Maggio 17th, 2012 Riccardo Fucile
GRAZIATO UMBERTO, MARONI ORA VUOLE RIDIMENSIONARE I COLONNELLI… OLTRE A TOSI, FA PASSI AVANTI SALVINI
La voce di imminenti avvisi di garanzia girava da circa una settimana: anche per questo Roberto Maroni, venerdì scorso, aveva voluto incontrare Umberto Bossi per decidere insieme il futuro della Lega anticipando eventuali imbarazzi giudiziari.
Alla fine dell’incontro i protagonisti non avevano voluto rilasciare dichiarazioni, così da annunciare le novità davanti a tutti i colonnelli lunedì.
Il succo del «patto» è noto: il Senatur ha firmato un documento in cui dà il via libera alla candidatura di Maroni a segretario federale, e addirittura ne auspica la vittoria al congresso che si terrà tra poco più di un mese.
Ieri mattina, quando su Facebook chiedeva un Carroccio senza «faccendieri nè ladri», Bobo non immaginava che nel giro di poche ore arrivassero avvisi di garanzia per il Senatur e i figli Renzo e Riccardo, accusati di truffa ai danni dello Stato per la faccenda dei rimborsi elettorali. A questo punto Maroni sembra non avere davvero più rivali, ma il partito resta lacerato.
L’ex ministro ha confessato ai fedelissimi che diventare segretario federale in questo momento sarà un impegno più gravoso di quello che gli era stato affidato al Viminale.
Per questo, Bobo intende dettare alcune condizioni.
Primo: nel giro di tre anni abbandonerà il comando del movimento.
Secondo: vuole scegliersi uno staff di fedelissimi, e tra questi il nome caldo è quello di Matteo Salvini.
Per Bobo vale il motto “dimmi con chi vai e ti dierò chi sei”, insomma…
L’europarlamentare è in ballottaggio con Giacomo Stucchi per guidare la Lega Lombarda, ma potrebbe cedere alle lusinghe di Bobo diventando il suo braccio destro e occuparsi così del coordinamento delle segreterie.
L’incarico è attualmente in mano a Roberto Calderoli, che per il futuro rischia di dedicarsi alle faccende organizzative.
Nella cosiddetta Lega 2.0 voluta da Maroni, Giancarlo Giorgetti potrebbe guidare la segreteria politica, l’organismo che dovrà sintetizzare le proposte dei vari dipartimenti (dall’economia alla sicurezza) per delineare le ricette lumbard.
Oltre a Salvini, Maroni sceglierà almeno altre due persone: non necessariamente un piemotese e un veneto, perchè le «nazioni» saranno equamente rappresentate in consiglio federale.
Di più: certamente non affiancheranno Bobo i governatori Luca Zaia e Roberto Cota.
Il primo intende dedicarsi al Veneto, il secondo è anche leader della Lega piemontese.
E il Senatur? Sarà presidente fondatore con la facoltà di dire l’ultima parola sulle eventuali espulsioni dei militanti da più di vent’anni.
Un modo per tutelare il clan di Gemonio da eventuali purghe, che l’ex ministro dell’Interno giura comunque di non voler fare.
Formalmente, il vecchio capo può blindare gente come la moglie Manuela Marrone, l’ex capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni e Giuseppe Leoni.
Però la pistola di Umberto rischia di rivelarsi scarica: per ridimensionare qualche colonnello senza proporne l’allontanamento, è sufficiente il niet della sezione al rinnovo della militanza, così da degradarlo a semplice sostenitore senza facoltà di voto attivo e passivo.
Da escludere, al momento, una robusta iniezione di veneti in posizioni apicali, anche perchè hanno già il tesoriere Stefano Stefani e i capigruppo di Camera e Senato Gianpaolo Dozzo e Federico Bricolo.
Il puzzle della Lega 2.0 si sta delineando in queste ore (non va dimenticato che il maroniano Flavio Tosi è in pole per vincere l’imminente congresso veneto), e proprio in questa fase Renzo Bossi è in vacanza in Marocco con l’ex assessore lombardo Monica Rizzi e il compagno di lei, Alessandro Uggeri.
Per il Trota non è proprio periodo: sul suo aereo, per puro caso, c’era il giornalista de Linkiesta Alessadro Da Rold che rischia di marcarlo stretto pure in ferie.
E ieri è arrivato l’avviso di garanzia.
In via Bellerio sperano che le grane giudiziarie siano finite. Resta da capire il ruolo del Senatur. I casi son due, spiegano alcuni leghisti.
Sapeva cosa combinavano i suoi figli con l’ex tesoriere Francesco Belsito, oppure l’hanno fatto fesso.
I padani non sanno cosa augurarsi.
Matteo Pandini
(da “Libero“)
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Maggio 17th, 2012 Riccardo Fucile
FIN DALL’INIZIO DELLA SUA CARRIERA POLITICA, UMBERTO BOSSI ERA STATO MOLTO ATTENTO A MANTENERE IL CONTROLLO DELLA CASSA
Altro che presidente federale “a vita”: ora toccherà al senatur venire espulso dal partito di cui è fondatore, sempre che non provveda egli stesso a autosospendersi.
La magistratura ritiene di avere elementi sufficienti per dimostrare che Umberto Bossi era consapevole dell’infedeltà dei rendiconti amministrativi con cui la Lega ha movimentato i 18 milioni di euro incassati dallo Stato nell’agosto 2011.
Già da quattro anni, inoltre, gli ignari contribuenti italiani versavano, Bossi consenziente, una “paghetta” mensile di cinquemila euro cadauno ai suoi figli Renzo e Riccardo.
Nè più nè meno un furto, perpetrato da un ministro della Repubblica
L’ex capo leghista, cui tutto si può rimproverare tranne l’assenza di fiuto, non a caso si era già dimesso da segretario.
Fin dal 4 maggio, vigilia della batosta elettorale, si era rinchiuso in un insolito silenzio. Da allora il suo nome è scomparso dal bollettino delle iniziative di partito pubblicato quotidianamente su “La Padania”.
Difficilmente tornerà a comparirvi.
Fine ingloriosa dell’”Idiota in politica”, che idiota certo non era. Faremmo torto, difatti, all’intelligenza di Bossi, prendendo sul serio la leggenda su cui Maroni ha impostato la rifondazione leghista: Umberto leader integerrimo cui la moglie e i figli avrebbero fatto perdere la testa; o che l’ictus del 2004 avrebbe lasciato alla mercè di un “cerchio magico” profittatore.
Stiamo parlando dell’uomo con cui Berlusconi e Tremonti giocavano di sponda nei più delicati equilibri di governo, concedendogli un potere spropositato.
Trattarlo come un deficiente che firma i bilanci senza accorgersene — ieri ci ha provato ancora Flavio Tosi — è un trucco che non funziona più.
Superato lo choc, prevedo che il nuovo stato maggiore leghista ne prenderà atto.
Del resto, quale può essere la credibilità di questi dirigenti che fino a ieri dichiaravano inconcepibile una Lega senza Bossi, e fino all’altro ieri magnificavano le virtù politiche del figlio destinato alla successione?
Mentivano per convenienza e per timore, ben consapevoli del rischio di venire espulsi al minimo cenno di dissenso, o per lo meno di venire emarginati dal palcoscenico redditizio delle adunate di partito
Fin dagli albori della sua carriera politica Bossi è stato attentissimo a mantenere il controllo della cassa.
Non per arricchirsi, ma per comandare.
La sua astuzia popolana è sempre stata intrisa di diffidenza. Praticava la tecnica della sottomissione nella cerchia degli adepti e verificava la loro fedeltà facendogli ingoiare il suo dispotismo.
Che amasse la vita rustica e sregolata disdegnando il lusso, spiega il suo successo di leader populista ma resta ben fragile attenuante.
La disinvoltura con cui attingeva ai finanziamenti di un partito che — incoraggiato da chi gli ruotava intorno — considerava emanazione inscindibile dalla sua persona, spiega l’assoluta indifferenza di Bossi alle regole dello Stato e a ogni norma statutaria. In uno dei suoi ultimi comizi, per giustificare il pagamento con soldi pubblici dell’appartamento romano di Calderoli, disse proprio così: “I soldi sono nostri, se vogliamo possiamo anche buttarli dalla finestra”.
È questa la sua idea di onestà , magnificata ieri da Tosi, Boni, Borghezio, Salvini e compagnia.
Piace ricordare ancora che Piergiorgio Stiffoni, l’altro dirigente leghista autosospeso, già membro della tesoreria insieme a Belsito e Castelli, prima di venir sottoposto a indagine per distrazione di fondi pubblici al Senato, si distingueva per le sue odiose sortite razziste contro gli immigrati e gli omosessuali, giunte fino all’evocazione delle camere a gas: un personaggio ben meritevole di cotanto disonore.
Non per banale rivalsa è giusto ricordarlo, ma anche per spiegare la crisi così repentina del movimento leghista cui stiamo assistendo.
Deflagrato come questione morale, e senza dimenticare che la spregiudicatezza leghista si acutizza nel corso dell’alleanza ultradecennale col partito di Berlusconi, il declino del Carroccio trae origine dall’anacronismo divenuto all’improvviso evidente della sua offerta politica.
È come se d’un colpo l’ampiezza dei fenomeni globali — dalla crisi sprigionatasi nel cuore dell’economia occidentale, alla primavera araba — avesse rivelato l’inadeguatezza culturale del populismo al governo.
Non dimentichiamolo: Bossi è stato un ministro insignificante, prima che un leader arraffone.
Gad Lerner
(da “La Repubblica“)
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Maggio 17th, 2012 Riccardo Fucile
IL TESORIERE DELLA MARGHERITA, ASCOLTATO A PALAZZO MADAMA, SI DIFENDE: “FACEVO CIO’ CHE MI DICEVANO”….ASSEGNI ANCHE A BIANCO
Renzi ha richiesto dei soldi, circa 100 mila, anzi 120 mila euro suddivisi in tre fatture, poi Rutelli mi ha chiesto di non pagargli la terza e così ho dato a Renzi solo 70 mila euro.
E’ questa una delle rivelazioni che Luigi Lusi, secondo l’Agi, ha fatto durante la sua audizione alla Giunta delle immunità di palazzo Madama.
Lusi, sul quale pende la richiesta di arresto della Procura di Roma, ha consegnato una memoria con numerosi allegati, rivelando di aver già detto tutto ai magistrati.
Nella Margherita – ha raccontato Lusi secondo quanto viene riferito – facevo semplicemente ciò che mi veniva detto. Agivo su mandato dei dirigenti e tutelando le varie componenti”.
L’ex tesoriere della Margherita ha sottolineato di aver dato dei soldi (ha parlato, riferiscono le fonti, di annualità e di mensilità ) a varie fondazioni, tra cui quella di Rutelli e ad una fondazione chiamata “Centocittà “.
Ad Enzo Bianco, invece, veniva fornito – secondo il racconto di Lusi – un mensile di 3000 euro, poi passato a 5500.
Ad una società di Catania legata al marito della segretaria di Bianco è stata fornita una cifra di circa 150mila euro, erogati – sempre secondo Lusi – tra il 2009 e il 2011. Secondo Lusi anche a Rutelli venivano fornite delle cifre ingenti in occasione delle elezioni.
In che modo venivano contabilizzate queste cifre?, gli hanno chiesto alcuni componenti della Giunta.
In modo da tutelare Rutelli, la risposta.
Ad alcuni determinati dirigenti della Margherita venivano erogate altre somme, che non venivano controllate da Lusi qualora a chiederle fossero degli esponenti di primo piano del partito.
Sempre secondo il racconto di Lusi altri soldi venivano dati, attraverso bonifici o contanti, quandi deputati portavano le ricevute fiscali dei taxi affinchè venissero rimborsate.
Lusi ha parlato – secondo quanto si apprende – anche del fatto che molti dirigenti passati all’Api venissero pagati con i soldi della Margherita.
Altro particolare rivelato da Lusi: quando il tesoriere ha lasciato il suo incarico nelle casse della Margherita c’erano 20 milioni, soldi che – secondo l’accusa di Lusi – ora sono stati utilizzati da Rutelli affinchè vengano restituiti ai cittadini.
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Maggio 17th, 2012 Riccardo Fucile
IL NUOVO CHE AVANZA: 130 NOMINE E UNA LEGGE DI CALDEROLI DA AGGIRARE…NON POTREBBE CONCORRERE ALLA PRESIDENZA DELLE PARTECIPATE CHI E’ STATO IN CONSIGLIO COMUNALE NEGLI ULTIMI TRE ANNI
Sono giorni di intenso lavoro per il sindaco rieletto di Verona Flavio Tosi: da una parte c’è il congresso nazionale, dall’altra una città da riorganizzare, che, in termini politici, significa assegnare circa 200 nuove poltrone, Giunta esclusa. Per quanto riguarda la corsa al congresso l’altra sera il primo cittadino di Verona era nella “tana del lupo” a Treviso, e precisamente a Riese Pio X, dove si è riunito lo stato maggiore dei “rottamatori” che lo sostengono.
E nel discorso fatto alle 130 persone presenti (una cena riservata a politici e tosiani’ locali) c’è una frase che fa spellare e mani dagli applausi: “Ho la tessera della Lega da vent’anni, ma ho un nuovo modo di fare l’amministratore, con il congresso possiamo fare pulizia”.
Ad appoggiare il sindaco veronese c’è anche l’ex “sceriffo” di Treviso Giancarlo Gentilini, che ha ancora molto ascendente sulla frangia ‘tradizionalista’ del leghismo trevigiano.
Tosi se la vedrà con la parte ortodossa del partito, rappresentata da Gianantonio Da Re, trevigiano doc, molto legato al segretario Gianpaolo Gobbo.
La proiezione nazionale però non distrae Tosi dagli impegni della sua città , perchè ora c’è un bel po’ di gente da sistemare nei vari enti pubblici e partecipati.
Prima di tutto c’è la formare la giunta, che va spartita tra le due liste Civica Tosi e Lega Nord. Le nomine potrebbero arrivare oggi stesso.
Gli assessorati sono 10, sei o sette dovrebbero andare alla Civica e tre o quattro al Carroccio.
Per quanto riguarda la Lista dovrebbe rimanere al suo posto l’assessore all’urbanistica e vicesindaco Vito Giacino, cui potrebbe andare anche la delega dell’edilizia privata, vista la diminuzione degli assessorati di tre unità .
Quasi certa la riconferma di Pierluigi Paloschi al Bilancio, Enrico Toffali agli Enti e Personale e Gigi Pisa a Strade e Giardini.
Un po’ meno scontati i nomi di Alberto Benetti a cui dovrebbe andare la delega per l’Istruzione, Anna Leso ai servizi sociali, Marco Giorlo allo Sport e
Stefano Casali alla Cultura.
La delega al decentramento se la giocano Antonino Lella e Massimo Mariotti. Il leghista Luca Zanotto è invece il candidato favorito alla presidenza del consiglio regionale.
Ma c’è una partita ancor più difficile e più remunerativa (per chi la vince): ovvero le poltrone degli enti e delle municipalizzate.
Sono infatti in scadenza i Cda delle aziende partecipate come Amia
(multiservizi igiene ambientale), Agsm (elettricità e gas), Amt
(Mobilità e trasporti).
La deadline è il 30 giugno, 132 le nomine da fare (tra presidenti e consiglieri), alcune delle quali molto ben retribuite, basti pensare che lo stipendio capo della società del gas è di 50mila euro l’anno.
Per ora non è in discussione la riconferma del suo attuale presidente Paolo Paternoster, leghista doc che passerà indenne alla vivace campagna elettorale rimanendo saldamente accorato al suo scranno.
Cambio in vista per la Multiservizi per l’igiene ambientale di Stefano
Legramandi, che non si era candidato alle elezioni e che quindi ora potrebbe uscire di scena.
All’azienda che si occupa della gestionedella case comunali potrebbe rimanere Giuseppe Venturini, uomo di Brancher.
Le indennità ammontano complessivamente a oltre 400mila euro solo per le partecipate, e singolarmente sono calcolate in funione di quella del sindaco, ovvero 90.235 euro.
La nuova legge introdotta con l’ultima finanziaria stabilisce che chi ha ricoperto la carica di consigliere comunale negli ultimi tre anni non potrà essere nominato nel Cda di una società partecipata dal Comune.
Ma a quanto pare ci sarebbe già una squadra di tecnici comunali al lavoro per capire se il divieto di nomina voluto dalla legge Calderoli sia tassativo o no. La legge c’è e appare chiara, ma c’è chi dice che l’asticella potrebbe crollare con una ‘interpretazione autentica’ della norma.
In ballo ci sono ancora Consorzio Zai, Veronamercato e la Fiera, dov’è in scadenza Ettore Riello, Pdl frondista anti-Berlusconi, che rischia di pagare il tracollo elettorale del partito all’ultima tornata amministrativa.
Restano poi Autobrennero, Parco Scientifico e Aeroporto Catullo.
Per quanto riguarda il Catullo ciò che destaattenzione non è tanto la nomina, ma lo shopping societario.
Ci sono infatti voci insistenti che danno Vito Gamberale, ad di F2i a caccia di azioni dell’aeroporto di Villafranca Veronese.
Gamberale è indagato dalla procura di Milano per la vedita delle quote Sea proprio a F2i (con una gara “fatta su misura” per la società di Gamberale, dicono le intercettazioni).
Ma visto il buco milionario, la partecipazione F2i farebbe comodo anche allo stesso ente aeroportuale, in cerca di liqidità per sostenere investimenti previsti a breve.
Un incontro tra Gamberale, presidente della Fondazione Cariverona e il sindaco Tosi sarebbe già avvenuto ad aprile.
Luca Telese blog
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Maggio 17th, 2012 Riccardo Fucile
PER IL CASO GIACOMINI PERQUISITI GLI UFFICI DI VERBANIA DELL’ESPONENTE LEGHISTA, PRESIDENTE DELLA LOCALE SQUADRA DI CALCIO
Clamoroso sviluppo della vicenda Giacomini, che ha visto finire in carcere Corrado ed Elena Giacomini, titolari dell’azienda, e Alessandro Jelmoni, faccendiere già coinvolto nel crac della Parmalat, e arrestato dalla polizia giudiziaria di Milano.
I carabinieri hanno oggi perquisito gli uffici di Verbania del senatore della Lega Nord, Enrico Montani, patron del Verbania calcio, che risulta anche iscritto nel registro degli indagati. Dagli uffici di corso Garibaldi a Intra sono state sequestrate alcune carte.
Perquisizioni oggi anche nell’ufficio di Mariella Enoc, presidente di Confindustria Piemonte, che al momento però non è indagata e smentisce un suo coinvolgimento nella vicenda.
Ascoltato anche come persona informata dei fatti William Malnati, funzionario dell’ufficio legislativo dei gruppi della Lega Nord e presidente dell’Aspen di Varese.
A Malnati sono stati chiesti chiarimenti sugli atti presentati dal senatore Montani tra il 2011 e il 2012.
In particolare un emendamento di Montani legato agli incentivi per l’utilizzo delle energie rinnovabili.
Un ambito che interessava al gruppo Giacomini.
Nell’ambito di questa inchiesta ieri, dopo aver ricevuto un avvisio di garanzia, si era dimesso il sottosegretario alla Giustizia Andrea Zoppini.
Secondo le accuse avrebbe aiutato i fratelli Giacomni a costituire un fondo nero in Lussemburgo.
Una consulenza da 1 milione 800 mila euro in gran parte versata in nero all’estero.
(da “La Stampa”)
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