SOVRANISTI ALL’ASSALTO DEL DISSENSO IN TV, ADESSO RISCHIA PURE IL CONCERTONE
IL PALCO DEL PRIMO MAGGIO E’ VISSUTO CON INSOFFERENZA DAL GOVERNO
Il concertone lo vedremo ancora in tv tra un anno? Ha fatto uno share dell’undici per cento, incollando davanti agli schermi quasi due milioni di telespettatori, ma la destra al potere non nasconde la sua insofferenza. “Non è stata una bella pagina”, ha commentato il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. C’è sempre un Fedez che disturba.
Stavolta non avevano fatto i conti con il fisico Carlo Rovelli, che ha tirato in ballo il ministro della Difesa Guido Crosetto, già presidente della Federazione aziende italiane per l’aerospazio: “È stato vicinissimo a una delle più grandi fabbriche di armi nel mondo, Leonardo», ha spiegato. Crosetto ieri lo ha invitato a pranzo, “così vedrà cosa faccio ogni giorno per cercare la pace e fermare la guerra”. Rovelli ha declinato, ringraziando: “Vorrei che se ne discutesse nel Paese, non a cena in due”.
L’intervento anti militarista di uno scienziato che scrive bestseller, sin dall’inizio critico con gli aiuti militari all’Ucraina, (“piazzisti di strumenti di guerra” che costruiscono strumenti di morte “per ammazzarci l’un l’altro”), porta avanti una tesi che collima con quella della Lega, peraltro.
L’entrata in campo del ministro della cultura è il segno dei tempi: così, dopo Sanremo, anche l’appuntamento del primo maggio finisce nel Kulturkampf di questi primi mesi meloniani. E pensare che il governo aveva fatto di tutto per oscurare il temuto concertone con la narrazione del decreto sul lavoro e il relativo video House of cards di Giorgia Meloni che ci ha fatto entrare direttamente nella sala del consiglio dei ministri. Non è bastato.
Il concertone è un evento “de sinistra”, lo qualificò nel 2019 Matteo Salvini, ricordando che viene pagato “coi soldi di tutti”.
Libero, quell’anno, denunciò anche le spese per ripulire le strade attorno a piazza San Giovanni: duecentomila euro, che si aggiungevano al costo della kermesse, 800mila euro. Nel 2012 erano ancora 650mila. Titolo: “La Rai brucia i nostri soldi”.
Due anni fa fu Fedez a sconvolgere i piani, con un attacco al leghista Ostellari, reo di opporsi al disegno di legge Zan contro l’omotransfobia. Una legge che non ha visto luce, ma la polemica s’infiammò per giorni. Questo invece era il primo concertone al tempo della destra, quello di Piero Pelù che mostra la maglietta di Sergio Mattarella con la cresta punk. L’allarme era massimo. “Il solito concertone allestito dalla sinistra”, titolava lunedì Il Giornale. “Una carrellata di vip in campo per Landini e Schlein“.
Il concertone si tiene dal 1990. E anche agli esordi faceva infuriare i potenti. Elio e le storie tese nel 1991 con la canzone Sabbiature tirarono in ballo Andreotti, il golpe Borghese, Tanassi, Gui, la P2, Remo Gaspari, Nicolazzi, il presidente della Rai Manca. Insomma, una lezione di sarcasmo a un anno dallo scoppio di Tangentopoli. Apparve a canzone in corso Vincenzo Mollica: “Stiamo passando dalla Rete tre alla rete due?”, lo si sentì domandare. Si parlò di censura.
Ora i rumours di viale Mazzini dicono che il concertone rischia di finire nella mannaia del “nuovo immaginario italiano”, a cui Sangiuliano lavora alacremente da mesi.
Il romanzo dell’egemonia culturale della destra si aggiunge intanto di un altro capitolo: se ne era parlato agli Stati generali, lo scorso 6 aprile, e al decennale di Fratelli d’Italia, il 15 e 16 dicembre in piazza del Popolo, a Roma. Ieri Sangiuliano è tornato a insistere che bisogna dire nazione, non paese, (“la parola paese nella Costituzione non c’è. C’è la parola nazione”. “Nazione” ripete ossessivamente Meloni, in senso sovranistico, contrapposto alla sinistra che parla di paese. La battaglia passa anche attraverso l’uso delle parole.
Per il resto la parola d’ordine è occupare i gangli vitali del mondo culturale e della comunicazione, esercitare una contronarrazione, imporre contenuti, come la finestra sulle foibe a Sanremo. Lì sfuggì al controllo il solito Fedez, che stracciò l’immagine del viceministro Galeazzo Bignami vestito da nazista. “Hanno passato il segno”, fu la frase attribuita a Meloni. Dopodiché le nomine Rai, a cominciare dal piano per portare Gian Marco Chiocci al vertice del Tg1, sono frenate da una fronda interna
(da La Repubblica)
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