“TRATTATIVE IN CORSO PER LIBERARE GRETA E VANESSA”: I SERVIZI IN CONTATTO CON L’ISIS TRAMITE UN PAESE TERZO
UNA FONTE DELL’INTELLIGENCE CONFERMA CHE L’OPERAZIONE E’ IN CORSO
“Le trattative sono in corso. Grazie soprattutto alla triangolazione con un paese terzo che ha contatti con i ribelli dello Stato islamico. Il quadro è complesso, restiamo fiduciosi anche se non immaginiamo una soluzione a breve”.
La fonte d’intelligence italiana non si sbilancia, non può farlo, sul destino di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, le due cooperanti italiane della provincia di Varese, prigioniere dei fondamentalisti dello Stato islamico (IS, ma anche Isis o Isil a seconda che si parli di Stato islamico dell’Iraq e della Siria o dell’Iraq e del Levante) nato tra Iraq e Siria nell’aprile 2013 e autoproclamatosi Califfato il 29 giugno 2014.
C’è il moderato ottimismo del padre di Vanessa (“oggi mi sento tranquillo, credo le vedremo a breve”) e la necessaria prudenza delle nostre fonti di intelligence a fronte dell’allarme lanciato oggi da The Guardian, il quotidiano britannico che dopo la decapitazione del reporter americano James Foley, ha acceso i riflettori sugli ostaggi nelle mani dei terroristi dell’Is.
Si tratta di venti occidentali, tra cui quattro donne, le due cooperanti italiane, una danese e una giapponese. Secondo la stampa britannica, negli ultimi 10 mesi una decina di ostaggi “sono stati rilasciati dopo lunghi negoziati conclusi con il pagamento di riscatti”.
Uno degli ostaggi liberati ha spiegato che a condurre le trattative potrebbe essere stato lo stesso britannico che ha ucciso Foley decapitandolo.
Altre informazioni dicono che le ragazze potrebbero essere tenute prigioniere a Raqqa, roccaforte dell’Is nel nord della Siria e dove sono già stati tenuti prigionieri altri ostaggi.
Il silenzio stampa impone il riserbo di fronte a una situazione che resta “delicatissima”, specie – si spiega – “dopo che l’Italia con l’Europa ha deciso di inviare armi ai peshmerga curdi per fronteggiare l’avanzata dell’Is”.
Ma è da registrare anche un articolo del 19 agosto pubblicato su al-Quds al-Arabi, il quotidiano arabo edito a Londra, dove in un reportage da Idlib, nel nord ovest della Siria, di dice che “le ragazze italiane stanno bene”, uno dei rapitori “sarebbe stato catturato” ed è “possibile che nelle prossime ore ci sia la liberazione”.
Ma l’allarme tra le intelligence occidentali va oltre gli ostaggi e i sequestri.
Il problema, per tutti, si chiama foreign fighters, cittadini europei e occidentali di origine musulmana, nati e cresciuti in Occidente, che hanno deciso di tornare come volontari e combattenti di una presunta guerra civile diventata in fretta terrorismo. Il fenomeno è in corso da anni.
Ma la Siria è diventata, secondo gli ultimi report dell’intelligence, “il punto di aggregazione e addestramento per i fondamentalisti islamici di altre nazioni”.
“Non c’è stata riunione del Copasir in cui non si sia affrontato questo fenomeno” spiega una fonte del Comitato parlamentare di sicurezza, segno di quanto sia elevato l’allarme sui foreign fighters.
Vari documenti di intelligence, condivisi in questi mesi anche dall’Italia, indicano numeri elevatissimi.
Si va da un minimo di 9 mila combattenti non siriani a un massimo di 11-15 mila.
Significa che tra il 20 e il 40 per cento dei combattenti dell’Is sono stranieri che hanno lasciato la patria di adozione per andare a combattere.
Vari centri di studio sul terrorismo (ICSR, International center for the study of radicalism; International center for counter-terrorism) stimano che “il 75 per cento dei combattenti provenga dalle primavere arabe” e “il 17 per cento (più di mille) dai paesi europei come Belgio,Francia, Olanda, Germania, Gran Bretagna”.
Potrebbe aver studiato nei sobborghi a sud di Londra il boia incappucciato che ha decapitato Foley.
Parlano inglese i custodi di altri ostaggi. In Gran Bretagna il gruppo sarebbe noto all’intelligence con il nome “Beatles” e gli estremisti britannici hanno fama di essere “i più brutali tra i combattenti arruolati nell’Is.
Il Copasir ha contato “qualche decina” i combattenti partiti dall’Italia, “non più di 50”. Il punto è quando decideranno di tornare in Italia.
Si tratta di gente che torna preparata e addestrata.
(da “Huffingtonpost”)
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