degli italiani.
Più di quattro punti sopra il Capitano della Lega. “Da non crederci”, ironizza un soldato di via Bellerio.
Non è un certo un caso se Salvini teme le mosse del premier in carica. Che, secondo la vulgata leghista, “agisce per conto di Mattarella e di Di Maio” e “ce lo potremmo ritrovare a guidare un esecutivo Pd-M5S”.
Insomma, la crisi appare più congelata che finita. In superficie, infatti, si consuma lo scontro tra i governatori del Nord e il presidente del Consiglio. Si tratta di una nuova puntata della soap opera del Governo del cambiamento.
Dopo la missiva del presidente del Consiglio al Corriere della Sera, in cui il premier si rivolge ai cittadini di Veneto e Lombardia – “È una riforma per tutto il Paese, non una bandiera da sventolare, incontrerà i vostri governatori, ma chiedo rispetto” – Fontana e Zaia prendono carta e penna e replicano al premier.
Raccontano che quando di buon mattino hanno visto la paginata sul Corsera sarebbero sbottati: “Basta, non ne possiamo più”. Nella lettera scrivono di sentirsi “feriti” dalle sue esternazioni perchè, assicurano, “nessuno vuole aggredire l’Unità nazionale, nessuno vuole la secessione”. Di certo, però, non firmeranno l’intesa sull’autonomia “se si continua con una farsa”.
Va da sè che restano aperti al dialogo, ma bombardano Conte quando si soffermano sul fatto che l’autonomia richiesta da Lombardia e Veneto è perfettamente in linea con la Costituzione. Poi un’accusa personale al premier Conte: “Avremmo voluto – scrivono – che il Presidente del Consiglio fosse davvero il garante della Costituzione vigente, denunciando le false notizie diffuse con malizia e cattiva fede da chi evidentemente la Carta l’ha letta soltanto sul Bignami”.
Ed è questa la spina più fastidiosa nel fianco di palazzo Chigi. L’accusa indigeribile per Conte. Perchè dall’inizio di questo legislatura il premier si è definito il garante non solo della Costituzione, ma anche dell’alleanza di Governo. È come se avessero messo in discussione la sua terzietà , la sua equidistanza dalle due forze di Governo
Dietro le parole del duo Fontana-Zaia c’è lo zampino del Capitano leghista. Che resta silente per tutto il giorno — relax al mare di Forte dei Marmi con fidanzata e figli al seguito, salvo comiziare a tarda sera in Lombardia – ma sguinzaglia gli amici “Luca e Attilio” per porre un freno all’azione politica dell’avvocato del popolo.
Da par suo Conte non replica. Convoca per martedì pomeriggio due incontri sull’autonomia. Il tutto lascia di sasso i leghisti: “Non ne sapevano nulla”.
Si tratta di due riunioni ristrette. La prima per fare il punto sui beni culturali e le sovraintendenze con il ministro della Cultura, Alberto Bonisoli, e il ministro degli Affari regionali, Erika Stefani. E la seconda sulla parte finanziaria, che tanto divide M5s e Lega, con i tecnici del Mef.
Non solo, ma Palazzo Chigi fa trapelare che Conte ha preso atto e, a sorpresa, registra un cambio dei toni positivo per l’interlocuzione istituzionale.
Alimenta lo scontro tra i governatori e Conte anche l’uscita del presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, che si inserisce in questo quadro di attacchi a palazzo Chigi:
“Conte — avverte — non può procedere senza convocare la Sicilia. Voglio sperare che si proceda, come la Costituzione impone, a integrare il Governo con la presenza dell’unico presidente di Regione legittimato dal proprio Statuto a partecipare ai lavori”. Ed è una mossa, quella di Musumeci, che strizza l’occhio a Salvini.
D’altro canto, da settimane l’inquilino di palazzo d’Orleans si rivolge al leader del Carroccio, accreditandosi come una delle stampelle fondamentali del centrodestra 2.0, nel caso di ritorno al voto.
Sullo sfondo resta l’incontro chiarificatore tra i due vicepremier. Ci sarà , ma non è stato ancora fissato. Martedì potrebbe essere la prima data utile per un confronto, utile a far ripartire la macchina del Governo.
Di Maio, intanto, è convinto che l’esecutivo debba andare avanti, e rilancia il salario minimo perchè “è una battaglia di civiltà : basta stipendi di 500-600 euro”. Replica del leghista Durigon: “Pronti con il salario minimo a costi perlomeno invariati per le pmi”. Le frizioni non si fermano qui, toccano anche un grande classico come la Tav Torino Lione e la nomina del commissario Ue.
Tante nuvole continuano ad addensarsi sul futuro del Governo gialloverde.
(da “Huffingtonpost”)
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