Maggio 3rd, 2012 Riccardo Fucile
DALLA CASSAFORTE DI BELSITO SPUNTA A SORPRESA LA LAUREA IN GESTIONE AZIENDALE DI RENZO BOSSI RILASCIATA DALL’ATENEO PRIVATO DI TIRANA KRISTAL.. CONSEGUITA A SETTEMBRE 2010 E SI IPOTIZZA PAGATA COI SOLDI PUBBLICI DEL PARTITO… RITROVATO ANCHE UN DIPLOMA INTESTATO AL FIDANZATO DI ROSI MAURO
Agli atti delle procure di Napoli e Milano c’è un diploma universitario che Renzo Bossi ha conseguito in Albania.
È stato trovato dalla Gdf nella cassaforte di Belsito dove era custodita la cartella «The Family».
E il sospetto è che il corso sia stato pagato con i fondi della Lega.
Si tratta di un diploma di laurea di primo livello, paragonabile probabilmente a una laurea triennale italiana: il «Trota» si è laureato in gestione aziendale alla facoltà di Economia aziendale della capitale albanese, sostenendo «29 esami» del corso di «gestione aziendale», acquisendo «180 crediti», che prevedono una percorso di studi di 3 anni.
Il figlio del Senatur, però, stando anche alle prime analisi degli investigatori, avrebbe ottenuto la laurea in un anno circa.
Renzo Bossi, infatti, ha preso il diploma di maturità in Italia nel luglio 2009 a 21 anni.
Il certificato di laurea nella facoltà albanese reca invece la data del «29 settembre 2010» come conseguimento e dell«’8 ottobre 2010» come consegna dell’attestato.
Sempre nel certificato, tutto in lingua albanese, Renzo Bossi è registrato col numero di matricola «482».
Accanto la sua fotografia.
Gli investigatori della Gdf, che hanno perquisito la cassaforte dell’ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito a Roma, trasmettendo poi le carte anche al Noe, hanno rintracciato un diploma dell’Università Kristal di Tirana in Albania, fondata nel 2005.
La laurea, come risulta dallo stesso certificato, è stata conseguita dal «Trota» il 29 settembre del 2010. Il diploma reca la data di consegna dell’8 ottobre 2010 e si tratta di un corso di laurea in «gestione aziendale» della Facoltà di «Economia aziendale».
Il documento universitario è scritto in lingua albanese ed è corredato dai voti che Renzo Bossi avrebbe preso nelle varie materie come «sociologji».
Nella cassaforte di Belsito, inoltre, gli investigatori della Gdf hanno trovato anche un diploma universitario sempre in «Sociologji», della stessa università , conseguito da Pierangelo Moscagiuro, caposcorta del vicepresidente del Senato Rosy Mauro.
Laurea quest’ultima che, come risulta sempre dal documento, è stata conseguita il 29 giugno 2011, con consegna il 20 luglio successivo.
Sono in corso accertamenti per verificare se i titoli di studio siano stati acquistati con soldi della Lega Nord.
(da “Il Corriere della Sera“)
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Maggio 3rd, 2012 Riccardo Fucile
L’ALLEANZA DI CENTROSINISTRA E’ LA PIU’ PRESENTE…DOPO IL DIVORZIO DALLA LEGA IL PDL POTREBBE PER LA PRIMA VOLTA RITROVARSI TERZO PARTITO
Alla fine, per quanto possa sembrare strano, molto più che un turno amministrativo, questo voto sarà un referendum sulle alleanze, mai così incerte negli ultimi venti anni.
Molto probabilmente sarà¡ l’occasione per stilare un certificato di decesso del Popolo della libertà così come lo abbiamo conosciuto fino a oggi.
Sicuramente sarà il sismografo che rivela la forza reale del Movimento Cinque-Stelle.
Vediamo perchè e con quali effetti.
Forse non tutti i sette milioni di italiani chiamati alle urne per le amministrative in 770 diversi comuni italiani se ne sono ancora resi conto: ma con il voto di domenica prossima influenzeranno la nuova legge elettorale, il destino del governo, e disegneranno anche le future coalizioni.
Quelli di sinistra — per esempio — decideranno che ne sarà della tanto discussa “Foto di Vasto”. Ovvero del patto elettorale tra Pd, Idv e Sinistra e libertà che nei 25 capoluoghi in cui si vota è stato stilato in ben 19 città (comprese le 3 in cui ingloba persino l’Udc allargando i suoi confini). È l’alleanza più presente sul territorio contando sia la destra che la sinistra.
Già questa è sorpresa, visto che molto dirigenti dell’ala centrista del Pd l’avevano precipitosamente dichiarata un progetto politico defunto, anacronistico e poco attraente. Sarà . Ma intanto il “patto ABC” (Alfano-Bersani-Casini) che regge il governo, ha trovato incarnazione — come ricordava Il Corriere della Sera — solo nella periferica Pozzallo.
Mentre in tutte le città più importanti, il nuovo centrosinistra è stato scelto dai partiti sul territorio come la coalizione con più probabilità di vittoria: dalle regioni rosse al meridione, dal Piemonte alla Lombardia, dalla Liguria al Lazio.
Infine c’è una notizia che i sondaggi e le stime di queste ore rivelano in modo pressochè unanime, ma che i media hanno quasi occultato: lunedi sera il Pdl, potrebbe essere un partito archiviato dai suoi stessi sostenitori, passando da prima forza nazionale a terzo polo.
Il primo motivo è semplice: dopo la rottura con la Lega, il Pdl ha perso la sua centralità coalizionale in tutto il nord.
Ma anche in alcune capitali del Sud (vedi Taranto) dove è incalzato dalla concorrenza della coalizione di estrema destra di Cito (Mario, il figlio) alla propria destra.
E soprattutto nella strategica Sicilia, dove, al centro, subisce la concorrenza durissima dell’Mpa di Raffaele Lombardo.
Prendiamo una delle città più importanti di questa tornata, Verona.
Un tempo era considerata un bastione del centrodestra. Oggi tutto è cambiato: qui il sindaco uscente Flavio Tosi punta a vincere al primo turno e a fare cappotto contro gli ex alleati: “Il Pdl? Ma a Verona non esiste più — mi dice lui con un sorriso eloquente — già prima del voto. Le mie liste lo hanno svuotato di tutti i candidati che hanno credibilità e voti. Penso che arriveranno terzi dopo il candidato di sinistra”
Possibile? Sì, perchè anche a Verona la sinistra è unita, mentre il Pdl, malgrado un candidati molto grintoso, è sostenuto da una lista civica.
Prendete un’altra città decisiva.
Per motivi del tutto diversi anche a Genova il Pdl è ai margini della sfida. All’ombra della lanterna molti sondaggi dicono che il centrosinistra, anche per effetto della lista Doria, potrebbe vincere persino al primo turno.
Non a caso a Genova venerdi chiuderà Pier Luigi Bersani, e la destra si è divisa perchè il Pdl non poteva mandare giù il nome di Enrico Musso, ex capolista di Forza Italia, poi ribellatosi a Silvio Berlusconi e coccolato dal Terzo Polo (che alla fine lo ha considerato “troppo laico”). Risultato finale: spezzatino elettorale a destra, anche qui.
E se persino a Genova il Pdl arrivasse terzo?
Non è un mistero che prima delle amministrative, come per prendere atto anticipatamente di una sconfitta prevista e inevitabile, Silvio Berlusconi avesse lanciato una proposta-choc:
“E se in questa tornata non ci presentassimo con il nostro simbolo?”.
I notabili locali erano insorti, di fronte all’eventualità di essere cancellati sul territorio, e così la retrocessione sul campo che l’ex premier voleva mascherare resta possibile, con un dato persino inferiore a quello assegnato oggi dai sondaggi nazionali.
Ma allora, se questo fosse il quadro, a cosa servirebbe la riforma elettorale su cui A, B e C si stanno accordando in Parlamento?
A impedire — per esempio — che l’alleanza di governo cada il giorno dopo il voto.
Infatti, se il Pdl andasse sotto la soglia del 20% non avrebbe nessuna possibilità di essere competitivo.
È vero che molti a destra sperano che ad attenuare il gap con la sinistra possa esserci il risultato delle liste Cinque Stelle, che l’Swg indica al 7%, ma in quel possibile dato (se si realizzasse sarebbe sensazionale) entrano anche, come raccontano quelli del movimento di Beppe Grillo, candidati delusi del centrodestra (e soprattutto della Lega).
Ecco perchè l’ultraporcellum porterebbe a casa tre modifiche salva-Pdl.
Eliminerebbe le coalizioni, renderebbe possibile l’indicazione di un candidato premier fittizio (impossibile che qualsiasi partito ottenga la maggioranza da solo), gratificherebbe di un premio le prime tre forze (ripescando la destra da una probabile sconfitta).
Infine alzando lo sbarramento al 5% cercherebbe di realizzare l’ultima truffa: cancellare l’avanzata del Cinque Stelle.
Più la sconfitta elettorale alle amministrative dell’ex centrodestra sarà forte, più il tentativo di camuffare la proroga del governo Monti sarà difficile, più la truffa dell’ultraporcellum sarà impresentabile.
Ecco perchè, anche stavolta, il voto locale avrà ricadute nazionali.
Luca Telese blog
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Maggio 3rd, 2012 Riccardo Fucile
FINITA LOCAZIONE DELL’UDEUR PER MOROSITA’: DEBITI PER 25.000 EURO…L’EX MINISTRO: TROPPE SPESE
Hanno portato via i computer, le scrivanie, le lampade, i faldoni con la contabilità del partito e il materiale di cancelleria. Dall’oggi al domani. Via.
L’ultimo dei portaborse dell’ex Guardasigilli, oggi parlamentare europeo, prima di spegnere la luce ha staccato dalla porta il cartello con la sagoma del campanile, 10 stelle a semicerchio e la scritta: «Udeur Popolari». Scala B, interno 5, via Dandolo 24: un elegante palazzo anni Venti vicino piazza San Cosimato, a Trastevere.
Via a gran velocità , con tutti gli arredi. Peccato però che nessuno, in tanta concitazione, si sia ricordato un dettaglio: pagare una decina di mesi arretrati di affitto e almeno altrettante rate di condominio.
Nel filone «soldi e partiti» che tanto fa discutere gli italiani nei bar, negli uffici, in palestra, si innesta così questa variante: che fine hanno fatto i soldi della pigione?
A chiederselo, in un fitto scambio di email che coinvolge gran parte del condominio, sono gli ex vicini di Clemente Mastella.
La fuga dai propri uffici è stata precipitosa: nella homepage di www.popolariudeur.it , si può ancora leggere: «Direzione nazionale Udeur, via Dandolo 24». No, non più.
L’appartamento al piano terra, sei stanze e due bagni per oltre 140 metri quadri virtualmente ancora occupati dal leader di Ceppaloni in quanto segretario politico, dal suo vice Paolo De Mese, dal capo segreteria Romano Carratelli, dall’ufficio tesseramento e dall’ufficio stampa, in realtà è sfitto dallo scorso 22 dicembre.
Dove ha traslocato Mastella? Nello stabile nessuno lo sa, sull’uscio non ci sono indicazioni, la portiera allarga le braccia: «Ma tutto da me volete sape’?».
Quel che si conosce con certezza, invece, è il «buco» lasciato dal «partito del campanile»: secondo i calcoli del padrone di casa, che abita nello stesso palazzo, l’Udeur non ha versato 3.202,16 euro per il condominio (piuttosto esoso per le continue diatribe su qualsiasi argomento di interesse comune) e altri 22 mila per l’affitto (attorno ai 2.500 euro al mese).
Quanto alla prima somma, il proprietario, in nome della glasnost di caseggiato, ha fatto sapere a tutti di aver provveduto lui, rendendo pubblici importi e date di versamento: «Cari vicini, non volevo mettervi in difficoltà ». Qualche giorno prima, per la verità , era circolata una voce assai diversa: «Amici miei, io con Mastella ci ho rimesso parecchio. Quindi le rate non pagate dall’onorevole sarebbe giusto che ce le accollassimo tutti».
Come che sia, la lite su questa prima voce sarebbe rientrata.
Per l’affitto, invece, gli avvocati sono già al lavoro: l’ingiunzione di sfratto è partita subito dopo la chiusura della sede, mentre il relativo decreto è stato notificato il 21 marzo.
«Mi sa che vonno Mastella, ma arriveno tardi!», ha esclamato una signora appostata davanti al portone, quella mattina, appena ha visto approssimarsi l’ufficiale giudiziario.
«Era quello pelato, sempre il solito», ha aggiunto. Segno che i morosi qui sono di casa. Sull’appartamento «scala B interno 5» fioccano ironie. C’è chi ricorda che pure i precedenti inquilini (architetti, registi…) erano insolventi, chi fa girare email intitolate «Mastellik» («Ma l’Udeur i rimborsi elettorali non li prende?»), chi si chiede se i messaggi circolati possano essere «di qualche interesse per la Procura della Repubblica».
Niente di tutto questo, mette a tacere ogni illazione lo stesso Mastella: «à‰ vero, ce ne siamo dovuti andare e ora non abbiamo una sede nazionale – ha spiegato mercoledì sera al Corriere – per una questione di costi. Noi non essendo presenti in Parlamento non possiamo contare su grandi finanziamenti e l’affitto era troppo alto».
Motivo per non pagarlo? «Ci abbiamo provato autotassandoci tra pochi amici, ma alla fine ci siamo dovuti arrendere. Il nostro core business d’altronde è in Campania, lì mica possiamo chiudere sedi».
E dunque il debito? «Non so bene a che punto siano le pratiche – conclude il leader dell’Udeur – ma voglio essere chiaro: se ci saranno problemi, salderemo tutto». Trastevere addio, senza rancori.
In via Dandolo 24, adesso, gli occhi sono puntati sul prossimo inquilino del famigerato interno «B5».
Fabrizio Peronaci
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 3rd, 2012 Riccardo Fucile
DOCUMENTI TOP SECRET TRA LE CARTE SEQUESTRATE ALL’EX TESORIERE DELLA LEGA
“Dottore, dietro di me non ci sono pupari”. È sera tardi quando Francesco Belsito pronuncia queste parole, il suo interrogatorio negli uffici della Dia di Milano volge al termine. Ha davanti il pm della Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, di fronte il terrore di finire invischiato in brutte storie di riciclaggio dei soldi della ‘ndrangheta calabrese.
E suda freddo quando il magistrato insiste sui suoi rapporti con Romolo Girardelli,
“l’ammiraglio”, l’unico che nell’inchiesta che ha coinvolto i faccendieri che ruotavano attorno alla Lega, è accusato anche di favorire gli interessi della ‘ndrangheta.
Quando si sono conosciuti l’ex buttafuori ed ex galoppino di Alfredo Biondi e l’ammiraglio in odore?
Pochi anni fa, risponde Belsito. “Girardelli è un intermediario immobiliare, mi rivolsi a lui per alcune operazioni”.
In realtà i rapporti fra i due sono di più antica data e risalgono almeno al 2000-2001. A metterli in contatto è un personaggio noto negli ambienti della politica genovese, Armando Pleba.
Belsito era ragioniere in alcune società dell’esponente politico.
Pleba era un uomo potente, piazzato dalla Dc in una miriade di società semi-pubbliche.
Ai giornali ha raccontato che Belsito gli fu presentato nel 1999 da un esponente di Forza Italia e che gli apparve “vestito come un accattone.
Aveva un’impresa di pulizie, lo vestii e gli feci prendere qualche appalto”.
Poi il rapporto tra i due da affettuoso, il “boiardo” democristiano lo avrebbe addirittura nominato erede universale, diventa conflittuale per una storia di società fallite e di soldi spariti.
Uomo dai mille passati, Belsito non ha saputo giustificare i file e i dossier su varie personalità , non solo della Lega, trovati nel suo studio e nei suoi computer.
Fonti investigative parlano del ritrovamento di documenti coperti dal segreto di Stato. Mistero anche sulla società Aurora, con sede in Svizzera, che gli inquirenti sospettano essere il forziere di Belsito.
E Belsito si chiama, ma Franco Domenico ed è calabrese di Sant’Onofrio, il gestore della società . È un nome di copertura di Francesco Belsito?
Gli inquirenti sono convinti di sì.
Perchè anche Bruno Mafrici, l’avvocato calabrese trapiantato a Milano nel cui studio giravano i conti e gli affari di Belsito, dell’imprenditore veneto Bonet e di Girardelli, usava in alcuni affari il nome di Giovanni Mafrici.
Per chiarire il tutto, presto gli investigatori calabresi andranno in Svizzera. Indagini anche in Vaticano per approfondire gli affari di Stefano Bonet con la Sanità della Santa Sede.
Le attenzioni degli investigatori si concentrerebbero su una carta di credito in possesso dell’imprenditore, usata per pagare una corposa “mediazione” che porterebbe a un alto prelato.
Bonet, che voleva accaparrarsi il business delle 123 mila strutture sanitarie della Santa Sede, parla spesso dei suoi rapporti con le “lobby vaticane”.
E anche lui confezionava dossier.
Per difendersi dalle accuse “infamanti” sui suoi rapporti con Belsito e sui soldi della Lega apparsi in ampi servizi sul Secolo XIX, si giustifica.
Bonet è in affanno , quelle notizie rischiano di compromettere il suo obiettivo, e si rivolge a “poteri forti”, così dice in una telefonata, che gli “consigliano di muoversi in modo trasparente e chiaro”.
A questo punto dell’inchiesta e dopo gli interrogatori, grande è l’agitazione dei protagonisti: Belsito vuole scaricare Bruno Mafrici, ma il legale calabrese non ci sta: “Fu lui a cercarmi e a propormi una serie di operazioni finanziarie”.
Enrico Fierro di Lucio Musolino
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 3rd, 2012 Riccardo Fucile
ARRESTI DOMICILIARI PER LA MOGLIE E DUE COMMERCIALISTI…”UN SODALIZIO FINALIZZATO ALLA SPOLIAZIONE DEL PATRIMONIO DELLA MARGHERITA”
Pericolo di inquinamento delle prove.
Questa la motivazione per la quale il gip di Roma ha disposto l’arresto per l’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi.
Il giudice, che gli contesta l’associazione per delinquere, ha così accettato la richiesta dei pm. Sul punto ora dovrà pronunciarsi il Senato.
Lusi è accusato di aver sottratto circa 23 milioni di euro dalle casse del partito. Un’organizzazione, quella ‘gestita’ dal parlamentare, finalizzata alla spoliazione del patrimonio della Margherita.
Questa è la convinzione che ha indotto gli inquirenti che indagano sul caso a chiedere l’arresto del senatore e la misura dei domiciliari per la moglie ed i due commercialisti. Questi ultimi sono Mario Montecchia e il suo socio Giovanni Sebastio.
Il primo è amministratore unico della TTT Srl, società usata dall’ex tesoriere per le sue operazioni, nonchè membro del Cda del quotidiano Europa.
Nell’inchiesta, indagati anche Paolo Piva e Diana Ferri, già legali rappresentanti di alcune delle società coinvolte nell’inchiesta. I fatti contestati vanno dal 2007 al 2011.
La notifica è stata consegnata questa mattina dalla Guardia di Finanza. Lusi, a sentire gli inquirenti, vrebbe agito in un contesto di inquinamento, fatto di reticenze e menzogne e di messaggi lanciati all’esterno.
E’ il convincimento di magistrati e investigatori della Finanza.
La recente audizione di esponenti politici della Margherita, convocati a piazzale Clodio come persone informate sui fatti, è servita per smontare la tesi sostenuta da Lusi e cioè che gli investimenti immobiliari erano frutto di un accordo fatto con i capi del disciolto partito.
Secondo il senatore la richiesta di arresto è un “provvedimento giuridico abnorme” in quanto ”alcune affermazioni non sono nemmeno riscontrate, come i poteri del Comitato di tesoreria e dei revisori dei conti della Margherita”.
Secondo il senatore i pm “prendono per buone sommarie informazioni di Enzo Bianco“, cioè il presidente dell’Assemblea federale del partito.
Insomma non si tratta di “nessun fatto nuovo, ma la qualificazione giuridica contenente il reato associativo” e per la moglie l’unica ragione della richiesta è il “pericolo di fuga”.
Luigi Lusi è iscritto nel registro degli indagati dal 30 gennaio scorso.
L’inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto di Roma Alberto Caperna e diretta dal pm Stefano Pesci.
Inizialmente all’ex tesoriere è stata contestata l’appropriazione indebita di 13 milioni. Di questi, secondo la procura, cinque sono stati utilizzati per il pagamento di tasse relative all’acquisto di due case, una a Roma in via Monserrato l’altra a Genzano, e per il trasferimento di somme, anche in Canada, attraverso una società riconducibile allo stesso Lusi e dietro il rilascio di ricevute fiscali per consulenze fittizie.
L’inchiesta è partita grazie a una segnalazione della Banca d’Italia che indicava un’anomalia dietro l’acquisto del lussuoso appartamento di via Monserrato.
Su questa acquisizione, inoltre, un funzionario di Bankitalia, su delega della procura di Roma, è al lavoro da alcuni mesi per fare luce sui soldi della Margherita sottratti da Luigi Lusi e dal suo entourage.
Da quando il senatore è stato interrogato per la seconda volta a piazzale Clodio, gli investigatori della Guardia di Finanza hanno trovato tracce di un’altra ingente somma (un milione e 335mila euro), proveniente dalle casse del partito, che l’ex tesoriere ha utilizzato per acquistare l’appartamento a Roma, pagato alla fine 3 milioni e 600 mila euro, tasse a parte.
Già a gennaio, il parlamentare, interrogato in procura, aveva ammesso le proprie responsabilità , ossia di aver effettuato decine di bonifici del quale era sempre il beneficiario.
Spiegando i motivi di tali appropriazioni, Lusi, il quale aveva potere di movimentazione di danaro fino a 150 mila euro (da qui la necessità di procedere a decine di bonifici), aveva aggiunto, senza peraltro apparire molto convincente, di essersi appropriato del danaro come compenso delle proprie prestazioni.
A febbraio, poi, l’inchiesta romana si è ulteriormente allargata.
I pm romani così hanno ricostruito il percorso dei soldi, usciti attraverso decine di bonifici e finiti tutti nella disponibilità dell’attuale senatore del Pd. Ma ci sono ancora dei buchi neri da analizzare.
Possibile che nessuno, all’interno del partito, si sia accorto degli ammanchi, tra il 2008 ed il 2011, tra i fondi ottenuti dalla Margherita sotto forma di rimborsi elettorali?
Lo stesso parlamentare, nel confessare le proprie responsabilità , non ha chiamato in causa altri soggetti. In particolare, ha detto di aver fatto tutto da solo e all’insaputa di chiunque altro.
Ad aprile nuovi sospetti su altri 13 milioni di euro. E spese esorbitanti, oltre 800mila euro in un anno, senza alcuna documentazione.
Persino un viaggio a Londra in aereotaxi per 15mila euro. Della cifra totale, 13,5 milioni sono soldi dirottati da Lusi nel periodo 2007 — 2011 sulla sua società ”Ttt”, attualmente sotto sequestro. Altri 13 milioni riguardano spese non documentate.
Nella relazione della società Kpmg, che ha preso in esame la contabilità della Margherita a partire dal 2001, si sottolinea che ”risultano spese per viaggi e trasferte elettorali pari ad euro 869.428 che si riferiscono a centinaia di assegni di piccolo taglio (inferiori ai 12 mila euro) emessi dal tesoriere sul conto corrente acceso presso Bnl” e registrati ”senza alcun documento a supporto della spesa sostenuta”.
”Una analisi preliminare per analoghe operazioni (assegni a cifra tonda) anche per gli anni precedenti fino al 2007 — prosegue la relazione — porta ad evidenziare una somma stimata in circa euro 13 milioni per i quali ad oggi, in attesa che si esauriscano le attività di verifica del’autorità Giudiziaria e della Banca d’Italia, non sono state eseguite ulteriori verifiche”.
Tra le situazioni anomale si fa riferimento a fatture emesse nel 2011 con descrizione generica di una agenzia di viaggi di Roma ”per un valore complessivo di 228 mila euro”. Nel documento viene precisato che l’agenzia di viaggi ha fornito tutta la documentazione dalla quale è emerso, inoltre, che ”le suddette fatture sono quasi interamente riconducibili a servizi di viaggio fruiti dal senatore Lusi e/o persone a lui riconducibili”.
I ‘rapporti annui’ indicano che per il 2007 sono stati spesi oltre 454 mila euro; nel 2008 quasi 270 mila; nel 2009 euro oltre 380 mila (tra cui gli 30 mila euro pagati allo chef Antonello Colonna con assegni della Margherita per il catering del suo secondo matrimonio celebrato nel luglio del 2009, il tutto emerso dalla consulenza sulla contabilità della Margherita voluta dallo stesso partito) e nel 2010 più di 171 mila.
Nell’esercizio 2011 -prosegue la relazione- ”sono state trovate fatture emesse dall’agenzia leader per servizi di aereo taxi di cui una presumibilmente riconducibile a Lusi: si tratta di un servizio per la tratta Roma-Biggin Hill (Londra)-Roma svolta il 29 e 30 marzo 2011 per un costo di 15 mila euro”.
I consulenti inoltre rilevano che la “gestione amministrativa” era totalmente in capo al tesoriere Luigi Lusi che aveva anche “l’esclusiva operatività finanziaria”.
Conclusioni che hanno indotto i legali della Margherita Titta Madia e Alessandro Diddi a parlare di tracce, secondo i legali della Margherita, di ”artifici contabili adottati dal senatore Luigi Lusi per occultare le sue appropriazioni in danno del partito”.
In vista della richiesta d’arresto inviata al Senato, il primo ad esprimersi è stato il leader dell’Udc Pierferdinando Casini, il quale ha annunciato che il suo partito voterà a favore del carcere per l’ex tesoriere de La Margherita.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 3rd, 2012 Riccardo Fucile
ROSI MAURO PRONTA A UN GRUPPO FILO-BOSSI IN SENATO… I BOSSIANI RITORNANO IN TRINCEA ALLA VIGILIA DI UNA SCONFITTA ELETTORALE CERTA
Ed è Umberto Bossi, dopo le lacrime mostrate a Bergamo e le scuse per aver candidato i figli con relativo passo indietro e incoronazione di Roberto Maroni suo successore, a mostrare i muscoli: “La Lega è mia, non la mollo”.
Lo ha ripetuto anche ieri sera a un comizio a Cassano Magnago: “Per forza” che mi ricandido .
Lo aveva ribadito nel pomeriggio in via Bellerio, dove si è chiuso al mattino per uscire solo a fine pomeriggio e dopo aver imposto a La Padania di pubblicare un tagliando “vota il tuo segretario”.
Il Senatùr è sempre più fermo nella decisione presa e annunciata il primo maggio dal palco del Lega unita day: candidarsi a segretario federale del Carroccio contro l’ex titolare del Viminale.
Che non l’ha presa bene.
Tanto da aver preferito non intervenire, come era invece previsto, in chiusura a Zanica.
Ha affidato il suo commento a facebook, in cui ha sottolineato che la dichiarazione di Bossi è arrivata “a sorpresa” e che “la battaglia continua, in tutti i sensi”. Infine ha chiamato a raccolta “tutti i barbari sognanti”, il suo esercito di militanti.
Poi, a tarda notte, Maroni ha inviato un sms al solito gruppo ristretto di amici: “Dobbiamo andare avanti”.
Perchè dietro Bossi c’è il Cerchio Magico che tenta di riorganizzarsi.
Rosi Mauro sta riorganizzando le forze in Senato, dove i maroniani sono sempre stati in minoranza, con l’intenzione di dare vita a un gruppo di transfughi di stretta osservanza bossiana.
Con lei da subito si è schierato Bodega, poi Piergiorgio Stiffoni, cacciato appena tre giorni fa dal Carroccio, seguito da Giovanni Torri e altri che al momento guardano al campo di battaglia.
Dove per primo ieri si è mosso Roberto Castelli. “Se Bossi conferma di volersi candidare , è meglio presentarsi con una candidatura unica al congresso per garantire l’unità del partito”.
Poi, nella battaglia tra fazioni, è toccato ai generali maroniani di punta: i sindaci Attilio Fontana e Flavio Tosi.
“Alla fine l’unico candidato sarà Maroni”, diffonde via agenzie di stampa il primo cittadino di Varese, in mattinata.
A fine pomeriggio, quando è ormai certa la volontà di Bossi di andare fino in fondo, Tosi affonda: “La sua candidatura è francamente inopportuna, a decidere saranno comunque i militanti.
Naturalmente il sottoscritto si augura che” il nuovo segretario “sia Maroni”.
Il tentativo di gettare acqua sul fuoco è arrivato dal triumviro Roberto Calderoli. “Non mi sembra il momento di pensare alle candidature”, ha abbozzato ai microfoni del Tg4.
Certo Calderoli era sul palco di Zanica e annuiva con vigore mentre Bossi lanciava la sua corsa alla guida del Carroccio. “Ma quella è abitudine, un po’ come Fede con Berlusconi”, fa notare un deputato leghista con casacca da colonnello maroniano.
Certo è che ieri Calderoli è stato l’unico dei capi a trascorrere del tempo insieme a Bossi in via Bellerio.
Il Senatùr era “caricato a molla” quando è entrato nella redazione de La Padania per imporre che il giornale di partito pubblichi da oggi un tagliando con scritto “vota il tuo segretario”.
Devono decidere i militanti? Bene, cominciamo a tastare il polso, ha pensato Bossi, ancora legato ai vecchi mezzi di comunicazione.
E forse ha ragione, perchè buona parte dei militanti leghisti non possiede neanche un computer, figurarsi se sa cos’è facebook.
Sul social network imperversano invece i barbari sognanti di Maroni.
E sulla sua pagina è andata in scena la rivolta contro Bossi.
C’è chi promette di ridurre in brandelli la tessera del Carroccio nel caso in cui il Senatur non dovesse arretrare. “Voto leghista da 20 anni, ma se c’è ancora Bossi, voterò Grillo. Maroni pulizia vera! Bossi fora dei bal”.
La rabbia è palese, tant’è che in più di un post cade l’ultimo tabù: la malattia del Capo. “Bossi all’ospizio”; “In casa di riposo subito”; “E’ meglio che cominci a stare a casa plaid e minestrina”.
In tanti, tantissimi, chiedono il passo indietro di Bossi annunciato più volte ma ieri, a sorpresa, ritrattato. “Vada in pensione e cominci più a seguire i suoi figli da padre che è meglio”; “largo ai giovani? meritocrazia? con Bossi fra i piedi niente è credibile”, scrive un militante leghista.
La parola d’ordine è “Maroni segretario”, sul social network e anche ai microfoni di Radio Padania.
“La ricandidatura di Bossi è una forma di trasformismo che dalla Lega non accetto”. In pochi difendono il vecchio Capo. Maroni, intanto, temporeggia. A fine serata rilancia la necessità di fare pulizia interna al partito perchè “non è ancora finita”, ribadisce.
E poi va un comizio a Cuneo, quello della sua Lega.
L’altra metà del partito è a Cassano.
Intanto sui telefonini dei maroniani l’invito a comprare la Padania e scrivere Maroni sul tagliandi-no voluto dal Senatùr.
Anche questa è una guerra.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 3rd, 2012 Riccardo Fucile
SOTTO ACCUSA LE NOMINE NEI POSTI DI POTERE, I RAPPORTI CON LA FINANZA E UN APPALTO AFFIDATO A SOCIETA’ VICINE ALLA ‘NDRANGHETA
Dicono i nemici che è un leghista-democristiano. «È vero», ride Flavio Tosi, «Mica è un’offesa Del resto la Dc, a parte le degenerazioni finali, fece grandi l’Italia e il Veneto».
E cosa ha imparato dai dorotei? A fregarsene delle accuse.
Clientelare? Nepotista? Poltronista? «Amenità ». Non c’è «imputazione» di cui non si liberi facendo spallucce.
Dice Michele Bertucco, lo sfidante ambientalista che ha vinto le primarie del centrosinistra che «se tu lo accusi, Tosi ha sempre la risposta standard: 1) Non è vero; 2) Chi se ne frega; 3) Comunque chi mi accusa non conta. Qualunque cosa gli sia rinfacciata».
Si sente forte, il sindaco uscente. E gira tra le bancarelle del mercato allo stadio con l’aria di chi già pregusta il trionfo.
Una signora non vedente gli afferra le mani manco fosse San Zeno: «Signor sindaco, non ci vedo, lasci almeno che la tocchi!». Lui la benedice.
Una vecchietta si lagna: «Vero, sindaco, el varda che mi no lo voto se nol me sistema el marciapiè». «Quale marciapiede, signora?» «In via Negrelli. No se camina…». «Prendo nota».
Anna Pera gli sventola sotto il naso l’abbonamento del bus: «Sindaco, mi spiega perchè questa tessera devo mostrarla alla macchinetta? Sono sempre piena di borse e devo posarle: perchè? Tanto sapete che ho già pagato!»
E lui paziente: «Eh, cara signora… Purtroppo…»
Ma come, un leghista «quarantino», per dirla con Andrea Camilleri, che si muove per i mercati come si muovevano Remo Gaspari alle sagre abruzzesi o Vito Lattanzio tra i banchi di Bari Vecchia? Lui ride.
E dopo aver esordito come «un urlatore» così irruento da guadagnarsi una condanna per istigazione all’odio razziale, ha via via allargato le prospettive.
Ha sdoganato sì il camerata Andrea Miglioranzi, che per aver definito la parola fascista «un termine a me molto caro» e aver fatto parte del gruppo «Gesta Bellica» è stato ribattezzato sul web col nome di «Andrea Miglior-nazi».
Ma ha anche spiegato al Foglio che avrebbe votato per Obama e che «un buon leghista dovrebbe considerare fonte di ispirazione» anche «molti soggetti appartenenti alla storia della sinistra. Penso per esempio a quello che credo sia stato uno dei più grandi e lungimiranti esempi di leadership carismatica del nostro paese, Enrico Berlinguer». Bum!
Va da sè che il recupero dei vecchi diccì «che hanno fatto grande il Veneto», gente come Toni Bisaglia o Mariano Rumor (contro i quali Bossi diceva «è gente da tirar giù, portare in piazza e fucilare») tutto è meno una sorpresa.
Roberto Bolis, il portavoce già comunista e cronista dell’ Unità additato da tutti come «l’eminenza rossa» del sindaco, sorride sotto il baffo.
Uomo di potere? Se glielo dici, Tosi ride: «Dipende da come lo usi, il potere. Se te ne servi per raggiungere degli obiettivi…»
Dicono i nemici che il primo obiettivo, per lui, è stato in questi anni piazzare ovunque «leghisti, parenti e parenti dei leghisti».
Primo fra tutti, Paolo Paternoster, il segretario provinciale del Carroccio messo alla presidenza dell’Agsm, la municipalizzata della luce e del gas.
Una cosa che, se l’avessero fatta i comunisti o i democristiani, apriti cielo!
«L’ho messo lì perchè è bravo. Se il sindaco di Bologna pensasse che il più bravo per le municipalizzate è il segretario Pd, ok. Con Paternoster l’Agsm ha aumentato del 50% il fatturato e da 2 a 14 milioni di euro l’utile».
«Sì, ma non dice che l’indebitamento delle municipalizzate è quintuplicato», accusa il candidato del Pdl, Luigi Castelletti.
Se le stanno menando di brutto, a destra. I berlusconiani, ai quali Tosi ha sfilato un bel pezzo di classe dirigente puntando a portarsi via gli elettori, son furibondi.
Al punto che non solo la campagna elettorale è concentrata quasi tutta sulla guerra agli ex-alleati leghisti, accusati di ogni nefandezza, ma in caso di ballottaggio…
E mentre il grillino Gianni Benciolini dice di scommettere non solo sulla trasparenza, l’aria, l’acqua e la riduzione dei costi del consiglio comunale, che oggi dispensa i gettoni più sontuosi d’Italia (160 euro, come a Palermo e il quadruplo che a Padova) ma anche sulla ribellione dei leghisti schifati, montano le proteste, a sinistra e a destra, per un sistema di potere padano che «ha occupato tutto».
Ed ecco il casiniano Stefano Valdegamberi chiedere da mesi di «vedere le carte per capire come mai la Fondazione Arena distribuisce appalti alla “Mondial Trans” del leghista presidente dell’Agsm: è un appalto vecchio rinnovato con gare regolari? Bene: vediamo i documenti!»
Ecco l’invio all’ Arena della foto del padre del deputato leghista Matteo Bragantini che svetta sui ponteggi di un cantiere nonostante avesse avuto una deroga per ampliare la casa grazie a una «grave disabilità »: «Ma come, dopo anni di battaglie contro i falsi invalidi terroni!».
Ecco l’elenco di fratelli e sorelle, cognati e i cugini piazzati, come denunciava un dossier del Pd, in tutti gli interstizi del potere pubblico e para-pubblico, tanto da spingere l’Espresso a sparare: «Anche Tosi ha un cerchio magico».
E a denunciare qualcosa di non cristallino nella questione del tunnel (802 milioni più Iva) che dovrebbe passare sotto la città : «L’affare del secolo è in mano a una specie di Anonima Trafori», ha scritto Paolo Biondani lamentando l’eccesso di fiduciarie di oscura proprietà .
«Abbiamo raccolto 9000 firme per un referendum contro il traforo che vede giochi strani sulle aree agricole e edificabili», dice Bertucco, «È come se avessimo raccolto a livello nazionale due milioni di firme. Ma il referendum non si fa».
Ovvio, dice il sindaco: «Chi mi ha votato sapeva cosa voglio: al referendum implicito hanno già risposto».
Il nodo centrale, però, è il rapporto col potere finanziario.
«Questo è nostro», spiegò papale papale Tosi al Foglio mostrando sul giornale la foto di Giovanni Maccagnani, da lui piazzato ai vertici della Fondazione Cariverona, il socio forte (libici a parte) di Unicredit che «eroga sul territorio circa ottanta milioni di euro» l’anno. L’intero collegio sindacale di «Vipp lavori», che fa capo alla famiglia Rettondini e sta facendo il parcheggio San Zeno, il secondo affarone, è in mano a «tosisti».
Presidente dei revisori è Enrico Toffali, assessore uscente della giunta Tosi.
Sindaco Giovanni Maccagnani.
Membro del collegio sindacale suo fratello Cristiano, candidato alle prossime amministrative nonchè presidente dei revisori dell’Ater (case popolari), sindaco nella Unionfidi Verona, che offre garanzie sui finanziamenti bancari agli artigiani e alle piccole imprese e ancora sindaco di «Acque Veronesi», di cui è azionista l’Agsm.
Cioè la municipalizzata «leghistizzata» che sponsorizza con 700 mila euro il Verona Hellas, il cui paròn Giovanni Martinelli guida «Italgestioni», di cui Cristiano Maccagnani è sindaco effettivo.
Un intreccio caotico?
Niente in confronto al giro di imprese cui è stata affidata la costruzione, per un pacco di milioni, di un grande plesso scolastico a Rivoli Veronese.
Direte: che c’entra Tosi? C’entra.
Lo dice la delibera n.32 del 28 aprile 2010 dove la giunta leghista del paese guidato da Mirco Campagnari, scrive di avere chiesto aiuto al Comune di Verona (dove l’uomo forte rivolese Toffali, dicevamo, è assessore) quale «responsabile unico del procedimento» delegato all’«assistenza giuridico amministrativa» e alle «procedure di gara e di aggiudicazione dell’appalto». Titolo dell’ Arena : «Sarà il Comune di Verona a far costruire la scuola».
E a chi finiscono, i lavori?
Lo dice la «Determinazione n. 61 del 19-05-2011»: al «raggruppamento temporaneo con mandatario Elettro.lux e mandante I.I.E. Impresa Installazioni Elettriche».
La quale ha poi ceduto il ramo d’azienda con dentro gli appalti alla ditta C.e.s.i.t. Non bastasse, scrive il documento del comune leghista, un’altra società è subentrata alla Elettro.lux (incredibile ma vero) con un «contratto d’affitto di ramo d’azienda».
E chi c’è dietro la I.I.E. di Sellia Marina (Catanzaro) e la C.e.s.i.t. di Botricello (Catanzaro)?
Vi risparmiamo il tormentone delle scatole cinesi, dei «trasferimenti fittizi» e dei prestanome e lasciamo rispondere alla magistratura antimafia di Crotone.
Che il 18 novembre 2011 sequestra tutte e due le società accusando i titolari, la famiglia Puccio, di esser legata alla ‘ndrangheta.
Peccato non poter scaricare tutto, stavolta, su Francesco Belsito…
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera“)
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Maggio 3rd, 2012 Riccardo Fucile
LO SFIDANTE CERCA DI OSTENTARE SICUREZZA E PACATEZZA, SARKO’ CON LA RABBIA DI CHI DEVE RECUPERARE
Due giornalisti, un cronometro che misura il tempo.
E i candidati: il socialista Francois Hollande e il presidente uscente Nicolas Sarkozy. L’unico dibattito televisivo faccia a faccia prima del ballottaggio di domenica 6, è una rincorsa serrata tra le capacità di comunicazione tra i due candidati all’Eliseo. Dall’aumento dei prezzi del carburante, alle pensioni, dalla crisi economica alla scuola pubblica, alla disoccupazione, dal deficit pubblico, dall’immigrazione al nucleare fino alla politica internazionale.
Il confronto si gioca sui temi cruciali dell’elezione ma anche sull’abilità che i due hanno di presentarsi come convincenti, «presidenziabili», sicuri di sè.
BUGIA
La parola della serata è «mensonge», bugia, ripetuta più volte da Sarkozy. In oltre tre ore di serrato dibattito, Hollande è apparso più tranquillo di un Sarko teso che ha confermato il pronostico di chi lo vedeva nei panni dello sfidante vero, di fronte a un candidato ormai quasi sicuro della vittoria.
Il primo scontro è stato sulla parola «rassemblement», riferimento classico della politica francese, che richiama il concetto di unione del paese. «Lei in questi cinque anni ha spaccato la Francia», ha detto Hollande, «ascolti, le insegno qualcosa», «non è lei a dare i voti».
DIVISIONI
Il candidato socialista ha accusato il presidente di «aver diviso» il paese mentre «io – ha detto – farò tornare la concordia tra la gente». Tesa la replica del presidente uscente: «Non c’è mai stata violenza durante i miei 5 anni», perchè, «ho avuto sempre una sola idea: spingere avanti la Francia sulla strada delle riforme».
L’abolizione delle 35 ore uno dei modi per affrontare la crisi,secondo Sarkozy. Incalzato da Hollande: «Ma perchè non le ha abolite? In fondo era presidente della Repubblica».
SFIDA
Hollande ha sfidato Sarko su lavoro e sviluppo: «3 milioni in più di disoccupati» da quando il presidente in uscita è stato eletto.
Nicolas Sarkozy ha risposto criticando le «formule vuote» di Hollande. «Unione – ha detto Sarko – è una bella parola, una bella idea, ma bisogna aggiungere i fatti». Attacchi sferrati dall’uno all’altro, nervi a fior di pelle e una pioggia di cifre in cui i due si sono affrontati senza risparmiare i colpi.
Su una cosa sembra ci sia un accordo pre-duello: niente immagini di profilo per Sarko (troppo naso) e dall’alto per Hollande (troppo calvo).
GIUSTIZIA –
Il primo scontro duro è arrivato quando Hollande ha parlato di «aumento di un milione di disoccupati». Sarkozy lo ha accusato di «mentire».
«Per me dovrebbe essere inaccettabile questa parola – ha ribattuto il socialista – ma nella sua bocca è soltanto un’abitudine.».
Il socialista ha attaccato a testa bassa sul debito, affermando che è «raddoppiato» negli anni di Sarkozy dopo la politica di «favori fiscali ai ricchi» e per «l’incapacità di controllare la spesa pubblica». Voglio essere il presidente della giustizia, ha dichiarato Hollande: «Vorrei che la giustizia fosse al centro delle mie decisioni: giustizia sociale, fiscale e territoriale. A ispirare la mia azione è la giustizia sociale».
COLPE
«Mi sono sempre preso le mie responsabilità » ha replicato Sarkozy dopo che Francois Hollande lo aveva accusato di rifiutare le colpe della difficile situazione economica francese. «Non è mai colpa sua», ha ironizzato il candidato socialista. Sarkozy ha elencato gli sgravi fiscali introdotti dal suo governo. E a Hollande, che gli aveva appena ricordato che la Francia con il suo governo ha raggiunto il 10% di disoccupazione, ha ribattuto: «Non è colpa esclusivamente dello Stato, serve un cambiamento perchè la formazione finisca nelle mani dei disoccupati: il dramma vero è non riuscire a trovare un nuovo lavoro perchè non c’è offerta di formazione e non solo perdere il lavoro».
AMICI –
È stato un diluvio di cifre, il battibecco tra i due candidati. Ognuno dice all’altro che le sue sono false. «Dite che farete dei risparmi, quando promettete 60mila posti di funzionari in più, mentre con il premier Francois Fillon ne abbiamo tagliati 160mila», ha detto Sarkozy. «Lei è l’unico in Europa che ne propone 60mila di più», dice Sarkozy, accusando lo sfidante di cercare di «dimostrare l’ indimostrabile». «Lei mente», ha ripetuto Sarkozy.
Il socialista ha quindi sferrato un duro attacco sui conti pubblici: «Il debito è raddoppiato, ecco un risultato della squadra uscente», ha detto il favorito nei sondaggi, prendendo di mira «i regali fiscali» che Sarkozy ha concesso «ai più ricchi»: «Lei ha favorito i suoi amici, come madame Bettencourt», ha detto Hollande che ha poi rilanciato su tasse, formazione e posti di lavoro: «I miei 60 mila insegnanti costeranno due miliardi, quanto i suoi sgravi fiscali ai ricchi». Immediato Sarko: «Signor Hollande, lei vuole meno ricchi, io voglio meno poveri».
BERLUSCONI
I tedeschi, presi a modello per l’economia da entrambi i candidati, hanno fatto – secondo Sarkozy – «il contrario di quello che Hollande propone per i francesi», in particolare sull’Iva in funzione antidelocalizzazione. Hollande ha ribattuto che quella tedesca è un’Iva che vale un punto, non tre come quella che propone Sarkozy.
È Hollande ad aver introdotto nel dibattito l”Italia «governata per anni da Silvio Berlusconi, ci sono state pessime gestioni», ha detto il socialista citando poi Mario Monti come riferimento positivo.
E ricordando che l’attuale premier italiano «anche se non ha la mia stessa sensibilità politica, è consapevole che non si può vivere in recessione» e che si deve «puntare sulla crescita». Francois Hollande, accostando il nome di Sarkozy a quello di Berlusconi, ha detto al presidente uscente «è tuo amico, state nello stesso partito (in Europa) il Ppe». Sarkozy, infastidito, ha replicato: «no, non è un mio amico. Berlusconi è berlusconiano».
IMMIGRAZIONE
Hollande ha accusato il concorrente di «usare la paura degli immigrati». Sarkozy ha ammesso «abbiamo accolto troppe domande che hanno paralizzato il sistema».
E ha spiegato la sua strategia per dimezzare il flusso migratorio. Hollande, che ha confermato l’intenzione di introdurre il voto agli immigrati, ha assicurato che sotto la sua «presidenza non ci sarà alcuna deroga alla laicità », «nessuna carne halal nelle mense scolastiche».
NUCLEARE
Hollande ha annunciato il ritiro delle truppe francesi dall’Afghanistan entro la fine del 2012. Sarkozy ha difeso il nucleare. Hollande ha contrapposto: «Nucleare ed energie rinnovabili insieme».
MOI PRESIDENT
Hollande parla di come sarà il suo stile presidenziale. Non nominerà i direttori della tv pubblica. Quello di Hollande sarà un governo metà uomini e metà donne. E continua con un tormentone in crescendo (che probabilmente passerà alla storia) «Moi prèsident de la Rèpublique»: «non sarò presidente di tutto e responsabile di niente». «Se sarò eletto presidente della Francia garantirò che non ci siano conflitti di interessi tra i ministri».
«Moi prèsident de la Rèpublique – ha detto ancora Hollande – introdurrò il sistema proporzionale per le elezioni legislative», «cercherò di fissare grandi orientamenti per il Paese e di essere lungimirante e avrò la preoccupazione di sentirmi vicino ai francesi. Avrò la preoccupazione di esser un presidente normale, nonostante crisi e conflitti». «Il presidente della Repubblica – ha chiuso Hollande – deve essere all’altezza delle grandi questioni, ma anche vicino alla popolazione».
SMENTITE
«Un bugiardo e un piccolo calunniatore». A scatenare l’ira di Sarkò sono state le accuse del candidato socialista che ha messo in dubbio l’imparzialità della sua presidenza.
Per smentirlo, prima di lasciarsi andare alle parole più pesanti, il presidente uscente ha snocciolato l’elenco dei «socialisti» che ha nominato «a posti di primo piano in incarichi pubblici». In chiusura ancora scambi di veleni. Nicolas Sarkozy ha chiamato in causa l’ex direttore generale dell’Fmi, Dominique Strauss-Kahn, inquisito per stupro a New York . Rivolto al rivale socialista il presidente uscente ha scandito: «Non intendo prendere lezione da un partito (il socialista) che si è ritrovato entusiasta a seguire Dsk», fino all’arresto del 14 maggio 2011, il candidato favorito per la gauche. Imbarazzato ma pronto Hollande ha risposto: «Sei tu che l’hai nominato» all’Fmi .
REGOLE
Alla domanda «che presidente sarà ?», il presidente-candidato ha risposto «In questi 5 anni ho esercitato la mia funzione con tutta l’energia, talvolta ho sbagliato, ma il mondo cambia a una velocità incredibile e non ci si deve basare sulle vecchie regole», ha promesso Sarkò. «Punterò su un modello di crescita basato sulla formazione professionale, sul know-how, sul cambiamento nella scuola».
(da “Il Corriere della Sera“)
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