Gennaio 16th, 2013 Riccardo Fucile
L’OPERAZIONE ANCORA IN CORSO: SEQUESTRATI BENI PER 3,5 MILIONI DI EURO, 17 INDAGATI
Dalle prime ore dell’alba è in corso una operazione della Guardia di Finanza condotta per
conto della Procura.
Arrestati ai domiciliari il consigliere regionale del Pdl Luigi Giuseppe Villani, l’ex sindaco di Parma Pietro Vignali, l’ex presidente della società partecipata comunale Stt Andrea Costa e l’editore del quotidiano Polis e presidente del cda di Iren Emilia Angelino Buzzi.
LE ACCUSE
Dalle prime informazioni risulta che i quattro “hanno tenuto costantemente, nel corso di più anni – scrivono le Fiamme Gialle – una condotta fraudolenta finalizzata ad accumulare ingenti ricchezze da destinare ad usi strettamente privati”, tra cui il “finanziamento della campagna elettorale per le elezioni amministrative di Parma del 2007”, il “controllo della stampa locale” e la “fidelizzazione della popolazione parmense e non ad un particolare ‘movimento’ politico anche al fine di una eventuale candidatura alle successive elezioni politiche nazionali”.
Diciassette gli indagati. Sequestrati beni per circa 3,5 milioni di euro e disposto dal giudice per le indagini preliminari Maria Cristina Sarli il sequestro di beni mobili ed immobili intestati e riconducibili agli arrestati.
Le ordinanze sono state richieste questa estate e firmate solo oggi dal gip: un lasso di tempo giustificato probabilmente dai numerosi atti di indagine.
Ulteriori particolari saranno forniti in una confenza stampa in tarda mattinata.
LE ALTRE INCHIESTE –
Nuovi arresti clamorosi a Parma, dunque, dopo la bufera di Green Money 2, l’inchiesta anti-corruzione della Procura, datata giungo 2011: arrestati diversi dirigenti comunali molto vicini all’allora sindaco Vignali, tra cui il capo della polizia municipale Giovanni Maria Jacobazzi.
A settembre era stata la volta dell’operazione Easy Money e in manette era finito l’assessore alla Scuola Giovanni Paolo Bernini, per tangenti legate alle mense scolastiche.
Gli arresti avevano scatenato una rivolta popolare tra i parmigiani, che in centinaia erano andati a manifestare indignati sotto il municipio, portando l’ex Giunta di centrodestra alle dimissioni e spianando la strada al trionfo del Movimento 5stelle.
CHI SONO GLI ARRESTATI –
Luigi Giuseppe Villani è l’indiscusso ras del centrodestra di Parma e provincia. Capogruppo del Pdl in consiglio regionale da anni, coordinatore del Pdl provinciale fino al febbraio 2012 (quando venne nominato il suo successore Paolo Buzzi, numero due dell’ex sindaco Vignali ora tra i banchi dell’opposizione in Giunta comunale) nonchè vicepresidente di Iren, la multiutility dell’energia contestata per la costruzione del famigerato inceneritore.
Pietro Vignali è stato sindaco di Parma dal 2007 al 2011, costretto a lasciare l’incarico prima della fine del mandato abbandonato da tutti, compreso il partito, a causa delle inchieste giudiziare che hanno travolto la sua Giunta di centrodestra.
Ora ha raccontato di essere tornato a fare il commercialista per 500 euro al mese.
Anche Andrea Costa è stato costretto a dimettersi. Era presidente della più grande società partecipata del Comune di Parma, la Stt.
Ha lasciato l’incarico nel novembre del 2010 dopo un avviso di garanzia per abuso di ufficio: il manager era stato anche presidente della Tep, l’azienda di trasporti pubblica di Parma, che aveva investito circa otto milioni di euro nella banca Mb, commissariata dalla Banca d’Italia, e nel cui cda sedeva lo stesso Costa.
Infine Angelo Buzzi imprenditore immobiliare, “boss” della squadra di calcio locale Crociati Noceto, editore del quotidiano Polis e poi presidente del cda di Iren Emilia, accusato in passato di aver “svenduto” il suo giornale al centrodestra locale.
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 16th, 2013 Riccardo Fucile
IL RAPPORTO CIVICUM-POLITECNICO DI MILANO: IL CONFRONTO CON GLI ALTRI BIG
Avete presente il bilancio dello Stato italiano? No? 
Più che giustificato: è complicato e tenuto oscuro dallo Stato stesso, che nulla fa per renderlo trasparente ai cittadini.
Il guaio che si aggiunge al guaio è che anche gran parte dei candidati che si proporranno alle elezioni del 24 e 25 febbraio non ne sanno molto.
E piuttosto confusi – comunque decisi a mantenerlo nel regno del misterioso – appaiono i partiti quando ne parlano.
Quando cioè avanzano programmi e proposte che riguardano la voce entrate (le tasse) e la voce uscite (la spesa pubblica): il cuore del governare, l’essenza della sovranità , quello per cui chiedono voti.
Rendere leggibile il bilancio pubblico e magari metterlo a confronto con quello di altri Paesi è dunque un primo passo per stabilire di cosa si parla e per togliere i veli dietro ai quali, il giorno dopo essere eletti, governanti e legislatori smettono di rispondere ai cittadini.
Per esempio, ci è chiaro cosa significa il nostro debito pubblico?
Significa che nel 2010 ogni italiano ha pagato 1.143 euro di interessi su di esso: tanto quanto per l’Istruzione.
Vuole cioè dire che debito è uguale a tasse: immediate (gli interessi) e differite (qualcuno lo dovrà ripagare, cioè i cittadini di domani).
Ed è sottrazione di risorse a investimenti e servizi. In aggregato, nel 2010 l’Italia ha speso per interessi sul debito il 4,4% della ricchezza prodotta (Pil): la Germania solo il 2,6%, la Gran Bretagna il 2,9%.
Vista l’opacità dei numeri dello Stato, Civicum – un’associazione non politica che si batte per migliorare la trasparenza dell’Amministrazione pubblica – e il Politecnico di Milano hanno lavorato per disboscare e rendere leggibili i conti dello Stato.
E per confrontarli con quelli di Germania, Spagna, Francia e Gran Bretagna.
E per questa ragione il Corriere della Sera propone una parte del loro studio: all’interno di una serie di iniziative (La prova dei fatti) che sta prendendo – e prenderà sempre più intensamente con l’avvicinarsi delle elezioni – per stabilire non solo la credibilità dei programmi dei partiti ma anche per misurarne il loro effetto su economia reale e conti dello Stato.
I numeri su cui hanno lavorato Civicum e Politecnico, in parte riportati nella tabella in pagina, sono riferiti all’anno 2010: da allora alcune voci hanno subito variazioni; ciò nonostante, la distribuzione della spesa tra i servizi prodotti dallo Stato e tra le funzioni da esso svolte non ha subito cambiamenti significativi.
«Immaginiamo una famiglia di quattro persone che guadagna centomila euro lordi l’anno, cioè 8.300 euro al mese – calcola il presidente di Civicum, Federico Sassoli de Bianchi – All’Amministrazione pubblica ne versa circa 44 mila, ai quali ne vanno aggiunti quattromila di nuovo debito pubblico (la differenza tra uscite ed entrate) che prima o poi dovrà pagare. Alla famiglia restano 52 mila euro all’anno, 4.300 al mese. Gli italiani percepiscono correttamente che a fronte di 4.300 euro netti al mese ne hanno dati quattromila allo Stato? L’Imu è stata percepita perchè la si è dovuta calcolare e pagare. Ma le imposte indirette, i contributi, le imposte dirette dei dipendenti e spesso quelle versate come sostituti d’imposta non si vedono».
È opportuno metterle in chiaro.
Perchè, sostiene Sassoli, «siamo tutti azionisti dello Stato, ma lo Stato è l’unica società che non dà rendiconti interpretabili: il nostro obiettivo è promuovere la trasparenza in un Paese che tende all’opacità ».
Dalla tabella si vede che nel 2010 lo Stato ha prelevato da ogni cittadino 11.860 euro, tra tasse e contributi sociali.
E per ogni cittadino ne ha spesi 12.965, oltre che per servire il debito per servizi pubblici, Difesa, Ordine pubblico, Sanità , Istruzione e via dicendo, soprattutto Welfare. (La differenza, 1.105 euro, è stata in sostanza nuovo debito).
I confronti con i bilanci degli altri Stati possono stimolare molte riflessioni.
Il rettore del Politecnico di Milano, Giovanni Azzone, ne sottolinea due. «Innanzitutto, l’importanza della crescita economica. Come si vede dalla tabella, la Germania ha una spesa pubblica pro capite di quasi 14.500 euro, contro i meno di 13 mila dell’Italia. Ma avendo un Pil pro capite di cinquemila euro più alto del nostro, la percentuale di spesa pubblica rispetto al Pil è più bassa, 47,5% contro il nostro 50,4%».
Anche per questo è decisivo fare ripartire la crescita.
La seconda riflessione di Azzone riguarda la composizione della spesa dello Stato. «Sotto la voce Protezione sociale – dice – l’Italia è il Paese che spende di più per malattia, disabilità , anzianità , in sostanza per pensioni, il 18,3% del Pil: addirittura più della Francia (17,7%) e molto più di Gran Bretagna (11,5), Germania (14,8), Spagna (12,3).
Dall’altra parte, spende molto meno in aiuti ai disoccupati e in sostegno alle famiglia, in contrasto con le dichiarazioni che i politici fanno in campagna elettorale.
C’è qualche riequilibrio da fare, qui: anzi, direi che serve un ripensamento del Welfare. E qualcosa da fare ci sarebbe anche per l’Istruzione universitaria, dove l’Italia spende (lo 0,4% del Pil) meno della metà degli altri Paesi»
Mettere in termini chiari il bilancio pubblico – cioè mostrare in modo trasparente come vengono utilizzati i nostri denari – dovrebbe essere compito dello Stato. In effetti, sia Sassoli sia Azzone si augurano che in un futuro non lontano lo faccia attraverso un istituto, un’agenzia, un centro studi, come avviene in altri Paesi.
Intanto hanno elaborato queste tabelle sulle quali ognuno può vedere i flussi in entrata e uscita.
E Civicum vi ha aggiunto alcune domande (nel box in pagina) ai candidati del 24 e 25 febbraio.
Tanto per sapere di cosa parliamo.
Danilo Taino
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 16th, 2013 Riccardo Fucile
ANALISI ED EQUILIBRI TRA LE COALIZIONI IN VENETO, LOMBARDIA, SICILIA E CAMPANIA
Grandi manovre intorno al Senato e ai suoi premi di maggioranza regionali. I sondaggi danno
veramente in bilico i risultati di Lombardia, Veneto, Sicilia e Campania e le coalizioni cercano di rastrellare ogni possibile voto utile.
Tenendo conto della variante che nella ripartizione dei seggi destinati ai perdenti non ci sarà più una ripartizione bipolare, come nel 2006 e 2008, ma multipolare.
Perchè oltre a Pd, Pdl e Monti, secondo i sondaggi possono superare la soglia dell’8 per cento prevista per accedere al Senato anche Grillo e Ingroia.
L’obiettivo di Pd e Sel, comunque, non è solo di superare la fatica quota di 158 senatori, ma di raggiungere una quota di sicurezza superiore che renda possibile governare.
Evitando l’esperienza del secondo governo Prodi appeso a pochi voti di maggioranza e spesso “sorretto” dal voto dei senatori a vita.
Ma per fare questo bisogna conquistare tutte le altre regioni e vincere in almeno due fra Campania, Sicilia e Lombardia.
Diventa quindi fondamentale conquistare i 27 seggi lombardi sui 49 in palio.
E assumono carattere vitale i 16 consiglieri campani, su 29, e i 14 siciliani su 24. Nell’isola la partita del centrosinistra sembra persa, ma in Lombardia e Campania si lotta.
Anche se all’ombra del Vesuvio Bersani deve fare i conti con l’irrompere sulla scena, oltre che di Monti, anche di Ingroia e dei suoi arancioni.
Stimati ben al di sopra dell’8 per cento possono fare perdere il centrosinistra.
E lo stesso ragionamento vale anche per la Lombardia.
Per questo Vendola sta cercando di “trattare” con Ingroia qualche forma di “desistenza” che non favorisca Berlusconi.
Il Cavaliere da parte sua sta chiudendo accordi con tutti.
L’ha fatto in Sicilia con il Movimento per le Autonomie di Raffaele Lombardo e con il Pid di Saverio Romano.
E in Campania Berlusconi ricandiderà anche Nicola Cosentino, ex sottosegretario e deputato al centro di una vicenda giudiziaria.
Niente accordo invece con Clemente Mastella che correrà da solo con la sua Udeur.
Il nostro risultato, avverte l’ex ministro della Giustizia, sarà comunque decisivo per la vittoria al Senato di una delle coalizioni.
Berlusconi nella sua ricerca spasmodica di “alleati” per vincere la partita di Palazzo Madama si apparenterà anche con il movimento di Gianpiero Samorì e Rinnovamento italiano di Arturo Artom.
Un imprenditore che assicura di avere i voti per essere decisivo al Senato in Lombardia.
VENETO
Da Santini alla Puppato, questa volta ci sperano
Partita equilibrata in una delle roccaforti del centrodestra. Il politologo Feltrin: ma Pdl e Lega sono ancora avanti
Testa a testa tra destra e sinistra in un altro degli Ohio italiani, il Veneto, tra le regioni chiave per la conquista della maggioranza al Senato.
Notizia straordinaria per una roccaforte conservatrice, dove alle ultime regionali Lega e Pdl avevano superato insieme il 60 per cento dei consensi, lasciando a 30 punti di distacco il centrosinistra.
Oggi i sondaggi mostrano due schieramenti alla pari, che si contendono il premio di maggioranza (14 seggi su 24) superando entrambi di poco il 30 per cento dei consensi. Percentuali che permettono a Laura Puppato, capolista al Senato, che aveva avuto un buon risultato personale alle primarie del Pd, di presentarsi con ottimismo alla competizione: «Questa volta ce la giochiamo. E possiamo farcela».
Se il Pd non può diffondere gli ultimi risultati in suo possesso, qualche giorno fa lo ha fatto il sito Scenaripolitici che ha pubblicato i dati raccolti tra il 3 e il 6 gennaio in Veneto: centrodestra al 30%, centrosinistra al 28%, liste per Monti al 14%, Movimento 5 stelle al 13,5%.
Raffredda gli entusiasmi della sinistra Paolo Feltrin, docente di Scienza Politica all’università di Trieste: «È vero che la sinistra ha aumentato i suoi consensi negli ultimi tempi, ma i modelli di simulazione danno ancora vincente, in Veneto, l’alleanza Lega-Pdl. Certo la campagna elettorale non è ancora finita. Però, al momento, penso che i 14 seggi di maggioranza andranno alla destra. Il Pd potrà contare su 4 o cinque seggi, uno Sel, due Monti, due Grillo».
Partita aperta. Che si giocherà molto sulle candidature.
Il Pd schiera tra i suoi capolista oltre a Laura Puppato, capogruppo in consiglio regionale, l’ex magistrato veneziano Felice Casson e Giorgio Santini, padovano, numero due della Cisl, che ha lasciato il suo incarico per candidarsi.
Il Pdl scommette sull’ex governatore Giancarlo Galan, mentre la Lega non ha ancora scelto.
Circolano nomi minori come Marco Marcolin, sindaco di Cornuda, in provincia di Treviso, e Emanuele Prataviera, segretario del Veneto orientale.
Sel punta su Pape Diaw, portavoce della comunità senegalese. La lista Monti avrà , naturalmente, un professore: Gianpiero Dalla Zuanna, docente di Demografia all’università di Padova. Mentre per il Movimento 5 stelle potrebbe essere Enrico Cappelletti, imprenditore della green economy, a capovolgere le previsioni.
SICILIA
Moltiplicate le formazioni per aggiudicarsi un premio di maggioranza che può cambiare le sorti delle elezioni
Otto liste per il Cavaliere. In campo anche Crocetta
Una dote di 14 seggi.
Un tesoretto che può segnare la differenza, facendo ancora una volta della Sicilia una sorta di swinging State, una regione chiave nella sfida del Senato.
Il premio di maggioranza per la coalizione vincitrice dell’Isola peserà , eccome, sul risultato finale: basti pensare che, secondo il sondaggio Ipsos, fallendo il successo in Sicilia e in Lombardia Bersani non avrebbe più i numeri sufficienti a Palazzo Madama.
Berlusconi lo sa bene e, con l’obiettivo dello stallo, ha preparato la partita in Sicilia allargando al massimo il centrodestra: ha addirittura riabbracciato Raffaele Lombardo, che lo fece vincere nel 2008 ma che poi lo tradì alleandosi con il Pd alla Regione.
E ha messo su uno schieramento che conta otto simboli: oltre al Pdl e all’Mpa di Lombardo, Grande Sud di Miccichè (altro figliol prodigo), Fratelli d’Italia, la Destra, il Pid dell’ex ministro dell’Agricoltura Saverio Romano, il Mir di Samorì e una lista faida- te («lista del popolo») che fa capo a un editore siracusano.
La parola d’ordine, anche per Bersani, è quella di moltiplicare il numero delle liste.
Così, con il Pd — oltre a Sel che schiera l’ex presidente dell’Antimafia Francesco Forgione — ecco una formazione che fa riferimento al governatore Rosario Crocetta, capeggiata dal senatore uscente Giuseppe Lumia.
Ma è la lista Tabacci, nell’Isola, a fare da cavallo di Troia per moderati in cerca di collocazione nel centrosinistra: vi sono approdati, in queste ore, anche un gruppo di ex fedelissimi di Miccichè che hanno lasciato Grande Sud.
Il centrosinistra, peraltro, deve affrontare in Sicilia anche l’impatto della candidatura di Ingroia, la cui lista è stimata dall’Ipsos all’11 per cento.
La sfida, i leader delle principali coalizioni, se la giocano schierando cacciatori di voti e volti televisivi.
Bersani ha messo in campo l’ex direttore di Rainews Corradino Mineo. A lui il numero uno di una lista puntel-lata, al secondo posto, da Nino Papania, ex Ppi padrone delle tessere nel Trapanese.
Sono loro a formare il gruppo di fuoco che fronteggerà , sull’altra sponda, una lista del Pdl che vedrà in cima il presidente del Senato Renato Schifani.
Mentre i montiani schierano Casini come testa di lista.
Al numero due Rosario Sidoti, uomo vicino all’ex tesoriere dell’Udc Giuseppe Naro, escluso perchè rinviato a giudizio nell’inchiesta sulle tangenti Enav.
LOMBARDIA
Il centrodestra schiera Berlusconi, Calderoli, La Russa La lista Monti è data intorno al 14 per cento
Mucchetti guida l’assalto al fortino del berlusconismo. E Albertini insidia la destra
Vincere o perdere, qui, vuol dire 27 senatori in più – su un totale di 49 seggi – da mettere sul piatto della governabilità del Parlamento che uscirà dal voto di fine febbraio.
Un obiettivo che tutte le coalizioni in gara in Lombardia hanno presente: l’ultimo sondaggio di Ipsos dà centrodestra e centrosinistra esattamente alla pari, con il 32,5 per cento dei consensi a testa, quasi il doppio di quanto raccoglierebbe la lista coagulata attorno a Mario Monti, ago della bilancia ancor più dei grillini.
Una situazione in continua evoluzione, con lo spettro di un «esito imprevedibile» evocato dal politologo Roberto D’Alimonte che, di conseguenza, agita i partiti.
Addirittura, il sito Scenaripolitici. com, con dati aggiornati al 6 gennaio, porta sorprendentemente avanti il centrodestra di 10 punti sull’avversario: 37,5 per cento contro 27,5 per cento, con la lista Monti all’11 e i 5 Stelle mezzo punto sotto.
«La sfida in Lombardia è cruciale per il Senato, certo, ma la nostra decisione è stata quella di non fare una lista con gli specchietti per le allodole – spiega Maurizio Martina, il segretario regionale del Pd – : questo vuol dire nomi con esperienze concrete sulle questioni che contano, come economia, sviluppo e lavoro».
Il giornalista Massimo Mucchetti, capolista al Senato, declina la sua competenza: «Racconto da sempre i fatti e i misfatti del sistema produttivo italiano, con noi la Lombardia ha la grande occasione di voltare pagina».
All’assalto del fortino, con lui, una lista fatta (con qualche polemica) da volti di partito e società civile, nomi scelti con le primarie parlamentari e altri decisi da Roma. Così se i numeri due e tre sono Franco Mirabelli (consigliere regionale) e Emilia De Biase (deputata), al quarto posto c’è Annalisa Silvestro, presidente degli infermieri italiani. Ultima posizione “sicura” – la dodicesima – per la consigliera comunale di Milano Marilisa D’Amico.
Tra coloro che sono sospesi, al 23esimo posto, il renziano Giorgio Gori.
Roberto Formigoni, dopo il triplo carpiato degli ultimi giorni, sarà quasi certamente in lista col Pdl, ma il numero uno al Senato sarà il fondatore, Silvio Berlusconi, mentre la Lega – capolista Roberto Calderoli – dovrebbe ricandidare quasi tutti gli uscenti. Ignazio La Russa, rischierà come capolista della neonata lista “Fratelli d’Italia”. Infine, “Con Monti per l’Italia”: il tridente è formato da Gabriele Albertini, anche candidato presidente per la Regione, il giuslavorista transfuga dal Pd Pietro Ichino, il ciellino ex Pdl Mario Mauro. Al quarto posto arriva la quota finiana, con Benedetto Della Vedova.
CAMPANIA
Oltre a Cosentino in lista Milanese, Cesaro e Laboccetta.
L’area del governatore Caldoro non ci sta: “Pensano solo a salvare se stessi”.
Per il Pd la Capacchione e Zavoli
Tra il poker di inquisiti e la cronista anti-racket. L’incognita Arancioni
È alla porta del sud, frontiera di bisogni dimenticati, di movimenti politici in crescita e di collusioni tra istituzioni e camorra, che si gioca uno snodo fondamentale della sfida al Senato.
La Campania ha in serbo 16 seggi per la coalizione che vince. Una quota che scende tra 4 e 6 per lo schieramento perdente.
Più ristretta, rispetto a un mese fa, la forbice tra i maggiori contendenti.
L’ultimo sondaggio di Ipsos per Il Sole 24 ore dà l’alleanza di Bersani al 30,5 contro il 28,5 della coalizione berlusconiana, seguiti da Monti (16.5), Movimento 5 Stelle (14,1) e lista di Antonio Ingroia e Luigi de Magistris (11,2).
Altre indagini, strettamente riservate nei rispettivi gruppi, segnano il testa a testa sul livello 32 per Bersani e 30 per Berlusconi, con esiti sempre più incoraggianti per Grillo e Ingroia.
La Campania è la stessa regione che già nel 2010, invertendo la rotta nazionale, assegnò la vittoria al centrodestra, regalando la poltrona di governatore al (non troppo) berlusconiano Stefano Caldoro.
Il Pdl, oggi più che mai, si gioca qui il tutto per tutto: non a caso schiera per Palazzo Madama l’artiglieria pesante, gli uscenti imputati o inquisiti per accuse gravissime (concorso esterno in associazione mafiosa o corruzione).
Da Nicola Cosentino – che, a dispetto dello stop adombrato da Berlusconi a “Porta a Porta” sarà candidato nella squadra di testa al Senato – a Luigi Cesaro, da Marco Milanese ad Amedeo Laboccetta.
Di fatto il poker di politici in fuga dalla giustizia spera, blindandosi in Senato, di trovare un ambiente meno sbilanciato a sinistra e dunque meno favorevole ad eventuali nuove richieste da parte della giustizia.
Una scelta che comunque divide il Pdl campano: visto che molti tra i fedelissimi di Caldoro già hanno fatto sapere ad Alfano che gente «come Cosentino» più che lavorare al rafforzamento del Pdl, costruirà solo «la propria salvezza».
Rispetto a questa strategia, appare più debole la lista del Pd al Senato: dove i nomi di inequivocabile richiamo si limitano a quelli della cronista antimafia Rosaria Capacchione e alla lunga storia di Sergio Zavoli.
L’Udc, oltre a sfoderare Casini come capolista, impegna per Palazzo Madama i suoi più accreditati capibastone, dall’assessore regionale di peso Pasquale Sommese a vari consiglieri.
La lista Arancione di de Magistris punta ad un suo assessore-alfiere del welfare come Sergio D’Angelo, per richiamare al voto fasce di cittadinanza in sofferenza.
E intanto, stando all’ultimo ripensamento, l’Udeur di Clemente Mastella si presenta da sola senza alcuna coalizione. Il leader di Ceppaloni ha depositato ieri il suo simbolo.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 16th, 2013 Riccardo Fucile
SOTTO LA LENTE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE I REDDITI DEL 2009
È la novità fiscale del 2013: il redditometro, nuovo strumento dell’Agenzia delle Entrate per contrastare il fenomeno dell’evasione.
Che da subito si è attirato le critiche dei tecnici e i timori dei contribuenti.
A essere messi sotto la lente dei funzionari del Fisco saranno i redditi relativi agli anni di imposta a partire dal 2009 (quindi per le dichiarazioni dal 2010).
Le verifiche fatte utilizzando il redditometro partiranno invece da marzo.
Come funziona
Grazie a un più efficace incrocio tra le informazioni delle diverse banche dati della pubblica amministrazione e a oltre cento diverse voci di spesa, sarà più facile stimare il reddito e confrontarlo con quanto effettivamente speso.
E non si tratta solo di beni di lusso come aerei, yacht o gioielli: a finire nel redditometro sono anche spese «innocue» come il pagamento di asili nido o master universitari, abbonamenti alla pay tv o donazioni in beneficenza.
Insomma, tutto quanto possa mettere in luce una discrepanza tra quanto si dichiara e il proprio tenore di vita.
La funzione matematica alla base del redditometro prende come riferimento cinque aree geografiche (Nord-Est, Nord-Ovest, Centro, Sud, Isole), undici tipi di nuclei familiari (famiglie con figli o senza, monoparentali, nuclei giovani o meno giovani) e oltre cento voci di spesa divise in sette categorie.
I redditi dichiarati verranno confrontati con le spese sostenute nell’anno di riferimento. In caso di incompatibilità scatteranno le verifiche, ma solo in presenza di scostamenti tra spese e reddito significativi, superiori al 20%.
Ma il redditometro non è l’unica novità di cui i contribuenti dovranno tenere conto.
Beni in uso a familiari e soci
Entro il 31 marzo, ad esempio, si dovrà comunicare l’elenco dei beni in uso ai soci.
La misura riguarda gli imprenditori che devono rendere noti i dati anagrafici dei soci o dei familiari che hanno ricevuto in godimento i beni dell’impresa.
Una norma che ben si integra con l’impianto del redditometro che prevede una giustificazione per le spese sostenute e della provenienza dei redditi relativi.
L’obbligo della comunicazione si estende anche ai finanziamenti e alle capitalizzazioni effettuati dai soci nei confronti della società concedente.
Non vanno denunciati beni e finanziamenti il cui valore sia inferiore ai 3 mila euro, a meno che non rientrino nelle categorie “autovettura, unità da diporto, aeromobile, immobile”.
I dati sui conti correnti
In primavera, anche se non è ancora possibile stabilire una data, scatterà un altro provvedimento molto temuto: la comunicazione da parte delle banche dei conti correnti dei clienti.
Finora si aspettava il via libera del Garante per la privacy (che ha espresso parere positivo). Adesso spetta al direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, firmare il provvedimento che stabilirà le date entro cui le banche dovranno provvedere all’adempimento e attraverso quale canale di invio.
Elenco clienti e fornitori
L’ultima novità riguarda la reintroduzione dell’obbligo per le società di tenere un elenco di clienti e fornitori.
Doveva entrare in vigore ad aprile, poi si è deciso per un rinvio in attesa di risolvere alcuni problemi tecnici e discutere le modalità con le quali reintrodurlo.
La ratio del provvedimento è quella di tracciare tutti i rapporti economici di un’impresa.
Il 2013 si annuncia quindi ricco di “comunicazioni” con l’Agenzia delle entrate.
Il contraddittorio riguarderà però in particolare il redditometro.
Poichè la legge prevede che spetterà al contribuente l’onere della prova per dimostrare che le spese sono state finanziate con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo d’imposta oppure che sono esenti o frutto di eredità .
Inoltre sarà contestabile il totale delle spese attribuite dal fisco.
Un’ardua battaglia: il destino del contribuente (evasore oppure onesto pagatore di tasse) dipenderà da studi statistici, magari difficilmente contestabili o considerabili non pertinenti al proprio caso specifico.
Rosaria Talarico
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