Maggio 14th, 2012 Riccardo Fucile
TUTTI RIDONO DEL BARZELLETTIERE TRASOGNANTE, QUALCHE DEPUTATO DEL CARROCCIO CI CASCA E SI AGGIRA DISTRUTTO IN PARLAMENTO: “MA E’ VERO CHE DOVREI INIZIARE A LAVORARE?”
«Lontani da Roma. Più presenti in Padania». Il mantra è vecchio quanto la Lega. Ma da ieri è tornato d’attualità .
Roberto Maroni, alle prese con l’arduo compito di rianimare il partito dopo uno dei peggiori tonfi elettorali che si ricordino (secondo i dati dell’istituto Carlo Cattaneo il Carroccio ha perso oltre il 50% dei voti), ha deciso di rispolverarlo.
«L’ossessione dei partiti è andare in Parlamento, per la Lega conta il territorio – ha detto l’ex ministro dell’Interno, a Cesena per il congresso “nazionale” romagnolo in cui il suo fedelissimo e pluri-inquisito Gianluca Pini ( ma la pulizia con le scope per i compagni di merenda del datore di lavoro di Isabella Votino non valgono) è stato rieletto segretario con oltre il 90% dei voti.
E ha aggiunto una battuta da capocomico: “Non escludo che al consiglio federale possa passare l’ipotesi di non candidarci al Parlamento di Roma. Per noi conta il governo della Padania, tutto il resto è un mezzo e non il fine».
E come farebbe poi a mantenersi la classe dirigente della Lega senza distribuire cadreghe?
La campagna elettorale in vista delle politiche insomma è iniziata e il leader dei «barbari sognanti» una cosa da Bossi l’ha imparata: sparare palle mediatiche.
E a chi gli chiede notizie sull’ufficializzazione della sua corsa per la guida del partito risponde: «Oggi c’è il Consiglio federale, penso che, lì, si dirà qualcosa».
Meglio evitare ulteriori strappi.
In questi giorni, inoltre, anche l’europarlamentare Mario Borghezio ha annunciato la possibilità di una sua discesa in campo «se non verrà dato spazio alle istanze indipendentiste».
Alla forma, Bobo Maroni, antepone la sostanza della leadership.
Boccia per ora anche l’eventualità di un ritorno dell’alleanza nel dopo-amministrative. «Se entro il mese di luglio il Pdl decidesse di togliere il sostegno al Governo Monti e andare al voto in autunno, allora ci possiamo pensare”.
Per Maroni “il congresso servirà anche per rilanciare l’azione politica. Questa pagina, con episodi come quelli della Tanzania e dintorni, è chiusa, riguarda la Lega del passato». Cioè quella Lega dove per venti anni lui ha avuto un ruolo di primo piano, nomine e prebende senza essersi mai accolto di nulla.
Senza contare che a decidere se sia davvero “chiusa”, normalmente sono i magistrati, non i condannati per resistenza a pubblico ufficiale che poi diventano ministri degli Interni.
Sul nuovo simbolo, e sull’ipotesi di togliere il nome di Bossi, Maroni ha le idee chiare: «Il simbolo appartiene al movimento, è parte del patrimonio della Lega ed è amministrato dal consiglio federale al quale spetta ogni decisione. In questi anni lo abbiamo cambiato, il simbolo evolve».
Che voglia metterci un sax stilizzato al posto di Alberto di Giussano?
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Maggio 14th, 2012 Riccardo Fucile
IL CASO DEL CONSIGLIERE REGIONALE EMILIANO DE FRANCESCHI, OGGETTO DI UNA QUERELA PER DIFFAMAZIONE…LA NORMA E’ GIA’ ASSURDA IN SE’ PERCHE’ EQUIPARA REATI GRAVI A QUELLI TIPICAMENTE GIORNALISTICI… LA SUA APPLICAZIONE ALLA CANDIDATURA E NON ALL’ELEZIONE POI E’ UMORISTICA
Che il pianeta del Movimento 5 Stelle sia poco conosciuto al di fuori degli adetti ai lavori è cosa nota. Che sia spesso in preda a beghe interne, come in tutti i partiti tradizionali che i grillini si prefiggono di combattere a parole, è un dato di fatto.
L’originalità umoristica del suo leader in verità si riflette anche sulla applicazione delle regole interne che esistono solo in teoria: se tutti i partiti hanno un regolamento preciso, i grillini vantano un “Non statuto” che detta solo alcune norme basilari.
Tra queste l’art 7 del non statuto precisa: “i candidati saranno scelti fra i cittadini italiani, la cui età minima corrisponda a quella stabilita dalla legge per la candidatura a determinate cariche elettive, che siano incensurati e che non abbiano in corso alcun procedimento penale a proprio carico, qualunque sia la natura del reato ad essi contestato.”
La norma è di per sè già assurda perchè, non specificando categorie precise di ipotesi di reato (tutto da provare in un’aula di tribunale e per tre gradi di giudizio) finisce per equiparare reati gravi alla semplice posizione di chi magari subisce una semplice querela per diffamazione per aver denunciato un intrallazzo e in conseguenza di ciò viene querelato dalla presunta parte offesa per poi essere magari assolto dal giudice qualche anno dopo.
Nel frattempo, secondo i grillini, non potrebbe candidarsi nelle file del M5S.
Ma per assurdo, se nessuno se ne accorge, potrebbe essere eletto: la norma infatti vale solo per chi si candida e non per chi è eletto.
Incredibile, ma vero.
Un esempio pratico: Andrea De Franceschi, consigliere regionale in Emilia-Romagna del M5S, ha un procedimento penale in corso, ed è in carica regolamente, come M5S.
Si tratta di un procedimento penale che nasce da una querela per diffamazione presentata dal Consigliere Regionale Vecchi.
Per l’assurdo di quella norma del Non Statuto del M5S, De Franceschi, sarebbe stato e sarebbe “non candidabile” dal M5S, ma risulta eletto ed in carica per il M5S, come sottolinea la Casa della Legalità .
A questo punto ci si domanda: De Franceschi, sulla base di quella norma “statutaria”, deve dimettersi o no?
In altre parole: la norma che vuole tenere fuori dalle liste chi ha “procedimenti penali a carico qualunque sia la natura del reato ad essi contestato”, non vale anche per gli “eletti”?
O una volta che uno ha scapolato il divieto e viene eletto, diventa forse intoccabile come nei peggiori partiti della Prima Repubblica?
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Maggio 14th, 2012 Riccardo Fucile
DEL SIMPATICO ANIMALE SECESSIONISTA RIMANGONO ORMAI POCHI ESEMPLARI, GUIDATI DA UN TASTIERISTA CON GLI OCCHIALINI DA PIRLA…LE AMMINISTRATIVE SEGNANO UNO STORICO SORPASSO: IL PDL HA PIU’ FUNZIONARI RAI CHE ELETTORI
Le segreterie dei maggiori partiti italiani sono riunite per la tradizionale analisi del voto, la pittoresca cerimonia enigmistica in cui alcuni esperti cercano nuovi sinonimi per dire “figura di merda”.
Si tratta di un esercizio dialettico molto difficile in cui primeggia per ora il PdL che ha diffuso un trionfale comunicato dal titolo “Però abbiamo vinto a Lecce”.
Il testo, un po’ criptico, parla dei risultati “deludenti” della periferia di Lecce, da Bolzano a Trapani.
“Continuiamo ad essere ottimisti — ha dichiarato Angelino Alfano — e riusciamo a vedere il bicchiere di cicuta mezzo pieno”.
Di tono più dimesso le riflessioni emerse da una riunione del Terzo Polo: “Non esistiamo più — dice con franchezza una nota attribuita a Rutelli — ma ci consola il fatto che non esistevamo nemmeno prima”.
Secondo le prime indiscrezioni Pierferdinando Casini avrebbe manifestato il desiderio di incontrare personalmente tutti i suoi elettori, ma uno ha detto di avere l’influenza e l’altro un improrogabile impegno di lavoro, quindi l’incontro è saltato.
Diverse invece le preoccupazioni in casa leghista.
Bobo Maroni ha ingaggiato due etologi belgi, incaricati di trovare almeno due elettori della Lega in buona forma fisica e i n età riproduttiva.
“Facendo accoppiare loro e i loro figli per 106 generazioni — si legge in un documento riservato — potremmo puntare al 7 per cento nella zona di Monza entro il 2234, anno in cui lanceremo una nuova proposta di federalismo”.
Ma la doccia fredda è arrivata in serata: i leghisti non si accoppiano in ambiente ostile e quindi tutto il Nord non è adatto all’esperimento.
Le uniche note positive tra i partiti tradizionali vengono dal Pd: “Abbiamo tenuto — dice il segretario Beppe Bersani — ora sarebbe il caso di cambiare nome al partito. Ne parlerò in serata con Beppe Veltroni, e sentiremo anche Beppe Letta”.
Favorevole la corrente di Beppe Bindi, come anche i cattolici di Beppe Fioroni.
Alessandro Robecchi
(da “Il MisFatto”)
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Maggio 14th, 2012 Riccardo Fucile
SEI ANNI FA ERANO IL 56%… E ANCHE TRA CHI VOTA CRESCE LA SFIDUCIA NEI PARTITI
I risultati delle ultime amministrative hanno dato una scossa violenta alla vita dei partiti.
L’elevato tasso di astensione, il gran numero di schede bianche e nulle (di cui troppo poco si è parlato) e il successo di un movimento antipartitico come la lista 5 stelle hanno mostrato tutta la debolezza delle forze politiche tradizionali nell’opinione pubblica italiana.
D’altra parte, questo scarso appeal dei partiti era già stato indicato dalle ricerche che mostravano il decrescere progressivo del grado di fiducia nei loro confronti.
Diversi esponenti politici avevano obiettato che, malgrado il consenso per l’insieme delle forze politiche si fosse costantemente ridotto, il supporto per i singoli partiti – ciascuno si riferiva in particolare al proprio – non aveva probabilmente subito un trend siffatto.
I risultati delle elezioni hanno mostrato che le cose non stanno così.
Ma lo hanno indicato, prima e dopo le consultazioni, anche le risposte ai sondaggi, che ci offrono una serie di indicazioni ulteriori a quelle emerse dal voto.
Essi confermano ad esempio come anche la fiducia espressa per ciascun partito sia molto esigua.
Ad esempio, dichiara di avere fiducia nel Pd, che è la forza che ottiene il maggiore livello relativo di consenso, solo il 16% dell’elettorato, mentre il 77% manifesta l’atteggiamento opposto.
Naturalmente la maggioranza (67%) degli elettori di questo partito gli conferma il proprio supporto, ma ben un terzo di questi ultimi afferma invece di non nutrire fiducia.
Ancora più critica è la situazione del Pdl, verso il quale la fiducia espressa ammonta, nell’insieme dell’elettorato, al 9%, mentre assume un orientamento contrario l’85%.
Anche in questo caso, la maggioranza (ma meno ampia, il 59%) dei votanti per Berlusconi e Alfano ribadisce il proprio consenso, ma il 40% degli stessi lo nega.
Questi dati spiegano in larga misura il recente risultato elettorale negativo del Pdl, ma mostrano al tempo stesso come la crisi di questo partito perduri ben oltre il momento del voto.
Anche per le altre forze politiche, la grande maggioranza degli italiani esprime sfiducia.
La forza in assoluto meno «gettonata» è, coerentemente con altre rilevazioni precedenti, la Lega.
La sfiducia verso i partiti si inquadra in un più generale trend di disaffezione da tutte le principali istituzioni politiche, anch’esso accentuatosi nelle ultime settimane.
L’indice sintetico di fiducia per le istituzioni politiche elaborato da Ispo (che misura, attraverso un algoritmo statistico, il consenso verso diverse istituzioni, dall’Ue al Parlamento, al Governo, fino al presidente della Repubblica) mostra al riguardo un calo drastico dal valore di 48,4 registrato lo scorso novembre al 25,5 di oggi.
A questo calo di fiducia complessiva corrisponde una altrettanto drastica diminuzione del livello di interesse verso gli avvenimenti politici.
Anche questo è un trend in corso da molto tempo: sei anni fa, nell’aprile 2006, il 56% della popolazione dichiarava di essere in qualche misura («molto» o «abbastanza») interessato alla politica.
Oggi questa percentuale si è drasticamente contratta, superando di poco il 30%, ciò che significa che il 70% degli elettori – era il 43% nel 2006 – afferma di non occuparsi di vicende politiche.
Insomma, la politica è seguita oggi da meno di un italiano su tre.
Appare relativamente più interessata la generazione di età centrale (35-55 anni), specie tra coloro che si collocano nel centrosinistra o nella sinistra tout court .
L’interesse è poi notevolmente più alto (61%) tra i laureati.
D’altra parte, il calo di attenzione per la politica è percepito anche soggettivamente dagli stessi cittadini.
Ben il 43% dichiara infatti di avere ridotto il proprio interesse per le tematiche politiche anche (per alcuni, specialmente) a seguito dei numerosi scandali che hanno coinvolto in questi mesi svariati partiti ed esponenti politici.
Un fenomeno siffatto si è manifestato con particolare intensità tra i meno giovani, tra le casalinghe e, ovviamente, tra i meno partecipi politicamente.
Il quadro complessivo che emerge da questi dati è dunque assai critico.
I risultati del primo turno della amministrative non sono che un segnale evidente del clima di opinione del Paese.
Alla sfiducia nelle istituzioni – e nei partiti in particolare – corrisponde un senso di impotenza (e talvolta, ma in modo minoritario, di rabbia) tra i cittadini che finisce col tradursi nella scelta di forze politiche che «rappresentino» la protesta o, più spesso, in un disinteresse per quanto accade nel mondo politico che si traduce nell’astensione.
E persino per il governo Monti – che ha assunto inizialmente l’immagine di reazione «tecnica» ai partiti tradizionali – si registra in queste settimane un drastico calo di consensi.
Renato Mannheimer
(da “Il Corriere della Sera”)
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Maggio 14th, 2012 Riccardo Fucile
CONTINUANO LE RIVELAZIONI DEGLI EX AUTISTI DI BOSSI JR : “ANCHE 14.000 EURO AL MESE PER LE SUE NECESSITA’ PRIVATE”…IN DUE ANNI SAREBBE COSTATO 600.000 EURO ALLE CASSE DEL PARTITO: “VOLEVA CHE METTESSIMO IL LAMPEGGIANTE PER SUPERARE LE CODE”
Quattro blitz a Bratislava per serate “informali”.
A Brescia per lo shopping (“ottomila euro in un giorno”) e per il dentista.
A Venezia per l’Heineken Music Festival con amici e amiche al seguito e – “come sempre” – con tanto di lampeggiante sciogli-traffico (non autorizzato) piazzato sul tetto della berlina della Lega.
Da Gemonio a Cremona in sella al quad – la moto a quattro ruote che bisognava portare a riparare – e dietro di lui, di scorta, la solita immancabile auto di servizio con autista.
E ancora: in Sicilia per visitare le terre e la famiglia della madre, Manuela Marrone, e poi via a Monaco di Baviera, questa volta, una tantum, con il suo suv Bmw X5: ma con benzina offerta dalla Lega di Famiglia.
Viaggiava Renzo Bossi, viaggiava e a pagare era sempre il Carroccio di papà .
Anche nelle serate in discoteca a Milano: un impegnativo nightclubbing tra i locali all’ombra del Pirellone e i suoi angeli custodi, stipendiati dalla Lega Nord, dovevano scarrozzarlo qua e là e aspettarlo fino all’alba.
Sono loro adesso, gli ex autisti e bodyguard di Bossi jr, a sollevare il velo sul “curioso” diario di viaggio di quello che un tempo era il “ragazzo” da portare in giro e da proteggere.
Il “futuro capo della Lega”, come lo avevano impalmato, raccomandandosi ogni volta, Manuela Marrone e Rosi Mauro. Oscar Morando e Alessandro Marmello (“il bancomat di Renzo”) sono due professionisti licenziati in tronco e ora sono senza lavoro e con
famiglie da mantenere: la Lega ha dato loro il benservito perchè, uno, Morando, non era “più gradito a Renzo”, e l’altro, Marmello, ha “tradito la fiducia” del ragazzo rendendo pubblici dei video in cui ha documentato le dazioni di denaro che Belsito metteva a disposizione del Trota per le sue spese.
“Sono stato con lui dal 15 settembre 2010 al 21 marzo 2011 – racconta Morando, che non è mai stato leghista e che da Tenerife dove viveva è stato arruolato dalla “badante” Rosi Mauro prima come autista di Umberto Bossi e poi come tutor del figlio, ma “ho fatto il peggiore affare della mia vita” .
Prima andavamo in giro con un’Alfa 159, poi con un’Audi A5. Renzo pretendeva che si usasse il lampeggiante per saltare le code, cosa che non è consentita a un consigliere regionale.
Ma il punto vero è un altro, e cioè le sue abitudini, il suo stile di vita da giovane politico.
Si viaggiava spessissimo non per impegni politici ma per partecipare a serate mondane: feste, cene, discoteche. smpre a spese della Lega. Macchine, benzina, autostrade. E certo noi autisti, a disposizione giorno e notte”.
Fa due conti, Morando. “Stipendio da consigliere regionale a parte (12.555 euro mensili), Renzo Bossi costava alla Lega 14 mila euro al mese. Dodicimila euro per gli stipendi dello staff – il sottoscritto, l’altro autista Luca e la segretaria Simona – più altri 2mila in contanti che ci venivano dati dalla Lega per le sue spese correnti. In due anni vengono fuori quasi 600 mila euro che l’Italia ha pagato a questo ragazzo. Anche per andare a Brescia dal dentista o a fare spese. Lascio ai militanti della Lega stabilire se siano stati ben spesi oppure no”.
I soldi per la dolce vita dell’ex consigliere regionale uscivano con flusso ininterrotto dalle casse della balena verde e – ritengono i magistrati – provenivano dal finanziamento pubblico ai partiti.
“Dei nostri soldi possiamo fare quello che vogliamo, anche buttarli dalla finestra”, ha chiosato Umberto Bossi.
Chissà se tra tutte le possibili destinazioni delle risorse del movimento il Senatur annoverasse anche i capricci del giovane Renzo.
La sua attività politica al Pirellone non passerà di certo alla storia; in compenso chi aveva il compito di seguirlo come un’ombra ricorda alcuni viaggi non proprio istituzionali.
E capricci. “Mauro e Marrone mi avevano affidato Renzo chiedendomi di farlo diventare un uomo e di tenerlo lontano dai guai – continua Morando – . Ma è stato impossibile, si ribellava, faceva quello che voleva e mi diceva che dovevo farmi i fatti miei. Una volta siamo andati a Bratislava in macchina, grazie al suo avvocato aveva buoni rapporti con il presidente del parlamento slovacco. Arrivato là ho scoperto che il motivo del viaggio era una festa”.
Altre tre gite slovacche Renzo le ha fatte con la Audi A6 della Lega guidata da Alessandro Marmello, l’autista-bancomat assunto nel 2011 dalla Lega Nord (contratto firmato da Francesco Belsito) e lasciato a casa lo scorso aprile dopo la storia dei video.
“Prelevavo soldi per le sue spese personali, passavo a prenderli direttamente in via Bellerio e prendevo fino a 1000 euro a volta, anche più volte al mese – ha raccontato Marmello ai magistrati – . Ho voluto denunciare perchè deduco che quei soldi fossero destinati alla Lega per fare politica. Che fossero soldi pubblici”.
Il Trota non si accontentava mai. E la sera voleva divertirsi.
I suoi locali preferiti nella movida milanese? Food and Fashion, Legend, Sky Lounge, Old Fashion.
Renzino ballava, fuori gli autisti aspettavano col lampeggiante pronto.
(da “La Repubblica”)
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