ZINGARETTI E UN POPOLO PIU’ AVANTI DEL SUO PARTITO
UN PARTITO CHE CINCISCHIA SUL CONGRESSO MENTRE SEGNALI DI VITALITA’ ARRIVANO DALLA BASE
Bisogna riconoscere che l’iniziativa di Nicola Zingaretti è riuscita, in termini di partecipazione e di vitalità .
Si può condividere o meno l’approccio, la proposta, questo o quell’accento, ma gli va riconosciuto — oggettivamente – coraggio. Il coraggio di essere partito con una iniziativa politica in un partito ancora sotto shock, incapace di fare i conti con una debacle epocale, frutto di “sconnessione sentimentale” col paese preannunciata da quattro anni di sconfitte, annegate in una rimozione collettiva.
E incapace di fronte non a un incidente di percorso, ma a un tornante della storia, di abbozzare un minimo di discussione sulle ragioni profonde di quel che è successo.
“Se” si farà il congresso del Pd, il luogo ovvio e naturale dove svolgere questo confronto su idee, programmi, visione del paese, sarà principalmente merito di questa iniziativa.
“Se”, perchè è evidente che c’è, ancora, qualche scienziato in giro che vorrebbe rimandarlo a dopo le europee, magari con la scusa dello spread (per la serie: come si fa a contarsi tra di noi in questa emergenza?), ma con l’obiettivo vero di non mettere in discussione l’attuale assetto di potere, sia pur residuale: il chi fa le liste alle europee, il chi gestisce la fase, etc, etc.
E non è un caso che Paolo Gentiloni, intervenendo a Piazza Grande abbia riservato proprio a questo un passaggio del suo intervento: “A sette mesi dalla sconfitta elettorale parlare di Congresso del Pd non mi pare una scelta precipitosa e ringrazio Nicola per la sua determinazione”.
E non è neanche un caso che un politico navigato come Marco Minniti ancora non abbia sciolto la sua riserva. L’uomo è di antica scuola e di consumata esperienza. E anche per carattere difficilmente ama indossare i panni di un ciclista che parte per la volata in una corsa non iniziata e di cui non si conoscono ancora le tappe.
L’argomento “Congresso” del Pd, in quanto rivelatore delle dinamiche interne, ha un appeal pressochè pari a zero.
Il punto di fondo però è un altro. E riguarda, diciamo così, quanto il “centrosinistra” politico sia in ritardo rispetto a un popolo.
A Riace, qualche settimana fa, ha sfilato un’altra Italia rispetto a quella di Matteo Salvini, per difendere un modello di accoglienza e di integrazione.
A Piazza Duomo a Milano, l’Anpi e tante altre associazione hanno portato in piazza migliaia di cittadini “contro il razzismo”.
E poi la marcia Perugia-Assisi. E poi i cortei degli studenti, perchè non è vero che tutti i giovani votano i Cinque Stelle.
Si cominciano cioè a vedere i primi segni di un risveglio democratico, di cui fa parte la manifestazione del Pd a Piazza del Popolo e anche iniziative partecipate come quella di Zingaretti, piena di cittadini e associazioni che hanno aderito spontaneamente.
È la reazione ai “balconi” di Di Maio, alle deportazioni annunciate da Salvini, allo “snaturamento democratico” in atto, perchè non siamo solo di fronte a un Governo che governa, ma a un cambio di paradigma nella visione dello Stato, dove persino le Autorità indipendenti vengono inserite tra i nemici del popolo, e della convivenza civile, col Viminale trasformato da Ministero di garanzia a Ministero di polizia.
Parliamoci chiaro. Se in parecchi sono scesi in piazza in queste settimane, lo si deve più agli anticorpi democratici del paese, che alla proposta e all’iniziativa autonoma del centrosinistra.
Non è un dettaglio di poco conto. Nel 1994, dopo otto mesi, Berlusconi cadde, grazie a una grande spinta popolare (ricordate lo sciopero generale dei sindacati?) e alla capacità di fare politica del centrosinistra (fu il capolavoro di D’Alema) che staccò la Lega da Berlusconi e ricostruì un nuovo centrosinistra, che poi avrebbe vinto le elezioni: l’Ulivo.
Sette mesi dopo il 4 marzo, non c’è non solo l’ombra di manovra e di una offerta politica, ma nemmeno un avvio razionale e ordinato di una discussione interna sul “che fare”. Ma ancora un gruppo dirigente prigioniero di un tatticismo parossistico.
Mettete in fila gli elementi di giornata.
Paolo Gentiloni ha dato una sorta di appoggio “morale” a Nicola Zingaretti, con la sua presenza a Piazza Grande e ha sancito, in diversi passaggi, la sua distanza da Matteo Renzi. Ma il suo è stato più un discorso da “padre nobile” che di uno che si schiera. Nel dubbio ha lodato sia Zingaretti sia Minniti.
Altro elemento. Nella sua intervista al Corriere Renzi, che ancora non spiega e mai lo farà perchè in questi anni ha perso la metà dei voti rispetto alle europee portando la sinistra al suo minimo storico da sempre, ha evitato di chiarire la sua posizione sul Congresso (se sia necessario o meno), e quale candidato sosterrà , pur essendo il segreto di Pulcinella che sosterrà Minniti.
E a sentire il segretario in carica le assisi del Pd sembrano la famosa rivoluzione di Giorgio Gaber: oggi no, domani forse, dopo-domani sicuramente.
Si è capito che, per la data, si deve aspettare fine mese. Guarda caso, dopo che si pronunceranno le agenzie di rating. A quel punto sarà chiaro se lo spread è compatibile con la normale vita di un partito.
Zingaretti, nella sua convention, ha parlato di “popolo che si rimette in cammino”, disposto a “sollevarsi” in nome dei valori di convivenza civile che l’attuale governo sta picconando. È stata una bella iniziativa. Ma non basta se un intero partito non si apre a quel popolo, lasciandosi contaminare, coinvolgere, contestare, cambiare.
Ci sta che, mobilitazione dopo mobilitazione, qualcuno prenderà in mano un microfono su un palchetto, a Riace o a Milano o chissà dove e scopriremo che è un leader.
Mentre il Pd starà ancora a cincischiare sul Congresso.
(da “Huffingtonpost”)
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