TRUMP AMMONISCE, PUTIN INCASSA IL COLPO
MA IL GRANDE GIOCO SU ASSAD CONTINUA
Mosca ha sospeso la linea calda tra i militari Usa e Russi in Siria istituita per evitare incidenti. E la fregata russa “Ammiraglio Grigorovich” sta facendo rotta verso la base militare russa a Tartus in Siria.
“E’ armata di missili Cruise” ha avvertito un funzionario del Cremlino sostenendo che Mosca vuole migliorare il sistema difensivo anti-aereo siriano per renderlo più capace di proteggere parti vitali dell’infrastruttura siriana”.
La guerra in Siria e la grande competizione tra regimi sunniti e sciiti è distante dall’essere finita. E i giocatori regionali impegnati nel conflitto, alleanze spesso contorte e con obiettivi finali spesso opposti, si agitano con moderazione dopo l’attacco americano che Mosca stigmatizza ma a cui reagisce con cautela.
C’è chi, come Turchia, Israele e Arabia saudita, vorrebbe molto più di una punizione-ammonimento del nemico Assad.
Chi, come Teheran e Iraq, protesta per l’assalto armato a una “nazione sovrana” sostenendo l’innocenza di Damasco nel massacro dell’altro giorno nella provincia di Idlib. Alcuni “civili, anche bambini”, secondo fonti siriane, sarebbero morti nella pioggia di razzi Tomahawk (59, al costo di 600mila dollari l’una circa 35 milioni di Euro).
Immagini sulla tv di Damasco e su Youtube mostrano aerei da caccia distrutti sui piazzali dell’aeroporto di Sharyat e danni alle infrastrutture. Danni minori come si è trattato, per l’amministrazione Usa, una incursione minore. Un ammonimento.
La risposta siriana, come finora le dichiarazioni di tutti gli attori protagonisti e meno, scontata: La “lotta al terrorismo” andrà avanti. Per Assad i terroristi sono i suoi oppositori: Sia i combattenti siriani che i gruppi radicali islamisti come al-Qaeda e Isis contro i quali sparano anche americani e russi.
Il clima, nella regione, è di apparente incertezza.
Di sicuro Trump ha avvertito Putin con largo anticipo dell’intenzione di colpire la base aerea siriana. E Putin si è limitato a protestare e incassare. Gli aerei russi e i loro piloti sono stati allontanati.
E a giudicare dal numero limitato delle vittime siriane, il preavviso arrivato a Putin deve aver dato alle forze armate di Assad nella zona tempo sufficiente per mettersi in salvo e non reagire.
Non risulta che le sofisticate batterie di missili terra-area russe forniti a Damasco nell’ultimo anno siano stati allertate o usate per fronteggiare l’incursione.
In Medio Oriente, come nel resto del mondo, Trump resta un’enigma. Capace di tutto e il contrario di tutto.
Ha agito, si chiedono in Israele come a Teheran, per dimostrare di essere, al contrario del suo predecessore Obama, in grado di decidere e agire rapidamente nelle questioni internazionali?
O ha sfruttato l’occasione offerta dalle immagini dei bambini soffocati dai gas per rispondere a chi lo accusa di aver ordito un complotto con Putin per poter vincere le presidenziali e, forse, per impostare un nuovo ordine mondiale?
“Nulla è cambiata nella politica americana nei confronti di Assad” ha sostenuto giovedì sera il segretario di Stato.
Lo sguardo ora è sui colloqui della prossima settimana a Mosca del capo della diplomazia Usa, Rex Tillerson. Una visita programmata da tempo che potrebbe riservare nuove sorprese.
La Siria, gas o no, è soltanto una pedina in un grande gioco di cui fanno parte il conflitto israelo-palestinese e l’antagonismo tra le varie anime dell’Islam.
Trump e Putin sembrano condividere la volontà di risolvere almeno una parte di questi scontri e portare una certa stabilità nella regione.
Un segnale in questa direzione è arrivata da Mosca dove a sorpresa e senza apparente motivo, il Cremlino ha fatto sapere che è pronta a riconoscere Gerusalemme Ovest come capitale di Israele nel quadro di un accordo di pace.
Lascerebbe la parte Est ai palestinesi, cosa che all’attuale dirigenza israeliana è improponibile. Sembra che Washington e Mosca, con altri paesi della regione, stiano pensando a una conferenza internazionale per la prossima estate.
Non tutti gli attori grandi e piccoli lo vogliono e basterebbe poco per mandare all’aria tutti i buoni propositi.
(da “Huffingtonpost”)
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