TERREMOTO, SULLE CASETTE DI LEGNO PER GLI SFOLLATI I PRIMI RITARDI
SARANNO NECESSARIE 500-600 CASETTE PER UN TOTALE DI 2.000 PERSONE… IN DUE MESI SAREBBE FATTIBILE, MA EMERGONO AMBIGUITA’ POLITICHE
L’unico punto fermo della ricostruzione, confermato anche da fonti ufficiali della protezione civile, riguarda l’abbandono delle tende, il più presto possibile, già ad ottobre, considerato che ad Amatrice già tra una decina di giorni — secondo i siti meteo — le minime si attestano attorno ai 9 gradi.
Ma la notizia è che una cortina fumogena avvolge la data di arrivo delle casette di legno, i famosi “mini chalet” modello Onna, dove alloggiare gli sfollati.
A microfoni spenti fonti della protezione civile ma anche della regione Lazio parlano di “5-6 mesi”, dopo giorni che sui giornali è stato scritto “entro tre mesi”.
Insomma, bisogna aspettare gennaio, come spiegò sin dal primo momento il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi, in un’intervista all’Huffpost.
Spiegano alla protezione civile che in questo momento non si può fornire un cronoprogramma ufficiale di massima, perchè non è ancora pronto il censimento definitivo degli sfollati e non sono partite le verifiche di agibilità degli edifici che inizieranno la prossima settimana: quante agibili, quante parzialmente inagibili, quante inagibili su cui intervenire, quante da abbattere.
Solo a quel punto si avrà la cifra esatta dei nuclei. E solo a quel punto si potrà dire ufficialmente quante “casette” occorrono e in quali alloggi gli sfollati saranno accolti nella fase di transizione tra le tende e gli “chalet”.
A microfoni spenti però qualche fonte della protezione civile ravvisa un modo diverso di procedere rispetto al passato, come quando Guido Bertolaso all’Aquila faceva dei report quotidiani su sfollati e stato dell’arte: numeri, cifre, impegni dichiarati a microfoni accesi e dunque verificabili dall’opinione pubblica.
Stavolta, dall’inizio del terremoto, non è stato fornito nè dal governo nè dalla protezione civile neanche un quadro di massima orientativo sui tempi di abbandono delle tende e di arrivo delle casette di legno.
Cautela, prudenza nell’appiccarsi alle parole perchè i destini dei terremotati, come accaduto nella polemica sul funerale spostato a Rieti e poi riportato ad Amatrice, sono fuoco vivo anche politicamente che, al minimo errore, brucia consenso e credibilità .
Ecco però cosa si intravede, penetrando la cortina fumogena.
Si intravede una realtà , sottolineano le medesime fonti, imparagonabile con L’Aquila e molto più semplice da gestire.
Allora gli sfollati erano 60mila. Al momento, l’ultima cifra della protezione civile è di 2688 sfollati. Così divisi: 995 nel Lazio, 938 nelle Marche, 755 in Umbria.
Gli sfollati “effettivi”, però, sono destinati a scendere.
Proseguono fonti non ufficiali: “Resteranno un duemila persone. Gli anziani di ceto medio-alto sono già ricoverati nelle case di figli e parenti altrove, gli imprenditori se ne andranno perchè lì non si lavora, quindi nei borghi a occhio rimarranno duemila persone”.
Il che significa che occorrono 500-600 casette di legno circa. 5-6 mesi dunque per 5-600 casette.
Numeri e tempi già raccontano di una incertezza e di un ritardo rispetto al passato.
A San Giuliano di Puglia (31 ottobre 2002) gli sfollati erano tremila e prima di Natale le casette arrivarono: due mesi scarsi.
Nell’Apocalisse aquilana, cinque mesi dopo il terremoto di aprile — lo stesso tempo stimato oggi per gli sfollati di Amatrice — di casette ne arrivarono 3500 i primi di settembre. Le prime, a Capitignano, arrivarono a giugno. E, oltre alle casette, 50 scuole in tutto il “cratere”.
Il paragone con i precedenti parla di un ritardo. Oppure, a voler essere maliziosi di altro. Perchè su ogni terremoto la politica, inevitabilmente, costruisce la sua macchina della propaganda, come all’Aquila sulle new town. Chissà .
Spiegano le stesse fonti informate: “Per portare le casette ad Amatrice con un mese e mezzo o due ce la fai. Ci sono ditte con le casette pronte, regioni che le offrono. Urbanizzi i terreni in una ventina di giorni con quel minimo di infrastrutture che servono e poi fai arrivare le case”.
Un mese e mezzo o due basterebbero, giusto il tempo di tagliare i primi nastri a ridosso del referendum presentando il risultato come un miracolo rispetto ai tempi ipotizzati. O strumentalizzazione o ritardo. Chissà .
E le minime tra dieci giorni sono già sotto i dieci gradi.
(da “Huffingtonpost“)
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