Destra di Popolo.net

PALERMO DEGLI SPRECHI, DOVE ANCHE L’ANTIPOLITICA SI E’ SPACCATA

Maggio 2nd, 2012 Riccardo Fucile

CAOS VOTO: TUTTI CONTRO TUTTI DOPO IL BUCO ABISSALE LASCIATO DA CAMMARATA… A SINISTRA SFIDA TRA ORLANDO E IL VINCITORE DELLE PRIMARIE

«Mammina, sei pronta? Io sono pronto». Visto in tivù lo show dell’aspirante sindaco di Palermo, il blogger Tony Troja si è precipitato a farne una parodia alla Beniamino Gigli: «Maaaamma! Hanno bisogno di uno che s’immola / Maaaamma! Il “problem solving” l’ho imparato a scuola».
Ride tutta Palermo, su quella parodia.
Anche lui, Massimo Costa, il giovane scelto da Casini e Alfano per tentare un triplo salto carpiato con avvitamento: far dimenticare Diego Cammarata, il sindaco che lascia un buco abissale e zero rimpianti.
Ragazzo di spirito, sa che quella imitazione se la doveva aspettare. Lui stesso, già  campione europeo di kick-boxing (boxe e arti marziali) e poi giovanissimo capo del Coni isolano, sa che i colpi si danno e si prendono.
E lui era andato a cercarsela, arringando la folla così: «Io sono pronto. Rinuncio a tutto. Mamma preparati: cambierà  la tua vita. Oltre che la mia. Sei pronta al successo di tuo figlio se riuscirà  a cambiare i destini di questa terra? Mammina, sei pronta? Io sono pronto».
Il coetaneo Fabrizio Ferrandelli, candidato della sinistra, sceglie lo slogan in dialetto «Amunì, Palermo», cioè «andiamo, Palermo»?
Lui va sull’english: «Voglio prendere in mano il destino di questa città . La voglio liberare dal peccato e dai peccatori. Impossible is nothing». E già  qui si vede come lui stesso dia per complicata, al di là  della sicurezza da «vincente» che ostenta, l’operazione di rimuovere, in quella che è stata forse la più berlusconiana delle grandi città  italiane, quel sindaco uscente che cinque anni fa incassò al primo turno il 53,5%. Capiamoci, senza tornare a Goethe che scriveva di come ognuno badasse solo a se stesso e spazzasse i propri rifiuti nella strada così che questa «diventa sempre più sudicia e finisce col restituirvi, a ogni soffio di vento, il sudiciume che vi avete accumulato», Palermo era una città  piena di problemi anche prima.
Ma certo gli ultimi anni sono stati così disastrosi, agli occhi dei cittadini, da spingere lo stesso Alfano a rassicurare Costa: «Mi ha detto: il nostro partito peserà  come una piuma».
Del resto, anche se con le sue giacche blu, la cravattina e il sorriso Durban’s pare uscito dalla fabbrica del «perfetto berlusconiano», l’alfiere della riscossa pidiellina non era stato scelto dai berlusconiani.
Al contrario: dai suoi nemici Casini, Lombardo, Fini. I quali avevano individuato in lui l’uomo giusto per scardinare il sistema di potere: giovane, nuovo, sveglio, parlantina sciolta…
Un politico nato che titilla sentimenti antipolitici: «Se sarò eletto, via tutti gli assessori degli ultimi venti anni, via tutte le prebende e stipendi a me e agli assessori di 2000 euro, via tutte ma proprio tutte le auto blu, trasparenza, “diretta” sul Web dei consigli comunali».
Non è un’idea di Beppe Grillo, che a Palermo candida il giovane analista aziendale Riccardo Nuti e dello stesso Ferrandelli? «Le buone idee non sono monopolio di nessuno».
Avviato verso una probabile batosta e privo di un nome da spendere, Angelino Alfano ha deciso di metterci il cappello sopra: lo votiamo pure noi.
Perchè, ha spiegato l’altro ieri, «è figlio della Palermo vera: ha speso l’intera buonuscita dei genitori per sostenere la sua campagna elettorale».
Sul serio? Lui conferma: «In tutto 120 mila euro. Miei, di mio papà  e mia mamma». Ironie degli avversari: «Ma se costa 70 mila da solo il manifesto gigantesco in piazza Croci!»
Fatto sta che a quel punto sono saltati su lombardiani e finiani: allora non lo votiamo noi.
E hanno puntato sul deputato regionale ed ex assessore «cammaratesco» («ma in rotta dal 2008») Alessandro Aricò.
Che spiega: «Da noi si dice che occorre guardare i compagni di processione. E in processione dietro a Costa c’è il peggio del peggio. Basti dire che nelle sue liste ci sono 32 ex assessori e consiglieri della vecchia maggioranza».
Quindi all’eventuale ballottaggio… «Neanche a parlarne. Non vogliamo ridare il potere a chi ha devastato la città  e le municipalizzate».
Riassunto: l’Amia costrinse un paio di anni fa Berlusconi, terrorizzato all’idea di una nuova emergenza-rifiuti nonostante il record di spazzini (mezzo migliaio più che a Torino, per raccogliere 164 tonnellate l’anno a testa contro 491 dei piemontesi) a tappare tra i mal di pancia leghisti un buco di 80 milioni.
Quanto alla Gesip, un carrozzone delegato a un sacco di cose, basti un dettaglio: i suoi operai potano gli alberi fino a 249 centimetri di altezza, poi dai 250 in su tocca a quelli del settore ville e giardini. Un delirio.
Per non dire di scelleratezze come la decisione del Comune di assumere per destinarli all’azienda dei trasporti 110 autisti da autobus tutti senza la patente d’autobus e smistati all’Amat, che fu costretta a prenderseli, dopo corsi di autoscuola pagati dal municipio un occhio della testa.
«Quando ero sindaco io, giravano 480 autobus», tuona Leoluca Orlando, «adesso solo 180, gli altri sono rotti, in deposito e talvolta li usano per i pezzi di ricambio. Una vergogna!»
Quel discolo di Tony Troja non ha risparmiato neanche lui. E ha messo on-line una parodia di «Quando» di Pino Daniele: «Tu dimmi quando, Orlando / finalmente anche tu farai persuaso / che magari è proprio il caso / di non candidati ancora…». Macchè, il vecchio zazzeruto che fondò la Rete ci riprova. La zazzera è ingrigita. E le borse sotto gli occhi sembrano bisacce. Il mitico «Nino u ballerinu», maestro con coppola e pizzetto dei panini con la milza («No che non ballo: mi dicono “u ballerinu” pecchè sono dinamicu») giura però che «stavolta vince lui, Luca!»
E nel caos del mercato al Capo, l’uomo della cosiddetta «primavera di Palermo» si muove con l’irruenza d’un tempo. Bacia, abbraccia, saluta nome per nome decine di bottegai e clienti, appioppa a questo e quello manciate di santini: «Dai che ce la facciamo».
Conta sull’illusione di chi spera tornino i «bei tempi» in cui imbottì il Comune di migliaia di lsu? «A parte che quelli, in un momento particolare, li pagava lo Stato, è cambiato tutto. Io voglio rifare la città . Rifarla! Torno per entrare nella storia. Se uno non lavora lo butto fuori e finisco in prima sul New York Times. Capito? Qui si fa la storia».
Fabrizio Ferrandelli, a lungo il pupillo dipietrista di Orlando del quale dicono abbia preso a modello perfino il ciuffo, ha vissuto l’irruzione in campagna elettorale del suo ex-mito come una coltellata: «Era schierato con la Borsellino. Invitava a votare “BorsOrlando”. Poi, all’ultimo istante, dopo la mia vittoria, ha deciso di provarci. Non capisco. Dopo i disastri di Cammarata avremmo vinto al primo turno». –
Spaccata la destra, spaccata la sinistra, spaccato il centro (anche Saverio Romano presenta una sua candidata, Marianna Caronia), si è spaccato perfino il fronte ribelle. Carrettino siciliano al passo, Rossella Accardo gira per la città  chiedendo voti in nome del «Movimento dei forconi».
Ma in tanti si sono rivoltati: «Come osa usurpare il nome?» E via coi ricorsi.
Dai forconi alle carte bollate.

Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)

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CONTRORDINE PADAGNI: BOSSI SI RICANDIDA ALLA SEGRETERIA, L’ETERNO SECONDO MARONI COSTRETTO ALLA RETROMARCIA

Maggio 1st, 2012 Riccardo Fucile

ANCHE SENZA CERCHIO IL SENATUR TENTA IL COLPO “MAGICO”: MARONI, CHE AVEVA ANNUNCIATO CHE AVREBBE VOTATO BOSSI IN CASO DI SUA CANDIDATURA, SI E’ FREGATO DA SOLO…LA RIVOLUZIONE ANNUNCIATA SI RISOLVERA’ IN UN PATERACCHIO ALL’ITALIANA

Sindaci come guerrieri. Roberto Maroni usa questa immagine e lanciare la protesta fiscale al raduno della «Lega Unita» di Zanica, nella Bergamasca.
Dal palco detta la linea, accanto a lui c’è Umberto Bossi che poi prende parola e chiude gli interventi, a dispetto delle previsioni che volevano invece fosse l’ex ministro dell’Interno a parlare per ultimo con quella scansione da scaletta che fra i lumbard individua il peso dei leader.
Ancora Bossi, a margine del comizio, risponde a una domanda diretta dei giornalisti: si candiderà  o no al congresso federale convocato per la fine di giugno?
«Sì, penso di sì. Per forza, per la gente».
E aggiunge: «Altrimenti la gente pensa che non siamo uniti. Lo farò se serve a tenere unita la Lega».
La notizia viene battuta dalle agenzie e a stretto giro arriva un comunicato di Roberto Castelli: «La Lega ha bisogno di Bossi ancora per molto».
Il tema sembra però cadere durante il pranzo a cui lo Stato maggiore presenzia dopo il comizio, con alcuni commenti rilasciati ai cronisti solo alla fine del pomeriggio: «Se Bossi si ricandiderà ? Io lo voterò», dice l’europarlamentare Francesco Speroni.
Per il vicepresidente della Regione Lombardia Andrea Gibelli «ogni decisione sarà  presa dai militanti», mentre il triumviro Roberto Calderoli ai media parla di congressi: «Prima di pensare al federale mi sembra dobbiamo pensare ai nazionali».
Fra i militanti in sala intanto circola la voce di una presa di posizione più morbida del Senatur («Ha spiegato che la Lega la guideranno lui e Maroni…»), mentre l’ex ministro dell’Interno non torna sul tema con la stampa.
Perchè se è vero che a Zanica Maroni invita i sindaci guerrieri alla disobbedienza civile, è altrettanto vero che l’ex ministro degli Interni di guerriero ha ben poco.
Se avesse gli attributi, come si dice in gergo, avrebbe cercato di prendere le redini del partito, dopo aver primeggiato in tanti congressi.
Il momento è propizio, Bossi è travolto dagli scandali famigliari, ma Maroni temporeggia senza una linea precisa da seguire.
In causa di restaurazione, quelli che rischiano di più sono proprio coloro che si sono esposti per Bobo e che ora rischiano di essere le prime vittime del clima di restaurazione.
L’alternativa? Che Maroni vestisse per una volta i panni del guerriero e puntasse alla vittoria al Congresso.
Ma per dirla alla don Abbondio “se uno il coraggio non l’ha, non può darselo”: e poi, quanto potrebbe costare in termini di immagine   un eventuale attacco mediatico contro di lui?
Quali carte ha in mano il cerchio magico   per poter solo ipotizzare di neutralizzare l’avanzata dei barbari sognanti?
Evidentemente a sufficienza per indurre Maroni a ritornare al ruolo a lui congeniale: quello di eterno secondo, magari trattando qualche poltrona e posto di potere in più.
Insomma il solito pateracchio all’italiana, pardon alla Padagna del magna magna.

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ENTI INUTILI: A PAROLE TUTTI LI CANCELLANO, MA SONO SEMPRE LI’

Maggio 1st, 2012 Riccardo Fucile

LA PRIMA LEGGE DI RIORDINO È DEL 1956. NE HANNO FATTE ALTRE SETTE, MA I RISPARMI SONO PARI A ZERO

Bisogna tagliare la spesa, basta con le tasse e le tariffe che impoverisco noi redditi medio-bassi.
Sul Corriere della Sera ce lo ha spiegato un importante esponente del socialismo europeo come Giulio Tremonti, recentemente risvegliatosi dalla malattia che l’aveva costretto in questi anni nel ruolo di ministro dell’Economia di un governo che per le sue manovre economiche ha molto agito sulla leva fiscale a danno dei meno abbienti.
Curioso,comunque, che l’intervista promozionale (il nostro ha appena dato alle stampe l’ennesimo libro) arrivi nelle edicole lo stesso mese in cui il Servizio per il controllo parlamentare della Camera pubblica un dossier che lo riguarda da vicino .
Avete presente gli enti inutili?
Le sforbiciate annunciate negli ultimi dieci anni ne hanno cancellati o riordinati solo 37 — una decina dei quali sotto il governo Monti — ma comunque creandone quattro nuovi.
Un po’ poco per la straordinaria produzione normativa sul tema.
La prima legge “taglia-Enti” pare risalga addirittura al 1956,ma nel nuovo millennio il legislatore non ha badato ad articoli e commi: una legge nel 2002, una nel 2007 (governo Prodi), un paio nel 2008, poi ancora nel 2009 e altre due nel 2010.
Fu introdotta anche la famosa “ghigliottina”, così la chiamavano Pdl e Lega: o il governo trova un nuovo assetto meno costoso e con compiti chiari per queste strutture o verranno abolite d’ufficio alla data X (le proroghe si sono sprecate).
Risultato:ad oggi “non risultano casi di soppressione conseguenti ai procedimenti di riordino e soppressione inizialmente previsti dall’originaria norma taglia-enti”, scrivono i tecnici di Montecitorio, “tutti gli enti soppressi lo sono stati mediante specifica norma di legge” e molti sono enti previdenziali alla fine riassorbiti nella nuova super-Inps.
Sembra impossibile che i funzionari della Camera parlino della stessa materia su cui — era il 28 ottobre 2009 — l’allora ministro Roberto Calderoli ebbe a dichiarare che “a fine mese succederà  una cosa che non è mai successa in Italia: cadrà  la ghigliottina sugli enti inutili che non si sono ristrutturati, non hanno chiuso, non hanno ridotto il personale e non hanno tagliatole spese”. Già  nel luglio di quell’anno, sul Giornale, aveva dato i numeri precisi, per così dire: “Scompariranno circa 34mila enti inutili che bruciano risorse solo per sopravvivere”.
L’anno dopo doveva essere successo qualcosa, perchè questi benedetti enti inutili secondo Calderoli erano diventati solo 714, ma comunque il dentista bergamasco prometteva mannaia, ghigliottine, sale sulle rovine.
Macchè: il nostro era riuscito a scrivere 29 decreti di riordino per altrettanti enti, ma glieli hanno bocciati.
Quei cattivoni del Consiglio di Stato hanno detto che erano scritti male, cioè che violavano i criteri stabiliti per legge sempre dal duo Calderoli-Tremonti.
Non manca qualche caso assolutamente straordinario, deliziose pochade in salsa burocratica.
C’è l’Istituto per il commercio estero: abolito da Tremonti,resuscitato da Tremonti, trasformato in Agenzia dai bocconiani.
Poi c’è il fantastico caso dell’Indire (Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione ela Ricerca Educativa): la Finanziaria 2007 l’aveva chiuso e accorpato insieme agli Istituti regionali di ricerca educativa (Irre) nella nuova Ansas (Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica).
Nel luglio 2011, però, il colpo di scena: dal settembre 2012 via l’Ansas, torna l’Indire .
Anche i professori non si sono fatti mancare un po’ di suspense.
Tra gli enti aboliti dalla manovra di dicembre, infatti, risultavano anche i tre Consorzi peri laghi del Ticino, dell’Oglio e dell’Adda con relativi presidenti e consiglieri: venivano accorpati in un unico Consorzio per i laghi prealpini. Finito? Neanche per sogno.
Passano due mesi e il Milleproroghe approvato a gennaio riporta tutto alla situazione di partenza: via il Consorzio nazionale, bentornati i tre precedenti.
I ragazzi dei laghi,d’altronde, sono in ottima compagnia: ancora attivi sono quelli dell’Ente nazionale gente dell’aria, dell’Istituto nazionale per le case degli impiegati dello Stato costituito nel 1924 o dell’Ente nazionale per l’addestramento dei lavoratori del commercio (questo per non parlare della Cassa conguaglio zucchero o dell’Ente Colombo, quello di Genova 1992). Insomma, un decennio di legislazione buttato a mare: se gli enti che non esistono più sono 37, i risparmi attesi sono quantificati solo nel caso della Super-Inps (250 milioni da qui al 2014).
Un po’ meglio è andata coi tagli alle poltrone in enti, Autorità  e Agenzie voluti da Monti: 353 poltrone in meno.
Però solo quando saranno naturalmente scaduti gli incarichi di chi ci sta seduto oggi.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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IL MAESTRO PEDOFILO DI PALOSCO ERA STATO CANDIDATO SINDACO DELLA LEGA

Maggio 1st, 2012 Riccardo Fucile

LA LEGA ORA SCARICA ARISTIDE MAZZA, IL DIRIGENTE SCOLASTICO ARRESTATO MENTRE ABUSAVA SESSUALMENTE DI UN SUO ALUNNO… “MAI STATO TESSERATO”, ANNUNCIA IL CARROCCIO, MA CANDIDATO SINDACO NON LO POSSONO NEGARE

C’è imbarazzo all’interno della Lega Nord per il caso del maestro pedofilo di Palosco.
Aristide Mazza, candidato sindaco nel 2001 proprio dal Carroccio.
«Non era un nostro tesserato» rispondono oggi dalla Lega, ma in ogni caso è stato il “loro” candidato alla poltrona di primo cittadino.
I responsabili del partito prendono le distanze dall’accusato, ma la storia del mancato tesseramento non regge perchè il movimento lo voleva addirittura candidato sindaco e si sa che nel Carroccio tutto viene controllato e predisposto dalla segreteria.
Nel 2001 alle elezioni amministrative Aristide Mazza si presentava come candidato sindaco appoggiato dalla Lega Nord, il suo avversario Epifanio Ottini era invece sostenuto dalla lista civica “Progetto unitario”.
Vinse quest’ultimo, Mazza non continuò la sua carriera politica.
Aristide Mazza è un uomo sposato, con due figli ed un nipotino, e a fine anno sarebbe andato in pensione.
E invece pochi giorni fa è stato colto in flagranza di reato dai carabinieri della Stazione di Martinengo proprio mentre durante le ore di lezione si appartava in un laboratorio interno alla scuola con una sua vittima.
Immagini inequivocabili che lo inchiodano alla sua colpa.
A questo punto nessuno può difenderlo, lui stesso, ora in carcere, interrogato dagli inquirenti ha fatto scena muta.
Ma adesso in paese c’è la paura, paura che ci siano altre vittime che, a differenza del ragazzino che ha confessato tutto alla sua famiglia ed è stato creduto, non abbiano avuto il coraggio di farlo.
O peggio che non siano state credute di fronte alle accuse ad una personalità  del paese.
I carabinieri hanno sequestrato il computer del maestro per vedere se all’interno ci sia del materiale pedopornografico e stanno indagando per capire se ci possono essere state altre vittime.
Del resto la sua lunga esperienza mette i brividi ed è normale che i genitori di alunni ed ex alunni di quella scuola elementare si interroghino sul maestro e se abbia commesso abusi anche in passato.

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CAPITALI SVIZZERI ORA MONTI DICE SÌ ALLA TASSA SUL DENARO NASCOSTO DAGLI EVASORI ITALIANI NEI FORZIERI ELVETICI

Maggio 1st, 2012 Riccardo Fucile

IL PREMIER: “PRONTI A DISCUTERE L’ACCORDO PER TASSARE GLI EVASORI COME GERMANIA E INGHILTERRA”

Mario Monti è pronto a trattare con la Svizzera per tassare i capitali nascosti dagli evasori italiani nei forzieri di Lugano e Ginevra:“Considereremo ex novo l’intera materia”, annuncia in conferenza stampa.
Come anticipato dal Fatto , il via libera della Commissione europea agli accordi bilaterali di Gran Bretagna, Germania e Austria con Berna, ha cambiato tutto.
Ora si può discuterne, anzi,si sta già  trattando, Monti fissala prima condizione: il rispetto dei trattati sulla tassazione dei lavoratori frontalieri che “il Canton Ticino ha sospeso unilateralmente”.
Il negoziato comincia.“Come Pd presenteremo chiederemo al governo una stima sull’ammontare e la composizione dei capitali italiani in Svizzera, poi servirà  con urgenza un accordo bilaterale e un vincolo chiaro per l’utilizzo del gettito ottenuto. Se arrivassero subito 3 miliardi, per esempio, si potrebbero destinare subito a credito di imposta per le imprese che assumono”, spiega Sandro Gozi, deputato del Pd che segue da tempo il dossier dell’accordo fiscale.
Nel 2008 la Commissione europea aveva iniziato a ragionare su un accordo comunitario con la Svizzera, per tassare in loco i capitali sottratti al fisco, “ma per cambiare le regole in materia fiscale ci vuole l’unanimità  e l’Italia si opponeva, formalmente Giulio Tremonti chiedeva un accordo più duro,ma in pratica ha bloccato i negoziati”, ricorda Gozi.
La Commissione aveva comunque fatto alcuni conti: la metà  dei capitali depositati in Svizzera,3.300 miliardi, sarebbe di origine straniera: 180 miliardi tedeschi, 120-150 italiani, 70 inglesi.
A metà  2011 Gran Bretagna e Germania, vista la paralisi della normativa comunitaria e la necessità  di fare cassa, stipulano un accordo bilaterale con la Svizzera.
La Commissione all’inizio è scettica poi, dopo alcune modifiche, concede formalmente il via libera a metà  aprile.
Nel frattempo all’elenco si è aggiunta anche l’Austria.
Gli effetti si sentiranno dal2013, quando entrano in vigore gli accordi. “Germania e Gran Bretagna hanno concordato che Berna paghi subito un acconto sulle somme che riscuoterà  dalle banche, per l’Italia potrebbe essere oltre un miliardo di euro”, stima Gozi.
Da quando è caduto il veto di Bruxelles, evasori, consulenti, avvocati e banchieri stanno studiando la documentazione ufficiale per capire cosa li aspetta.
Questi accordi si compongo nodi due parti: la prima è una sanatoria del passato, la seconda una tassa annuale sui redditi prodotti dalle attività  detenute in Svizzera.
Dal primo gennaio 2013, un tedesco o un inglese che hanno un conto a Lugano avranno tre scelte.
La prima:chiudere il conto e trasferire i capitali in un altro paradiso fiscale(le autorità  elvetiche faranno di tutto per scoraggiare questa opzione).
Seconda scelta: il correntista dichiara per iscritto alla banca di voler uscire allo scoperto, la banca poi informa il governo svizzero che informa il Paese di appartenenza che poi si rifarà  sul malcapitato correntista facendogli pagare sanzioni, penali e tasse non pagate per tutti gli anni passati (ovviamente questa ipotesi è concepita in modo così poco allettante da non spingere nessuno a sceglierla).
Terza opzione,quella che tutte le parti interessate caldeggiano: il pagamento anonimo della tassa.
La banca verifica la nazionalità  del beneficiario delle attività  che detiene (anche se si tratta di un trust o di altri tipi di schermi giuridici),poi preleva dal conto la penale prevista dalle formule contenute negli accordi bilaterali — tra il 21 e il 41 per cento peri tedeschi, tra il 19 e il 34 per gli inglesi, tra il 15 e il 38 per gli austriaci— e versa la somma al governo di Berna che, a sua volta, la passerà  allo Stato interessato.
In teoria tutto questo sarebbe già  previsto dalla direttiva 2003/48,in vigore dal 2005, ma non ha mai funzionato: la Svizzera si impegnava ad applicare una ritenuta del 35 per cento sui rendimenti maturati nei suoi confini da cittadini dell’Unione europea, poi versava il 75 per cento del gettito ai Paesi di competenza.
Le somme raccolte sono state ridicole,perchè era troppo facile aggirare i vincoli. Per questo sono arrivati gli accordi bilaterali.
Dopo la sanatoria sul passato, un condono fiscale molto costoso (l’aliquota chiesta da Tremonti agli evasori che usavano lo scudo fiscale per rimpatriare denaro era solo del 5 per cento, qui sui grossi capitali si arriva al 40)in teoria non dovrebbero più esserci situazioni ambigue: chi non è uscito allo scoperto o non ha chiuso il conto fuggendo a Saint Lucia o alle isole del Canale sarà  noto al governo e, di fatto, al Paese di provenienza che sa quale gettito aspettarsi.
Nella fase due, dopo la “regolarizzazione”, al dentista o al piccolo imprenditore italiano che ha il conto a Lugano resteranno due alternative:o emerge allo scoperto o, se vuole mantenere l’anonimato,paga un’aliquota sui rendimenti ottenuti dalle attività  che è abbastanza salata: 26,375 per i tedeschi,tra il 27 e il 48 per gli inglesi,25 per gli austriaci.
“Proteggere la privacy dei clienti delle banche è e rimarrà  uno dei pilastri del settore finanziario svizzero.
L’accordo rispetta questo impegno: solo i pagamenti delle tasse saranno trasmessi alle autorità  fiscali, non i nomi dei clienti”, rassicura la documentazione del governo di Berna.
Ma è chiaro che uno dei principali benefici della segretezza, cioè l’elusione fiscale, sarà  caduto.

Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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AL LEGA DAY I GUERRIERI PADANI AGGREDISCONO I GIORNALISTI, REI DI VOLER INTERVISTARE LA SCARSA BASE PRESENTE

Maggio 1st, 2012 Riccardo Fucile

CLAMOROSO FLOP DELL’ADUNATA DI CHI INCITA ALL’EVASIONE FISCALE: POCHE CENTINAIA DI MILITANTI AD ASCOLTARE BOSSI E MARONI, ASSENTE ANCHE IL CONSOLE DELLA TANZANIA E I TITOLARI DI “COMPRO ORO”

Spintoni, manate, insulti.
A subire i cronisti del Fatto Quotidiano, Servizio Pubblico e Piazza Pulita.
A darle e a offendere decine di militanti leghisti.
E’ successo al “Lega Unita Day”, a Zanica (in provincia di Bergamo), dove sono sfilati tutti i big: Roberto Maroni, Roberto Calderoli, Umberto Bossi.
L’aggressione è avvenuta quando la manifestazione si è conclusa.
Il giornalista del Fatto, Alessandro Madron, si è avvicinato insieme ai colleghi dei programmi tv al tendone, dov’è in programma il pranzo dei presunti lavoratori “padani”, per fare alcune interviste alla base, per chiedere un parere su quello che era stato appena detto dal palco.
Ma dopo pochi istanti si è scatenata la rabbia.
I militanti infastiditi hanno cominciato ad urlare “Fuori, fuori”, “Venduti, venduti” all’indirizzo dei giornalisti, dei fotografi e dei cameramen.
Ad un certo punto da parte di alcuni presenti al pranzo sono partiti anche degli spintoni per mandare fuori i rappresentanti della stampa fino sul piazzale esterno.
Anche durante una intervista a Bossi alcuni leghisti hanno urlato “comunisti” agli intervistatori.
I giornalisti hanno chiesto il motivo di tanta rabbia, anche perchè le domande erano state tutt’altro che provocatorie: “Non facciamo niente di male, stiamo facendo solo domande” hanno cercato di spiegare i cronisti.
Ma non c’è stato modo di ricondurre alla regione la base del Carroccio, inferocita.
Gli spintoni sono proseguiti e Madron ha anche preso una manata in faccia che gli hanno fatto cadere a terra gli occhiali da vista che non ha più trovato. Non c’è stato nessuno che ha almeno provato di calmare la folla.
Anzi: c’è stato anche chi, già  seduto a tavola per aspettare il pranzo, si è alzato per dare manforte al “muro” di aggressori che se la sono presa con i giornalisti.
Solo qualcuno sottovoce ha provato a dire “Piano, piano”.
Ma ormai il fatto era compiuto.

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