Maggio 9th, 2012 Riccardo Fucile
GRILLO PREDICA BENE MA RAZZOLA MALE: MAURO MUSCARA’ DAL 2011 E’ CONSIGLIERE COMUNALE DI VOBBIA E NON POTEVA CANDIDARSI A GENOVA…LA REGOLA INTERNA E’ CHIARA: “SE SEI ELETTO IN UN ENTE LOCALE NON PUOI CANDIDARTI IN UN ALTRO FINCHE’ NON FINISCI IL MANDATO”
Facciamo una premessa, onde evitare equivoci: non abbiamo nulla contro il Movimento Cinquestelle, ma riteniamo corretto che l’opinione pubblica sia informata sulla linearità e la coerenza del percorso politico non solo dei “vecchi” partiti, ma anche di intende rappresentare il “nuovo” che avanza.
E per aver denunciato situazioni anomale in vari partiti, di destra e di sinistra, in primis persino in casa attigua, pensiamo di avere dimostrato, dati e fatti alla mano, di non guardare in faccia nessuno nelle nostre denunce politiche.
Veniamo ai fatti: nelle elezioni comunali di Genova il Movimento Cinque Stelle ha raccolto circa il 14% dei consensi sia sul nome del candidato sindaco Paolo Putti (ne abbiamo trattato in altro articolo sulla home page) che sulla lista.
Sono risultati eletti cinque consiglieri, ovvero, oltre a Putti, nell’ordine Mauro Muscarà con 153 preferenze, De Pietro con 119, Boccaccio con 112, Burlando con 80.
Cinque grillini che dovranno rappresentare il Movimento a Genova nei prossimi cinque anni in consiglio comunale in nome della lotta alla partitocrazia e al richiamo costante del rispetto delle regole e della legalità .
Ma un antico detto ricorda che “prima di guardare nel giardino del vicino, occorrerebbe fare pulizia nel nostro”.
Richiamare gli altri al rispetto delle norme diventa poco credibile se i Cinquestelle a Genova già violano le loro poche regole interne, facendo candidare ed eleggere un consigliere incompatibile con le norme da loro stessi fissate.
A Genova il primo degli eletti è Mauro Muscarà (tra l’altro proveniente non dai Meetup o M5S, ma dal coordinamento “No Gronda” con i partiti).
Muscarà è però stato eletto nel 2011 consigliere comunale del comune di Vobbia (come peraltro indicato nel suo curriculum).
E quale regola, giusta o sbagliata che sia, vige nel Movimento di Grillo?
Lo ricordiamo : “se sei eletto in qualche ente locale non puoi candidarti in un’altro… finchè non finisci quel mandato”.
Parole molto chiare che avrebbero dovuto impedire la candidatura di Muscarà .
Per chi avesse dei dubbi rammentiamo la polemica di Grillo con De Magistris: il comico genovese ha sempre considerato non tollerabile persino le dimissioni dall’ente ove si è stati eletti per candidarsi altrove.
Insomma: appena arriva l’onda del successo, i grillini fanno subito cadere le regole che loro stessi si sono dati contro la partitocrazia e i voltagabbana della politica?
Non ci sembra un buon inizio.
In ogni caso attendiamo la dovuta rinuncia all’elezione di Muscarà , candidato abusivo.
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Maggio 9th, 2012 Riccardo Fucile
IL VERBALE :”BERLUSCONI VOLEVA CONTROLLARE LA COMMISSIONE DIFESA”…”PER FINMECCANICA HO STIPULATO I CONTRATTI SU ELICOTTERI E RADAR, SPONSORIZZAI IL GENERALE SPAZIANTE”
Per «controllare» la commissione Difesa sottraendola al centrosinistra Silvio Berlusconi nel 2006 «versò un milione di euro al senatore Sergio De Gregorio» e questi passò dall’Idv a Forza Italia.
È il 25 aprile scorso, nel carcere di Poggioreale a Napoli parla Valter Lavitola, assistito dall’avvocato Gaetano Balice.
Il faccendiere svela i retroscena della «compravendita» dei parlamentari, coinvolge Clemente Mastella e Lamberto Dini nelle trattative con il centrodestra per la caduta del governo Prodi in quella che definisce «Operazione Libertà ».
Poi si sofferma sui suoi rapporti con uomini della dirigenza di Finmeccanica rivendicando il ruolo di mediatore per i contratti in Centroamerica.
E racconta di aver fatto incontrare «il presidente Berlusconi al generale Spaziante», per farlo diventare «numero due della Guardia di Finanza».
È l’inizio di quella che lui stesso definisce una «collaborazione» con i pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcock e Francesco Curcio che ne hanno chiesto e ottenuto la cattura per le false fatture emesse dal suo quotidiano l’ Avanti! e per corruzione internazionale.
Un atteggiamento che i magistrati stanno valutando, non escludendo che in realtà le dichiarazioni verbalizzate servano a Lavitola anche a saldare alcuni conti rimasti aperti durante la sua lunga latitanza.
L’acquisto del senatore
La prima parte del verbale riguarda proprio la «migrazione» dei parlamentari.
Lavitola: «Era stata candidata dalla sinistra una senatrice, notoriamente pacifista (Lidia Menapace ndr ), ed era uscito anche sui giornali che gran parte, diciamo così, delle forze armate erano contrarie a questa cosa. Non ricordo se io chiamai De Gregorio o De Gregorio chiamò me, e De Gregorio nel frattempo che, però, è uno intraprendente che mica aspettava me per fare le cose, si era già messo in contatto con alcuni del gruppo di Forza Italia dell’epoca, e precisamente, non perchè ora è morto, pace all’anima sua, e quindi non può dirlo, con il senatore Romano Comincioli, se non sbaglio, il quale era uno dei fedelissimi del presidente Berlusconi, e andò a negoziarsi la nomina a presidente della commissione. Io lo chiamai la mattina… e De Gregorio votò con il centrodestra e fu eletto presidente alla commissione Difesa, e in quel caso sicuramente io, ma ritengo anche il senatore Comincioli, gli creammo un link con il presidente Berlusconi, link che poi fu determinante per il suo passaggio a Forza Italia».
Pm: «Ma un link finanziario o un link…».
Lavitola: «No, un link personale, nel senso che io l’ho preso e l’ho portato da Berlusconi…».
Pm: «E quanto gli è costata a Berlusconi questa cosa?».
Lavitola: «Allora in termini economici gli è costato quel contratto che lui aveva con… allora, De Gregorio prima è passato con Forza Italia… e ricordo come se fosse ora che De Gregorio disse a Berlusconi che lui non intendeva entrare in Forza Italia, ma intendeva fare un suo movimento politico soprattutto all’estero; il presidente gli disse: non ti preoccupare, non ci sono problemi; ma non si entrò nei dettagli»
Pm: «E quanto gli è costato a Berlusconi?».
Lavitola: «In termini economici, a De Gregorio il contratto, come dico pure sui giornali, un milione».
«Dini, Pallaro e Mastella»
Dichiara Lavitola: «Questo fu uno dei miei meriti… il senatore Comincioli era l’uomo principale che al Senato si occupava di tentare di avvicinare i parlamentari del centrosinistra per passare con il centrodestra, e io in quel senso svolgevo una funzione di consigliere del senatore Comincioli…».
Poi cita gli altri casi: «Tenga presente che gli altri soldi li avrebbero dovuti dare a Dini, a Mastella e a Pallaro, che stiamo parlando, insomma, seppure glieli avesse dati non glieli ha dati per tramite… Sono persone che si sono trovate messe al margine dal centrosinistra nonostante si dica… Berlusconi che è uno che sa tra virgolette vendersi e gli ha garantito l’economia del movimento, ognuno di loro ha fatto un movimento, quando si è fatta la fondazione del Pdl insieme a Fini, ci stavano pure, alla pari, De Gregorio, Caldoro, Dini, insomma, là ci sta la fotografia con tutti questi qua magari con voti più degli altri…».
Lavitola ammette anche di aver avuto un ruolo nella costruzione del dossier sulla casa del cognato di Gianfranco Fini a Montecarlo e spiega: «L’obiettivo più che la ricompensa era quello di riuscire a ritagliarmi uno spazio politico all’interno del partito».
L’incontro con Guarguaglini
I magistrati gli chiedono degli affari e Lavitola risponde: «Ho fatto innanzitutto il consulente di Finmeccanica a Panama… Abbiamo stipulato quei contratti noti, quello dei sei elicotteri e quello dei radar e quello del telerilevamento della mappatura del territorio di Panama, e sostanzialmente il mio ruolo si sarebbe esaurito avendo io un contratto di un anno… la mia idea era di mettere assieme cinque o sei contratti di valore intorno ai 100 mila euro…».
Il suo sponsor era il dirigente Paolo Pozzessere «ma incontrai pure Guarguaglini una volta e tutti quanti dicevano sì, ma poi non si faceva niente».
Sulla mediazione per far incontrare Berlusconi con il generale Spaziante afferma invece: «Ci incontrammo per parlare della legge e io dissi al presidente Berlusconi: guardi che, a mio avviso, nel momento in cui passa la legge per la nomina interna alla Guardia di Finanza, per la nomina del comandante generale interno alla Guardia di Finanza, Spaziante potrebbe correre per fare il numero due e non il numero uno, in quanto per anzianità lui potrebbe fare il vicecomandante, punto… questo fu la cosa che io dissi a Berlusconi e Berlusconi sinceramente mi rispose e disse: chi se ne frega, tanto…».
«Latitante per Berlusconi»
I pubblici ministeri lo incalzano per sapere a che titolo voleva cinque milioni da Berlusconi e Lavitola risponde: «Io stavo latitante per aver dato dei soldi di Berlusconi a quel giovane genio di Tarantini, punto, dopo che, come si vede dalle intercettazioni, c’è stata una piccola cosa positiva in quel rapporto, credo voi sappiate di che si tratta…».
Pm: «E anche i soldini che si è portato giù».
Lavitola: «No, aspetti, i soldini che mi sono portato via anche lì, voglio dire, ci vorrebbe… Lo abbiamo già spiegato più volte a Bari».
Pm: «Dico perchè lei ha ritenuto che Berlusconi potesse essere così…».
Lavitola: «Perchè numero uno io lo conosco e molto bene, e quando uno sta nei guai soprattutto a causa sua se lui può lo aiuta, e io le ribadisco che io ero latitante solo per aver aiutato Tarantini e neanche per indurlo a mentire, perchè nessuno ci potrà credere mai…».
Poi, riferendosi a una telefonata intercettata la scorsa estate nella quale Berlusconi lo rassicurava afferma: «Nel momento in cui Berlusconi mi dice: io al limite del possibile vi scagiono a tutti quanti… lì mi sono sentito tranquillo perchè il mio dubbio era stato quello che Ghedini, per dire la verità , o Letta, si fosse inventato qualche altra cosa per farmi diventare addirittura l’estorsore di Berlusconi».
Poi ammette di avere avuto cinquecentomila euro dall’allora premier e sostiene che erano per l’ Avanti! «perchè avevamo una situazione economica difficile, eravamo un giornale fiancheggiatore di Forza Italia e gli siamo andati a chiedere se ci stava un sostegno economico a fronte di un servizio che gli potevamo fare».
Fulvio Bufi e Fiorenza Sarzanini
(da “Il Corriere dela Sera”)
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Maggio 9th, 2012 Riccardo Fucile
POSSIBILE UNA CONVOCAZIONE DA PARTE DEI MAGISTRATI ALBANESI DEL FIGLIO DEL SENATUR CHE AVREBBE CONSEGUITO LA LAUREA SENZA MAI ESSERE ENTRATO NEL PAESE…L’INCONGRUENZA DI AVER SOSTENUTO 29 ESAMI IN UN ANNO SENZA AVERE ANCORA IL DIPLOMA ITALIANO
La Procura generale di Tirana ha inviato una nota informativa relativa alla laurea “sospetta” che Renzo Bossi, figlio di Umberto Bossi, avrebbe conseguito all’università Kristal di Tirana il 29 settembre 2010 senza mai entrare nel paese delle aquile.
I documenti, relativi al diploma in business management dell’ex consigliere regionale leghista dopo le dimissioni seguite allo scandalo sull’utilizzo dei soldi del partito, sono arrivati ieri ai magistrati milanesi che indagano sui soldi della Lega.
Denaro per lo più denaro pubblico incassato con i rimborsi elettorali .
La copia del diploma di laurea era stata trovata nella cartella “The family” custodita da Francesco Belsito, l’ex tesoriere indagato da tre procure ovvero Napoli, Reggio Calabria, Milano, in una cassaforte che si trovava in uffici di pertinenza della Camera dei deputati a Roma.
In quella cartella l’ex amministratore aveva raccolto i documenti che comprovavano l’utilizzo di soldi del partito per le spese della famiglia Bossi, comprese le multe del Trota o gli studi dei Rosi Mauro, senatrice espulsa dal Carroccio, e anche un intervento di chirurgia plastica per il figlio minore del Senatur.
Gli inquirenti milanesi stanno già accertando se il titolo di studio possa essere stato comprato con i soldi del partito.
Intanto la magistratura albanese ha aperto un fascicolo per fare chiarezza sull’episodio e, stando a quanto si apprende, avrebbe intenzione di convocare Renzo Bossi.
La notizia della laurea di Renzo Bossi, conseguita senza mai avere messo piede in Albania con il record davvero impressionante di 29 esami in un solo anno e soprattutto prima di conseguire il diploma di maturità in Italia (Il Trota ha dovuto presentarsi agli esami di maturità ben quattro volte, ndr), è diventata un caso al di là dell’Adriatico.
Il capo dell’ateneo di “doktor Trofta” ha spiegato l’anomalia dicendo che all’improvviso il rampollo di casa Bossi è diventato intelligente.
Nei giorni scorsi l’ex tesoriere Belsito, interrogato dagli inquirenti, ha confermato che Umberto Bossi, ex segretario nominato presidente ma in procinto di ricandidarsi, era informato che i soldi del partito venivano usati per i “costi della famiglia”.
Nel solo 2011, secondo il plurindagato ex buttafuori genovese, per la Bossi family sarebbero stati spesi 611 mila euro.
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Maggio 9th, 2012 Riccardo Fucile
L’ANALISI DI MANNHEIMER, DAL VOTO EMERGONO TRE TENDENZE: L’ALTA ASTENSIONE. IL FENOMENO GRILLO E I BASSI CONSENSI AI PARTITI
Le caratteristiche principali del voto di queste amministrative sono almeno tre, diverse tra loro, ma tutte in qualche modo legate al fenomeno sociopolitico prevalente di questo periodo: la disaffezione degli elettori dalla politica e, in particolare, dai partiti.
C’è in primo luogo il considerevole incremento dell’astensione, di ben 7 punti, superiore quindi a quanto registrato domenica sera.
In alcuni contesti, specialmente nelle regioni meridionali, l’erosione dal voto è stata frenata dalla dimensione locale della consultazione e dalla conseguente presenza di molte forze politiche e di candidati legati al territorio.
Ma altrove, al Nord e al Centro, ciò non è bastato e si è registrata una più significativa diminuzione di votanti.
Non si tratta di una sorpresa, poichè questa tendenza era stata ripetutamente annunciata nelle scorse settimane: ne abbiamo fatto più volte cenno anche su queste colonne.
Basti ricordare che, secondo gli ultimi sondaggi, la percentuale di chi è orientato all’astensione e comunque indeciso se o cosa votare, supera il 55 per cento.
I voti dirottati verso l’astensione derivano da tutto lo schieramento politico, nessun partito escluso.
Ma la parte più consistente proviene da opzioni in passato destinate al Popolo della libertà : secondo una ricerca realizzata a livello nazionale, più del 40 per cento dei votanti per il Pdl nel 2008 dichiara oggi un comportamento astensionista
Di qui il secondo fenomeno caratterizzante di queste elezioni amministrative: il crollo, specie in alcuni contesti, del seguito della forza politica creata dal Cavaliere.
Verso l’astensione si è dunque incanalata soprattutto la disaffezione proveniente dal centrodestra, in particolare da parte di chi è meno partecipe politicamente.
Ma vi è stato–e si tratta della terza caratteristica di queste elezioni – un altro importante collettore della protesta: il Movimento Cinque Stelle.
Anche verso Grillo si è diretto un elettorato connotato da sentimenti di ostilità verso la politica tradizionale, con caratteristiche tuttavia assai diverse dagli astenuti.
Mentre questi ultimi sono più animati dall’antipolitica in generale e spesso dal disinteresse, il pubblico del comico genovese appare più specificatamente antipartitico: si tratta di elettori mediamente assai più giovani che, al contrario di chi si dice tentato dall’astensione, segue con attenzione e costanza gli avvenimenti politici.
Nell’insieme, è comunque il progressivo distacco dai partiti tradizionali ad avere caratterizzato questa tornata elettorale: si tratta di una tendenza spesso sottovalutata dalle forze politiche che, con tutta probabilità , connoterà – e forse anche in misura maggiore di oggi – lo scenario politico nei prossimi mesi
Renato Mannheimer
(da “Il Corriere della Sera“)
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Maggio 9th, 2012 Riccardo Fucile
IL VOTO A GRILLO DI COLORO CHE VOGLIONO SALTARE LA MEDIAZIONE TRA AMMINISTRATI E AMMINISTRATORI E’ ANCHE IL FRUTTO DELL’INCAPACITA’ DELLA PARTITOCRAZIA DI AUTORIFORMARSI
Si può buttarla sul ridere e dire che Grillo non è una sorpresa: in fondo sono vent’anni che gli italiani votano un comico.
Oppure strillare contro la vittoria dell’antipolitica, come fanno i notabili del Palazzo e i commentatori che ne respirano la stessa aria viziata.
Ma conosco parecchi nuovi elettori di Grillo e nessuno di loro disprezza la politica.
Disprezzano i partiti.
E credono, a torto o a ragione, in una democrazia che possa farne a meno, saltando la mediazione fra amministrati e amministratori.
La storia ci dirà se si tratta di un gigantesco abbaglio o se dalla rivolta antipartitica nasceranno nuove forme di delega, nuovi sistemi per aggregare il consenso.
Ma intanto c’è questo urlo di dolore che attraversa l’Italia, alimentato dalle scelte suicide e arroganti compiute da un’intera classe dirigente.
Non si può certo dire che non fosse stata avvertita.
I cittadini stremati dalla crisi hanno chiesto per mesi alla partitocrazia di autoriformarsi.
Si sarebbero accontentati di qualche gesto emblematico.
Un taglio al finanziamento pubblico, la riduzione dei parlamentari, l’abolizione delle Province. Soprattutto la limitazione dei mandati, unico serio antidoto alla nascita di una Casta inamovibile e lontana dalla realtà .
Nel dopoguerra il grillismo meridionale dell’Uomo Qualunque venne dissolto dalla Dc di De Gasperi nel più semplice e intelligente dei modi: assorbendone alcune istanze.
Purtroppo di De Gasperi in giro se ne vedono pochi.
La limitazione dei mandati parlamentari è da anni il cavallo di battaglia dei grillini. Se il Pdl di Alfano l’avesse fatta propria, forse oggi esisterebbe ancora.
Ma un partito che ai suoi vertici schiera reperti del Giurassico come Gasparri e Cicchitto poteva seriamente pensare di esistere ancora?
Il Pd ha retto meglio, perchè il suo elettorato ex comunista ha un senso forte delle istituzioni e dei corpi intermedi – partiti, sindacati – che le incarnano.
Ma se il burocrate Bersani, come ha fatto ancora ieri, continuerà a considerare il grillismo un’allergia passeggera, lo tsunami dell’indignazione popolare sommergerà presto anche lui.
La riprova che il voto grillino è meno umorale di quanto si creda?
Grillo non sfonda dove la politica tradizionale riesce a mostrare una faccia efficiente: a Verona con il giovane Tosi e a Palermo con il vecchio Orlando (percepito come un buon amministratore, magari non in assoluto, ma rispetto agli ultimi sindaci disastrosi).
La migliore smentita alla tesi qualunquista di chi considera i grillini dei qualunquisti viene dai loro stessi «quadri».
Che assomigliano assai poco a Grillo.
Il primo sindaco del movimento, eletto in un paese del Vicentino, ha trentadue anni ed è un ingegnere informatico dell’Enel, non un arruffapopoli.
Più che antipolitici, postpolitici: non hanno ideologie, ma idee e in qualche caso persino ideali. Puntano sulla trasparenza amministrativa, sul web, sull’ambiente: i temi del futuro.
A volte sembrano ingenui, a volte demagogici. Ma sono vivi.
Naturalmente i partiti possono infischiarsene e bollare la pratica Grillo come rivolta del popolo bue contro l’euro e le tasse.
È una interpretazione di comodo che consentirà loro di rimanere immobili fino all’estinzione. Se invece decidessero di sopravvivere, dovrebbero riunirsi da domani in seduta plenaria per approvare entro l’estate una riforma seria della legge elettorale, del finanziamento pubblico e della democrazia interna, così da lasciar passare un po’ d’aria.
Ma per dirla con Flaiano: poichè si trattava di una buona idea, nessuno la prese in considerazione.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)
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Maggio 9th, 2012 Riccardo Fucile
I PARTITI DI MAGGIORANZA VENGONO PUNITI…NEL PDL IL CRAC SOFFIA SUL FUOCO DELLA PROTESTA INTERNA, MONTI POTREBBE FINIRE AL CENTRO DI VETI INCROCIATI
Hanno ammazzato Monti, Monti è vivo.
La prima impressione sarebbe quella di dirla con Antonio Di Pietro: è stata sconfitta la maggioranza di governo.
Ma è un po’ più complicata di così e non solo perchè ieri il ministro Anna Maria Cancellieri ha subito messo un bel timbro (“La scarsa affezione era nell’aria: un problema che riguarda i partiti che ci sostengono”).
Certo, il voto delle comunali fotografa un luminoso segnale tra protesta e speranza, se è vero che da una parte il Pdl ha subito un arretramento mai visto e dall’altra il Movimento 5 Stelle (opposizione extraparlamentare al governo tecnico tra le più avanzate) si è espanso come il gas.
Per seguire la traccia segnata dal leader dell’Italia dei Valori le forze di maggioranza come minimo non sono state premiate.
Il Pd conferma la raccolta di adesioni sul territorio, ma paga in termini di diversi punti percentuali rispetto alle consultazioni precedenti.
Il Terzo Polo, principale sponsor di Monti, a parte l’exploit di Genova (è al ballottaggio, e con un “tecnico”), non fa la differenza e arranca.
Del Pdl è stato già detto molto: raccoglie metà , un terzo, in certe zone perfino un quarto dei voti degli anni scorsi.
Quanto c’entra il sostegno all’esecutivo dei prof ?
Secondo un pezzo da novanta come La Russa molto: “Non saremo complici di altri sbagli” manda a dire attraverso Repubblica, mentre il segretario del partito Angelino Alfano ha ribadito con decisione che non farà più vertici collettivi a Palazzo Chigi con Casini e Bersani, cosa che aveva già detto ma che dopo ieri diventa un po’ più di un annuncio.
Sullo sfondo, inoltre, un tema non secondario: attualmente ci sono 252 deputati e 104 senatori in carica che ancora non hanno maturato i giorni necessari per avere diritto alla pensione da parlamentare (dati openpolis.it).
Quindi quali conseguenze per il governo?
La Waterloo delle Libertà , se crea molto nervosismo e fa a dire a molti ex ministri che la colpa è dell’appoggio a Monti, è in realtà un’assicurazione sulla vita per il governo, perchè se qualcuno poteva avere voglia di andare alle elezioni anticipate ad ottobre, ora appare chiaro che non sarebbe una buona idea.
Non solo: il governo potrebbe al contrario acquisire maggiore forza nel momento in cui i partiti — in particolare quelli più grandi o forse ex grandi — sono stati sbalzati dai Cinque Stelle o dai candidati “della gente” (Tosi che ha vinto anche contro il Pdl, Doria che vinse le primarie contro i candidati Pd, Orlando in vantaggio sul democratico ufficiale Ferrandelli).
Nel senso che Monti, con questi risultati, continua a essere indispensabile per finire il lavoro per il quale è stato chiamato, altrochè elezioni.
Ma a che prezzo? E a cosa serve restare al governo se poi si rischia la paralisi? L’effetto più verosimile, difatti, è il pericolo di uno stallo, di un’immobilizzazione data dall’esito di forze uguali e contrarie che inizieranno a sforzarsi l’una contro l’altra.
Le voglie di “insurrezione” all’interno del Pdl gettano in allarme il presidente del Consiglio.
Da oggi, in definitiva, nulla sarà più come prima.
Il presidente del Consiglio chiede nuovi summit, soprattutto per parlare di lavoro (tra oggi e domani presentano il decreto sugli esodati, i sindacati sono già sul piede di guerra).
Il problema è che la debolezza dei partiti che compongono la maggioranza renderà la tenuta del governo una questione di continui scambi e anche ricatti che non potrà durare a lungo e che Monti ha già fatto capire che sopporterà poco.
La lista delle cose da fare, d’altro canto, non è breve.
La riforma del lavoro, per cominciare, che stancamente ha iniziato il suo iter al Senato: il Pd, com’è noto, non è disposto ad arretrare di un millimetro, mentre il Pdl ha già annunciato l’assalto alla baionetta per modificare il testo.
La legge elettorale, poi: i risultati di domenica e lunedì suggeriscono ai leader di partito che sembravano avere pronta la modifica cucita addosso in senso proporzionale (i soliti Abc) che il sistema studiato non sarebbe l’ideale, con partiti tutti sbriciolati sotto al 25 per cento e con poli quasi in ordine sparso.
Poi la rabbia per l’Imu (non solo a destra) e, anche se non pare proprio il primo dei problemi al mercato la mattina, il caos della Rai.
Nel frattempo peraltro Monti ha da pensare ai movimenti tettonici della politica europea dopo il trionfo di Franà§ois Hollande e le urne greche che hanno ingigantito le ali estreme ed anti-euro.
Ne viene, infine, che resta centrale la riforma dei partiti e sui rimborsi elettorali.
Ma su questo fronte, la lezione di ieri non sembra essere stata ancora sufficiente: ieri Pd e Pdl hanno proposto il taglio di un terzo sulla tranche di finanziamenti da erogare ai partiti a luglio e di metà per quelle a venire.
Se questa è la reazione dei partiti, Monti avrà di che preoccuparsi ancora per molto.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 9th, 2012 Riccardo Fucile
NEL CAPOLUOGO BRIANZOLO L’EX SINDACO LEGHISTA MARIANI RACCOGLIE SOLO IL 10%… AL BALLOTTAGGIO SCANAGATTI (PD) E MANDELLI (PDL)
La Lega Nord, segnata dagli scandali che hanno colpito i vertici del partito, perde Monza.
Ovvero la città -simbolo, dove ha governato negli ultimi cinque anni – insieme al Pdl – con il sindaco Marco Mariani, militante del Carroccio dagli anni Novanta.
E dove, la scorsa estate, era stata ottenuta l’apertura dei cosiddetti «ministeri del Nord».
Nel capoluogo brianzolo — dove si registra un’astensione record (meno 13 per cento l’affluenza alle urne rispetto a cinque anni fa) – vanno al ballottaggio Roberto Scanagatti (centrosinistra) e Andrea Mandelli, sostenuto dal Pdl e da La Destra.
Scanagatti (appoggiato da Pd, Sel, Idv, Federazione della sinistra e da due liste civiche) arriva al 38 per cento di voti mentre Mandelli è al 20,1 per cento.
Mariani si ferma all’11 per cento.
«Ora qualcuno dovrà renderne conto» protesta Mariani a proposito della scelta della Lega di correre da sola.
«Una soluzione che ci è stata imposta» dice l’ormai ex sindaco che nel 2007, con i voti del Carroccio e del Pdl uniti, vinse al primo turno.
Poi attacca anche i giornali, «che proprio da quando abbiamo pubblicato le liste hanno iniziato a dipingerci come ladri».
Soddisfatto Scanagatti: «Non mi aspettavo così tanto» ammette. E dice che non cercherà apparentamenti per il secondo turno: «Andiamo avanti con il nostro programma».
Diversa la posizione di Mandelli, costretto a inseguire: «Puntiamo a recuperare voti sia dal centro che dalla Lega».
Il risultato del ballottaggio appare incerto.
Peserà non solo l’eventuale ricomposizione dell’alleanza Carroccio-Pdl ma anche la distribuzione di altri pacchetti di voti.
Quelli dei «grillini», in primo luogo. Il Movimento cinque stelle, infatti, ottiene un ottimo risultato e il suo candidato Nicola Fuggetta va oltre il 9 per cento.
Libertà di scelta, è per ora l’indicazione per il secondo turno.
Si attesta attorno al 7 per cento, inoltre, Anna Martinetti, sostenuta dall’Udc, insieme con la lista civica Una Monza per tutti.
La candidata non si sbilancia: «Guarderemo ai programmi e alle persone», dice.
Sul risultato finale potranno poi pesare anche le diverse proposte su alcune questioni che stanno a cuore ai monzesi.
Prima tra tutte, la variante al Piano di governo del territorio (Pgt).
Ovvero un documento urbanistico da 4 milioni di metri cubi che renderebbe edificabile una zona agricola – la Cascinazza – a rischio di esondazione del fiume Lambro e la cui proprietà è riconducibile alla famiglia Berlusconi.
Il Pdl vorrebbe riprendere l’iter di approvazione della variante, mentre il centrosinistra promette di cancellarlo del tutto.
Alessia Rastelli
(da “Il Corriere della Sera”)
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