TRAGEDIA DEL GIGLIO, SI AGGRAVA LA POSIZIONE DELLA COSTA: “NORME DI SICUREZZA TRASCURATE”
LA PROCURA: “SCHETTINO INADUEGUATO, MA CHI LO HA SCELTO?”… LA DIFESA DEL COMANDANTE CHIAMA IN CAUSA LA COMPAGNIA: “LE POMPE NON FUNZIONAVANO”
La Costa Crociere entra ufficialmente nell’inchiesta. E dalla porta principale.
Per risalire ai veri responsabili del naufragio di venerdì 13 gennaio “occorre infatti spingere lo sguardo” oltre la testa dello sciagurato comandante Francesco Schettino e puntarlo “sulle scelte fatte dal datore di lavoro, e cioè dall’armatore”.
A parlare in questi termini è Beniamino Deidda, il procuratore generale della Toscana, l’uomo a cui fa riferimento gerarchico il pool di magistrati che sta indagando sui fatti tragici di quella notte.
Deidda, una vita in prima linea sulle tematiche della sicurezza nei posti di lavoro, ha le idee chiare su quale “pista” seguire per fare luce su ciò che è veramente accaduto all’isola del Giglio.
“La magistratura – dice – cerca i nessi causali degli eventi. Per ora l’attenzione generale si è concentrata sulle colpe del comandante, che si è rivelato tragicamente inadeguato. Ma chi lo sceglie il comandante?”.
La domanda apre il varco a un ragionamento che, fatto in questi termini e in questo momento, proprio mentre il procuratore capo Francesco Verusio e i suoi sostituti stanno ragionando sulle prossime mosse nei confronti della Costa Crociere, sembra quasi un ordine. “Scialuppe che non scendono – elenca Deidda – personale che non sa cosa fare, scarsa preparazione a gestire l’emergenza, ordini maldestri come quello, assurdo di tornare nelle cabine. La confusione che c’è stata rivela un’incredibile trascuratezza nell’applicazione delle norme di sicurezza. Sicurezza – prosegue il magistrato – che va organizzata prima, con esercitazioni e simulazioni, e gestita dopo. Non tutte le carenze di sicurezza possono farsi risalire alla condotta del comandante. Per questo l’inchiesta non potrà escludere alcun fronte”.
Una sollecitazione quasi clamorosa.
Che i titolari dell’indagine non sembrano aver gradito.
Visto che ancora ieri sera erano incerti sulle modalità di convocazione in procura degli uomini di Costa Crociere (in particolare del Marine operation director Roberto Ferrarini).
Il dubbio era se ascoltarli, come semplici testimoni o piuttosto come indagati.
Il nodo a questo punto sembra destinato a sciogliersi presto. E la posizione di Costa ad appesantirsi notevolmente.
Anche perchè, dopo giorni di “attesa e riflessione”, Bruno Leporatti, l’avvocato difensore di Francesco Schettino, ha deciso di trasformare la sua partita in un muro contro muro con la Compagnia.
In una memoria scritta, il legale ha infatti messo l’accento su una serie di punti dolenti per la Costa, anticipando di fatto l’intera linea difensiva, e arrivando ad invocare platealmente l’iscrizione al registro degli indagati per Ferrarini: “Le dichiarazioni rese dal Comandante Schettino davanti al gip in ordine ai contatti telefonici intercorsi con il Marine operation director hanno aperto ulteriori filoni di indagine che potrebbero ragionevolmente orientarsi nel senso di provocare allargamenti soggettivi dell’inchiesta”.
Il coinvolgimento di Ferrarini sarebbe comunque solo un punto di partenza, nella strategia di Schettino.
Il quale si dice disposto ad assumersi le responsabilità dell’urto contro lo scoglio del Giglio, ma non quelle di quanto avvenuto dopo.
Visto che dall'”incaglio” in poi – è la sua tesi – ogni mossa, ogni decisione, è stata ampiamente condivisa con la Compagnia. La cui posizione si complicherebbe ulteriormente – alleggerendo quella del comandante – se si dovesse scoprire che non tutti gli apparati di sicurezza a bordo della Concordia erano funzionanti.
“Il comandante – è scritto nella memoria difensiva – aveva ordinato inutilmente più volte la messa in funzione della pompa di zavorra o di bilanciamento (uno strumento che avrebbe permesso alla nave di non inclinarsi su un fianco rendendo più semplice l’evacuazione, ndr)”.
Ma quelle pompe non funzionavano.
Così come, probabilmente, non avevano funzionato le “paratie deboli” e cioè quei tramezzi di separazione tra i vari compartimenti stagni che “cedono” quando, dopo un allagamento, la pressione dell’acqua diventa eccessiva in una zona della nave.
Uno di quei sistemi di sicurezza tanto cari al procuratore Deidda, che forse avrebbero potuto rendere meno tragico il bilancio.
Carlo Bonini e Marco Menusrati
(da “La Repubblica“)
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