Maggio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
A BERGAMO MARONI AVEVA GIA’ DIMOSTRATO DI ESSERE UN LEADER IN MINIATURA, INCAPACE DI VOLARE DA SOLO… “SE BOSSI SI PRESENTA IO LO VOTO”: E SI E’ COSI’ INFILATO NELLA TRAPPOLA DA SOLO… PER USCIRNE DOVREBBE DIMOSTRARE DI AVERE LE PALLE E CONTESTARE BOSSI, MA HA PAURA DI EREDITARE UN PARTITO AL 4%
Nel day after i maroniani invocano la sovranità del congresso di fine giugno nel decidere il leader Carroccio, mentre i “cerchisti” si risollevano dopo le batoste delle ultime settimane e celebrano il ritorno in campo del loro «condottiero»
In serata, parlando a margine di un comizio a Cassano Magnano, il Senatur ha spiegato la sua scelta: “L’ho già detto, mi devo candidare per forza altrimenti la gente comincia a pensare che fanno qualcosa per tagliarmi fuori”.
Ai giornalisti che gli facevano notare le critiche di Tosi, Bossi ha replicato: “Io faccio comodo perchè tengo tranquillo il movimento, starei tranquillamente da parte, ma farò quello che interessa alla Lega”.
Poco dopo ha ipotizzato il ricorso alle primarie per la scelta dei membri della segreteria: al congresso federale, ha detto Bossi, “vediamo chi ci sarà , sarà la militanza a dire chi deve presentarsi: bisogna fare le primarie. Qualcosa può partire da lì, poi vediamo”.
Quanto ai rapporti con Roberto Maroni, Bossi ha detto di non avergli parlato della sua intenzione di correre nuovamente per la segreteria federale, ma ha aggiunto; “A dire la verità Maroni mi ha detto ‘se ti candidi saro’ il tuo più grande sostenitore'”.
Lui, Maroni, a Cuneo per un altro comizio, non ha voluto parlare nè di una sua candidatura nè dell’autocandidatura di Bossi: “Ne parliamo lunedì”, ha detto ai cronisti.
Su questo tema, interessante l’iniziativa de La Padania, che nell’edizione in edicola domani lancerà un sondaggio ad hoc.
“Le primarie della Lega: quale segretario federale?”, titolerà infatti il quotidiano Verde, proponendo in prima pagina una foto di gruppo con Umberto Bossi, e i triumviri Roberto Maroni, Roberto Calderoli e Manuela Dal Lago.
Quindi inviterà i lettori a compilare il “tagliando-sondaggio da inviare a La Padania per indicare il nome di chi vorreste alla guida del movimento”.
“Da oggi — ha scritto il direttore Stefania Piazzo nell’editoriale – La Padania, per un paio di settimane, ospita un tagliando che ha il valore di un sondaggio, ma soprattutto è il voler dare voce alla base, ai lettori, ai militanti, a chi ha a cuore l’unità della Lega il suo futuro. Sono delle ‘primarie’ interne: indicateci il nome di chi vorreste come segretario federale al prossimo congresso del 30 giugno e 1 luglio. Raccoglieremo come un tesoro le vostre indicazioni e le consegneremo ai triumviri perchè ne facciano saggio uso”.
Ora poniamo che il sondaggio della Padania dia la maggioranza dei consensi a Bossi: quale valore a quel punto potranno avere le risultanze dei vari congressi dove Maroni pare in vantaggio?
Bossi potrà sempre sostenere che gli elettori vogliono lui, mentre la nomenklatura sta con Maroni. Maroni poi non può permettersi lo scontro con Bossi perchè corre il rischio di ereditare solo una parte del partito, già dimezzato dagli scandali che l’hanno colpito.
E con che carte a quel punto Bobo potrà presentarsi al tavolo della trattativa con il centrodestra per risalire su una ambita poltrona ministeriale?
Ben poche.
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Maggio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
IL TASSO GENERALE E’ AL 9,8% IN RIALZO DI 1,7 PUNTI SU BASE ANNUA…SI TRATTA DI 476.000 PERSONE SENZA LAVORO
Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a marzo è salito al 35,9%, in aumento di due punti percentuali su febbraio.
E’ il tasso più alto dal gennaio 2004 (inizio delle serie storiche mensili).
Lo rileva l’Istat (dati destagionalizzati e provvisori).
Guardando le serie trimestrali è il più alto dal quarto trimestre 1992.
Non va meglio in termini generali: il tasso di disoccupazione a marzo è al 9,8%, in rialzo di 0,2 punti percentuali su febbraio e di 1,7 punti su base annua.
Anche in questo caso si tratta del tasso più alto da gennaio 2004 (inizio serie storiche mensili).
Guardando le serie trimestrali è il più alto dal terzo trimestre 2000.
La crescita della disoccupazione — rileva l’istituto di statistica — interessa sia gli uomini che le donne.
La disoccupazione maschile cresce a marzo del 3,9% rispetto al mese precedente e del 23,4% su base annua.
Contemporaneamente il numero di donne disoccupate aumenta dell’1,3% rispetto a febbraio e del 23,4% in termini tendenziali.
Il tasso di disoccupazione maschile cresce di 0,3 punti percentuali nell’ultimo mese, portandosi al 9,0%; quello femminile segna una variazione positiva di 0,1 punti e si attesta all’11,0%.
Rispetto all’anno precedente il tasso di disoccupazione maschile sale di 1,6 punti percentuali e quello femminile di 1,9 punti.
L’inattività diminuisce dello 0,3% in confronto al mese precedente, coinvolgendo sia la componente maschile (-0,4%) sia quella femminile (-0,2%).
Rispetto a dodici mesi prima gli inattivi diminuiscono del 2,9%: in particolare, la componente maschile si riduce del 3,2% e quella femminile del 2,6%.
In termini assoluti il numero dei disoccupati a marzo è aumentato su base annua di 476mila unità (+23,4%) e su base mensile di 66mila.
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Maggio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
FANNO FINTA DI DIMENTICARE CHE MONTI DEVE RIMEDIARE AI LORO ERRORI
Il clima di campagna elettorale fa volare i palloni delle proposte sul fisco, di riduzione ovviamente, sapendo che per il momento ciò non è possibile.
Poi il fatto che oggi il governo porta alla luce la spending review del ministro Giarda aggiunge l’illusione che, tagliando le spese, si possa costituire un tesoretto utile ad abbassare le tasse.
Tutti sono consapevoli che non sarà possibile, che al massimo si potrà evitare di aumentare l’Iva e centrare il pareggio di bilancio.
Da questo festival anti-tasse si distingue Casini, stupefatto da tutti questi «smemorati che sembrano Alice nel Paese delle meraviglie.
In 4-5 mesi ci siamo dimenticati perchè Monti ha preso in mano l’Italia, sembra che la pressione fiscale sia colpa sua.
Monti invece deve rimediare perchè qualcuno prima di lui ha abolito l’Ici e ora c’è l’Imu, perchè qualcuno in Europa ha sottoscritto impegni pesantissimi e ora dobbiamo onorarli».
Sono gli impegni sottoscritti da Berlusconi per il pareggio di bilancio nel 2013.
Ecco invece la babele di proposte.
La più sexy è quella del segretario del Pdl Alfano: non far pagare le tasse, fino alla somma vantata nei confronti della P.A., agli imprenditori che non ricevono i rimborsi. Fanno la ola gli uomini e le donne del Popolo della libertà che bacchettano Stefano Fassina, responsabile economia del Pd, che si permesso di ironizzare sull’idea di Alfano, bollandola come irresponsabile e propagandistica.
Intanto, perchè in tre anni e mezzo di governo, Berlusconi non ha attuato la proposta avanzata dall’ex ministro della Giustizia.
Poi perchè in questo modo si determinerebbe un buco di bilancio di 30-40 miliardi di euro in un solo colpo. Osvaldo Napoli invece difende la proposta di Alfano: è «semplice, razionale ed efficace quanto inutilmente polemica, contorta e irrazionale la replica di Fassina: per quale ragione dovrebbe aprirsi un buco nei conti pubblici se lo Stato attiva una compensazione fra crediti e tasse verso le imprese?».
La tassa più sofferta rimane l’Imu che gli italiani si apprestano a pagare tra mal di pancia e rabbia, ingrossando le fila dell’antipolitica e dell’astensione.
Maroni ne approfitta per lanciare la disobbedienza civile, ben sapendo quanto di queste entrate sulla casa i sindaci, che non possono derogare al patto di stabilità , hanno bisogno.
Facile per Bersani schiacciare la palla, ricordano al neocapo della Lega che in Italia c’è già troppa gente che fa lo sciopero fiscale, evadendo le tasse.
Semmai, dice Bersani, bisogna rendere l’Imu più leggera.
E per fare ciò aveva proposto un’imposta personale sui grandi patrimoni immobiliari. «Maroni era lì quando abbiamo fatto questa proposta. Erano tutti lì quelli che ora si lamentano. Poi su una cosa Pisapia ha ragione: bisogna fare un meccanismo per cui l’Imu rimane ai Comuni e loro non facciano solo gli esattori per conto dello Stato».
Erano tutti lì, sia prima che dopo il governo Berlusconi.
Ma ora Bossi dice che «Roma ha rotto le balle» e il tandem Gasparri-Romani chiede di sottoscrivere un accordo con la Svizzera per la tassazione dei patrimoni nascosti.
«Il Governo Monti – sostengono il capogruppo del Pdl e l’ex ministro – è chiamato a recuperare queste ingenti somme evase al fisco per allentare la morsa fiscale su cittadini e imprese».
Anche Di Pietro è della stessa idea e quantifica il capitale esportati illegalmente all’estero in 40 miliardi di euro.
«L’Italia dei Valori chiede da mesi che si faccia così, ma i signori del governo da quell’orecchio proprio non ci sentono e un sistema dell’informazione ancora più allineato e coperto che ai tempi del fascismo gli tiene bordone».
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa“)
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Maggio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
TRE CANDIDATI ALLE AMMINISTRATIVE IN CARCERE O AI DOMICILIARI PER RAPINA, TRUFFA, FALSO, CORRUZIONE, TRAFFICO DI DROGA… DUE SONO DI CENTROSINISTRA, UNO DEL TERZO POLO
Alle amministrative di alcuni dei principali comuni del Napoletano partecipano candidati consiglieri che hanno una oggettiva difficoltà a fare campagna elettorale. Perchè sono agli arresti.
In carcere o ai domiciliari, a seconda della gravità dei reati e del quadro probatorio. Potrebbe essere un buon viatico, chissà .
L’anno scorso alle amministrative di Quarto (Napoli) il candidato consigliere del Pdl Armando Chiaro, incarcerato per le pesanti accuse della Dda di Napoli di collusioni con la camorra, venne eletto in pompa magna.
Le manette non spaventano l’elettorato napoletano.
Stavolta i guai giudiziari dei candidati-arrestati derivano da reati di criminalità comune.
Rapina, droga, truffa, falso. Precisazione importante: al momento della candidatura, erano tutti a piede libero.
I provvedimenti giudiziari sono arrivati dopo. A liste presentate.
Ad Acerra il ventenne Christian Sagliocco, candidato della lista ‘Acerra nel cuore’ che fa parte della coalizione del Terzo Polo, ai primi di aprile è stato arrestato dai carabinieri con l’accusa di aver partecipato a una rapina.
Acerra è un Comune bollente, e non solo per la presenza dell’inceneritore.
Tra i 565 candidati la prefettura ha scoperto quattro pregiudicati per estorsione e ne ha escluso uno, Amodio De Luca, a causa di una condanna per rapina e furto aggravato. E la campagna elettorale è avvelenata da numerose intimidazioni camorristiche ai danni di esponenti di tutti gli schieramenti.
A Torre Annunziata la lista civica ‘Arca’, alleata con il Pd e il centrosinistra, ha tra i suoi candidati Salvatore Izzo, imprenditore della società nautica ‘Izzo Mare’.
Il 5 aprile Izzo è stato arrestato per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti: avrebbe fornito uno dei motoscafi utilizzati per il trasporto di hashish tra la Spagna e l’Italia.
Sette arresti a gennaio, un’ordinanza di custodia cautelare per altre otto persone nell’aprile successivo.
Ma di questi otto, solo due persone sono stati catturati, gli altri sei sono sfuggiti alla cattura, e la Dda ha deciso di non diffondere la notizia dell’arresto di Izzo per non compromettere le indagini in corso.
Che sarebbe quindi rimasta ‘segreta’, o comunque circoscritta a un ristretto nucleo di amici, conoscenti e familiari, se non l’avesse resa pubblica il candidato sindaco dello schieramento avversario.
Il commissario del Pd napoletano Andrea Orlando, intervistato da Gerardo Ausiello de Il Mattino sull’arresto di Izzo, ha detto: “Basta con le liste civiche fai da te, dove spesso si insinuano indagati e rinviati a giudizio. Anche alle amministrative occorre una maggiore presenza dei partiti, che hanno il dovere di preservare la loro immagine e quindi fanno più controlli”.
Magari fosse sempre vero.
A Casavatore, infatti, è proprio il Pd che è scivolato sulla buccia di banana del candidato in manette.
In lista nel partito di Bersani c’è l’insegnante e sindacalista 47enne Paolo Proto, già consigliere comunale a Casalnuovo.
Il 4 aprile, a liste appena presentate, è stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari per reati che spaziano dalla corruzione alla truffa, dal falso alla frode informatica.
Grazie ai suoi ganci nel provveditorato agli studi di Napoli, Proto — secondo i magistrati — sarebbe riuscito a far falsificare le graduatorie degli insegnanti e del personale amministrativo, ottenendo mazzette fino a 6mila euro dalle persone beneficiate dall’incremento truffaldino del punteggio.
In ogni caso, l’insegnante sotto accusa si è ritirato dalla campagna elettorale, comunicandolo con un telegramma al segretario della sezione cittadina del Pd.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
IL RACCONTO DI ALAN FIORDELMONDO, IL REPORTER CHE INCONTRO’ LAVITOLA QUANDO ERA LATITANTE A PANAMA… “IL DIPLOMATICO TOTALMENTE SOTTOMESSO AL FACCENDIERE AMICO DI BERLUSCONI”
Immaginate di incontrare un noto latitante all’estero. Di sentirvi in pericolo — anche se siete stati voi a cercare lui — e di chiedere aiuto all’ambasciata italiana.
Se immaginate che, varcando la porta, vi accolgano per tranquillizzarvi e chiedervi di aiutarli a trovare il latitante in questione, per poi consegnarlo alle autorità italiane, vuol dire che non siete a Panama e che non avete incontrato Valter Lavitola.
Ecco nei fatti la versione di Alan Fiordelmondo, fotoreporter incaricato dall’agenzia di Fabrizio Corona di fotografare Lavitola a Panama.
Era il 6 novembre 2011 quando, spaventato, Fioredelmondo chiede aiuto all’ambasciata italiana.
Il fotoreporter aveva incontrato Lavitola, gli aveva detto d’aver scattato decine di foto che lo ritraevano, nei giorni precedenti, scatenando la sua ira.
“Questo cretino — dice Lavitola ai pm napoletani che l’hanno interrogato pochi giorni fa — era andato all’ambasciata italiana, da Curcio, gli aveva detto che aveva lasciato precipitosamente l’albergo, aveva buttato i cellulari, e si era rifugiato in ambasciata, perchè io lo potevo uccidere”.
Al di là dello spavento, il fotografo non poteva conoscere i rapporti tra l’ambasciatore e Lavitola.
Ecco cosa racconta, invece, qualcuno che Lavitola lo conosce bene: “L’ambasciatore Giancarlo Curcio — dichiara il testimone Mauro Velocci ai pm di Napoli — era totalmente sottomesso a Lavitola e in più di un’occasione, prima di intraprendere le proprie iniziative, chiede a Lavitola il suo consenso”.
“Rintraccio Lavitola grazie alla video intervista mandata in onda da Servizio Pubblico — dice il reporter — a 25 km da Panama, nel porto di Vacamonte. Mi dicono che Lavitola è in compagnia della famiglia, che ripartirà a breve, quindi mi piazzo all’aeroporto di Panama, dove lo aggancio, riuscendo a scattare le prime foto”.
Arriva l’incontro.
“Lo contatto al telefono, chiedendogli un’intervista e un servizio posato, lo convinco a incontrarmi senza offrirgli soldi, come invece sostiene lui: come potevo girare per Panama con 10mila dollari in contanti?”.
Si vedono alle ore 17, cafè Segafredo, piazza Simon Bolivar: “Arrivo circa 15 minuti prima, restando seduto sul sedile posteriore dell’auto, e vedo un suv con quattro persone a bordo, che continua a percorrere lentamente la piazza, cercando qualcosa o qualcuno. Poi scendo e mi dirigo verso il bar, dopo poco Lavitola arriva a piedi, solo, siede anche lui e iniziamo la nostra conversazione, che dura circa 30 minuti. Nel frattempo un panamense, che dopo guiderà l’auto di Lavitola, ci raggiunge.
Lavitola mi dice che non è disposto a non fare servizi nè interviste, poi mi propone una possibilità : devo riprenderlo mentre va sugli isolotti, a comprare le aragoste dai pescatori, da rivendere ai mercati locali, e mi chiede quanto posso pagarlo.
Motiva la richiesta di denaro: è la necessità di far fronte alle esigenze che impone la latitanza. Poi mi propone di girare un video in cui racconta fatti per dimostrare la sua innocenza sul caso Tarantini.
Gli dico che il servizio vale poco, che non posso pagarlo, e c’incamminiamo verso l’auto, con la promessa di risentirci la mattina seguente.
Sale sul suv ma poi lo vedo venire verso di noi: apre la portiera e mi fa: “Non avrò il pelo sullo stomaco lungo fino a Miami, come dicono, ma un pezzo ce l’ho: tu qui se fai stronzate finisci male. Non sei in Italia, questa è come casa mia. Stai attento”.
E ho avuto la netta sensazione che ero nei guai. Lavitola dice che vuole venire in hotel con me, per vedere le foto, gli rispondo di no, ribatte che vuol vedere la mia macchina fotografica, scatto in auto chiedendo all’autista di andare veloce verso l’hotel.
Quando arrivo faccio in fretta il bagaglio, cancello i file foto dal computer e dalle macchine fotografiche e in un attimo faccio check out”.
Lavitola teme di essere stato fotografato in situazioni compromettenti e vuole evitare danni. “Chiamo il numero di emergenza dell’ambasciata, risponde un funzionario e dice che l’ambasciata è chiusa.
A quel punto dico di essere un fotoreporter imbattutosi in Lavitola”. Cioè un latitante. Cosa risponde l’ambasciata? “Appena riagganciato conferirò immediatamente con l’ambasciatore: la ringraziamo, perchè grazie alla sua testimonianza, oggi abbiamo la certezza che Lavitola si trova a Panama. Ne avevamo il sospetto, ma non eravamo certi”. Ma come: l’ambasciatore Curcio, così amico di Lavitola, stando alle parole di Velocci, non sapeva che ‘Valterino’ era a Panama?
Il fotoreporter capisce che la faccenda sta peggiorando: “Al sentire queste frasi — continua — ho salutato velocemente, ho staccato il telefono, buttato il chip della scheda panamense”. Il giorno dopo l’Ansa batte un lancio: scomparso fotografo italiano a Panama.
“Solo in quel momento decido di recarmi in ambasciata e incontro Curcio: la conversazione non è distesa, ho paura. Curcio vuol sapere se ho fotografie di Lavitola, rispondo di no.
“Non possiamo montare un caso mediatico la dove non c’è — mi dice Curcio — perchè si rischia che sia strumentalizzato. Sostengono che il mio racconto ha parecchie lacune. Mi suggeriscono di denunciare le minacce alla polizia panamense. Gli rispondo che m’interessa soltanto tornare a casa. L’ambasciata mi fornisce un’auto di “fiducia”: un taxi. Ricordo ancora il saluto ironico del funzionario dell’ambasciata: “Speriamo non le accada nulla da qui all’aeroporto”.
Arrivato all’aeroporto di Panama, mentre scarico i bagagli, si avvicina un poliziotto, chiede il passaporto, il biglietto e se avevo fotografie. Rispondo di no.
Al controllo documenti, il mio passaporto, inspiegabilmente non va più bene, mi dicono che è irregolare, poi mi chiedono se ho foto con me, e quali foto.
La mia risposta è sempre la stessa. Arrivo ad Amsterdam e due poliziotti in borghese controllano la mia attrezzatura e mi chiedono conto delle foto.
Continuo a rispondere che non ne ho”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
MARONI: “PECCATO PER LE SUE PAROLE”… IN RETE SCOPPIA L’IRA DEI BARBARI TRASOGNANTI
La piccola Pontida di Zanica che doveva sancire la ritrovata unità leghista sembra trasformarsi nella Caporetto politica interna di Umberto Bossi.
L’annuncio del Senatùr della sua ricandidatura alla segreteria della Lega ha spiazzato la base.
La novità è che questa volta il dissenso contro il “Capo” è palese, urlato.
Sulla bacheca Facebook di Maroni i messaggi sono impietosi: «Bossi all ospizio», «Umberto ha rotto le balle», «ditegli che ha stufato», «ne abbiamo tutti le scatole piene di essere ridicolizzati dall’ex condottiero e dalla sua famiglia allargata».
Tra i lumbard volano stracci, ma ora nessuno si prende più la briga di difendere il Senatùr.
Nella notte interviene lo stesso Maroni e lo fa senza nascondere la sua disapprovazione: «Grazie a tutti coloro che sono venuti a Zanica oggi. Peccato solo che la dichiarazione (a sorpresa) di Bossi di volersi candidare alla segreteria federale abbia consentito ai giornalisti di mettere in secondo piano la protesta fiscale contro l’IMU sulla prima casa. Ma la battaglia continua, in tutti i sensi».
Sul palco del “Lega Unita Day” convocato nel paese della Bergamasca, il Senatùr aveva preso la parola per ultimo.
Tuonando contro il governo Monti e dicendo di non voler fare la fine del rivoluzionario irlandese Michael Collins, «ucciso dai suoi ex compagni».
Ma era stato solo più tardi, davanti ai cronisti e al riparo da possibili contestazioni, che un Bossi affaticato aveva lasciato scivolare l’annuncio più importante della giornata.
Si candiderà o no al congresso federale convocato per la fine di giugno?
«Sì, penso di sì. Per forza, per la gente», era stata la risposta del Senatùr. «Altrimenti — aveva aggiunto Bossi – la gente pensa che non siamo uniti. Lo farò se serve a tenere unita la Lega».
Apriti cielo, la maschera è caduta.
Decine di iscritti prendono d’assalto la pagina Facebook di Maroni.
E’ lì che va in scena il parricidio virtuale padano. «Se Bossi si ricandida, la Lega è finita», scrive Paolo. «Bossi ha fondato la Lega e come Sansone vuole farla sparire ammazzando tutti i filistei», accusa Maurizio.
Un militante lancia il suo personalissimo ultimatum ai dirigenti del partito: «O si cambia e si recupera in credibilità o io la faccia non ce la metto più».
«Per quel che mi riguarda — avverte Simona – o Bobo o niente».
Le risponde Fabrizio: «Il niente si è purtroppo ricreduto… Mi sa che si rimangerà le scuse di Bergamo e tutto il resto. Belsito hai vinto tu».
Su Radio Padania va in onda la frustrazione di un popolo diviso.
Arriva una telefonata da Vicenza: «Piuttosto del ritorno di Bossi è meglio chiuderla qui, non ne possiamo più».
In studio Igor Iezzi prova a riportare la discussione sull’iniziativa anti-Imu, con scarsi risultati. Passa qualche chiamata, tocca a Enzo da Monza: «La ricandidatura del Senatùr è negativa, è una forma di trasformismo che non accetto dalla Lega».
Avanti un altro: «Siamo stufi, Bossi non può autoproclamarsi capo a vita. Così non c’è giustizia».
Angela da Bergamo adombra complotti: «La ricandidatura di Bossi è l’ultimo tentativo di Berlusconi di riagganciare la Lega, io ormai non ci credo più».
Sul Web qualcuno esce dal coro e prova a dare la colpa ai «soliti giornalai servi di Roma ladrona».
Ma a vincere è la delusione: «Però potevate dircelo che era tutto uno scherzo».
La parola d’ordine è Maroni segretario. «Se non diamo una svolta seria e credibile per la Lega è finita — scrive Gian Piero -. Lo chiedono la maggior parte dei militanti e i simpatizzanti delusi che aspettano una svolta per tornare a votarci».
Fulvio concede l’onore delle armi, ma nulla di più: «Bossi è stato un grande leader, ma è ora che si faccia da parte. Se sarà candidato unico al congresso io non andrò neanche a votare».
Paolo è dello stesso avviso: «Mi pare arrivato il momento di dire basta. A Bossi voglio bene, ma se non capisce da solo che è arrivato il momento di farsi da parte, bisogna che qualcuno glielo faccia capire».
Gabriele Martini
(da “la Stampa”)
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Maggio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
ELEZIONI PRESIDENZIALI IN FRANCIA: L’ATTESO DUELLO TELEVISIVO QUESTA SERA SU FRANCE 2 E TF1 NON DOVREBBE MODIFICARE IL RAPPORTO DI FORZE TRA I DUE CANDIDATI… SARKOZY TENTA IL RECUPERO
Lo dice la storia dei faccia a faccia tv in Francia: dal 1974, anno del primo dibattito tra Valèry Giscard d’Estaing e Franà§ois Mitterrand a quello del 2007 tra Nicolas Sarkozy e Sègolène Royal, il candidato in testa nelle intenzioni di voto è sempre arrivato all’Eliseo, malgrado la performance televisiva.
Gli ultimi sondaggi, in vista del ballottaggio il 6 maggio prossimo, vedono il leader socialista in netto vantaggio (53%), sul presidente uscente (46,5%).
Secondo analisti e politologi, citati dal quotidiano Le Figaro, il confronto televisivo tra i due turni elettorali, può far spostare tra i 200.000 e i 300.000 voti, pochi per modificare il risultato di un’elezione presidenziale.
“Più il vantaggio del favorito è sostanziale – come quello tra Hollande e Sarkozy – più il duello tv ha un’influenza marginale”, ha spiegato Christophe Piar professore a Sciences Po, a Parigi.
Nicolas Sarkozy, tuttavia, esprime ottimismo: “Sono lucido, vedo l’estrema difficoltà della situazione. Ma finirò per vincere. Questa vittoria, la strapperò con i denti, ma vincerò”.
“Ciò che vedo – ha aggiunto il presidente uscente della Francia rivolgendosi alla sua squadra elettorale, secondo quanto si legge oggi sul settimanale satirico Le Canard Enchainè, sempre molto ben informato sui retroscena dell’Eliseo – contraddice i sondaggi: ai comizi sono in tantissimi, c’è un vero fervore”.
Per lui, “non c’è nessuna dinamica a sinistra ed è rassicurante.
Dopo quattro anni di crisi e una campagna contro di me come non si era mai vista, Hollande ha solo un punto e mezzo più di me”.
In un’altra occasione, confidandosi con alcuni fedelissimi, Sarkozy si era però mostrato meno ottimista: “Lascerò l’Eliseo a un’età in cui gli altri presidenti non ci erano ancora entrati. Avrò una vita dopo, non solo la prospettiva del cimitero”.
SARKOZY E HOLLANDE: STORIE PARALLELE ALLA SFIDA FINALE… DUE DESTINI INCROCIATI: COETANEI, ENTRAMBI DI FAMIGLIA BORGHESE, ENTRATI NELLO STESSO IN PARLAMENTO… SI DANNO DEL TU IN PRIVATO MA NON SI AMANO
Il dibattito televisivo fra Nicolas Sarkozy e Franà§ois Hollande, stasera alle 21 in tv è l’appuntamento clou di questa fase della campagna pre-ballottaggio delle presidenziali francesi.
E costituisce l’ultima vera possibilità offerta a Nicolas Sarkozy di invertire il trend negativo e risalire la china rispetto all’ormai superfavorito candidato socialista (in un momento in cui i sondaggi indicano che il divario si sta riducendo).
In ogni caso, di fronte ai francesi si ritroveranno stasera due uomini più simili di quanto si creda.
Nicolas e Franà§ois, due destini incrociati.
Due esistenze diverse ma parallele . Tra i due corrono appena sei mesi. Sarkozy e Hollande hanno entrambi 57anni: è più grande leggermente il secondo.
L’ironia della sorte vuole che avrebbero potuto frequentarsi da ragazzini, anche se niente di tutto questo accadde.
Hollande si trasferi’ nel 1968 a Neuilly-sur-Seine da Rouen, figlio di un medico facoltoso (di estrema destra) e di un’assistente sociale (cattolica e di sinistra). Sarkozy, invece, arrivò nello stesso sobborgo dei ricchi parigino nel 1973, dalla vicina capitale.
Pure lui famiglia borghese, abbiente (ma complicata, con un padre aristocratico ungherese, che presto piantò la moglie con i figli).
Franà§ois frequentò, da studente brillante, il liceo Pasteur (pubblico) di Neuilly. Nicolas, invece, preferì un liceo privato di Parigi, dove fu un allievo per niente modello.
Più tardi il primo inanello’ grandes ècoles una dietro l’altra. Il secondo entro’ solo a Sciences Po, senza riuscire a diplomarsi.
Da sempre all’opposto in politica .
Fin da giovani entrambi sono attratti da quel mondo.
Ma da sponde opposte: Hollande va con i socialisti, Sarkozy con l’Rpr, il partito neogollista (poi diventato l’attuale Ump).
Nello stesso anno, il 1988, vengono eletti deputati. E iniziano a incrociarsi al Palais Bourbon, la sede dell’Assemblèe Nationale. Tanto più che sia l’uno che l’altro scalpitano, sono ambiziosi (sebbene Hollande non lo faccia vedere).
Si ritrovano spesso nella sala delle Quatre Colonnes, dove i parlamentari rifilano qualche notizia off ai giornalisti.
Negli anni Novanta sono astri nascenti dei loro partiti (Sarkozy ministro per la prima volta nel 1993, Hollande mai ministro ma segretario generale del Partito socialista dal 1997 al 2008).
Si vedono, si parlano, si scontrano in alcuni dibattiti televisivi
Si danno del tu in privato. Ma non si amano. Non si sono mai amati.
Nicolas versus Franà§ois, Franà§ois versus Nicolas
Uno dei rari legami indiretti fra i due personaggi è rappresentato da Jacques Attali: un uomo per tutte le stagioni, economista di sinistra, giovane collaboratore di Mitterrand dopo il 1981, proprio con Hollande.
Ma Attali ha lavorato anche per Sarkozy, una volta diventato Presidente: per lui ha diretto la commissione sulla crescita economica. Ora è ritornato all’ovile e sta collaborando già con il candidato socialista.
E’ l’unico a essere davvero amico di entrambi. E nei giorni scorsi ha detto: «C’è molto più rispetto da parte di Franà§ois per Nicolas che viceversa».
Sì, Sarkozy ha un disprezzo più o meno ostentato nei confronti dell’avversario.
Di recente lo ha definito «una nullità ». Ci ha messo del tempo a rendersi conto che proprio lui, Hollande, quel tecnocrate di partito, potesse diventare il suo rivale alle presidenziali. E un avversario temibile.
Dapprima si è concentrato su Dominique Strauss-Kahn, di cui aveva davvero paura. Poi su Martine Aubry, l’anima di sinistra del Ps. Ancora oggi, nonostante tutto, dà l’impressione di ritenersi di un’altra categoria rispetto all’altro.
Il duello di stasera e i suoi precedenti
I francesi stanno aspettando con trepidazione il loro primo (e unico) duello in tv: diretto, uno contro l’altro, solo loro.
Nel 2007 l’equivalente, fra Sarkozy e Sègolène Royal, allora sfidanti al ballotaggio, incollo’ 20 milioni di francesi davanti allo schermo.
E fu la batosta finale, a pochi giorni dal voto, che mise fuori gioco la Royal, ex compagna di una vita proprio di Hollande.
Che con Sarkozy ha già affrontato dei face-à -face televisivi quattro volte tra il 1998 e il 2005. Difficile dire chi ne uscì vincitore.
Hollande ha una buona dialettica ed è preparatissimo, soprattutto sui temi economici. Sarkozy compensa certe lacune con l’aggressività e sa mettere l’interlocutore a disagio.
Che vinca il migliore.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 2nd, 2012 Riccardo Fucile
CAOS VOTO: TUTTI CONTRO TUTTI DOPO IL BUCO ABISSALE LASCIATO DA CAMMARATA… A SINISTRA SFIDA TRA ORLANDO E IL VINCITORE DELLE PRIMARIE
«Mammina, sei pronta? Io sono pronto». Visto in tivù lo show dell’aspirante sindaco di Palermo, il blogger Tony Troja si è precipitato a farne una parodia alla Beniamino Gigli: «Maaaamma! Hanno bisogno di uno che s’immola / Maaaamma! Il “problem solving” l’ho imparato a scuola».
Ride tutta Palermo, su quella parodia.
Anche lui, Massimo Costa, il giovane scelto da Casini e Alfano per tentare un triplo salto carpiato con avvitamento: far dimenticare Diego Cammarata, il sindaco che lascia un buco abissale e zero rimpianti.
Ragazzo di spirito, sa che quella imitazione se la doveva aspettare. Lui stesso, già campione europeo di kick-boxing (boxe e arti marziali) e poi giovanissimo capo del Coni isolano, sa che i colpi si danno e si prendono.
E lui era andato a cercarsela, arringando la folla così: «Io sono pronto. Rinuncio a tutto. Mamma preparati: cambierà la tua vita. Oltre che la mia. Sei pronta al successo di tuo figlio se riuscirà a cambiare i destini di questa terra? Mammina, sei pronta? Io sono pronto».
Il coetaneo Fabrizio Ferrandelli, candidato della sinistra, sceglie lo slogan in dialetto «Amunì, Palermo», cioè «andiamo, Palermo»?
Lui va sull’english: «Voglio prendere in mano il destino di questa città . La voglio liberare dal peccato e dai peccatori. Impossible is nothing». E già qui si vede come lui stesso dia per complicata, al di là della sicurezza da «vincente» che ostenta, l’operazione di rimuovere, in quella che è stata forse la più berlusconiana delle grandi città italiane, quel sindaco uscente che cinque anni fa incassò al primo turno il 53,5%. Capiamoci, senza tornare a Goethe che scriveva di come ognuno badasse solo a se stesso e spazzasse i propri rifiuti nella strada così che questa «diventa sempre più sudicia e finisce col restituirvi, a ogni soffio di vento, il sudiciume che vi avete accumulato», Palermo era una città piena di problemi anche prima.
Ma certo gli ultimi anni sono stati così disastrosi, agli occhi dei cittadini, da spingere lo stesso Alfano a rassicurare Costa: «Mi ha detto: il nostro partito peserà come una piuma».
Del resto, anche se con le sue giacche blu, la cravattina e il sorriso Durban’s pare uscito dalla fabbrica del «perfetto berlusconiano», l’alfiere della riscossa pidiellina non era stato scelto dai berlusconiani.
Al contrario: dai suoi nemici Casini, Lombardo, Fini. I quali avevano individuato in lui l’uomo giusto per scardinare il sistema di potere: giovane, nuovo, sveglio, parlantina sciolta…
Un politico nato che titilla sentimenti antipolitici: «Se sarò eletto, via tutti gli assessori degli ultimi venti anni, via tutte le prebende e stipendi a me e agli assessori di 2000 euro, via tutte ma proprio tutte le auto blu, trasparenza, “diretta” sul Web dei consigli comunali».
Non è un’idea di Beppe Grillo, che a Palermo candida il giovane analista aziendale Riccardo Nuti e dello stesso Ferrandelli? «Le buone idee non sono monopolio di nessuno».
Avviato verso una probabile batosta e privo di un nome da spendere, Angelino Alfano ha deciso di metterci il cappello sopra: lo votiamo pure noi.
Perchè, ha spiegato l’altro ieri, «è figlio della Palermo vera: ha speso l’intera buonuscita dei genitori per sostenere la sua campagna elettorale».
Sul serio? Lui conferma: «In tutto 120 mila euro. Miei, di mio papà e mia mamma». Ironie degli avversari: «Ma se costa 70 mila da solo il manifesto gigantesco in piazza Croci!»
Fatto sta che a quel punto sono saltati su lombardiani e finiani: allora non lo votiamo noi.
E hanno puntato sul deputato regionale ed ex assessore «cammaratesco» («ma in rotta dal 2008») Alessandro Aricò.
Che spiega: «Da noi si dice che occorre guardare i compagni di processione. E in processione dietro a Costa c’è il peggio del peggio. Basti dire che nelle sue liste ci sono 32 ex assessori e consiglieri della vecchia maggioranza».
Quindi all’eventuale ballottaggio… «Neanche a parlarne. Non vogliamo ridare il potere a chi ha devastato la città e le municipalizzate».
Riassunto: l’Amia costrinse un paio di anni fa Berlusconi, terrorizzato all’idea di una nuova emergenza-rifiuti nonostante il record di spazzini (mezzo migliaio più che a Torino, per raccogliere 164 tonnellate l’anno a testa contro 491 dei piemontesi) a tappare tra i mal di pancia leghisti un buco di 80 milioni.
Quanto alla Gesip, un carrozzone delegato a un sacco di cose, basti un dettaglio: i suoi operai potano gli alberi fino a 249 centimetri di altezza, poi dai 250 in su tocca a quelli del settore ville e giardini. Un delirio.
Per non dire di scelleratezze come la decisione del Comune di assumere per destinarli all’azienda dei trasporti 110 autisti da autobus tutti senza la patente d’autobus e smistati all’Amat, che fu costretta a prenderseli, dopo corsi di autoscuola pagati dal municipio un occhio della testa.
«Quando ero sindaco io, giravano 480 autobus», tuona Leoluca Orlando, «adesso solo 180, gli altri sono rotti, in deposito e talvolta li usano per i pezzi di ricambio. Una vergogna!»
Quel discolo di Tony Troja non ha risparmiato neanche lui. E ha messo on-line una parodia di «Quando» di Pino Daniele: «Tu dimmi quando, Orlando / finalmente anche tu farai persuaso / che magari è proprio il caso / di non candidati ancora…». Macchè, il vecchio zazzeruto che fondò la Rete ci riprova. La zazzera è ingrigita. E le borse sotto gli occhi sembrano bisacce. Il mitico «Nino u ballerinu», maestro con coppola e pizzetto dei panini con la milza («No che non ballo: mi dicono “u ballerinu” pecchè sono dinamicu») giura però che «stavolta vince lui, Luca!»
E nel caos del mercato al Capo, l’uomo della cosiddetta «primavera di Palermo» si muove con l’irruenza d’un tempo. Bacia, abbraccia, saluta nome per nome decine di bottegai e clienti, appioppa a questo e quello manciate di santini: «Dai che ce la facciamo».
Conta sull’illusione di chi spera tornino i «bei tempi» in cui imbottì il Comune di migliaia di lsu? «A parte che quelli, in un momento particolare, li pagava lo Stato, è cambiato tutto. Io voglio rifare la città . Rifarla! Torno per entrare nella storia. Se uno non lavora lo butto fuori e finisco in prima sul New York Times. Capito? Qui si fa la storia».
Fabrizio Ferrandelli, a lungo il pupillo dipietrista di Orlando del quale dicono abbia preso a modello perfino il ciuffo, ha vissuto l’irruzione in campagna elettorale del suo ex-mito come una coltellata: «Era schierato con la Borsellino. Invitava a votare “BorsOrlando”. Poi, all’ultimo istante, dopo la mia vittoria, ha deciso di provarci. Non capisco. Dopo i disastri di Cammarata avremmo vinto al primo turno». –
Spaccata la destra, spaccata la sinistra, spaccato il centro (anche Saverio Romano presenta una sua candidata, Marianna Caronia), si è spaccato perfino il fronte ribelle. Carrettino siciliano al passo, Rossella Accardo gira per la città chiedendo voti in nome del «Movimento dei forconi».
Ma in tanti si sono rivoltati: «Come osa usurpare il nome?» E via coi ricorsi.
Dai forconi alle carte bollate.
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
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