VINO ITALIANO, DAZI USA AL 100%, PRODUTTORI IN GINOCCHIO: A COSA PORTA LA FOLLIA SOVRANISTA
LA DECISIONE PREVISTA IL 13 GENNAIO, LA PETIZIONE DELLE CANTINE… TANTE PICCOLE AZIENDA RISCHIANO LA CHIUSURA
L’anno bisestile si annuncia davvero tragico per il vino italiano – ed europeo in generale – con dazi americani sul valore di ingresso delle bottiglie che potrebbero schizzare fino al 100%. Lo ha deciso il 12 dicembre scorso l’amministrazione del presidente Donald Trump in seguito a uno scontro iniziato in autunno con la Francia di Macron che ha colpito formaggi e Champagne.
Disputa partita da altri settori – aerospaziale e servizi digitali – e che è finita sulle tavole a stelle e strisce amanti del cibo e del vino europei.
La decisione è fissata per il 13 gennaio, ma è da prima del Natale che molti importatori americani hanno bloccato gli ordini presso le cantine del nostro Paese, nell’attesa che la situazione si sblocchi, in un senso o in un altro.
A ottobre c’era già stato un innalzamento delle tariffe del 25% su oltre 100 prodotti, coinvolgendo in particolare Francia, Germania, Spagna e Inghilterra (con l’Italia colpita sui formaggi, ma non sul vino).
Il contenzioso che ha portato allo scontro è stata l’accusa di supporto alle rispettive industrie aeronautiche, e in particolare alla statunitense Boeing e all’europea Airbus (il cui consorzio vede impegnati i paesi sopra citati).
La WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio, ha condannato la UE per finanziamenti incompatibili con le regole dell’organizzazione stessa. Risultato, Trump ha diritto a riscuotere 7,5 miliardi di dollari in dazi sui prodotti europei.
Una politica di rappresaglia, su ciò vi sono pochi dubbi, ma a ogni azione segue una reazione e qualcosa si sta muovendo, non solo tra i produttori, ma soprattutto tra quanti importano e distribuiscono le etichette europee negli Stati Uniti, ovvero quelli che rischiano di più con una forte riduzione dei posti di lavoro e la chiusura di tante imprese dalle dimensioni medio-piccole e spesso a conduzione familiare.
L’associazione nazionale dei commercianti di vino, la NAWR sta chiedendo a tutti – consumatori compresi – di firmare una petizione, mentre è interessante andare a leggere gli addetti al settore — distributori, sommelier, venditori, ristoratori – che partecipano al sito governativo Regulation.gov del Dipartimento del Commercio americano (Ustr) lasciando commenti sulle pagine dedicate alle controversie sugli aeromobili.
I venti di guerra, per ora commerciali, mentre soffiano quelli inquietanti della geopolitica, sono arrivati anche in Italia. In realtà piuttosto in sordina e al momento posizioni ufficiali da parte degli organi competenti non ve ne sono.
A muoversi per primi sono stati alcuni produttori della Fivi, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, che hanno lanciato un appello sulla piattaforma Change.org indirizzato al Ministro delle Politiche Agricole Teresa Bellanova, al Commissario dell’unione Europea per l’Agricoltura Janusz Wojciechowski e al presidente del Parlamento Europeo David Sassoli. Un grido di aiuto che ha raccolto firme tra quanti vogliono difendere il vino e chi lavora nel settore.
Tra le più attive dei primi cento firmatari c’è Marilena Barbera, vignaiola siciliana con azienda a Menfi: “Molti di noi – spiega la produttrice – hanno già ricevuto mail dai propri importatori per bloccare gli ordini di dicembre che sarebbero stati sdoganati a fine gennaio. Immaginiamo che questi ordini non vengano confermati. Cosa ce ne faremo di queste bottiglie? Parliamo di un miliardo e settecento milioni di vino ogni anno, dovremo trovare mercati alternativi e decidere a che prezzo venderlo. Mi conviene più tenerlo in cantina o applicare degli sconti? Quanto di questo vino potrebbe finire nella grande distribuzione o in canali paralleli a prezzi ridicoli, mettendo in difficoltà enoteche e facendo perdere valore alle denominazioni? Saremo costretti a farci una lotta intestina con prezzi concorrenziali, perchè solo in questo modo puoi andare a saturare un mercato nuovo”.
La petizione, che ha raccolto 5mila firme, punta soprattutto a sensibilizzare l’opinione pubblica italiana che appare alquanto silente. “Sono sorpreso dal numero di colleghi che mi hanno chiamato per avere informazioni: sono del tutto ignari di quanto sta accadendo”. A parlare è Gianluca Morino che con la sua azienda Cascina Garatina produce vino nel Monferrato. Non addebita tanto la colpa ai vignaioli, quanto alla mancanza di informazione sia a livello istituzionale che mediatico.
“Questa petizione – continua il produttore – è nata da una domanda che ci siamo fatti, ovvero: che sta facendo l’Unione Europea? Ho letto di proposte assurde, come quella di dazi compensatori che vadano a colpire prodotti americani come il ketchup. Ma a chi giova questa escalation di offensive e controffensive? Noi puntiamo non solo alla non applicazione del 100% dei dazi, ma anche all’abolizione della misura introdotta l’ottobre scorso con tariffe al 25%. Gli USA rappresentano il paese con la più vasta offerta di vini al mondo, con questa ennesima guerra daziaria si rischia di renderlo un prodotto sempre più elitario, spingendo il consumatore medio-alto – per intenderci quello che spende tra i 15 e i 20 dollari per una bottiglia – a spostarsi su altri generi di bevande”.
In effetti tra le motivazioni che avrebbero spinto l’amministrazione Trump a minacciare l’offensiva, potrebbe esserci anche quella del voler avvantaggiare produttori di birra e di bibite gasate. Di certo si sa che a inizio dicembre è scattata la tregua tra Stati Uniti e Cina, firmatari di un’intesa provvisoria per la sospensione reciproca delle imposte di ingresso, coi cinesi che si impegnano ad aumentare quasi del doppio l’import agroalimentare dagli USA. Nell’elenco delle firme compaiono tanti bei nomi della viticoltura italiana, ma nessun brand famoso.
Marilena Barbera se lo spiega così: “Credo siano su una posizione attendista o preferiscono spostare la loro protesta direttamente in America, facendo lobby con le associazioni di categoria”.
Che è poi quello che sta facendo la Uiv, ad esempio. L’Unione Italiana Vini ha investito in una campagna social in coordinamento con i propri importatori verso i consumatori americani e gli operatori della filiera affinchè partecipino alla consultazione pubblica. Lettera morta invece è rimasta la mail che Matilde Poggi, presidentessa Fivi, ha inviato il 20 dicembre scorso all’attenzione del commissario Ue Wojciechowski: “Ci siamo mossi come Cevi (confederazione Europea Vignaioli Indipendenti) perchè siamo convinti che ci sia, da parte del Presidente Trump, la volontà precisa di scompaginare il settore agroalimentare – e non solo – europeo con il metodo dei dazi a carosello, che vanno a colpire un gruppo di paesi alla volta e in maniera periodica, destabilizzando e indebolendo la nostra economia”. Parlando di vino, il valore di quello europeo negli Stati Uniti ammonta a 28 miliardi di dollari e se sono quasi cinque quelli che vengono restituiti in Europa a titolo di etichette Usa, l’85% rimane nell’economia degli States sostenendo migliaia di posti di lavoro. Entro pochi mesi, a febbraio, tutto questo potrebbe svanire perchè gli importatori smetterebbero semplicemente di acquistare vino europeo.
Secondo alcuni importatori, effetti negativi si sentiranno anche sul mercato dei vini americani
“È esattamente quello che accadrà con dazi al 100%”. Niccolò degli Innocenti è il sales manager di Vias per la catena Metro di New York, una società di importazione e distribuzione che fattura intorno ai 40 milioni di dollari l’anno: “Stiamo ragionando con i nostri produttori su un’eventuale innalzamento dei dazi al 25% e in tal caso ci divideremo gli oneri dei costi in più per non penalizzare il consumatore, ma ciò può essere preso in considerazione solo per un periodo limitato di tempo. Altri scenari non sono ammissibili”. Realtà altrettanto agguerrita ma più piccola – e di conseguenza assai preoccupata – è quella di Giuseppe Lo Cascio, proprietario della società Selezioni Varietali, che rappresenta alcune delle migliori cantine del nostro Paese: “Questa è una situazione che non ha precedenti e in attesa di capirci qualcosa, le società più piccole come la nostra non stanno inserendo nuove aziende nel portfolio. I distributori di qualità inoltre hanno sempre in catalogo vini americani ed europei e non avere più margine sui secondi significa affossare anche la vendita dei primi. Se questo aumento vertiginoso delle tariffe dovesse andare in porto, verrà penalizzata la varietà dell’offerta, rendendo il nostro settore molto più conservativo”.
(da “La Repubblica”)
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