SALVINI SI ‘E BRUCIATO DA SOLO, LA POSIZIONE SULL’ALLEANZA ATLANTICA LO ESCLUDE DA PALAZZO CHIGI
LA SIRIA COME PRETESTO PER EVITARE UN PREINCARICO E RESTARE ALL’OPPOSIZIONE URLATA IN ATTESA DELLE EUROPEE TRA UN ANNO… GIORGETTI SI SMARCA
“Noi siamo rispettosi delle alleanze, ma a chi ci chiede favori economici e geopolitici rispondiamo: no grazie”. È sulla Siria che si consuma la bruciatura di Matteo Salvini come capo di Governo.
Non è sulla scelta fra Berlusconi e i 5 Stelle, ma piuttosto tra Trump e Putin che, volontariamente o involontariamente, il leader della Lega si è posto fuori dai candidati per Palazzo Chigi.
A poche ore dalle decisioni formali sul governo che Sergio Mattarella dovrebbe annunciare a stretto giro, Salvini non recede, anzi conferma la linea sposata fin dall’inizio sulla Siria: diplomazia zero, contrarietà all’attacco militare Usa al punto da puntare il dito direttamente contro Donald Trump, che pure dovrebbe essere un ‘amico’ della Lega tanto quanto Vladimir Putin.
Una linea che stressa la storica e intoccabile Alleanza Atlantica, di cui l’Italia è partner fondamentale nel Mediterraneo. Un approccio che pone la Lega all’opposizione più che al governo: è ciò che trapela da autorevoli dirigenti della Lega ed è ciò che appare oggettivo agli occhi degli esperti di politica internazionale e relazioni atlantiche.
Per andare per gradi: di certo, Salvini si sta autoescludendo dall’ipotesi che il presidente Sergio Mattarella gli affidi un pre-incarico di governo.
Se toccherà a qualcuno, se c’è da scegliere tra Salvini e Di Maio, il primo si chiama fuori esibendo le proprie rigidità in politica estera.
Semmai se ne parla dopo le regionali in Molise. “Se vinciamo, il governo lo facciamo in un quarto d’ora”, afferma nel corso di un comizio elettorale a Termoli.
Ma al di là dei tempi, contano i contenuti. E la questione siriana è dirimente, certamente più del Molise.
Nell’entourage leghista appare chiaro che Salvini si stia chiamando fuori, dopo aver capito che un’intesa di governo con uno come Luigi Di Maio, partito dalla protesta e finito al filo-atlantismo ‘senza se e senza ma’, potrebbe non essere un buon affare per la Lega.
Soprattutto in vista delle europee del 2019, appuntamento per il quale Salvini e i suoi affilano già le armi elettorali d’intesa con i partiti sovranisti di tutt’Europa.
In questo schema, la Siria è capitata a fagiolo. Salvini si è scatenato contro Washington già al primo tweet di Trump sui “missili in arrivo”.
E da lì in poi è stato un crescendo, pezzo dopo pezzo a smontare l’immagine di un Salvini premier: quella che solo giovedì pomeriggio è stata presentata al capo dello Stato Mattarella, nel colloquio con la delegazione di centrodestra. In quella sede, Berlusconi, Meloni e Salvini hanno fatto un solo nome: “Salvini è il nostro candidato premier”.
Ma Salvini sfugge. Ieri al Vinitaly ha scientemente evitato un incontro con Luigi Di Maio, facendo a stracci l’interlocuzione sul governo avviata con il M5s.
Oggi insiste: “Noi non siamo il tipo di persone a cui citofonare dopo che tutto quanto è accaduto. Quando si decide di usare i missili vorrei avere chiaro il perchè”. L’obiettivo è fare a stracci quel che resta dopo le incrinature con Di Maio. Cosa resta? Una mossa di Mattarella.
Non il mandato esplorativo che il presidente potrebbe decidere di affidare ad una delle due più alte cariche dello Stato. No, qui si intende la mossa finale. Quello che si sospetta nella Lega è che, venute meno le intese politiche, a partire da quella che pareva più probabile tra Salvini e Di Maio, si faccia largo un’iniziativa del presidente per un governo di tutti.
Che poi è il punto di approdo dei ragionamenti di Silvio Berlusconi nella lettera inviata ieri al Corriere della Sera.
Ed è anche l’orizzonte che si comincia a intravedere dentro il Pd, al netto degli scontri interni a un partito diviso. Un governo di responsabilità nazionale insomma che viene lasciato all’iniziativa del Quirinale anche da parte di chi sarebbe disponibile a sostenerlo: Forza Italia e Pd, con un punto interrogativo a cinquestelle.
Nel senso: ufficialmente Di Maio dice no a un governissimo, ma come fa la sua parte atlantista a tirarsi fuori?
Ecco, se questa è la tavola, Salvini non si siede. E oltre ad autoescludersi da un pre-incarico, ricava per la Lega un ruolo di opposizione. Si vedrà .
Intanto domani la sua linea verrà certificata nel dibattito parlamentare sull’informativa del premier Paolo Gentiloni sulla Siria, prima alla Camera e poi al Senato.
Tanto più che a Montecitorio non sarà il capogruppo Giancarlo Giorgetti a intervenire: è a Milano per altri impegni.
Non sfugge che, a differenza di Salvini, Giorgetti sia personalità più diplomatica, ex componente del comitato dei saggi creato da Giorgio Napolitano nella crisi istituzionale di governo che seguì alle elezioni del 2012, con un canale di comunicazione anche con Mattarella, ben visto anche da partiti avversari come il Pd. Tanto che fin dall’inizio di questa crisi istituzionale post-voto, il nome di Giorgetti gira nei pourparler del Transatlantico come possibile premier incaricato di formare un governo di centrodestra, che vivrebbe con l’astensione tecnica del Pd.
Ad ogni modo, domani, in aula non sarà Giorgetti a prendere la parola, il che lo tiene al riparto per il futuro. La linea resta quella dura.
“Vorrei soltanto che l’Italia tornasse ad essere protagonista. Non siamo servi nè di Parigi, nè di Berlino, nè di Macron, nè della Merkel, nè dall’Europa. Non abbiamo da prendere lezioni da nessuno”, attacca Salvini nella tappa elettorale a Campobasso. Niente di più lontano dall’intervista di Roberto Maroni, ex governatore leghista della Lombardia, non salviniano, che oggi sul Corriere della Sera condanna l’intervento militare statunitense in Siria ma sottolinea che “l’Italia non ha bisogno di incrinare un rapporto storico e strategico come quello con gli Stati Uniti. Abbiamo un gran bisogno di diplomazia. Oggi è il compleanno di Gianni Letta. Ecco, è di una figura come la sua che sento la mancanza…”.
Salvini si chiama fuori. Diceva Giampaolo Massolo, ex diplomatico e presidente dell’Ispi, ospite ieri a ‘Mezz’ora in più’ su Raitre: il dibattito italiano sulla questione siriana “al di là delle differenze dei toni, ci deve portare a una conclusione: l’interesse nazionale italiano, la sicurezza nazionale sono molto più frutto di ragioni obiettive, geopolitiche, geo-economiche di storia e di tradizioni che non di opinioni singole. Ed è per questo che io penso che al di là del dibattito politico sui temi della politica estera, ci sia più unione di quanto non sembri ed è un bene che sia così”.
Certo, ma Salvini fa eccezione.
(da “Huffingtonpost“)
Leave a Reply