UN BLOG SENZA RESPONSABILI, SALVO CONVENIENZA: QUESTA E’ L’IMMAGINE DEI CINQUESTELLE
PUO’ AMBIRE A GUIDARE IL PAESE CHI NASCONDE CIO’ CHE DOVREBBE ESSERE PUBBLICO E TRASPARENTE?
L’inestricabile incastro di scatole cinesi dietro il quale si nasconde il Movimento 5 stelle è inaccettabile per una democrazia compiuta che si vuole definire tale.
La vicenda del blog di Beppe Grillo, della querela del Partito democratico e della incredibile difesa del fondatore (in sintesi: “Il blog chi?”), ha fatto molto ridere e molto incazzare.
In sintesi: il Pd ha denunciato un post pubblicato su beppegrillo.it, e i legali del fondatore si sono difesi spiegando che nulla sa e nulla c’entra il buon Beppe con quel che viene pubblicato.
Al di là delle ironie e delle reazioni di bottega, tuttavia il campanello d’allarme è serio. Ed è l’ultimo di una lunga serie.
L’opacità e la viscosità dei meccanismi di funzionamento del Movimento, uno dei principali player dello spazio pubblico italiano, sono cose che riguardano tutti.
E non è sufficiente il manierismo della linea difensiva dei colonnelli 5 stelle (riassumendo: “Guardate la nostra pagliuzza, non le travi degli altri”) a derubricarne la rilevanza nella discussione politica e civile del nostro paese.
Nè tantomeno la sostanziale insensibilità del loro elettorato, mobilitato su issues ideologico-fideistiche.
I meccanismi di funzionamento del Movimento sono imperscrutabili.
Fino ad arrivare al punto che il suo fondatore rifiuta di riconoscere la paternità di quel che esce sul blog, fonte di diritto primaria della sua creatura politica. E si spinge a rinnegare anche di quel che viene pubblicato sui suoi profili social, che portano il suo nome e sono certificati rispettivamente da Facebook e da Twitter.
In punta di diritto, la difesa di Grillo sembra funzionare. Caterina Malavenda, luminare del diritto dell’informazione, su queste colonne spiegava come la responsabilità in solido di blog, post e tweet sia dell’autore che materialmente li scrive.
Ma il pilatesco rinnegamento dell’intero impianto normativo-culturale su cui si fonda l’avventura politica del Movimento lascia basiti.
Anche perchè non è l’ennesima provocazione, l’iperbole brandita come strumento di comunicazione di massa, alla quale il lessico dell’ex comico ci ha abituati.
Il vederlo certificato sulla carta di un documento ufficiale, nel burocratese di una memoria difensiva, ricorda quel che diceva Lebedev ne L’idiota di Dostoevskij: “Ogni fatto reale ci appare quasi sempre incredibile e inverosimile. E quanto più è reale, tanto più talora ci appare inverosimile”. Più prosaicamente: quando la realtà supera la fantasia.
Tra le righe, la realtà diventa ancora più inverosimile. Perchè tra i metatag del post querelato (sulla vicenda di Tempa Rossa), in effetti c’è un campo “author”.
Mistero svelato? Per nulla, perchè ci si infila nell’ennesimo vicolo cieco. L’autore viene identificato da un link. Quello dell’account Google plus di Grillo.
Al quale è applicabile lo stesso discorso illustrato dall’avvocato Malavenda per Facebook e Twitter. Morale della favola, risalire all’autore materiale del post è impossibile.
E non per una fortunata coincidenza, o per qualche bug del web. Ma per un sistema di livelli sovrapposti ed elusivi costruito così bene che non può essere scardinato.
Un fumo che pervade l’intera struttura organizzativa del partito. Non è dato sapere quanta pubblicità fattura il blog, ed è impossibile risalirvi anche per per l’assenza della partita Iva pubblicata a piè di pagina.
Non si sa chi scriva i post, chi ne decida la linea, con chi vengono concordati.
Grillo scarica sulla Casaleggio, Casaleggio (Gianroberto) diceva che erano concordati con Grillo (al Fatto diceva “Sono tutti nostri. Ci sentiamo sei-sette volte al giorno per concordarli, poi io o un mio collaboratore li scriviamo, lui li rilegge. E vanno in rete”), lo statuto 5 stelle dice che il responsabile è Grillo, che però rifiuta di essere considerato il titolare, sia legale sia politico, di quel che vi viene scritto.
Fatti reali, incredibili e inverosimili.
Che fanno il paio con le lettere di diffida, ammonimento, sospensione ed espulsione che arrivano via mail firmate da “Lo staff”.
E ci sarà da ridere, e tanto, quando qualcuno querelerà l’estensore di una di quelle mail. Perchè sarà costretto a sporgere denuncia contro ignoti, non essendo firmate, non assumendosene nessuno la responsabilità .
Per maggiori dettagli citofonare Pizzarotti. O con un collegio di probiviri tirato su in fretta e furia, votato plebiscitariamente via blog, non per costruire una sana e robusta vita democratica all’interno del Movimento, ma per la stanchezza del fondatore di essere il destinatario delle cause delle denunce.
Per tacere del nulla assoluto intorno alle votazioni online, all’elaborazione dei risultati, alla certificazione esterna.
E pensare che si era partiti, quattro cinque anni fa, con i vertici che discutevano dell’opportunità di rendere pubblico o meno il codice del blog, di adottare piattaforme come Liquid Feedback per l’elaborazione collettiva delle proposte politiche.
Siamo finiti con un garante non responsabile, con uno statuto e con un non statuto, con un Direttorio, con due blog (oltre a beppegrillo.it è nato da qualche mese il blog delle stelle) incastrati tra di loro, alimentati sull’asse Genova-Milano ma, a quanto pare, senza responsabili effettivi, con staff senza volto, con procedimenti decisionali che si sa come finiscono, ma non si capisce mai fino in fondo come nascono e come si sviluppano.
Un caos che sommerge le stelle danzanti, in cui nessuno si assume responsabilità se non quando gli conviene per il momento per cui gli conviene.
Tutto il resto è nascosto da livelli concentrici di protezione, penetrati i quali spesso si viene rimandati al punto di partenza con un pugno di mosche. Il problema è che il caos sembra organizzato scientemente.
Può il nostro sballottato sistema democratico permettersi un partito che gioca a rimpiattino se si prova a penetrarne i meccanismi di funzionamento?
Può il nostro paese consentire che vada al governo chi nasconde ciò che dovrebbe essere pubblico e trasparente dietro una cortina di firewall?
(da “Huffingtonpost”)
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