STRAGE DI CUTRO, LE COMUNICAZIONI TRA GUARDIA DI FINANZA E GUARDIA COSTIERA: “RESTIAMO FERMI”
LA FINANZA: “MIGRANTI A BORDO MA NON USCIAMO DALLE ACQUE TERRITORIALI”… LA CAPITANERIA, VENTI MINUTI PRIMA DEL NAUFRAGIO: “A NOI NON RISULTA. NON INTERVENIAMO”
Non c’è mai stato alcun dubbio che quella barca fotografata dall’aereo di Frontex la sera di sabato 25 febbraio nascondesse sottocoperta dei migranti.
Tre settimane dopo il naufragio di Cutro, altri documenti aiutano a ricomporre la verità, inserendo nuovi tasselli nel puzzle che la Procura di Crotone sta ricomponendo e nel quale sempre di più emerge la sottovalutazione di un evento trattato come caso di polizia invece che di soccorso.
Con la Guardia di finanza che «pendola» in attesa che la barca entri in acque italiane e la Guardia costiera che non interviene «in assenza di una richiesta di soccorso e senza la certezza che a bordo vi siano migranti». Ma le nuove carte raccontano altro.
Il giornale delle operazioni
Un appunto, nel giornale delle operazioni di quella notte della Guardia di finanza, scritto a penna dall’ufficiale di turno alle 23.20, un’ora dopo l’avvistamento del caicco in arrivo dalla rotta turca da parte dell’aereo di Frontex rivela quello che era chiaro sin dall’inizio. «Si comunica avvistamento Eagle 1 di natante con migranti», scrive l’ufficiale dopo aver ricevuto da Roma la nota di Frontex, affidando al giornale delle operazioni quella che è la logica ed evidente interpretazione (ma fin qui negata da tutti) di perché quella imbarcazione segnalata da Frontex sia sospetta. E cioè perché trasporta migranti: non lo dice chiaramente il dispaccio di Frontex che segnala una sola persona sul ponte e dà conto di una rilevazione termica consistente sottobordo, ma lo dice la logica e l‘esperienza dell’ufficiale di turno quella sera alla sala operativa della Guardia di finanza. Che dispone l’uscita della motovedetta V5006 prima e del pattugliatore Barbarisi poi. Ma, attenzione, perchè poi quella notazione a penna «natante con migranti» registrata alle 23.20 del sabato ( dunque quando il caicco è ancora in navigazione) sparisce poi dalla annotazione di polizia giudiziaria che la sezione operativa navale di Crotone della Guardia di finanza redige il giorno dopo, la domenica 26, quando la tragedia si è ormai compiuta. Da quel momento in poi il caicco diventa per tutti solo una barca «sospetta», non si sa per cosa.
La motovedetta in attesa
Nel fascicolo dell’inchiesta c’è anche la relazione della sala operativa del reparto aeronavale di Vibo Valentia che offre risposte precise alle domande: chi, quando e perchè ha deciso l’intervento dei mezzi della Guardia di finanza in una operazione di law enforcement.
Alle 23.20 di sabato 25, quando il comando generale della Guardia di Finanza trasmette in Calabria il dispaccio di Frontex, la sala operativa «dispone che la vedetta 5006 effettui pendolamenti in zona Capo Colonne in attesa che il target entri nelle acque nazionali. Pertanto la V5006 procede per ritorno in Crotone per effettuare il rifornimento e ritornare in zona». In altre parole: per effettuare l’operazione antiimmigrazione la Finanza aspetta che il caicco, segnalato da Frontex a 40 miglia a sud di Crotone, dunque in acque internazionali, entri nelle nostre acque territoriali. E nel frattempo va a fare gasolio. Non senza però accertarsi di cosa stia facendo la Guardia costiera. Che – qui la conferma – alle 23.20 è informata di tutto. Si legge ancora nella relazione della Finanza: «Contattata Capitaneria di porto di Reggio Calabria, riferisce di essere a conoscenza del natante. Attualmente non hanno predisposto alcuna imbarcazione, in caso di necessità faranno uscire unità di Crotone».
La Guardia costiera non esce
Ma la “necessità” non scatta nemmeno quattro ore dopo quando i mezzi della Guardia di finanza comunicano che stanno rientrando in porto per le condizioni meteo. Il mare – si apprende ancora dalla relazione della Finanza – è forza 4, di operazioni con onde più alte in passato se ne sono fatte tante. E però sia la motovedetta V 5006 che il pattugliatore Barbarisi rinunciano ad effettuare la loro operazione di polizia. Logica vorrebbe che se le condizioni meteomarine sono proibitive per mezzi così performanti qualsiasi altra barca dovrebbe essere considerata a rischio, soprattutto se sospettata di trasportare migranti. E dunque, non a caso, la sala operativa del gruppo aeronavale richiama la Guardia costiera. Sono le 3.20 di domenica 26 febbraio, venti, trenta minuti prima di quando il caicco ( ormai arrivato indisturbato a poche miglia dalla costa) si infrange contro una secca a Steccato di Cutro dopo una brusca manovra degli scafisti. Ma torniamo ai registri della Guardia di finanza: «La Capitaneria di porto di Reggio Calabria, alla richiesta se avevano unità pronte a muovere, comunicava che non avendo ricevuto richiesta di soccorso e non avendo certezza della presenza di migranti a bordo e che l’imbarcazione sta navigando regolarmente, non hanno predisposto uscita di unità navale».
Il ritardo dei soccorsi a terra
Il “caso” dunque sembra chiuso. tanto chiuso che quando, 35 minuti dopo i carabinieri lanciano l’allarme del naufragio, nè Guardia di finanza nè Guardia costiera sono pronti a scattare: sulla spiaggia di Steccato le pattuglie arrivano alle 5.35, un’ora e mezza dopo. La prima motovedetta della Guardia costiera, la Cp 321 arriva solo alle 6.50 e recupera le prime tre persone tra cui un bimbo: morto di freddo.
(da La Repubblica)
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