TOTOMINISTRI: FEDELISSIMI E FILOSOFI “SMACCHIATI” AL GOVERNO
SI FANNO I NOMI DI LETTA, GRASSO, FINOCCHIARO, TABACCI E BARCA
Nel suo duello con Giorgio Napolitano, Pier Luigi Bersani potrebbe fare una mossa per “anticipare” un governo tecnico.
Ovviamente, non nel senso che vorrebbe il Quirinale, cioè l’esecutivo del Presidente. Semmai è lo stesso segretario del Pd che varerebbe un governo di minoranza senza politici dentro.
È il paradosso di questa insolita e lunga crisi partorita dalle urne fatali di febbraio.
Uno schema da far maturare per attrarre il Movimento 5 Stelle, ma che in realtà Bersani ha in testa dalla campagna per le primarie quando disse esplicitamente che avrebbe fatto “un governo senza manuale Cencelli ma aperto alla società ”
Altri tempi, si dirà .
Certamente, ma la cura per smacchiare il Giaguaro aveva pure previsto, a cavallo tra il risultato delle primarie e l’inizio della campagna elettorale, come riempire le caselle di governo.
Lo racconta Ettore Maria Colombo nella sua recentissima biografia di Bersani per gli Editori Internazionali Riuniti. Nomi su nomi.
A cominciare da quelli dei fedelissimi Maurizio Migliavacca e Vasco Errani per la “macchina” di Palazzo Chigi.
Poi Nichi Vendola alla Cultura, Enrico Letta allo Sviluppo Economico, Anna Finocchiaro, Piero Grasso alla Giustizia, persino il centrista Tabacci e il socialista Nencini.
Più politica che società a dire il vero.
In ogni caso niente D’Alema, niente Veltroni, niente Bindi.
Oggi che è tutto cambiato e la scena è cupa non gioiosa, il probabile “esploratore” Bersani sta tratteggiando un profilo diverso del suo esecutivo.
L’ossessione sono i grillini e il primo compito è stato quello di scavare a fondo tra i nomi degli intellettuali che firmarono a suo tempo un appello per “Bersani 2013”.
Un elenco che si apre con Carlo Galli e si chiude con Salvatore Veca.
Ci sono Aris Accornero e Alberto Asor Rosa, Carlo Dell’Aringa e Michela Marzano. Quest’ultima, nota filosofa in quota Repubblica, viene indicata come un nome quasi sicuro della squadra che Bersani offrirà alla fiducia parlamentare, se mai Napolitano lo manderà in Parlamento.
Due i punti fermi del governo, su cui il segretario del Pd sta spingendo parecchio, almeno a sentire chi parla con lui. Il primo è l’ex procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. Bersani lo ha strappato ai centristi per candidarlo nel Pd e il magistrato è in corsa per fare il Guardasigilli anche nell’eventualità di un governo filogrillino.
Il secondo è il ministro montiano Fabrizio Barca, di schiatta comunista e vero erede secondo i suoi avversari interni del Pd della filiera tecnopolitica Amato-Bassanini.
In realtà il patto con “Pier Luigi” era diverso.
Bersani a Palazzo Chigi e Barca al partito.
Adesso che è tutto è saltato per aria e si naviga a vista, giorno dopo giorno, il segretario del Pd lo vorrebbe a tutti i costi nella sua squadra.
Del resto, per Bersani, il ministro montiano è anche un doppio pericolo.
Sia per il suo presunto gradimento al M5S (governo filogrillino non a guida Bersani), sia per i suoi storici rapporti con Napolitano (governo del Presidente)
Chiuso nel suo bunker del Nazareno, la sede nazionale del Pd a Roma, con Migliavacca ed Errani (che lo seguiranno a Palazzo Chigi anche per il governo di minoranza), il mancato smacchiatore del Giaguaro avrebbe già sondato Stefano Rodotà , già indipendente di sinistra e altro nome gradito al M5S, per un ministero di rilievo. L’incognita resta l’Economia.
Per quel posto circola da tempo il nome di Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Bankitalia.
La tentazione bersaniana è di proporlo comunque, in quanto riserva della Repubblica e super partes, nonchè altro potenziale premier tecnico.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
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