SLOGAN E TAGLI AI FONDI: LA BUONA SCUOLA DI RENZI
NEL DOCUMENTO ECONOMICO IL GOVERNO SCRIVE CHE LE “SPESE PER L’ISTRUZIONE ” CALERANNO DA QUI AL 2020… E I SOLDI PER L’EDILIZIA RESTANO QUELLI DI LETTA
Non c’è solo il crollo di Ostuni ad agitare il fronte della scuola, ma pure i soldi. L’istruzione doveva essere una priorità , ma dai numeri del Def non si direbbe, anzi: il futuro è tutt’altro che roseo, almeno sul fronte delle risorse. Partiamo da qui.
Ieri la Rete della conoscenza ha attaccato il governo: “Matteo Renzi ha sempre detto di considerarla una priorità , e ora smentisce se stesso”.
La conferma è in una tabella del Documento di economia e finanza appena licenziato: vi si legge che nei prossimi 15 anni la spesa per l’istruzione — già ridotta al lumicino — è prevista in discesa in rapporto al Pil.
Secondo il Tesoro, resterà sostanzialmente stabile nel 2016, per poi scendere gradualmente.
Nel dettaglio: quest’anno dovrebbe attestarsi attorno al 3,7per cento del Pil per scendere al 3,5 nel 2020 e poi ancora giù fino al 3,3 per cento del 2030.
Dopo il 2035, quando i bambini di oggi avranno bambini, ricomincerà leggermente a salire (3,5 per cento nel 2060).
Secondo il governo, però, il calo vero e proprio si verificherà fino al 2020, perchè da lì in poi “sarà essenzialmente trainato da quello degli studenti indotto dalle dinamiche demografiche”.
Molto semplice: il paese invecchia, quindi ci saranno meno iscritti e meno risorse. Magra consolazione, tanto più che non è previsto nessun incremento.
Peggio ancora va nei prossimi anni nonostante un Pil stimato in crescita.
E qui è il paradosso.
Se questo sale — potrebbe giustificarsi il governo — è normale che in percentuale la spesa per l’istruzione diminuisca.
Vediamo come. In numeri assoluti, nei prossimi cinque anni, si passa da 60,6 a 64,4 miliardi. Sembra un aumento, ma non lo è.
Nello stesso periodo, infatti, il Tesoro stima un’inflazione che procede al ritmo dell’1,7-1,8% l’anno.
Tradotto: i fondi a disposizione di scuole e università non solo non cresceranno, come promesso, ma caleranno in termini reali.
Quei 3,8 miliardi in più in un quinquennio, infatti, non coprono nemmeno l’aumento dei prezzi. Visto il punto di partenza non è un bel segnale.
Secondo l’Istat, l’Italia è già il Paese che spende meno di tutti in Europa per l’istruzione in rapporto al Pil: nel 2012 era al 4,6 per cento , mentre la Spagna, per dire, spendeva il 5,5 per cento e Francia, Inghilterra, Svezia e Olanda erano sopra il 6 (la Danimarca è al 7,6).
Secondo l’Ocse, il think thank dei paesi ricchi, l’Italia è bel al di sotto della media: è l’unico Paese che registra una diminuzione della spesa tra il 2000 e il 2011 (-3 per cento, la media Ocse registra +38).
Ed è la seconda ad aver tagliato di più dal 2008, primo anno della crisi economica (-11 per cento, dietro la sola Ungheria).
Da allora alla scuola sono stati tolti oltre 8 miliardi.
Il triste primato riguarda anche l’Università , come ha spiegato la Commissione Ue: “Dal 2009 le risorse sono calate del 20%, ma per migliorare i risultati servono finanziamenti adeguati”, cioè più corposi. Il crollo del soffitto della scuola Pessina di Ostuni ha poi riacceso la polemica sui fondi destinati all’edilizia. Non è un mistero che Matteo Renzi abbia puntato sul capitolo buona parte delle sue carte.
Ieri, da Palazzo Chigi, è arrivato il consueto diluvio di risorse promesse e stanziate: “Abbiamo messo 3,9 miliardi”, comprensivi delle operazioni “scuole belle” (450 milioni per le piccole manutenzioni), “scuole sicure” (400 milioni per la messa in sicurezza) e “scuole nuove”(244 milioni).
Le risorse sono state incrementate, ma solo una parte è arrivata, cioè quella stanziata dal governo Letta con il “decreto del Fare” del giugno 2013 (794 milioni).
Per il resto — compresi gli 800 milioni del “decreto Mutui” — bisognerà attendere i prossimi mesi, se non proprio il 2016.
Ieri, poi, Sel ha denunciato la scomparsa dal Def di 489 milioni destinati alle scuole dal ministero delle Infrastrutture.
Soldi apparsi nelle bozze e poi scomparsi dal testo definitivo. “Sono stati semplicemente messi a bilzancio, nessun taglio”, spiega al Fatto Laura Galimberti, responsabile dell’unità tecnica di Palazzo Chigi.
Carlo Di Foggia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
Leave a Reply