SEPARATE IN CASA: MELONI E SANTANCHE’ NON SI SALUTANO DURANTE IL CONSIGLIO DEI MINISTRI LAMPO
NIENTE AVVICENDAMENTO CON MALAN AL MINISTERO, LA PITONESSA NON INTENDE DIMETTERSI
Saluti e abbracci dalle ministre forziste, da Anna Maria Bernini a Elisabetta Casellati. Teste basse, silenzio dai colleghi di FdI, tranne Edmondo Cirielli, viceministro agli Esteri, che la incrocia in ascensore. Soprattutto, gelo da Giorgia Meloni.
Daniela Santanchè alle cinque e mezza di pomeriggio, una settimana esatta dopo il rinvio a giudizio per falso in bilancio che fa traballare la sua poltrona di ministra del Turismo, varca l’ingresso di Palazzo Chigi. Si presenta al Cdm, con la baldanza di sempre. La premier però non la saluta, sguardo tetro.
Suona la campanella, fa ratificare alla svelta un paio di decreti e un accordo con l’Uzbekistan e dopo sedici minuti netti fila via nel suo ufficio. Nella sede del governo, con la “Pitonessa” non si vede a tu per tu, come aveva annunciato alla conferenza stampa del 9 gennaio, in caso di rinvio a giudizio, poi puntualmente arrivato. Il braccio di ferro sulle dimissioni della ministra, tutto interno al primo partito del Paese, prosegue sottotraccia.
Per FdI è un nodo sempre più intricato, sempre più complicato da sbrogliare. Meloni, sostengono nella sua cerchia, vorrebbe le dimissioni della ministra, consapevole dei rischi per l’immagine del governo. Santanchè però non ha alcuna intenzione di gettare la spugna. Per farlo, vorrebbe che fosse la premier a ordinarglielo. Quasi pubblicamente. Richiesta che Meloni non vuole assecondare, per non passare da giustizialista (e doppiopesista, visto che altri esponenti di FdI sono stati salvati fino alla condanna).
Dunque che fare? Il tête-à-tête a Chigi non c’è. Anche se, in queste ore agitate, tra i Fratelli c’è chi sostiene che le due si siano viste, lontano dai palazzi, ieri mattina.
La premier in effetti non era nel palazzo, ma l’incontro viene smentito seccamente sia dall’entourage di Meloni che da quello di Santanchè. È una giornata comunque condita da una batteria di riunioni. Il ministro Francesco Lollobrigida, capodelegazione di FdI al governo, si presenta nella sede del governo per una riunione di partito due ore prima del cdm. Il responsabile organizzazione di via della Scrofa, Giovanni Donzelli, va a pranzo col presidente del Senato, Ignazio La Russa, grande sponsor della responsabile del Turismo. E dopo questo faccia a faccia, intercettato sotto Palazzo Madama, lo stesso Donzelli dichiara: «Santanchè aveva detto a suo tempo che, in caso di rinvio a giudizio, avrebbe fatto una riflessione. Adesso la sta facendo e noi aspettiamo», certo che abbia «un senso delle istituzioni ineccepibile». Per conto di Meloni, i big di FdI rovesciano la prospettiva: non è la premier a dover chiedere le dimissioni, è Santanchè che deve trarne le conseguenze. Da sola.
Ma quando mai, risponde l’interessata. «Si va avanti», insiste su Instagram. E così dopo il cdm monta su un treno per Milano: oggi sarà alla fiera di Verona, domenica atterrerà a Gedda, in Arabia, poi andrà ad Alula, il 29 gennaio. Il giorno in cui la Cassazione si esprimerà sull’altro filone che la vede indagata, per truffa ai danni dell’Inps. I giudici dovranno decidere se spostare l’inchiesta a Roma, come chiede Santanchè, o tenerla a Milano. Ma arrivati a questo punto — così ragiona la ministra in privato — nemmeno il 29 «è una data chiave». Perché se nessuno, a destra, le ha chiesto ufficialmente di dimettersi per un rinvio a giudizio, «perché dovrebbero farlo per una competenza territoriale?». Non sarebbe «da partito garantista, quale è FdI», che ha graziato Andrea Delmastro, sottosegretario rinviato a giudizio, o Carlo Fidanza, che ha patteggiato. «Io invece non patteggio e non mi dimetto», dice Santanchè a chi la chiama. E con alcuni interlocutori traccia paralleli insidiosi: «Pure Trump è stato condannato, ma è in carica». A via della Scrofa cercano di capire come uscire dal cul-de-sac, si analizzano possibili scappatoie, come proporle il ruolo di capogruppo al Senato, al posto di Lucio Malan, papapabile per la successione. Ma lo stillicidio giudiziario, salvando forse il governo, investirebbe FdI. Sembrano esserci più contro che pro. Si prende tempo, allora. Malan dice che no, nessuno gli ha chiesto di entrare nell’esecutivo, «ma non giuro che non succederà». Altri meloniani fanno il nome di Elena Nembrini, direttrice generale di Enit. Pure gli alleati cominciano a mandare segnali di stanchezza, per questo balletto: «Santanchè? Noi siamo garantisti, poi ognuno fa le sue valutazioni», dice il capogruppo di FI, Paolo Barelli. L’opposizione naturalmente continua a premere. Per la leader del Pd, Elly Schlein, «Meloni è incoerente e chiusa nel palazzo». Giuseppe Conte chiede di calendarizzare «subito» la mozione di sfiducia «alla luce delle nuove ombre svelate da Report». La trasmissione di Rai3 domenica manderà in onda un servizio in cui racconta di avere scoperto chi è l’uomo a cui la ministra ha ceduto la sua Visibilia.
«Si tratta di Altair D’Arcangelo — racconta il conduttore, Sigfrido Ranucci — indagato per associazione per delinquere, evasione fiscale, frode e riciclaggio».
(da La Repubblica)
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