Maggio 26th, 2012 Riccardo Fucile
FLAVIA PERINA: “SI RESTITUISCA AGLI ITALIANI IL DIRITTO DI SCEGLIERE GLI ELETTI”
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C’è un’unica cosa che i partiti, o quel che ne resta, potrebbero dire al Paese per cercare un minimo di riqualificazione.
E cioè: ci rifiutiamo di mandare l’Italia alle urne con il Porcellum, vogliamo restituire al corpo elettorale il potere di scegliere gli eletti.
Non mi spiego perchè ci sia tanta resistenza a prendere posizione in questo senso.
Non me la spiego soprattutto nel Partito democratico, che anzichè tormentarsi sul tema delle alleanze e delle liste civiche, su Grillo o sui rottamatori, dovrebbe esercitare tutto il suo potere e la sua forza per archiviare “l’Italia dei nominati” sfuggendo alla tentazione di sfruttare la rendita di posizione che il sistema attuale in teoria gli garantisce.
Tutto quello che abbiamo visto negli ultimi due anni nelle piazze e nelle urne è legato alla richiesta di una rappresentanza decisa dalle persone e non dalle burocrazie politiche.
La mobilitazione delle donne di “Se non ora quando” ebbe come epicentro il caso di Nicole Minetti e dei sistemi di selezione delle cosiddette quote rosa.
Il corteo per la Costituzione del 12 marzo successivo mosse dalla protesta per il tentativo di cambiare la Carta da parte di un Parlamento del tutto screditato.
E poi le amministrative di Milano e Napoli con la vittoria degli “outsider”, il raggiungimento del quorum sui quattro referendum e il successo della raccolta di firme per l’abolizione del Porcellum (con il quesito poi bocciato dalla Corte costituzionale): tutto ci ha parlato e ci parla del desiderio collettivo di esercitare fino in fondo i diritti di cittadinanza, scegliendo oltre le pigre indicazioni delle segreterie di partito.
E anche la valanga di voti al Cinque Stelle, marca la riappropriazione dello spazio pubblico da parte della “gente normale”, non più disposta a mettersi in coda nelle anticamere di qualche assessore elemosinando una carriera in politica.
Che Silvio Berlusconi la butti in caciara è naturale.
L’unica speranza del Cavaliere per conservare almeno un ruolo di interdizione nella prossima legislatura è perpetuare il bipolarismo malato del Paese, e quindi la legge elettorale che lo ha costruito, con il vantaggio ulteriore di portare a Montecitorio una “legione tebana” di fedelissimi votati a scatola chiusa e quindi legati al Capo da un inossidabile patto di fedeltà . Ma gli altri?
Non c’è un coraggioso capace di far saltare la partita delle piccole convenienze e di pronunciare un netto “non ci sto”?
L’incapacità di rischio di questa politica mi sorprende perchè somiglia all’inane attesa degli eventi del ’93-’94, con la differenza che allora era semplicemente impensabile il collasso del sistema di potere costruito intorno alla Dc e al Psi e la sconfitta nelle urne del Pds, mentre oggi dovrebbero essere tutti consapevoli del pericolo di finire nel baratro.
E più di tutti dovrebbe saperlo la sinistra, che dalla “sindrome di Occhetto” non si è ancora liberata: avere la vittoria a portata di mano e vedersela scippare da un miliardario.
Coraggio, compagni, provateci: dite qualcosa di patriottico, una volta tanto, e se davvero volete sfidare Grillo rilanciate sul suo terreno.
Mai più nominati, si vada a discutere una nuova legge elettorale e basta meline su impossibili riforme costituzionali.
E anche gli altri che si preparano a giocare la partita, i Montezemolo e i soggetti di un possibile Partito della Nazione, chiariscano la loro posizione: non c’è altro modo per rispondere ai sospetti di gattopardismo e confermare il desiderio di cambiamento speso con generosità negli articoli che parlano di mercato, sviluppo, merito, sostituzione delle vecchie classi dirigenti. Il nuovo bipolarismo, da un pezzo già attivo in Italia, non ha nulla a che vedere con destra e sinistra, liberali e statalisti, post-questo e post-quello, ma ha come discriminante lo scontro tra chi difende questo sistema di partiti e chi ne vuole costruire un altro.
La prima area al momento è affollatissima, la seconda quasi vuota.
Chi farà una mossa per occuparla si prenderà l’unico spazio pubblico che al momento conta: quello del desiderio di partecipazione.
Gli altri, peggio per loro.
Flavia Perina
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 26th, 2012 Riccardo Fucile
SEMBRA INCREDIBILE BATTERE LA COMICITA’ DEI POLITICI, MA IL BLOG FENOMENO DELLA RETE CI RIESCE
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“La sottrazione di soldi pubblici per l’istruzione del Trota è falsa. È palese che il fatto non sussiste”. Quando l’inverosimile si fa duro, i duri cominciano, anzi continuano, a fare satira. Nell’epoca post-berlusconiana il sarcasmo amaro non basta più.
Più che la battuta politicamente scorretta, che si dimentica dopo un attimo, oggi serve un luogo che funzioni da memoria collettiva dell’assurdo che è stato: “Leggi le battute, ridi, e poi inorridisci: Davvero hanno fatto questo!”: è questa, nelle parole degli autori, l’essenza del blog-fenomeno Spinoza.it  , da cui è appena nato il libro Spinoza.
Qualcosa di completamente diverso (Aliberti editore).
Si tratta di un almanacco degli ultimi dodici mesi, un anno d’oro per la satira, tra morte dei dittatori, fine del berlusconismo, inchieste sui partiti, rottamazione dei rottamatori.
Gli autori sono Stefano Andreoli e Alessandro Bonino, che, assieme a una trentina di curatori, selezionano le battute inviate dai lettori, “circa mille al giorno”.
Le ragioni del successo di un blog che “raggiunge qualche milione di contatti al mese” stanno nel mix tra la battuta esilarante (“Ratzinger ha mostrato un’ampolla con il sangue di Wojtyla. È il segreto della sua fantastica sangria”), e quella che, insieme, fa gelare il sangue (“Ciao, sono don Marco e sono due settimane che non tocco un bambino”).
Bersagli particolarmente amati dagli spinozisti sono, oltre ai politici, la Chiesa, ma anche i giornalisti (“Sallusti vince il premio Hemingway: Per chi suona la panzana”) e le celebrieties (“Cagna adotta sei cinghiali. Ora la Jolie sta davvero esagerando”).
Nessuno viene risparmiato. Nè quando i protagonisti si ammalano o muoiono (“È morto Don Verzè. Su consiglio del commercialista”). Nè quando succedono eventi sconvolgenti, come la strage di Oslo (“Strage di giovani laburisti a Utoya. Dimezzati i rischi di avere un Matteo Renzi norvegese”).
“La nostra satira è diversa da quella dei giornali, perchè Internet ci permette di dire cose difficilmente pubblicabili altrove.
Una battuta come ‘Berlusconi ha sempre combattuto la mafia. Spesso nascondeva le ciabatte a Mangano’ — raccontano — è un esempio di come si possa veicolare un messaggio senza avere guai”.
Chi volesse tracciare un identikit politico dello spinozista doc deve però arrendersi: “Tutto quello che viene pubblicato è una sintesi delle nostre divergenze”.
LEGA NELLA BUFERA
“Una tragedia se le sei sottovento”. Le accuse: “Sulla Lega Nord l’ombra della ‘ndrangheta. Ma anche viceversa”.
Il punto è un altro, però: “Oggi tutti a dire che i leghisti sono ladri. Ma vi siete già scordati quanto sono stronzi?”. E gli investimenti a Cipro e in Tanzania? “Chissà Bossi cosa aveva detto”.
C’È CRISI
“Il passo del Vangelo su Erode è stato incluso nella manovra”. “Tua moglie, piuttosto che comprarti un regalo, te la darà ”. “Mia nonna mi ha regalato un passamontagna”. “In tv trasmettono Mamma e il gommone”; “Nel calendario Pirelli c’è la Merkel”. “Fuggono i cervelli? No, gli stomaci”.
B. SI È DIMESSO!
(Sottofondo audio: tripudio di miccette). “Il berlusconismo è finito. Pubblicità ”. Finalmente gli italiani possono sfogarsi. “Vergogna, hanno urlato allo specchio”.
La caduta di B. “è come la laurea: l’hai desiderata per anni, ti ubriachi e il giorno dopo non sai che cazzo fare”.
Numerosi però gli effetti positivi: “Mediaset congeda Fede: I soldi sono sul comodino”.
l premier è sempre più isolato (“stamattina è andato a farsi asportare due costole”), ma pensa a un film sulla sua vita politica: “Brivido quando si scopre che mamma Rosa è lui con la parrucca”.
LE MANOVRE
L’impatto sulle famiglie italiane sarà duro: “Cara, tu a quale figlio vuoi più bene?”. La Fornero piange: “Era la versione per non udenti”. Per fortuna arriva il contratto unico “Chi sarà il fortunato?”.
Ma c’è chi si rivolta contro le misure: “Briatore: Tassare gli yacht sarebbe una vera idiozia. Spiegategli che tassano il proprietario dello yacht”. Soluzione per gli esodati: “I nati nel 1952 d’ora in poi saranno nati nel 1964”.
ALEMANNEIDE
Contro l’inefficienza del sindaco il buon senso dei cittadini: “La capitale è coperta dalla neve. “Aho’, e giratela ‘sta boccetta!”. Alemanno attacca la Protezione civile: “Non aveva precisato che la neve sarebbe arrivata dal cielo”. La protezione animali si appella agli uccelli: “Lasciate briciole di pane sui davanzali”.
SINISTRAMENTE
Trionfo di Pisapia e De Magistris. “Non mi sentivo così felice dall’invasione della Cecoslovacchia”. Il Pd reagisce con campagna di tesseramento.
“Testimonial un panda”. D’Alema insiste “La politica che cerca un leader che comunica bene è superata”. Te lo auguro.
Caso Lusi: “Nel bilancio della Margherita c’erano voci poco credibili. Tipo: festeggiamenti elettorali”.
DITTATORI
Dopo la morte di Gheddafi “c’è ottimismo per il futuro della Libia. Il nuovo dittatore non potrà essere così pacchiano”.
Sulla cattura e la morte di Bin Laden “quindi da domani posso imbarcare lo shampoo nel trolley?”, si fa strada un’ipotesi fondata: “Tradito da un corriere. Così impara a ordinare il nuovo iPad”.
Elisabetta Ambrosi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 26th, 2012 Riccardo Fucile
LOTTA DI POTERE IN CURIA: IL SEGRETARIO DI STATO, CARDINAL BERTONE, COMBATTE PER LA SUA SOPRAVVIVENZA
L’arresto di un assistente papale per i Vatileaks è l’inizio di un nuovo capitolo disastroso per la Santa Sede.
Non la fine della vicenda.
Intanto rivela una drammatica vulnerabilità dell’entourage papale. Ma c’è di più. Quando si arriverà al processo contro i responsabili della fuga di documenti, Benedetto XVI potrà ringraziare il suo Segretario di Stato Tarcisio Bertone per altre ondate di pubblicità negativa a livello planetario.
L’affaire si intreccia con il caso Gotti Tedeschi.
L’estrema brutalità del comunicato con cui è stato silurato il presidente dello Ior è il segno che la lotta di potere all’interno della Curia ha raggiunto un livello di parossismo impensabile.
Mai era accaduto negli ambienti curiali, così felpati, che si colpisse così duramente nell’onore un uomo scelto dal Papa.
La reazione del Segretario di Stato, che fa sfiduciare pubblicamente Gotti, rappresenta la rottura di una tradizione.
Nella sua violenza svela la paura di Bertone di essere scalzato dalla carica.
In pari tempo la vicenda rimanda ad un pontefice debole e fragile, incapace come re Lear di tenere a bada la sua corte.
à‰ chiaro che c’è un gruppo clandestino in Curia (non un solo maggiordomo come nei gialli) a volere un cambio di gestione al vertice.
L’arma che gli oppositori agitano sono gli autogol internazionali di Bertone.
In un anno il Segretario di Stato, apparente vincitore in queste ore, ha piazzato tre formidabili boomerang, tutti dannosi per l’immagine di Benedetto XVI e il suo desiderio di garantire pulizia e trasparenza nelle finanze e nell’amministrazione vaticana.
Monsignor Carlo Maria Viganò, segretario del Governatorato, aveva denunciato corruzione negli appalti e in alcuni settori amministrativi.
Bertone lo ha rimosso quasi fosse un mitomane.
Agli occhi del mondo diplomatico e mediatico è apparso chiaro che Viganò è stato colpito perchè voleva fare pulizia.
Nel dicembre 2010 Benedetto XVI istituisce l’Autorità di informazione finanziaria, guidata da un cardinale, per portare lo Ior nella “lista bianca” del sistema bancario internazionale.
Passano pochi mesi e per iniziativa del Segretario di Stato si accredita la teoria che la trasparenza non vale per il passato e si emanano nuove norme, che imbrigliano l’autonomia della nuova Authority.
A nulla valgono le accorate proteste del cardinale Nicora e di Gotti Tedeschi. Secondo autogol e pessima figura presso Moneyval, l’organismo europeo incaricato di verificare lo standard antiriciclaggio delle banche d’Europa.
Il terzo autogol è la cacciata di Gotti Tedeschi.
Faceva resistenza all’operazione San Raffaele, voluta dal cardinale Bertone con il miraggio faraonico di un “polo ospedaliero cattolico” comprendente San Raffaele, policlinico Gemelli e l’ospedale di Padre Pio.
Gotti Tedeschi inoltre non condivideva lo stile di comando di Giuseppe Profiti, presidente del Bambin Gesù (condannato in primo grado per il coinvolgimento nello scandalo delle mense in Liguria: “concorso in turbativa d’asta”) e fatto vice-presidente del San Raffaele in quanto longa manus di Bertone.
Il Segretario di Stato non glielo ha mai perdonato.
L’aver perseguito, poi, una linea senza compromessi e attivamente critica nei confronti di Bertone per la questione della trasparenza dello Ior, è costata la testa a Gotti.
Lui lo presagiva e da mesi confidava agli amici: “Mi salva soltanto il rapporto con il Papa”.
Cosa succederà adesso? Il Segretario di Stato, con questa prova di forza, dimostra di volere resistere ad ogni costo alle pressioni rivolte a Benedetto XVI perchè lo sostituisca a dicembre in occasione dei suoi 78 anni.
Ma l’estrema debolezza di Benedetto XVI, che in queste vicende non è riuscito a tenere ferma la barra nella direzione da lui stesso auspicata, mostra che il pontefice ormai ottantacinquenne e fisicamente fragilissimo (e occupato a scrivere il terzo libro su Gesù) non riesce a tenere sotto controllo gli affari della Curia e si affida — anche a costo di buttare a mare persone che stima — al Segretario di Stato, da cui non sembra in grado di staccarsi.
Il mondo cattolico è disorientato.
L’Avvenire, mentre pubblica il comunicato vaticano, scrive che Gotti “aveva fatto proprio l’impegno per la crescita dello Ior nella trasparenza secondo standard internazionali”.
Ha commentato l’ex vicedirettore dell’Osservatore Romano Gianfranco Svidercoschi: “Nel comunicato vaticano che definisce criminale la diffusione dei documenti arrivati alla stampa non c’è una sola riga dedicata ai fatti ivi descritti”.
Il popolo delle parrocchie non ci capisce più nulla.
à‰ una deriva quale mai si era verificata in Santa Romana Chiesa.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 26th, 2012 Riccardo Fucile
L’ASSALTO AL POTERE E LE MANOVRE PER IL PROSSIMO CONCLAVE…LA SEGRETERIA DI STATO NEL MIRINO: ORA E’ CACCIA AI MANDANTI
C’è un dettaglio illuminante nella vicenda che lega l’arresto del cameriere di Sua Santità , considerato il “corvo” che passava le carte segrete vaticane ai media, alla cacciata di Ettore Gotti Tedeschi dalla presidenza dello Ior.
E tocca il Pontefice, il suo appartamento, unendosi alle dicerie sulla salute di Joseph Ratzinger, il quale invece sta bene per l’età che ha (85 anni), come risulta evidente a chi lo incontra e vede da vicino.
Perchè i documenti interni diffusi, e di recente pubblicati anche in un libro, non portano per la maggior parte il timbro della Segreteria di Stato vaticana.
Non sono usciti, cioè, da quell’ufficio, al quale pure sono arrivate.
Ma provengono direttamente dall’Appartamento papale, dove alcune erano ad esempio giunte al fax con il numero riservato di monsignor Georg Gaenswein, il segretario personale di Benedetto XVI.
E vista l’assoluta fedeltà dell’assistente tedesco – il quale per ragioni di opportunità giovedì scorso ha addirittura rinunciato a una conferenza a Pordenone dal titolo “Vi racconto il Papa”, eppure annunciata da due ampie pagine sull’Osservatore Romano e su Avvenire (“Es ist besser nicht”, meglio di no, gli ha detto Ratzinger) – per quanto incredibile questo sia apparso agli inquirenti vaticani, le indagini sui diffusori delle carte si sono infine concentrate sulla casa di Benedetto.
Nel cosiddetto Appartamento, con la A maiuscola, vive la Famiglia pontificia.
Composta
dalle persone che sono intorno al Papa. Chi ci abita rassetta, prepara e consuma i pasti con lui, tenendogli compagnia talvolta guardando la tv.
Sono loro a festeggiarlo nei giorni comandati e nei compleanni. Loro ad accogliere i visitatori esterni, come il fratello del Pontefice, monsignor Georg Ratzinger.
Nell’Appartamento circolano monsignor Gaenswein appunto, l’altro segretario, il maltese Alfred Xuereb, le quattro Memores domini, donne laiche che fanno vita consacrata, accudendo le stanze e preparando colazione, pranzo e cena.
E il cameriere del Pontefice, Paolo Gabriele.
Su di lui si sono appuntati i sospetti sia della Gendarmeria vaticana guidata dal comandante Domenico Giani, sia la commissione di indagine dei tre cardinali presieduta dal porporato spagnolo Julian Herranz Casado, allievo diretto del fondatore dell’Opus Dei, Josemaria Escrivà de Balaguer.
I “corvi” che hanno passato le carte fuori dalla Santa Sede, com’è noto da tempo, sono più d’uno.
Ieri la Segreteria di Stato è uscita allo scoperto, accusando addirittura Gotti (“era uno dei corvi” hanno detto), il quale però si è difeso contrattaccando (“li querelo”) .
Uno scontro al calor bianco che fa da sfondo alla cacciata dell’economista per “gestione insoddisfacente”.
La vicenda dei “Vatican leaks” si sta così allargando, scuotendo l’intero vertice della Santa Sede, con colpi feroci tra fazioni di cardinali, mentre il Papa assiste e si prepara a compiere, da qui a pochi mesi, passi decisivi.
Monsignor Gaenswein è rimasto molto toccato dalle critiche arrivate al Pontefice attraverso le carte.
E anche il segretario di Stato, Tarcisio Bertone – comunque lo si veda è però un fedelissimo di Joseph Ratzinger – è apparso provato dalla vicenda. Ha persino accarezzato l’idea, come già fatto in passato, di offrire il proprio posto e dimettersi.
Ma il Papa gli ha fatto subito capire che non se ne parlava nemmeno.
Alla destra di Benedetto, un gruppo di cardinali, arcivescovi e monsignori si è mosso in prospettiva futura con un obiettivo duplice e ambiziosissimo: la presa della Segreteria di Stato e, successivamente, addirittura la conquista del Conclave con un Papa scelto tra le proprie file.
E’ quello che un osservatore attentissimo di cose vaticane definisce “un vero e proprio colpo di Stato”. E le menti che hanno concepito il piano sono le stesse che hanno foraggiato i media, attraverso i “corvi”, di carte segrete al fine di portare scompiglio e far cadere il governo vaticano.
Il progetto è fallito. La Santa Sede è attualmente sottoposta a dure critiche da parte dell’opinione pubblica internazionale, con un’immagine intaccata.
Ma il golpe non è riuscito perchè il Papa – che contrariamente a quel che si è vociferato è pienamente in salute – sa tutto, conosce i membri dell’una e dell’altra fazione, ed è deciso a regolare la faccenda al tempo dovuto e, com’è d’uso, senza clamori.
Bertone a dicembre compirà 78 anni ed è possibile un suo passo indietro.
Alcuni osservatori danno per favorito l’attuale prefetto della Congregazione per il clero, il cardinale Mauro Piacenza, che lo scorso anno ha ottenuto da Benedetto una doppia promozione: la berretta cardinalizia e la guida di un dicastero.
Le strade che il Papa ha davanti sono più d’una: riconfermare Bertone; accettare infine le sue dimissioni e sostituirlo con Piacenza; oppure cambiare del tutto cavallo scegliendo un outsider per sgombrare il campo dai durissimi scontri interni.
Questa terza ipotesi riguarda l’attuale ministro degli Esteri, il corso Dominique Mamberti, che gode della considerazione di Bertone e, allo stesso tempo, viene considerato un candidato debole per non ostacolare le ambizioni alla destra del Papa dei diretti interessati alla Segreteria di Stato.
Si è cercato, da questo fronte, di accreditare l’idea che la Commissione cardinalizia di indagine fosse priva di mordente e di capacità operativa.
In realtà , proprio quella composizione (Julian Herranz Casado, Jozef Tomko, Salvatore De Giorgi) è stata ed è la chiave del successo dell’inchiesta, non ancora conclusa, perchè i tre anziani cardinali sono ben presenti a loro stessi.
E soprattutto non hanno ambizioni proprie o per altri.
Diversa la battaglia sul futuro Conclave.
Nel Novecento, quasi sempre i Pontefici hanno informalmente indicato i propri successori, puntando i riflettori sui loro preferiti.
È accaduto da Pio XI in poi. Benedetto XVI ha forse in mente il proprio successore.
Ora gli osservatori si attendono da lui un segno.
Le voci false diffuse sul suo stato di salute (“ha un tumore al fegato”, “ha avuto due ischemie”), puntano a delegittimarlo.
Ma il Papa per ora è saldo e guarda al proprio domani, pensando anche al futuro della Chiesa.
Marco Ansaldo
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Maggio 26th, 2012 Riccardo Fucile
LA LEGA E IL FUTURO SENZA BOSSI: MARONI RISCHIA DI EREDITARE IL VUOTO
Non fu certo lo sfarzo a colpirmi l’unica volta che Umberto Bossi mi ricevette a Gemonio, con la moglie Manuela, nell’epoca lontana del secessionismo e del Dio Po.
Un villino da ceto medio, e gli arredi da mobilificio brianzolo refrattario al design, testimoniavano la sobrietà di una famiglia pervenuta al benessere da poco.
Lasciava semmai interdetti la galleria di ritratti naif del padrone di casa immortalato nelle più varie pose eroiche, dal medievale al contemporaneo, che tappezzavano gran parte delle pareti domestiche.
Evidentemente omaggi devozionali ricevuti in giro per le feste padane, esposti in un tripudio autocelebrativo kitch che non può aver lasciato indifferente la prole.
La trasmissione dinastica della sovranità di padre in figlio, tipica di un movimento carismatico “sangue e suolo”, trovava nel museo casalingo un’intima consacrazione.
Degenerata infine nel grottesco dello scandalo, oltre che nell’umano fallimento di un progetto familiare.
Ora che Bossi somiglia davvero alla caricatura Forrest Gump che ne fa Maurizio Crozza, solitario e malinconico sulla panchina, mentre la cronaca delle paghette e delle false lauree oltrepassa la fantasia della satira, pensarlo seduto in quel tinello a rispecchiarsi nei ritratti della gloria perduta ha un che di drammatico.
Benchè sia impietoso a dirsi, per avere almeno una speranza di sopravvivere la Lega deve liberarsi del suo amato fondatore.
Lo ha constatato con equazione inoppugnabile Flavio Tosi: se Bossi ammette di aver consentito emolumenti di denaro pubblico ai figli, non può certo fare il presidente federale.
Ma se viceversa sposa l’improbabile versione del raggiro perpetrato ai suoi danni, ammesso e non concesso che i militanti gli credano, egli denota plateale inadeguatezza a rivestire il ruolo di Capo carismatico.
In ogni caso è finita, e lui lo sa benissimo.
Protetto dall’anonimato, un dirigente del nuovo corso leghista lo spiega brutalmente: «Se Bossi non vuole passare per deficiente, se vuole evitare i fischi della nostra gente arrabbiata, gli conviene optare per il buen retiro».
Ufficialmente il triumvirato leghista non ha ancora preso atto dell’equazione di Tosi, forse confidando che sia lo stesso Bossi a toglierli dall’imbarazzo con una rinuncia alla presidenza annunciata prima del congresso federale.
Ma nel frattempo è sintomatico che la violazione del tabù di una Lega senza Bossi stia suscitando proteste solo marginali: alla staffilata del sindaco di Verona replicano alcuni parlamentari della vecchia guardia, ma nessuna figura leghista di primo piano.
La spiegazione è rinchiusa nel tinello di Gemonio.
Per quanto la moglie Manuela Marrone e l’antico compagno d’armi Giuseppe Leoni s’affannino a ripetere che “non è concepibile una Lega senza Bossi”, è proprio lui, l’Umberto ferito, a non crederci più.
Chi l’ha incontrato alla cena di Lesa, sabato 19 maggio, nell’unica, superprotetta uscita pubblica, ha dovuto constatare l’assenza in Bossi di qualsivoglia spirito di rivincita.
E perciò i dirigenti leghisti a lui più vicini ne trarranno le conseguenze, confida agli intimi l’ex capogruppo dei deputati Marco Reguzzoni, che ha sospeso ogni attività politica e si dedica all’azienda di conservazione delle cellule staminali Biocell che ha fondato a Busto Arsizio.
Il bollettino delle iniziative di partito pubblicato su “La Padania” registra da tempo l’assenza del capogruppo al Senato, Federico Bricolo.
Anche il sorvegliato speciale Calderoli, una volta tra i più solerti nel rintuzzare ogni critica rivolta a Bossi, sull’equazione di Tosi ha preferito soprassedere. Proprio come i navigatori esperti Roberto Cota, Luca Zaia, Andrea Gibelli che rappresentano la Lega al governo nelle tre regioni padane.
Prima dello scandalo la casta dei veterani, parlamentari ormai da quattro o cinque legislature, confidava bastasse anche un Bossi debilitato a impersonare con la sua sola esistenza la natura carismatica del movimento. Poco importava che il figlio Renzo risultasse un erede improbabile: lo mostravano in giro il minimo necessario come icona della continuità intangibile, per continuare a godere di una rendita di posizione che a loro costava solo il prezzo modico di una fedeltà apparente.
Ma ora che la commistione fra interessi privati e ruolo politico della famiglia Bossi si è rivelata clamorosamente in pubblico, solo i cultori più devoti della Lega carismatica riescono ancora a viverla come un fatto naturale. Dovuto. “Bossi è la Lega”, ti spiegano, “la Lega senza Bossi non è più tale. Cosa può importare, allora, se un uomo che avrebbe potuto arricchirsi come e quando voleva, un leader disinteressato al denaro, lascia che i figli attingano alle casse di un partito che gli deve tutto?”.
Non è solo un moto sentimentale. I fedelissimi bossiani, più numerosi di quanto non appaia, ostili a Maroni perchè vedono in lui un politico tradizionale dispensatore di realismo ma avaro di passioni, rappresentano l’energia populista in nome della quale tutto si giustifica, perchè il fondatore può essere insieme santo e maledetto, ma in ogni caso non è un uomo come gli altri: è la voce autentica del popolo, dunque a suo modo resta comunque un sovrano.
In altre circostanze storiche i populisti bossiani l’avrebbero avuta vinta perfino sullo scandalo.
La base innamorata si sarebbe bevuta volentieri la leggenda del Capo perbene raggirato dalle forze del male.
Ma è la sconfitta politica, prima ancora della dèbacle elettorale, che tarpa le ali ai populisti propensi a ignorare le ruberie: Bossi ormai può presentarsi in pubblico solo per invocare perdono, umiliandosi come ha già fatto a Bergamo tra le ramazze della base, quando non era ancora risaputa la storia dei soldi ai figli, cioè l’inquinamento dell’asse ereditario.
Sconfitta politica più scandalo ruberie sono la miscela che rende ineluttabile ciò che fino a ieri non era neppure concepibile: una Lega senza Bossi, o comunque con Bossi isolato ai margini.
Lo stesso Maroni tende a rinviare questo passaggio drammatico perchè l’uccisione del padre in un movimento carismatico rischia di produrre un disincanto dal quale non ci si risolleva.
Spera che Bossi lo aiuti nel passaggio, accontentandosi dell’onore delle armi. Confida che il fondatore debilitato non commetta l’ingenuità di rivendicare la proprietà del simbolo elettorale e degli immobili di cui è intestatario con la moglie e con Giuseppe Leoni.
Una reazione miope e disonorevole, di mera salvaguardia patrimoniale.
Il tentativo di Maroni – disincagliare la Lega dalla sua leadership originaria carismatica ma ormai compromessa – è un azzardo che deve guardarsi non solo dal rimpianto dei bossiani, dalla frustrazione degli amministratori locali sconfitti, dagli etnonazionalismi indipendentisti che covano sotto la cenere, soprattutto in Veneto.
Proprio a Maroni, un professionista della tattica politica, tocca vestire provvisoriamente i panni innaturali del populista e adombrare l’ipotesi suggestiva di una Lega che rinuncia alle poltrone romane di Camera e Senato.
E’ un bluff, ti spiegano sottovoce: «Perchè farsi del male da soli? Lo slogan ‘basta con Roma’ servirà a sbarazzarsi del vecchio notabilato parlamentare e a decidere, nel congresso federale di fine giugno, che a costo di eleggere solo pochi rappresentanti la Lega si presenti alle elezioni politiche da sola, senza alleanze».
Tanto la partita della sopravvivenza si giocherà dopo il 2013, col tentativo di mantenere almeno in parte il presidio delle regioni del Nord, dove oggi il Carroccio dispone di due presidenti, un vicepresidente e 14 assessorati.
Nel frattempo tocca riabituarsi alla marginalità delle origini, mitizzata come il tempo antico della Lega pura e dura; dimenticando che si trattò di un coacervo litigioso che solo il carisma di Bossi riuscì con fatica a domare, fra continue rivalità localiste e raffiche di epurazioni.
Da oltre un decennio la Lega s’era abituata a giovarsi del potere di ago della bilancia negli equilibri romani, valorizzando la vocazione manovriera dei Maroni e dei Calderoli.
Poi toccava a Bossi il ruolo dell’incantatore viscerale sintonizzato con la base.
A dispetto del nome che si è scelto per la sua corrente, Maroni non è nè barbaro nè sognatore.
Potrà fare tendenza con gli occhiali rossi e con il rock, ironizzare sul guaio di nome Trota, ma ci vuole ben altro per colmare il vuoto lasciato da Bossi. Rinchiuso a Gemonio fra i ritratti del suo eroismo perduto, il vecchio fondatore continuerà a incombere sulla Lega costretta a fare a meno di lui. Maestro nel coniugare la furia plebea col buonumore, Bossi subisce in silenzio la pena del ridicolo.
Sono i paradossi del populismo quando l’incendio si riduce a fiammella e la brace si scioglie in cenere.
Perfino il vecchio dileggiato Miglio, lassù, sta facendosi una risata delle sue: che beffa, proprio quando l’Europa rischia di esplodere frazionata secondo le sue premonizioni, la burocrazia leghista è costretta a ripudiare con Bossi il suo mito fondativo.
Gad Lerner
(da “La Repubblica“)
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Maggio 26th, 2012 Riccardo Fucile
“IL GOVERNATORE NON MI HAI RESTITUITO NULLA”…LA CONFESSIONE SI BASA SULLE RIVELAZIONI DEL MARINAIO CHE GESTIVA LO YACHT “AD MAIORA” A DISPOSIZIONE DI FORMIGONI… FATTURE PER 50.000 EURO PER IL RESORT A SETTE STELLE SALDATE DALL’IMPRENDITORE
“Da anni, da giugno a settembre lo yacht Ad Maiora è a disposizione di Formigoni… Il presidente è stato mio ospite per tre capodanni ai Caraibi, non mi ha restituito nulla…”.
Arriva dal carcere di Opera la risposta alla domanda a Roberto Formigoni su chi gli abbia pagato le recenti, lussuose vacanze.
Arriva dal verbale rilasciato sabato scorso da Pierangelo Daccò, il lobbista-consulente-faccendiere, detenuto dal 15 novembre.
LA VERITà€ DEL MARINAIO
Non è raro che a bucare le versioni più blindate siano i dettagli. In questo caso è il marinaio responsabile dello yacht dal simbolico nome Ad Maiora a permettere ai pubblici ministeri un salto di qualità : “Tutte le estati, da giugno a settembre – questo si legge in sintesi sul verbale – lo yacht era messo nella disponibilità esclusiva del presidente della Regione Lombardia. Daccò usava l’altra barca, riservando Ad Maiora a Roberto Formigoni”.
A STAGIONE COSTA 50MILA EURO
Quando il procuratore aggiunto Francesco Greco e i suoi sostituti mettono questa verità portuale (e non politica) sotto gli occhi del milionario detenuto, Daccò reagisce. È ritenuto il perno delle inchieste nate sul crac dell’ospedale San Raffaele e sul dissanguamento dei conti della fondazione Maugeri. Cerca di trovare le parole giuste: “Non si può definire come un’esclusiva, perchè qualche volta m’imbarcavo anch’io. Però effettivamente ogni anno, da diversi anni, da giugno a settembre Ad Maiora è a disposizione di Formigoni”.
In Liguria, in Sardegna, per i weekend, e con la mania del presidente per il fax, che costringe a deviazioni di rotta, in modo da poter ricevere e trasmettere ritagli di giornali e documenti. La barca costa, quanto?, domandano i magistrati. “I costi oscillano tra i 30mila e i 50mila euro a stagione”, è la risposta.
Contributi, divisione spese? Zero.
Sa o no Roberto Formigoni che Eurosat Telecommunication Ltd, la società irlandese di Daccò, ha pagato quasi 150mila euro di costi vivi dello yacht Ad Maiora, escluse le spese del personale, che comprendono stipendio e carta di credito per le spese quotidiane?
“Formigoni era mio ospite, non mi ha mai restituito nulla”, ammette Daccò. Tanti parlano di ‘amicizia’, in questa storia, e non di favori, benefici, regali di varia natura.
Nemmeno parlano di lobby, anche se “Ricordo che Daccò mi disse che era opportuno continuare ad avere la disponibilità della barca perchè – si legge nel verbale del ‘socio’ di Daccò, l’ex assessore dc Antonio Simone – poteva servire per le pubbliche relazioni”.
IL JET PRIVATO PER LE ANTILLE
Queste gite nautiche gratis e ‘a disposizione’ del governatore rappresentano una novità dell’inchiesta.
Ma l’analogo canovaccio emerge finalmente per la questione spinosa e polemica dei viaggi esotici: “Formigoni – dice Daccò – è stato mio ospite in almeno tre capodanni alle Antille”. Parole semplici.
Per capirle sino in fondo, partiamo però dall’ultimo capodanno così come l’ha vissuto il portafoglio del lobbista: “Per quello del 2010/2011 – questa la sintesi del suo verbale – ho speso 100mila euro per il noleggio di un jet privato”, quello della società Alba Servizi.
Quest’ultima è una società del gruppo Mediaset, alla quale il San Raffaele aveva messo a disposizione un monte ore di volo.
La prima a parlarne è stata Stefania Galli, la segretaria del defunto Mario Cal, ex amministratore del San Raffaele: “Una volta mi fu detto dal dottor Cal di prenotare un volo per San Marteen a bordo del quale ci sarebbe stato Daccò e Formigoni”, e anche in quel caso per pagare arriva Eurosat, come per lo yacht.
La procura milanese, cercando i diari di bordo del jet, scopre che non riportano i dati dei passeggeri.
È dunque Daccò, nell’interrogatorio di sabato scorso, a svelare ai magistrati che in quel capodanno 2010/2011 “il jet ha portato me, Formigoni, il suo segretario Willy e Roberto Perego alle Antille e poi è tornato a riprenderci”. Willy è Mauro Villa.
LE VERSIONI DI FORMIGONI
S’impone ora un piccolo salto nel tempo. Arriviamo agli inizi dello scorso aprile, in un palazzo della Regione Lombardia che trema, e ha già visto arresti e dimissioni.
Formigoni, che appena l’anno prima aveva usufruito – e noi lo sappiamo da questo recente verbale, lui per averle vissute – delle vacanze supervip gratis, non esita: “Non ho mai ricevuto neppure un euro da nessuno (…) Non ho nulla da rimproverarmi sulla vicenda delle vacanze, io non ho pagato niente a Daccò e lui non ha pagato niente a me (…) Grazie a Dio, ho la possibilità di pagare (…) Comunque, non costituirebbe nessuna fattispecie di reato ricevere cose in dono”. Ma di quali doni esattamente parla?
LE FATTURE 2011 DI DACCà’
I pubblici ministeri sabato scorso portano a Daccò due fatture, che riguardano appunto l’ultimo capodanno e il costoso Resort a sette stelle.
La somma è di circa 50mila euro: “Sì, le riconosco, riguardano il costo d’affitto. Formigoni era mio ospite – questa è la linea di Daccò – e non mi ha restituito nulla, nè per il soggiorno nè per il volo”. Ancora una volta, parole nette.
I CONTI 2009 DI DACCà’
Tra i fatti certi, ce n’è uno: Roberto Formigoni all’inizio dello scandalo “non ricordava” nemmeno dove avesse passato le feste il capodanno, nonostante si trovasse in uno di quei posti che vengono considerati “indimenticabili”. “Devo consultare le agende”, annaspava.
“A che titolo mi fa questa domanda? Vale la parola del Presidente”, reagiva sui conti. Quando sono emersi i primi documenti bancari di Daccò e, accanto ai biglietti aerei, il nome Formigoni, il presidente ha recuperato in pubblico porzioni di memoria.
Ci sono i due biglietti Air France per Parigi emessi il 27 dicembre 2008, per il presidente della Regione e Alberto Perego, memores di Cl, collaboratore di Formigoni, 4.080 euro cadauno.
C’è una ricevuta da 9.637 dollari, pari a 7.180 euro, datata 9 gennaio 2009, a saldo di un soggiorno presso l’Altamer Resort di Anguilla.
Inoltre – ed è noto a chi segue le cronache politico-giudiziarie del presidente Formigoni – in quel periodo il generoso Daccò ha pagato con carta di credito, tra il Cuisinart Resort&Spa, altri ristoranti e intrattenimenti, 6.226 euro in più. Il totale ammonta a 13.406 euro.
LA LETTERA A TEMPI
Con questo bagaglio d’informazioni, arriviamo all’autodifesa che il 21 aprile scorso Formigoni invia al settimanale Tempi, che sul sito sta pubblicando anche le corpose lettere dal carcere di Simone, il coindagato di Daccò e amicissimo di Formigoni.
“Le spese delle carte di credito di Daccò sono elevate perchè si riferiscono a conti collettivi. E se ci sono biglietti aerei e una settimana di vacanza alle Antille con cifre importanti, scusate tanto, non sono Brad Pitt, ma – scrive Formigoni – me le posso pagare con il mio stipendio”.
Purtroppo, sostiene, non ha le ricevute: “Le ho buttate; scusate, è un reato?”, domanda, e rilancia, parla di “deriva gossippara”.
Certo, non è reato buttare le ricevute, è che sembra non ci fossero.
Lo dice Daccò nel verbale, dove precisa: “Anche nelle due precedenti vacanze di capodanno Formigoni era mio ospite, e non mi ha restituito niente”.
Neppure un euro di spesa per il soggiorno. Nemmeno un euro di viaggio.
Chi ha letto le carte, e conosce questo passaggio, si chiede perchè mai un politico di lungo corso come Formigoni parli con ostinazione di divisione delle spese “tra amici”.
E perchè mai Daccò, nel verbale, spieghi di non aver preso nemmeno in considerazione l’idea del rimborso, avendo con lui un rapporto di “pura amicizia”.
Tocca a magistrati, detective e avvocati aiutare l’opinione pubblica a capire che cosa è successo e come sono andati i fatti, intorno ad aziende sanitarie che avevano dalla Regione rimborsi cospicui e pagavano profumatamente, e non si capisce bene perchè, ‘amici’ di Formigoni.
Ma intanto è legittimo chiedere: perchè il presidente Formigoni inganna e mente su tre anni di vacanze natalizie gratis?
È gossip pretendere una risposta da un amministratore pubblico?
Davide Carlucci e Pietro Colaprico
(da “La Repubblica“)
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Maggio 26th, 2012 Riccardo Fucile
L’ANALISI DEL POLITOLOGO PIERO IGNAZI, DOCENTE DI POLITICA COMPARATA ALL’UNIVERSITA’ DI BOLOGNA
Piero Ignazi, politologo sessantenne con cattedra di Politica Comparata all’Università di Bologna, nei suoi libri ha parlato di “nuovi radicali”, “polo escluso”, “utopia concreta” , “post fascisti” e “seduzione populista”.
Nessuna di queste immagini, secondo lui, possono oggi essere accostate al Movimento 5 Stelle. “La loro non è utopia e neanche populismo. Sintetizzando la definirei protesta pragmatica, enfatizzata e spettacolarizzata da Grillo”.
Il Movimento 5 Stelle durerà ?
Troppo presto per dirlo. È già successo che sia finita quasi subito, ad esempio con l’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini. Di sicuro, se durerà , dovrà cambiare. Affrontando una fase di istituzionalizzazione che sarebbe inevitabile a fronte di un chiaro successo alle prossime elezioni politiche. Se vogliono sopravvivere, devono istituzionalizzarsi . Non c’è altra strada.
Gli scontri interni, spesso incentrati sul ruolo dominante di Grillo, non sembrano per loro incoraggianti. Da cosa dipende la sopravvivenza?
Da molti aspetti, tra cui un dato a favore del Movimento: l’ampia fascia di elettorato libero. Soprattutto nel centrodestra. E proprio da lì dipenderà il successo definitivo. Nel programma del Movimento 5 Stelle ci sono sicuramente più idee associabili alla sinistra che non al liberismo berlusconiano, ma adesso la loro sfida è fare il pieno nel centro-destra.
Catalizzando i voti della Lega e non solo, a giudicare dal ballottaggio di Parma.
Tra gli elettori del centrodestra c’è molta ostilità . E il Movimento di Grillo la attira fatalmente. È un aspetto fondamentale. A quel punto, e Parma è emblematica, una parte di elettorato berlusconiano vota Grillo per fare un dispetto alla sinistra (che è sempre un bel motivo per loro). E l’altra parte lo vota perchè avverte qualcosa di affine.
L’erosione dei voti a sinistra è già finita?
No. Il nucleo fondante rimane quello: i fedelissimi di Grillo sono principalmente delusi di sinistra. Ma i sostenitori della prima ora dei 5 Stelle non avrebbero mai portato alle cifre attuali. Il segretario del Pd di Bologna, commentando la vittoria risicata a Budrio, ha ammesso chiaramente che la situazione è molto meno rosea di quanto si vuol far credere.
Bersani pensa il contrario.
La sua retorica è comprensibile, vuole infondere entusiasmo e sicurezza. Il Movimento 5 Stelle, per avere successo, ha bisogno di un tessuto culturale denso: persone che leggono, che navigano in Rete, che si informano. L’Emilia Romagna è il teatro perfetto e le elezioni, sin dal 2010, ne sono la prova. Ma ripeto: se il botto vero ci sarà , sarà a destra. A sinistra Grillo può rosicchiare ancora qualcosa, ma non molto di più. A destra c’è invece tanto spazio da occupare.
Per il Pd, e per molti intellettuali, il Movimento 5 Stelle fa leva su populismo e demagogia.
È semplicistico. La protesta c’è e Grillo fa i suoi show, ma dietro ci sono molte idee positive. E concrete. Non si limita allo sterile abbaiamento alla Luna di Bossi. Penso all’attenzione per l’ambiente, per Internet. O alla lotta alle spese folli della politica.
Il programma è un po’ specifico. Forse di nicchia.
Erano specifici anche i programmi dei partiti veri, fino a vent’anni fa. Soprattutto sui temi ambientali. Poi si sono allargati e ramificati. Non sempre in meglio.
Perchè il Movimento 5 Stelle è fortissimo e del Popolo Viola si sente parlare molto meno?
Credo che le due cose siano legate, anzi sono convinto che gran parte della società civile abbia trovato in questa realtà politica ciò che cercava. Indebolendo anzitutto Sinistra e Libertà e Italia dei Valori. Sono comunque felice che Grillo mi abbia dato ragione su un punto.
Quale?
In molti libri ho scritto che, in Italia, la nuova fase di protesta sarebbe rimasta in ambiti pienamente democratici. Grillo lo ha ribadito e dimostrato: in Francia votano Le Pen, in Grecia i neo-nazisti, da noi il Movimento 5 Stelle.
Andrea Scanzi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 26th, 2012 Riccardo Fucile
“LE MINACCE E LE INTIMIDAZIONI NON CI FERMANO, LE CALUNNIE E GLI INSULTI NEMMENO, MA ABBIAMO BISOGNO DEL VOSTRO AIUTO”… SONO TUTTI VOLONTARI, MA BOLLETTE, FOTOCOPIE, VISURE CAMERALI E CATASTALI, MATERIALE INFORMATICO COSTANO: DIAMO UNA MANO A CHI LA MAFIA LA COMBATTE CON DENUNCE CIRCOSTANZIATE E NON SOLO A PAROLE
La Casa della Legalità opera solo con il volontariato. Nessuno è pagato. I fondi servono per pagare le spese vive delle attività (spese telefoniche, adsl, spostamenti, visure camerali e catastali, stampe, materiali informatici,…).
Senza fondi non si va avanti, nonostante molto spesso chi collabora al lavoro della “Casa” ci metta del suo, pagando ciò che la “Casa” non riesce a pagare (dalla benzina all’autostrada, ad esempio… per non contare i danneggiamenti che subiscono le auto “conosciute” di chi opera con la “Casa”).
I risultati del lavoro portato avanti in questi anni, nonostante queste difficoltà , sono arrivati. Altri stanno per arrivare. Forse questo non interessa…. Forse ciò che facciamo non serve.
Per promuovere una raccolta fondi ed al contempo un’azione di informazione, stavamo preparando una nuova pubblicazione, il secondo volume dei “Quaderni dell’Attenzione”, ma è sopraggiunto anche il “dettaglio” del sito internet da ricostruire completamente (ed anche qui il tecnico che ci aiuta lo fa gratuitamente).
Da gennaio ad oggi sono giunte donazioni per 1.060 euro (e per la penultima bolletta adsl, telefonia, pennina connessione, pc, un sostenitore ha anticipato il tutto).
Ora ci risiamo.
Da domani saremo senza Adsl e senza possibilità di effettuare chiamate telefoniche. Saremo, ovviamente, bloccati, nelle attività di inchiesta (niente visure camerali e catastali, niente sopralluoghi…)
Gli appelli a sostegno della Casa della Legalità non sono mancati.
Così come alcuni sostenitori che periodicamente ci mandano le loro donazioni.
Ma con questo quadro non si va avanti. Non ce la possiamo fare, e crediamo sia evidente.
Dalle Istituzioni riceviamo complimenti e ringraziamenti in alcuni casi, querele di vari esponenti politici e “istituzionali” dall’altro, e nessun contributo pubblico!
E’ vero: non facciamo nulla per conquistarci degli “amici”.
Diciamo e scriviamo, così come denunciamo, tutto ciò che è nesessario… su tutti, senza sconti e guardando sempre a 360° con gli stessi criteri.
Non ci siamo venduti a nessuno e mai ci venderemo…
Non siamo nati per fare da “paravento” e non ci pieghiamo a strabismi di comodo… e probabilmente questo è il nostro “problema”!
Se non serviamo ditecelo, con chiarezza.
L’Ufficio di Presidenza della Casa della Legalità – Onlus
– Il quadro di tutte le donazioni giunte da sempre è qui:
http://www.casadellalegalita.info/component/content/article/109-autofinanziamento/9367-le-donazioni-giunte.html
– La pagina con i dati per inviare donazioni (bonifico bancario o online con paypal) è qui:
http://www.casadellalegalita.info/home-mainmenu-1/autofinanziamento-mainmenu-70.html
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Maggio 26th, 2012 Riccardo Fucile
LA REGOLA DEI CENTO GIORNI… INCERTEZZA DOPO LA RIFORMA DELLA PROTEZIONE CIVILE
C’è una data da segnare sul calendario dei tempi difficili che attendono l’Emilia Romagna. È il 28 agosto di quest’anno, quando scadrà lo stato d’emergenza che sarà deciso oggi dal Consiglio dei ministri e che, con la riforma della Protezione civile appena approvata, non può durare più di 100 giorni.
Fino ad allora toccherà allo Stato coprire i costi del terremoto di domenica.
Ma nelle prime settimane, dice l’esperienza, c’è spazio per i soccorsi, per gli interventi urgenti, al massimo per la messa in sicurezza.
Scaduti i 100 giorni, senza alcuna possibilità di proroga, la palla passerà alle Regioni. Toccherà all’Emilia Romagna, dunque, pagarsi la ricostruzione?
La risposta, in realtà , è un punto interrogativo.
La riforma della Protezione civile è ambigua: dice che suonato il gong dei 100 giorni lo Stato si chiama fuori, ma poi sulla fase due non spiega quasi nulla.
In prima fila c’è la Regione perchè ha in mano la «tassa della sfortuna» nella sua nuova versione facoltativa, con la possibilità di alzare fino a 5 centesimi le accise sulla benzina.
Ma è difficile che una leva del genere basti per ricostruire case, ospedali, uffici e tutto quello che viene giù quando la terra trema.
Il vero obiettivo del governo è infatti un altro, e cioè spostare il costo della ricostruzione dalle casse pubbliche, anche loro in un certo senso terremotate, al settore privato.
Per questo la riforma fa un primo passo, introducendo su base volontaria le assicurazioni anticalamità sulle case.
Ma il sistema non è ancora pronto, e stavolta Stato e Regione si divideranno le spese per gli interventi di lungo periodo.
Come dice il sottosegretario Antonio Catricalà «passati i 100 giorni lo Stato non abbandonerà l’Emilia». Il percorso, però, è tracciato.
Oggi, dice Catricalà , «il governo valuterà tutte le richieste degli enti locali, coinvolti nel sisma come il rinvio dei pagamenti, di tributi e dei contributi e la derogabilità al patto di stabilità . Faremo tutto ciò che è necessario fare, tutto quello che è possibile fare».
Appena due mesi fa, alla Camera, è stato il capo del dipartimento Franco Gabrielli a indicare chiaramente l’obiettivo finale: «Credo che un’assicurazione obbligatoria sia uno strumento utile e rappresenti anche una forma di equità ».
Nelle prime bozze del decreto si parlava di polizze obbligatorie, non facoltative.
Ma poi, visto che sulla casa sta già arrivando l’Imu, il governo ha preferito frenare. Adesso per far partire il sistema ci vuole, entro 90 giorni, un regolamento che stabilisca i dettagli e anche la deducibilità delle polizze dalle tasse in modo da favorirne la diffusione.
A quel punto, in caso di calamità , le case assicurate saranno ricostruite dalle compagnie private mentre a tutte le altre continuerà a pensare la Regione o lo Stato. Anche il comunicato che sarà diffuso dopo il Consiglio dei ministri di oggi preciserà che questa novità non riguarda il terremoto di domenica perchè il regolamento ancora non c’è.
Ma lo scenario fa discutere, specie a sinistra.
Dal Pd Rosi Bindi chiede al governo di «cambiare questa stranezza», mentre l’ex sottosegretario all’Interno Ettore Rosato avverte che «bisogna spiegare bene che cosa succede dopo quei 100 giorni, che forse sono pure troppo pochi».
Le stime dicono che il costo medio di una polizza anticalamità sarebbe di 100 euro l’anno.
Ma con differenze enormi.
Ecco cosa osservò l’allora sottosegretario alla Protezione civile Franco Barberi: «Le assicurazioni farebbero pagare prezzi altissimi nelle zone a rischio per non andare gambe all’aria come avvenuto a molte compagnie della California».
Era il 1998, a parlare di assicurazione era stato Romano Prodi, e da allora tutti i governi ci hanno provato per poi fare marcia indietro.
Anzi, Prodi non fu nemmeno il primo.
Nel 1993 toccò al governo Ciampi, con il sottosegretario Vito Riggio aprire verso una proposta che finanziava l’assicurazione aggiungendo l’1 per mille all’Ici.
Adesso il consiglio degli architetti propone di usare un pezzo dell’Imu per risarcire i danni.
Cambiano i nomi, ma siamo sempre lì.
Lorenzo Salvia
(da “Il Corriere della Sera”)
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