SE MELONI SI RIFUGIA NELLA PALUDE TATTICA
MA IL DIVARIO EUROPA-USA E’ SEMPRE PIU’ AMPIO
«Anche stavolta è andata», sorridono i senatori in sciame verso il bar dopo l’intervento della premier. Sì, è andata. Anche stavolta Matteo Salvini consentirà, sottoscriverà, voterà. Elogerà, persino, dettando alle agenzie una dichiarazione in cui la Lega si attribuisce il merito della presunta conversione meloniana verso il no a alle armi, ai piani Von der Leyen, a una forza comune europea, insomma a ogni proposta collegata al Libro Bianco sulla Difesa prodotto dall’Unione. Ma, soprattutto, anche stavolta gli osservatori americani potranno leggere lo stenografico della premier e dirsi: resta un’amica, va chiamata.
Ricucire con il Capitano e tenersi le mani libere in vista dell’assai desiderato incontro alla Casa Bianca erano i due obbiettivi di Palazzo Chigi per la giornata di ieri. Sono stati entrambi raggiunti con un certo sforzo, tanto che nella replica finale – quella che solitamente riserva scintille –. Giorgia Meloni ha scelto la strada di risposte rapide, a basso tasso polemico e senza fuochi artificiali. Pure lei, probabilmente, non vedeva l’ora di chiudere la partita.
«Anche stavolta è andata», sospirano i senatori persi nel bicchier d’acqua del nostro contorto dibattito nazionale mentre nella telefonata fra Donald Trump e Vladimir Putin frana l’idea di una tregua immediata, si concorda appena la fine dei bombardamenti sulle infrastrutture energetiche e Mosca fissa un prezzo altissimo a un più ampio cessate il fuoco: la fine delle forniture di armi all’Ucraina e il congelamento sine die dell’assetto dei territori contesi. L’appeasement tra Mosca e Washington, peraltro, è già oltre la crisi, oltre Kiev, oltre Zelensky: si parla di investimenti, di spazio, di un prossimo incontro con Elon Musk per volare insieme su Marte, e figuriamoci se possono avere un rilievo le considerazioni etiche su pace giusta o ingiusta, o i timori europei su una nuova Yalta che riconsegni al Cremlino le antiche zone di influenza ad est dell’Unione.
Anche stavolta è andata, e non è stato facile. Si sono dovuti cancellare, riga per riga, nomi e parole che ieri erano il mantra dell’Occidente e oggi risulterebbero altamente divisivi o pericolosi per le relazioni con l’altra parte dell’Atlantico.
Vladimir Putin, Volodymyr Zelensky, Ursula von der Leyen, Rearm Eu, sostegno militare all’Ucraina, riarmo, sono le citazioni sparite sia dall’intervento di Meloni sia dalla risoluzione della maggioranza. Tutto il resto va di conseguenza. La fuga in avanti degli inglesi e dei francesi è «complessa, rischiosa, poco efficace». Le rappresaglie contro i dazi americani sulle merci europee «non sono un buon affare». La difesa comune dell’Unione è un’utopia da sostituire con la creazione di un «pilastro europeo della Nato».
Meloni ha rivendicato la scelta di tre anni fa, quando da posizioni di opposizione, a poche ore dall’invasione dell’Ucraina, telefonò a Mario Draghi per garantire il suo sostegno. Ma è un fatto che, dopo nove o dieci voti parlamentari su documenti che citavano esplicitamente l’aiuto militare a Kiev, ora si manda all’approvazione una formula assai più generica: «Continuare a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario, fermo restando l’auspicio di una rapida conclusione dei negoziati di pace».
Leggere questa nuova fase solamente col filtro della rincorsa a Salvini e alle posizioni sovraniste della Lega sarebbe un errore di superficialità. La destra italiana si trova davanti a un problema assai più grande. Fin dalla fondazione, il suo rapporto con l’America è stato indiscutibile: un tabù che ha orientato tutta la sua storia politica, dall’inossidabile anticomunismo alle simpatie per ogni capopopolo civile o militare sostenuto dagli americani, ovunque nel mondo. Sono state anche le scelte della precedente amministrazione Usa a spingere Meloni dalla parte dell’Ucraina, senza se e senza ma, a costo di imboccare la via dell’unità nazionale con un «governo mai eletto da nessuno» che non aveva votato.
Ma ora? La nuova America che preferisce i russi agli europei, bullizza Zelensky, dichiara una guerra commerciale contro i suoi storici alleati è qualcosa di inimmaginabile, uno choc. E stavolta il bivio davanti al quale si trova la premier è assai più divergente di ogni altro affrontato in precedenza nelle grandi partite internazionali: da una parte c’è l’intera vicenda della forza politica che guida, dall’altra il salto nel buio della scommessa europeista. Sarà difficile tenersi a lungo in equilibrio tra queste due sponde, ma intanto: anche stavolta è andata, un po’ di tempo è stato conquistato, poi si vedrà.
(da La Stampa)
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