Maggio 16th, 2012 Riccardo Fucile
INTERCETTAZIONI , DOCUMENTI, LE TESTIMONANZE DI BELSITO E DEL SENATUR…UN RENDICONTO TAROCCATO E LE AMMISSIONI DELLA DELGRADA
La nuova svolta nell’indagine, che fa dunque un salto di qualità , è arrivata prima dell’ora di pranzo, quando al Senatur, che si trovava da solo nel suo ufficio in via Bellerio, i militari della Guardia di Finanza hanno consegnato un’informazione di garanzia.
Tre paginette firmate dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dai pubblici ministeri Roberto Pellicano e Paolo Filippini per comunicargli che in qualità di segretario federale, e dunque legale rappresentante del partito, è arrivato il momento di nominare un difensore, in quanto è sotto indagine assieme a colui al quale ha affidato il delicato compito di amministrare i soldi del movimento.
La contestazione: un presunto sperpero di denaro pubblico per una cifra che si aggira attorno ai 18 milioni di euro.
Tant’è la somma dei rimborsi elettorali liquidata lo scorso agosto da Camera e Senato in base a un rendiconto ritenuto non veritiero, firmato da Belsito e controfirmato da Bossi.
Un rendiconto redatto con buona pace della legge del 1999, che quei rimborsi (così come i finanziamenti ai partiti) dovrebbe regolare e che ora in molti chiedono di cancellare.
“Ho già detto che mi sento sereno e confido nella magistratura”, è stato il commento di Umberto Bossi sulla vicenda. “E con questo atto giudiziario avrò finalmente la possibilità di difendermi e di mostrare a tutti la mia totale estraneità rispetto alle accuse che mi verranno mosse”.
Le carte dell’inchiesta.
A convincere i magistrati milanesi a indagare il Senatur sono stati una serie di indizi venuti a galla dai documenti raccolti nel corso dell’indagine, dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni messe a verbale da Belsito e dall’allora suo braccio destro Nadia Dagrada.
Oltre ai rendiconti controfirmati da Bossi, ci sono riferimenti anche scritti sulla documentazione contabile acquisita che dicono che il Senatur avrebbe autorizzato a voce quelle spese per i pm impossibili da giustificare sotto il capitolo attività politica.
Basti pensare a una delle tante lettere spuntate dalla cartelletta ‘The family’, sequestrata a Belsito, in cui Riccardo Bossi, nel fare i conti delle sue uscite personali all’ex tesoriere, aggiunge di averne “parlato con papà “.
Riccardo fa poi un elenco di alcuni suoi debiti e spese da saldare, tra cui alcuni pagamenti relativi a cause legali.
Le intercettazioni. I dialoghi intercettati fra Belsito e la Dagrada hanno fatto un po’ da canovaccio in questa vicenda di malagestione dei soldi pubblici, laddove, come hanno annotato gli investigatori, “entrambi convergono che è Bossi che deve autorizzare” e “che lui sa bene cosa rischia”.
Oppure quando, a proposito degli investimenti a Cipro e Tanzania, l’allora amministratore parla di un “capo (…) molto nervoso perchè ha paura che i soldi non rientrano”.
Infine, le affermazioni rese agli inquirenti. Belsito, interrogato qualche settimana fa, aveva detto che Umberto Bossi sarebbe stato avvisato delle spese “più significative” effettuate per i suoi familiari, mentre la Dagrada (sentita come testimone) aveva ricordato non solo come il leader della Lega firmasse i rendiconti, ma anche un episodio: “Belsito mi ha sicuramente detto di aver registrato un suo colloquio con l’onorevole Bossi, colloquio nel quale aveva ricordato al segretario onorevole Bossi tutte le spese sostenute nell’interesse personale della famiglia (…) con i soldi provenienti dal finanziamento pubblico. Non so se abbia effettuato tale registrazione”, che avrebbe voluto utilizzare, a caso ormai scoppiato, “come strumento di pressione, dal momento che volevano farlo fuori”.
La Guardia padana nel mirino.
I pm milanesi, che hanno riqualificato il reato contestato al consulente Paolo Scala, modificandolo da concorso in appropriazione indebita in riciclaggio, stanno effettuando accertamenti, fra l’altro, sui finanziamenti, pare circa un milione e mezzo tra il 2008 e il 2011, alla Guardia padana. In più stanno preparando gli atti da trasmettere ai colleghi romani che riguardano Stiffoni.
A pesare sulla sua iscrizione nel registro degli indagati per peculato, oltre a riscontri contabili, ci sono le parole del capogruppo al Senato della Lega, Federico Bricolo, sentito come persona informata sui fatti.
Da una prima ricostruzione dei magistrati milanesi ci sarebbero diversi travasi e rientri di denaro dal conto Bnl del Senato a quello personale di Stiffoni – tutti e due sono a Roma – che hanno fatto ipotizzare operazioni anomale che si aggirano attorno ai 500mila euro.
Una cifra che però sarà oggetto di ulteriori approfondimenti da parte della Procura capitolina.
La signora Bossi e Rosy Mauro.
I pm stanno ancora esaminando le posizioni della moglie di Umberto Bossi, Manuela Marrone, e della vicepresidente del Senato, Rosy Mauro.
La moglie del Senatur avrebbe ricevuto almeno 300mila euro da Belsito da destinare alla scuola Bosina, da lei fondata a Varese.
La vicepresidente del Senato, espulsa dal Carroccio, avrebbe invece ricevuto ingenti somme per il sindacato padano Sinpa, provenienti dalle casse della stessa Lega.
(da “La Repubblica”)
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Maggio 16th, 2012 Riccardo Fucile
PER AVER OTTENUTO UNA PENSIONE INPS CON DOCUMENTAZIONI NON VERE FERNATE ALTRE 56 PERSONE…CUSTODIA CAUTELARE PER LA MOLGIE E LA SORELLA DEL BOSS DELLA CAMORRA DI FORCELLA…IN MANETTE 287 PERSONE…NEL CENTRO STORICO I PROCACCIAOTRI DI HANDICAPPATI IN PIENA SALUTE
Ancora arresti a Napoli nell’ambito di una indagine iniziata nel 2009 dai carabinieri sulle pensioni di invalidità con accompagnamento erogate dall’Inps e indebitamente ottenute mediante falsa documentazione.
Con l’accusa di truffa aggravata, contraffazione di sigilli, falso ideologico e materiale, distruzione di atti, sono finite in carcere 4 persone, mentre per 52 il gip del tribunale partenopeo ha concesso il beneficio dei domiciliari.
Sequestrati anche beni per 2 milioni.
In manette sono finite anche due donne “eccellenti”, la moglie e la sorella del boss della camorra di Forcella, Raffaele Stolder.
Dalle indagini, coordinate dal pm Giancarlo Novelli, è emerso che entrambe, da diversi anni, percepivano pensione di invalidità ed indennità di accompagnamento, perchè “affette da gravi disturbi psichici”.
A Patrizia Ferriero, moglie di Stolder, arrestata nei giorni scorsi per associazione camorristica, la misura cautelare è stata notificata in carcere.
La cognata Assunta, invece, ha avuto il beneficio degli arresti domiciliari.
Ferriero è la madre di Nunzia Stolder, eletta negli anni scorsi nelle liste del Pdl nel consiglio circoscrizionale del quartiere San Lorenzo Vicaria.
Le indagini che hanno portato all’operazione sono cominciate nel 2009, affidate alla Sezione reati contro la Pubblica Amministrazione della procura della Repubblica di Napoli con un apposito pool costituito da tre magistrati. Fino hanno consentito l’arresto di 287 persone ed il sequestro di beni mobili ed immobili per un valore complessivo di oltre 10 milioni.
Le indagini che hanno portato agli arresti di oggi hanno permesso di verificare il coinvolgimento anche di persone collegate alla criminalità organizzata nella truffa ai danni dell’ Inps, facendo emergere l’ipotesi che i proventi delle false pensioni di invalidità possano costituire un ulteriore canale di approvvigionamento economico a favore di persone direttamente o indirettamente collegate a gruppi camorristici.
Tale dato è stato confermato anche da una recente sentenza di condanna del Tribunale di Napoli a otto anni di reclusione di alcune persone – organiche ad un clan camorristico radicato nel centro storico di Napoli – arrestate nel febbraio 2011, che agivano quali procacciatori di falsi invalidi
I destinatari della misura cautelare emesse dal gip sono persone che, mediante falsa documentazione, hanno indebitamente ottenuto pensioni di invalidità , comprensive di indennità di accompagnamento, causando all’Inps un danno di oltre 2 milioni di euro.
Nel corso delle indagini si è verificato anche un tentativo di ostacolare l’attività degli inquirenti, realizzato mediante la distruzione di documentazione medica e amministrativa contraffatta.
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Maggio 16th, 2012 Riccardo Fucile
LA SVALUTAZIONE DELLA MONETA NAZIONALE E L’AUMENTO DEI TASSI DI INTERESSE
La finanza fatta con i «se» è inattendibile. Quasi come la fantascienza.
Eppure le ipotesi, a volte, sono l’unica chiave a disposizione per cercare di capire meglio la realta.
Che cosa succederebbe ai cittadini, greci ed europei, se davvero Atene decidesse di abbandonare l’euro? La verità è che nessuno lo sa.
Perchè l’Unione monetaria ha solo porte per entrare e nessuna finestra giuridica per uscire. E quindi la crisi aperta da un singolo abbandono non trova paragoni storici a cui fare riferimento.
Alcuni meccanismi che potrebbero mettersi in moto – la svalutazione, la sorte dei tassi di interesse e dei titoli di Stato – sono però assimilabili ad altre situazioni di grande tensione che i mercati, in maniera molto meno interconnessa, hanno vissuto anche in passato.
IL RICORDO
Per gli italiani, per esempio, l’idea della svalutazione (a cui la dracma andrebbe incontro immediatamente dopo il divorzio) chiama subito il ricordo del 1992, quando il nostro Paese venne costretto ad abbandonare lo Sme, il sistema monetario europeo, dopo un furioso attacco speculativo.
Il dopo è storia, non finanza fatta con i «se». Tra maggio e ottobre la lira perse il 25% rispetto al marco tedesco.
Nel periodo successivo i Bot andarono al 17%, l’inflazione schizzò e i titolari di un mutuo in Ecu – il paniere che rappresentava le divise europee – o in altre monete straniere maledissero la scelta extra valutaria. Perchè la lira perse terreno rispetto a tutte le monete forti.
Più o meno quello che potrebbe succedere ai greci. I meccanismi sono gli stessi, ma il contesto è davvero molto diverso.
Lo Sme era solo un sistema di cambi, i destini dell’Unione monetaria non erano ancora legati come lo sono ora.
Che cosa succederebbe? Nella speranza che il «se» rimanga tale e che non si debba passare all’indicativo, qui abbiamo cercato di spiegare solo i primi passi di un’eventuale crisi da distacco dal punto di vista di un piccolo risparmiatore.
IL CAMBIO
Addio conversione fissa a quota 340,75 Dracma in caduta libera fino al 70%
La dracma ha cessato di esistere per gli scambi finanziari il primo gennaio 2001, quando titoli e depositi di Atene vennero convertiti in euro al cambio fisso di 340,75. La moneta greca, che ha un bel nome antico, eredità dei fasti ellenistici delle città -stato, ha continuato però a rimanere fisicamente nelle tasche dei cittadini, tra spiccioli e banconote, fino ai primi mesi del 2002.
Esattamente come è accaduto a lira, marco, franco francese, peso spagnolo e a tutte le valute degli undici Stati che già utilizzavano la moneta unica per il calcolo del valore delle attività finanziarie dal primo gennaio 1999.
Che cosa succederebbe oggi se Atene decidesse unilateralmente di resuscitarla?
L’idea più accreditata è che si riparta da quella parità calcolata nel 2001: 340,75 dracme per un euro. Un valore che, all’apertura dei mercati, resisterebbe forse per qualche centesimo di secondo.
La svalutazione sarebbe immediata e violenta.
Tra gli analisti c’è chi dice che la dracma potrebbe perdere tra il 40 e il 50%, qualcuno si spinge fino a dire il 70%.
In pratica per comprare un euro ci vorrebbero 5-600 dracme, non ne basterebbero più 340,75, come nella «fotografia» all’ingresso dell’Unione.
Una dracma debole sarebbe un vantaggio per chi esporta, ma la Grecia non è un grande produttore industriale.
In questo momento le dimensioni delle sue importazioni sono il doppio dell’export. La moneta debole sarà invece un grosso svantaggio per l’acquisto di petrolio e altre materie prime. Un handicap per le aziende e per i singoli che vedranno schizzare alle stelle la benzina, il gas e il costo della vita.
I MUTUI
Per un prestito da 100 mila euro la rata vola a mezzo stipendio medio.
E ai mutui che cosa succederebbe?
A meno che il contratto non preveda clausole di salvaguardia valutaria (ed è un caso quasi impossibile nella realtà ) avere acceso un prestito ad Atene non sarà una passeggiata, a partire dalla prima rata dopo l’addio alla moneta unica.
Ipotizziamo che un debitore greco abbia un mutuo residuo per 100 mila euro.
Che cosa potrebbe succedere in caso di svalutazione della dracma del 25% rispetto a quel 340,75 con cui Atene entrò nell’euro?
Ipotizziamo che il mutuo sia di 20 anni, che paghi un tasso del 5% e che il debitore oggi abbia uno stipendio di 2000 euro.
Oggi la rata sarebbe di 660 euro al mese, pari a circa un terzo dello stipendio.
Domani con il ritorno della vecchia valuta greca, lo stipendio del nostro debitore diventerebbe di 681.500 dracme (applicando la parità del 2001) indipendentemente da quello che succede sul mercato finanziario.
Il mutuo però, rata per rata, verrebbe ricalcolato sul tasso di cambio del momento e si «mangerebbe» fino al 41% dello stipendio, anche se il prestito fosse a tasso fisso.
E se la svalutazione fosse più alta?
Se hanno ragione gli analisti che vedono la dracma in caduta libera del 50% e più, la stessa rata potrebbe arrivare a coprire anche la metà dello stipendio, cioè mille euro al mese.
Con l’altra metà il debitore dovrebbe comprarsi il necessario per vivere, che presumibilmente, costerà molto di più. In questo scenario è abbastanza facile immaginare che il numero dei debitori che riescono a far fronte ai loro impegni scenda ogni giorno di più.
GLI OBBLIGAZIONISTI
Cosa spetterà ai creditori esteri? I loro bond perderanno valore.
I titoli di Stato della Grecia, convertiti in euro per Capodanno del 2001, dopo l’adesione formale di Atene al trattato, si troverebbero di nuovo tramutati in dracme. Fanno eccezione (e quindi rimarrebbero in euro) solo i bond emessi sotto altre legislazioni, per esempio in Lussemburgo.
Che cosa succederà allora a chi possiede quei titoli? Il ritorno alla dracma non è forse il principale problema.
Nei mesi passati, la rinegoziazione del debito greco è stata una lunga e dolorosa trattativa, conclusa con un accordo complesso, dove, in estrema sintesi, i creditori hanno accettato un hair cut, un «taglio di capelli» come si dice tecnicamente e metaforicamente sui mercati, superiore al 70%.
I maggiori debitori della Grecia sono istituzioni finanziarie europee e non, cui fanno capo circa 245 miliardi.
Ma le obbligazioni greche sono anche in qualche portafoglio privato, visto che nel processo di rinegoziazione sono stati coinvolti anche molti piccoli risparmiatori. In caso di addio, dunque, potrebbe aprirsi la strada di una ulteriore trattativa, che interromperebbe le attese di rimborso nel tempo di quel 25-30% di valore rimasto in mano ai creditori esteri.
Oltre agli effetti collaterali sul sistema bancario, che si troverebbe a fare i conti con nuove possibili minusvalenze da conteggiare, per gli investitori privati grandi e piccoli si riproporrebbe uno scenario simile a quello seguito al default dell’Argentina.
Una lunga trattativa con il governo, difficile da portare avanti e con pochissime certezze sul risultato finale.
I TASSI
Si stampa moneta per finanziarsi L’inflazione finisce fuori controllo.
I tassi di interesse della Grecia senza l’euro potrebbero essere diversi da quelli già elevatissimi che il mercato fa pagare ad Atene da quando è cominciata la crisi.
Nei momenti peggiori il rendimento dei decennali è arrivato al 31%, oggi viaggia intorno al 29%.
E lo spread, la differenza tra il Bund tedesco e il titolo di Atene, è pari all’astronomica grandezza di 2.600 punti.
Una distanza pari a sei volte quella che in questi giorni separa il Btp italiano dal titolo decennale di Francoforte (440).
I titoli brevissimi– quelli a tre e sei mesi–oggi pagano «solo» il 4,7%, ma questa grandezza non potrebbe certo essere rappresentativa del costo del denaro greco dopo un eventuale abbandono della moneta unica.
Dove potrebbero arrivare i tassi? È facile immaginare un’inflazione e un costo del denaro a due cifre (15-20%), dicono molti economisti.
Una situazione che renderebbe molto difficile la vita di tutti gli indebitati, sia sul fronte delle aziende pubbliche che su quello dei privati cittadini.
«Per il governo diventerebbe molto difficile finanziarsi emettendo altri titoli che nessuno sul mercato sarebbe disponibile a comprare–spiega Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo –. Resterebbe la via impervia delle tasse e quella, più facile, del battere moneta».
L’addio della Grecia avrebbe poi ripercussioni sui rendimenti degli altri Paesi dell’euro.
Il Bund potrebbe retrocedere ancora, mentre il resto d’Europa pagherebbe dazio con spread più elevati. A seconda delle fragilità .
Giuditta Marvelli e Gino Pagliuca
(da “Il Corriere della Sera”)
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Maggio 16th, 2012 Riccardo Fucile
IL PIRATENPARTEI IN GERMANIA VELEGGIA OLTRE IL 10%…SI BATTONO PER LA PRIVACY E IL FILE SHARING, PRENDONO LE DISTANZE DA GRILLO E CERCANO IL CONFRONTO ORIZZONTALE
Sono la novità politica del momento. Nei sondaggi veleggiamo oltre le due cifre e anche nel Nord-Reno Vestfalia, la regione più ricca e popolata della Germania, domenica hanno portato a casa il 7,7 per cento.
Parliamo del Piratenpartei, naturalmente, il partito dei pirati informatici tedeschi. Si battono per la difesa della privacy e del file sharing, prendono le distanze da Grillo ma, soprattutto, con la loro formazione “hacker” puntano tutto su strumenti informatici di confronto orizzontale.
Di ciò abbiamo parlato con Carlo Von LynX.
Carlo, come è cominciato tutto?
I politici erano sempre molto interessati ai temi digitali,ma poi alla fine facevano sempre quello che dicevano i lobbisti. Quando in Germania hanno proposto una legge che con la scusa di colpire la pedopornografia voleva censurare Internet, ci siamo dati da fare.
Tu come ti sei avvicinato?
Dopo l’europee del 2009: prendemmo l’un per cento, ma capimmo che potevamo crescere.
Per iscriversi bisogna prendere una tessera?
Sì, anche se in realtà si tratta di un foglio di carta che si può anche mandare via posta. Online non ci si può iscrivere: è troppo rischioso per la riservatezza dei dati
Un iscritto che diritto ha?
Il diritto più bello è la partecipazione al LiquidFeedback, il software al centro della proposta pirata, uno strumento di partecipazione ideato da scienziati politici vicini al partito che non fa altro che simulare un’assemblea permanente. Si discutono idee e proposte, dalle iniziative ai volantini. Ogni discussione è votabile ed emendabile in tempo reale: vince chi riceve più consensi. Questo vale anche per nominare delegati, incarichi ed esperti sui singoli tempi.
In quanti siete?
In Germania trentamila.
LiquidFeedback è uno strumento solo per i membri?
Sì, è necessario avere una identificazione per essere sicuri che dietro ogni account ci siano persone.
Quanto costa iscriversi?
36 euro l’anno, 3 euro al mese
Quali strutture avete?
Il minimo necessario previsto dalla legge tedesca sui partiti: board regionali e nazionali, loro rappresentanti e figure amministrative. Devono tutti riflettere esattamente le decisioni che abbiamo preso collettivamente.
Come li eleggete?
In assemblee tradizionali anche se nel nostro caso partecipa chiunque lo voglia. Si vota usando le classiche schede. Fondamentale è il voto segreto.
L’ultima assemblea?
Qualche settimana fa, con circa 1500 partecipanti.
Non votate su Internet?
No: riteniamo insormontabile il problema di rendere davvero sicuro un voto online.
Siete virtuali e reali…
Siamo diventati un partito molto reale: tantissimo lavoro si fa nei raduni settimanali nei quartieri. Solo qui a Berlino abbiamo cinque gruppi locali
A qualcuno di voi sono scappate frasi tipo “cresciamo come i nazisti”…
Siamo nuovi all’agone politico. Dobbiamo imparare ad aspettarci che una nostra frase possa essere estrapolata. Ma siamo assolutamente anti-nazi.
Avete a cuore solo i diritti “digitali”?
Siamo entrati in politica per difendere i nostri spazi di libertà su Internet. Ma abbiamo capito presto che la politica è dominata dal lobbismo e che dobbiamo occuparci di tutto. Col LiquidFeedback abbiamo una piattaforma nella quale il lobbismo non ha possibilità di esprimersi
Chi vota i pirati?
Un recente sondaggio, lo stesso che ci assegna il 12-13 per cento a livello nazionale, dice che veniamo percepiti come “di centro” e siamo votati da tutte le età , a destra e a sinistra, all’est e all’ovest . Siamo un vero movimento popolare
Grillo dice di essere il vostro corrispettivo italiano
Beppe Grillo mi è sempre piaciuto. Ma ha imposto al Movimento Cinque Stelle uno statuto che lo rende capo di tutto: è un leader politico anche se dice di non esserlo. Lui e la sua ditta tengono il “copyright” del logo e del nome del movimento, possono espellere singoli, o gruppi di persone, quando gli pare. In questo modo il suo non è un movimento sufficientemente democratico: se Beppe Grillo mollasse l’osso e permettesse al 5 Stelle di diventare un movimento orizzontale; se cedesse il potere a una tecnologia come il LiquidFeedback, allora potrebbe essere assimilabile a noi.
Siete contro qualsiasi alleanza politica?
L’opposizione fondamentale a ogni alleanza è una delle caratteristiche della vecchia politica. Suona un po’ come “o siamo al governo o vi blocchiamo tutto”.
E voi?
Se abbiamo preso una decisione condivisa nel partito e se una proposta corrisponde a quella di un governo, o di un’altra forza politica, non abbiamo problemi a votare a favore. Gli unici con i quali non ci accorderemmo mai sono i nazisti. Per il resto dipende dai contenuti. Chi ci viene incontro può collaborare con noi. Chi ci chiede voti su cose con le quali non siamo d’accordo non avrà mai il nostro sostegno.
Federico Mello
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 16th, 2012 Riccardo Fucile
L’ACCUSA DEI PM E’ DI CORRUZIONE NELLA VICENDA DEL CONSORZIO ECO4
Dovrà affrontare il processo, che comincerà il 9 luglio, il deputato del Pdl Mario Landolfi, ex presidente della commissione di vigilanza sulla Rai, ed ex ministro delle Comunicazioni.
Il gup Alessandra Ferrigno ha infatti disposto oggi il suo rinvio a giudizio per concorso in corruzione e truffa, aggravati dall’ avere agito per favorire il clan camorristico dei La Torre, a volte alleato a volte rivale del clan dei casalesi.
La vicenda è quella del Consorzio Eco4, che nel 2009 occupò a lungo le prime pagine dei giornali. Landolfi – secondo l’accusa – corruppe un consigliere comunale di Mondragone, la sua città , inducendolo a dimettersi per evitare lo scioglimento del consiglio; in cambio gli offrì un posto nella futura giunta e un contratto di lavoro dalla durata di tre mesi per la moglie, la quale peraltro si limitò a percepire lo stipendio.
Del mancato scioglimento del consiglio e dunque della permanenza in carica del sindaco beneficiò, per il pm Alessandro Milita, il consorzio Eco4, una società a capitale misto attiva nel settore della raccolta dei rifiuti che nell’ordinanza di custodia cautelare il gip definiva «pura espressione della criminalità organizzata».
L’inchiesta si basa sulle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia tra cui Gaetano Vassallo, titolare di discariche legato alla fazione del clan dei casalesi che fa capo al boss Francesco Bidognetti.
Nell’ inchiesta fu coinvolto anche l’ex coordinatore campano del Pdl Nicola Cosentino, ora a giudizio davanti al tribunale di Santa Maria Capua Vetere dopo avere, su sua richiesta, «saltato» la fase dell’udienza preliminare.
Sulla vicenda, Mario Landolfi ha sempre avuto un atteggiamento collaborativo nei confronti dei magistrati.
Per esempio, ha messo a disposizione – e addirittura pubblicato su Facebook – le intercettazioni telefoniche che lo riguardavano, anche se, in quanto parlamentare, la Camera avrebbe potuto negare il consenso al loro utilizzo.
Questo è uno dei motivi per cui Landolfi oggi si dice amareggiato: «Mi sono comportato all’insegna della trasparenza – rileva – fornendo chiarimenti in un interrogatorio durato due ore e mezzo. Ho depositato un’informativa della Guardia di Finanza dalla quale si evince con chiarezza che la moglie del consigliere comunale non fu assunta dal consorzio Eco4 grazie a me. Eppure, il giudice ha deciso il rinvio a giudizio: forse il meccanismo dell’udienza preliminare è da rivedere».
Landolfi riceve un’attestazione di solidarietà non formale dal commissario regionale del Pdl campano, Francesco Nitto Palma.
«Ho letto le carte con l’ occhio del magistrato e non del politico – afferma l’ ex ministro della giustizia – carte che denunciano il totale deserto probatorio. In più occasioni giudici hanno sconfessato la Dda di Napoli. Attendiamo con fiducia il responso dell’autorità giudiziaria».
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Maggio 16th, 2012 Riccardo Fucile
DOPO L’INDAGINE SU PRESUNTE PRESSIONI ALL’ISCAP PER AIUTARE VISCIONE
“Mi autosospendo, non voglio che di me si dica che rimango in Parlamento anche se sono finito in un’indagine giudiziaria; ma chiarirò tutto, già domani chiederò al magistrato di essere sentito, perchè tanto su di me non c’è nulla: è solo fango che mi tirano addosso, io sono di intralcio a molti”.
Il deputato dell’Italia dei Valori, Francesco Barbato, ha deciso di autosospendersi dalla Camera, disertando i lavori di Montecitorio e perdendo così la diaria di circa 3500 euro mensili, non lo stipendio perchè le dimissioni di un parlamentare vanno votate dall’aula.
Barbato è finito nelle carte del pm napoletano Woodcock, tirato in ballo dall’imprenditore campano nel ramo assicurativo Paolo Viscione, già accusatore di Marco Milanese e ritenuto attendibile dai magistrati.
Viscione ha raccontato di un essere stato rintracciato da parte di Barbato il quale gli avrebbe chiesto “20 mila euro per una consulenza che avrebbe dovuto svolgere a favore della società di mia proprietà nei confronti dell’Isvap dove sosteneva di avere delle giuste entrature con la vice-presidenza”. Inoltre, stando a quando riferito da Viscione, “proponeva di potersi interessare della vicenda per cercare di alleviare quelle che potevano essere le conseguenze derivanti da una ispezione in qualche modo, come dire, devastante”.
Inoltre, sempre da quanto risulta dal verbale di interrogatorio, Barbato “ha iniziato con il proporsi (…) per ottenere un mandato assicurativo, che (…) la moglie ha ottenuto (…) da Resciniti” direttore generale di Eig, la Compagnia di Assicurazioni Europe lnsurance Group” all’epoca di proprietà di Viscione.
Barbato smentisce tutto. Ma conferma invece l’incontro avuto al bar “La Caffetteria” a Piazza Di Pietra, come raccontato da Viscione.
Un incontro definitivo al quale ha partecipato anche Fabio Sodano, indagato insieme a Enzo Resciniti. “Da allora non l’ho più sentito, lui mi chiamava continuamente al telefono, è venuto pure a casa mia una volta (…) sempre per il fatto di queste polizze della moglie, mi teneva, come dire, un attimino agganciato perchè lui nei discorsi che mi faceva, mi diceva: io sono membro della commissione finanza”.
Durante quell’incontro, racconta Viscione, Barbato se ne andò contrariato perchè l’imprenditore aveva rifiutato la sua offerta considerato che “la situazione era ormai precipitata”. Inoltre Viscione sembra non fidarsi troppo del parlamentare.
E lui, dice, aveva avuto l’esperienza con Marco Milanese, quella sì utile. “Il ruolo di Milanese era un personaggio all’interno della Guardia di Finanza di un certo rilievo, e che comunque mi dava le notizie giudiziarie, mi diceva: tu stai sotto inchiesta con … dico per dire, per esempio, con il pm Woodcock di Napoli; e, e questi fatti mi spaventavano, quindi io mi mettevo a disposizione”, riferisce Viscione.
In pratica Barbato aveva dimostrato di non poter smuovere le pedine promesse.
Le indagini sono ancora in corso. Il deputato domani si rivolgerà al pm per essere sentito in merito e “smentire categoricamente tutte le accuse che mi sono state rivolte”.
Certo è che la vicenda getta un’ombra poco piacevole sul partito di Antonio Di Pietro e su uno dei deputati di punta dell’Idv, noto per aver denunciato più volte il malcostume della Casta con una telecamera. “Chiarirò tutto”, garantisce.
“Solo con i pm” parla Fabio Solano.
Il coindagato presente all’incontro alla Caffetteria non vuole parlare con i giornalisti. “Questa vicenda mi ha già creato moltissimi problemi”, dice al Fatto Quotidiano.
“Di Viscione non voglio parlare, non mi interessa”. Va detto che a tirare in ballo Barbato è solamente Viscione, al momento e a confermare sono chiamati due coindagati: Resciniti e Solano appunto.
È Viscione a raccontare anche della moglie del deputato. “Non ho seguito le vicende assicurative della moglie, perchè ho dato l’okay a Resciniti, ed è finita lì, poi quando noi abbiamo avuto la revoca dell’autorizzazione, il blocco della emissione da parte dell’Isvap, evidentemente la moglie questo portafoglio” lo ha perso “come l’abbiamo perso noi, noi abbiamo perso un portafoglio di trenta milioni, sul territorio nazionale”.
Nulla, dunque, rispetto a 20mila euro.
Dav. Ve.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 16th, 2012 Riccardo Fucile
IL REATO DI TRUFFA CONTESTATO AL SENATUR E’ RELATIVO AI RIMBORSI ELETTORALI PER 18 MILIONI DI EURO… PER I FIGLI L’ACCUSA E’ DI APPROPRIAZIONE INDEBITA PER USO PERSONALE DI SOLDI DEL PARTITO: PAGHETTA EXTRA DI 5.000 EURO AL MESE
Il senatore Umberto Bossi è indagato per truffa ai danni dello Stato in concorso con l’ex tesoriere Francesco Belsito.
L’iscrizione per l’ex segretario del Carroccio e ora presidente è relativa ai rimborsi elettorali incassati dalla Lega nel 2010 con il relativo rendiconto del 2011, la cifra è di 18 milioni di euro.
Bossi risponde in concorso con l’ex amministratore indagato anche dalle procure di Reggio Calabria e Napoli.
Nel registro degli indagati sono stati iscritti anche i figli del Senatur Renzo e Riccardo per appropriazione indebita, reato relativo alle spese personali che sono state sostenute per i due ragazzi con i soldi del partito.
Anche in questo caso a rispondere in concorso c’è Belsito.
Secondo gli inquirenti i due ragazzi ricevano una paghetta da 5 mila euro al mese.
Denaro “prelevato” dai soldi dei rimborsi elettorali con la piena consapevolezza del padre.
Il periodo sotto inchiesta va dal 2008 al 2011.
Agli atti dell’inchiesta c’è la lettera in cui Riccardo, in una delle sue richieste, aveva scritto a Belsito:“Ne ho parlato oggi con papà ”.
La Procura di Milano ha indagato anche il senatore Piergiorgio Stiffoni e Paolo Scala, il finanziere che aveva gestito l’affare della Tanzania. Quest’ultimo risponde di riciclaggio.
Per il senatore invece l’accusa è quella di peculato per aver utilizzato i soldi che erano sui conti della Lega a Palazzo Madama.
L’indagine in questo caso verrà trasferita a Roma per competenza.
Umberto Bossi risponde come legale rappresentante del partito in quanto firmatario dei rendiconti che portano all’erogazione dei rimborsi elettorali.
Nei suoi confronti non c’è alcuna contestazione che riguarda presunte spese personali.
Mentre sono in corso di accertamento le cifre di denaro di cui Riccardo e Renzo Bossi si sarebbero indebitamente appropriati; è stata infatti disposta una consulenza tecnica la quale dovrà fare luce sull’eventuale utilizzo dei fondi pubblici.
Secondo il procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati “è sufficiente avere l’indicazione che i fondi destinati al partito sono stati usati per altri scopi”.
Al Trota non è stato possibile consegnare l’avviso di garanzia perchè il giovane è in vacanza in Marocco con Monica Rizzi, ex assessore regionale, coinvolta in una presunta formazione di dossier ai danni di un avversario di Renzo alle scorse elezioni regionali su cui era stata aperta un’inchiesta dalla Procura di Brescia, e con il compagno di quest’ultima, finita nel mirino dei cronisti anche per la vicenda della laurea in Psicologia in Svizzera che però non risultava essere stata conseguita all’ateneo elvetico.
Dopo questa vicenda la Rizzi, obbedendo a un ordine del partito, si era dimessa.
Lo scandalo che ha travolto la Lega coinvolge ben tre procure: Milano, Napoli e Reggio Calabria, anche se a iscrivere nel registro degli indagati il nome dei Bossi è stata nei giorni scorsi quella lombarda.
Le ultime due indagano per riciclaggio relativo anche agli investimenti in Tanzania e Cipro di circa 6 milioni di euro.
Lo scorso dicembre la pubblicazione sulle pagine del Secolo XIX dello strano affare tanzanese aveva fatto puntare i riflettori sul Carroccio.
Belsito, finito nel mirino, aveva cominciato a raccontare al telefono alla segretaria Nadia Dagrada tutte le spese sostenute per Umberto Bossi e famiglia.
Dalla polizza assicurativa per la villa di Gemonio alle spese per la ristrutturazione della casa. Belsito, che era stato introdotto come amministratore dall’ex tesoriere Maurizio Balocchi, sotto pressione per le richieste di spiegazioni dal partito, in una casetta di sicurezza negli uffici della Camera ha raccolto tutti i documenti relativi alle spese personali in una cartelletta denominata “The Family”.
In quel fascicolo Belsito ha conservato i pagamenti delle multe di Renzo Bossi, le spese sanitarie del figlio minore di Bossi Eridanio, le distinte di diversi bonifici e anche documenti relativi all’istruzione di Renzo detto il Trota. Negli ultimi giorni la Procura di Milano aveva avviato accertamenti proprio sulla laurea albanese del Trota, che si sarebbe diplomato in business management senza mai mettere piede nel paese delle Aquile.
Nelle conversazioni intercettate dagli investigatori del Noe dei Carabinieri Belsito diceva che dalle casse della Lega per il solo 2011 per Bossi e famiglia sarebbero stati spesi 611 mila euro.
Coi soldi del partito, secondo l’ex tesoriere con un passato da buttafuori e portaborse di un ex ministro di Forza Italia, sarebbe stata finanziata anche la scuola bosina gestita dalla moglie di Bossi, Manuela Marrone, il sindacato padano ovvero il SinPa guidato Rosi Mauro, senatrice e vice presidente del Senato, espulsa come Belsito dal Carroccio.
I soldi della Lega sarebbero finiti anche alla “nera”, che ha sempre negato, per la sua istruzione e quella del suo capo scorta Pier Moscagiuro.
Le posizioni della Mauro e della signora Bossi, entrambe non indagate, sono però ora al vaglio degli inquirenti milanesi.
In particolare i magistrati cercano di fare luce sulle uscite effettuate proprio a favore del sindacato e dell’istituto. In particolare in una telefonata intercettata, ora agli atti dell’inchiesta, gli interlocutori fanno riferimento ad una somma di 300 mila euro parcheggiata in contanti per la scuola.
A mettere nei guai Bossi&co ci sono anche le dichiarazioni a verbale delle segretarie dell’ex leader. Nadia Dagrada, interrogata dai pm milanesi e napoletani quando erano scattate le perquisizioni da parte della Guardia di Finanza, aveva confermato che Umberto Bossi era perfettamente a conoscenza che i soldi della Lega fossero utilizzati anche per le spese personali della famiglia.
Gli inquirenti si sono convinti che fosse necessario inviare un avviso di garanzia al fondatore della Lega proprio alla luce delle dichiarazioni della Dagrada che ha affermato, durante gli interrogatori, che il Senatur firmava tutti i rendiconti. In particolare, a Bossi viene contestato di avere avallato questi rendiconti ritenuti non veritieri nell’agosto 2011; 18 milioni di euro che il partito ha incassato presentando, secondo l’accusa, un rendiconto infedele e ottenere quindi i rimborsi elettorali relativi all’anno 2010.
Anche l’assistente personale di Bossi, Daniela Cantamessa, aveva parlato della consapevolezza del Senatur riferendo agli inquirenti di aver messo sull’avviso l’allora segretario per gli strani comportamenti del tesoriere.
Ad aggravare lo scandalo anche un video di un ex autista, poi licenziato, che temendo di esser coinvolto nell’inchiesta aveva filmato Renzo, che poi si è dimesso dalla carica di consigliere regionale diversi giorni fa, mentre afferrava alcune banconote.
Soldi che dovevano coprire le spese di servizio e non finire nelle mani del Trota per pagarsi la benzina o le medicine.
Gli accertamenti della Procura di Milano sono proseguiti senza sosta per verificare e trovare i riscontri alle dichiarazioni e anche alla stessa documentazione.
Anche Belsito naturalmente durante gli interrogatori ha confermato la consapevolezza del fondatore del partito. Il cui nome è stato accostato anche alla ‘Ndrangheta.
Nell’indagine reggina, che sta continuando a fare accertamenti anche sull’investimento in Tanzania, sono emersi i rapporti di Belsito con Romolo Girardelli, detto l’ammiraglio, uomo secondo gli inquirenti legato alla cosca dei De Stefano.
Il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati e il pm Paolo Filippini in un incontro con i giornalisti hanno spiegato che l’iscrizione di Umberto Bossi è “un atto di garanzia che dovrà comportare degli approfondimenti”. Approfondimenti che, hanno precisato gli inquirenti, sono collegati ad accertare se effettivamente il denaro ottenuto grazie al meccanismo dei rimborsi elettorali sia stato utilizzato per esigenze personali dagli altri indagati, a cominciare dall’ex tesoriere.
Quest’ultimo, hanno puntualizzato i magistrati, risponde anche di appropriazione indebita, oltre che di truffa perchè si sarebbe accaparrato il denaro per uso personale. L’avviso di garanzia a Umberto Bossi e’ stato notificato nella sede del Carroccio, in via Bellerio.
Antonella Mascali
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 16th, 2012 Riccardo Fucile
“LA LEGGE SALVA-SILVIO NON CI SARA’ MA LA MAGGIORANZA E’ SPACCATA, SULLA GIUSTIZIA IL GOVERNO RISCHIA”
Spazi per norme salva-Silvio «non ce ne sono più», ma sulla corruzione — «un veleno per il Paese» — il governo può andare incontro alla crisi.
Giulia Bongiorno, la presidente finiana della commissione Giustizia della Camera, lancia di nuovo il suo allarme e ricorda che «proprio sulla giustizia si ruppe l’intesa tra Fini e Berlusconi».
Una giornata di scontri da dimenticare per la giustizia nella sua commissione, non le sembra?
«Sì, e temo che non sia l’esito di una congiuntura astrale, piuttosto una condizione permanente».
In che senso?
«In materia di giustizia, all’interno dell’attuale maggioranza, ci sono visioni diametralmente opposte. Dunque era prevedibile».
Perchè prevedibile? Se Abc trovano sintesi sui temi economici come mai sulla giustizia non si trova l’accordo?
«Io credo che la giustizia rappresenti, prima di altre materie, la vera identità dei partiti. E non c’è accordo politico che possa annullare l’identità . Faccio un esempio: io sono molto amareggiata perchè oggi si è persa l’occasione di creare una figura di reato di falso in bilancio più efficace rispetto all’attuale. Altri hanno tirato un sospiro di sollievo. Ecco, l’idea che si possa tirare un sospiro di sollievo mi turba».
Protestano duramente Pd e Idv, nuova opposizione all’interno del governo. Il governo esiste ancora su questi temi?
«In politica, purtroppo la giustizia è sempre stata considerata un tema di secondo piano. E invece non lo è affatto. Temo che la grande attenzione giustamente riconosciuta alle questioni economiche abbia portato a sottovalutare il peso della questione giustizia, peraltro trascurandone l’incidenza sull’economia. Non dimentichiamo che la mala-giustizia uccide l’economia, che gli investitori esteri fuggono quando scoprono che in Italia si può restare impelagati in vicende giudiziarie per un decennio».
Il parere del sottosegretario Mazzamuto sul falso in bilancio lo vede come un errore, una svista o una cosa voluta?
«Lui era alla mia destra e leggeva un foglio. Non so altro. In aula avremo comunque la possibilità di lavorare ancora sul testo».
Come giudica l’ostruzionismo del Pdl sul ddl anti-corruzione?
«Sono molto preoccupata perchè oggi in un’ora e mezzo abbiamo votato un emendamento: ne abbiamo circa 150 da votare entro la prossima settimana».
Ma in questa fase politica l’anti-corruzione è una priorità ?
«Le dico cosa penso della corruzione: è un reato abominevole. Si diffonde a macchia d’olio azzerando il merito, è subdola, si annida anche là dove non te lo aspetteresti, distorce le prospettive e falsa i valori, è un veleno… L’idea che non ci sia una volontà comune di combatterla usando i mezzi a disposizione del legislatore mi disorienta. Ma si torna al discorso di prima… visioni diverse».
Il Pdl vorrebbe una nuova norma salva-Ruby. Ma in questo momento politico a destra esistono ancora margini di possibili alleanze per approvarla?
«Non so se vogliono una salva-Ruby, so però che in commissione la Lega non vota con il Pdl e non credo che altre forze voterebbero attualmente ulteriori norme ad personam».
Giustizia e stabilità di governo: che succederà in aula se, come tutto lascia prevedere, l’attuale maggioranza dovesse spaccarsi sul ddl anti-corruzione, come è avvenuto sul falso in bilancio?
«È un allarme che ho lanciato da tempo. Da quando ci furono i primi incontri con le forze della maggioranza promossi dal ministro. Mi fu subito chiaro che la maggioranza non andava nella stessa direzione. Infatti oltre che di corruzione si parlava di responsabilità dei giudici e di intercettazioni, come se i temi fossero intrecciati tra loro».
Non sarebbe stato meglio, quando è nato l’esecutivo Monti, escludere del tutto il capitolo della giustizia?
«Il risanamento del Paese non può prescindere da un risanamento morale. Escludere la giustizia avrebbe significato perdere in partenza».
Esiste la possibilità che il governo cada sulla giustizia?
«La cosiddetta frattura Fini-Berlusconi nasce sul tema della legalità . Ripeto: sbaglia chi considera la giustizia un tema politico di secondo piano».
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Maggio 16th, 2012 Riccardo Fucile
LE DIMISSIONI DI ZOPPINI DOPO L’AVVISO DI GARANZIA…IPOTESI DI REATO: CONCORSO IN FRODE FISCALE E DICHIARAZIONE FRAUDOLENTA
Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Zoppini si è dimesso, in seguito a un avviso di garanzia per frode fiscale e dichiarazione fraudolenta.
In un comunicato Zoppini ha spiegato così il suo gesto: «Sono stato raggiunto da una informazione di garanzia con riguardo a vicende delle quali mi sono occupato professionalmente alcuni anni fa. Ho piena fiducia nell’operato della magistratura e ritengo di potere chiarire ogni aspetto che mi riguarda», afferma.
Il sottosegretario è stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Verbania: le ipotesi di reato contestate sono concorso in frode fiscale e dichiarazione fraudolenta.
A Zoppini è stato notificato un avviso di garanzia e un invito a comparire.
L’iscrizione nel registro degli indagati del sottosegretario è stata decisa dalla procura piemontese dopo l’esame di documenti extracontabili della società Giacomini – importante azienda che produce rubinetti e impianti per il raffreddamento e di cui Zoppini sarebbe consulente -, acquisiti dalla Guardia di finanza nel corso di una verifica fiscale.
L’ipotesi al vaglio degli inquirenti è che Zoppini abbia aiutato i fratelli Corrado ed Elena Giacomini, titolari dell’omonima azienda a compiere una frode fiscale, con trasferimento e riciclaggio di ingenti somme di denaro all’estero, per la quale i due imprenditori sono stati arrestati domenica scorsa.
Inoltre alcuni soci dell’azienda hanno presentato una denuncia
Su questo aspetto della vicenda stanno indagando i carabinieri.
Appresa la notizia, il ministro della Giustizia Paola Severino ha così commentato la notizia di dimissioni: «Esprimo la piena fiducia e il mio profondo apprezzamento per il proficuo lavoro svolto dal prof. Andrea Zoppini in questi mesi di impegno in qualità di sottosegretario».
Poi ha aggiunto Severino: «Ho accolto con dispiacere le sue dimissioni che, nonostante le mie insistenze, il prof. Zoppini ha ritenuto di dover confermare. Comprendo la sua esigenza di poter così far valere pienamente le proprie ragioni nella sede appropriata».
Sostegno è arrivato anche da Pier Ferdinando Casini dell’Udc durante un colloquio telefonico: «Apprezzamento per una decisione di grande sensibilità istituzionale».
Zoppini è nato a Roma nel 1965. Laureato cum laude presso l’Università La Sapienza di Roma, ha studiato nelle università di Cambridge e Heidelberg.
Il 29 novembre 2011 Andrea Zoppini ha giurato come sottosegretario alla Giustizia del governo Monti. Oltrechè avvocato cassazionista con un prestigioso studio legale nel quartiere Prati – Astone e Zoppini – è anche professore ordinario alla facoltà di Giurisprudenza dell’università di Roma Tre, dove insegna Analisi economica del diritto e Istituzioni di diritto privato. In più è stato consulente di numerose aziende ed è uno dei 5 membri della camera arbitrale dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.
Un curriculum di tutto rispetto, quindi, che comprende anche diverse pubblicazioni fra cui un libro scritto insieme a Giulio Napolitano, figlio del presidente della Repubblica.
È stato uno dei più giovani sottosegretari del governo Monti e anche uno dei più ricchi.
Nel 2010 ha dichiarato quasi 1,5 milioni di euro, piazzandosi al secondo posto dopo Mario Ciaccia. Ha ricoperto numerosi incarichi: è stato membro della Commissione per la riforma del diritto societario, consulente del ministero del Tesoro e della Banca d’Italia, e fra gli autori del primo libro bianco sulle fondazioni in Italia.
Quando nel 2007 il centrosinistra vince le elezioni, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta lo sceglie come consigliere giuridico.
E in questa veste ha curato il disegno di legge sul rafforzamento delle authority. Nel 2008 è stato confermato dal governo Berlusconi come consigliere del sottosegretario Gianni Letta.
(da “Il Corriere della Sera”)
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