Settembre 8th, 2013 Riccardo Fucile
DOMANI PARTE IL PROCESSO A BERLUSCONI NELLA GIUNTA PER LE IMMUNITA’ DEL SENATO
La “guerra dei ricorsi” (Consulta, Strasburgo, Lussemburgo), abilmente pilotata da Arcore, sta
mettendo sotto accusa i pilastri della legge chiesta a gran voce dalla gente per garantire “liste pulite”.
Prim’ancora di far decadere SB, il Pdl cercherà di affondare la Severino votata un anno fa da tutto il Parlamento.
Protagonista della prima seduta sarà Andrea Augello, un pidiellino che in tutti questi giorni ha ribadito a gran voce la sua indipendenza.
Ecco i temi che divideranno Pdl con Lega e Gal in netta minoranza (8 in tutto) da Pd, M5S, Sel e Sc (14). Sempre incerto il socialista Buemi.
Prima questione. Augello darà per scontato che la giunta è a tutti gli effetti un “giudice” e come tale si può comportare. Ma è davvero così?
Il presupposto per la “guerra dei ricorsi” sta tutto qui.
In una fisionomia della giunta che la parifica a un vero e proprio giudice. Lo pensa Augello, lo condivide il Pdl, e naturalmente i giuristi che vogliono tagliare le gambe alla legge Severino.
Augello citerà un paio di sentenze della Consulta e una di Strasburgo per sostenere che è così. Ma la maggioranza è contraria.
Ritiene che la giunta sia solo un soggetto politico
Seconda questione.
Prima di fare il “processo” per la decadenza di Berlusconi, si può mettere “sotto processo” la Severino, oppure bisogna solo applicarla?
Augello ritiene che, dopo gli otto pareri pro veritate di SB contro la legge, non si possa più far finta di nulla.
La questione, quindi, va affrontata «in via preliminare».
In questa parola – «preliminare» – si gioca il destino della legge, di SB, del governo Letta, della legislatura. Se il Pd non accetta la frenata, è crisi
Terzo quesito.
Della Severino si deve parlare subito, cioè durante la relazione, oppure bisogna fare prima un’altra mossa, aprire la cosiddetta “contestazione” a SB, cioè dare il via formalmente al “processo” per la decadenza?
Premesso che al presidente della giunta, il vendoliano Dario Stefà no, non piace la definizione giornalistica di “processo” («Non l’ho mai detto e per favore non me lo fate dire perchè qui non si processa nessuno »), tuttavia il paragone calza a pennello. La giunta, votando, potrebbe decidere che tanto vale aprire subito la fase della “contestazione”, nella quale ogni atto si svolge alla presenza del soggetto “decadente”, cioè SB, e/o anche dei suoi avvocati.
La differenza non è da poco, perchè la difesa avrebbe voce in capitolo su ogni passaggio e potrebbe fare molte richieste.
Quarto quesito. Il ricorso alla Consulta. Augello la spunta?
Dalle indiscrezioni pare proprio che Augello si appresti a mettere la legge “in strada”. Secondo la sua ricostruzione sarebbero una mezza dozzina i buoni motivi per mandarla alla Corte. Tra questi ci sarebbe soprattutto un eccesso di delega perpetrato dalla commissione rispetto al dettato del Parlamento. Del tipo: c’è solo un tetto di pena (i famosi quattro anni) e non la lista dei reati chiesta dalle Camere.
Quinto quesito, la frontiera dell’Europa.
Hanno ragione prima Augello e poi SB a stroncare la Severino dimostrando che essa è in contrasto con le norme e le garanzie europee?
Augello e Ghedini – le voci di corridoio dicono che tra i due non ci sarebbe per niente feeling – si sfidano sulle Corti d’Oltralpe.
Augello propone quello che in gergo si chiama “rinvio pregiudiziale” alla Corte di giustizia del Lussemburgo, il giudice delle leggi Ue, possibile perchè la Severino riguarda una questione elettorale.
Brutta argomentazione questa, in contrasto con quella di Ghedini per Strasburgo, che invece batte il tasto della Severino come norma “penale”.
Raffinati giuristi, come Vladimiro Zagrebelsky, bocciano come impossibile il rinvio.
Sesto quesito.
La questione Strasburgo. La giunta può sospendere il giudizio sulla decadenza in attesa che la Corte dei diritti dell’uomo decida se il ricorso è ammissibile?
Bisogna arrivare a pagina 26 delle 27 del ricorso di SB per leggere che «in via preliminare» si chiede di «disporre la trattazione prioritaria del ricorso in quanto avente ad oggetto un’importante questione d’interesse generale».
Non è l’esplicita richiesta di anticipare il giudizio di ammissibilità alla Corte di Strasburgo, però potrebbe essere utilizzata in giunta per chiedere uno stop in attesa della pronuncia.
Va detto però che SB rischia la bocciatura perchè alla Corte, come dice Zagrebelsky, si può andare quando si è già «vittime», quando la decadenza è già avvenuta, e non prima.
Nel merito: c’è giurisprudenza, come sosterrà il Pd Felice Casson, che dimostra come i singoli Stati hanno diritto di prevedere norme che garantiscono “liste pulite”.
Settimo quesito. L’eventuale richiesta di revisione del processo Mediaset può fermare la giunta?
La questione non entrerà nella relazione di Augello, ma poichè la revisione non ferma d’obbligo l’esecuzione della pena, del pari essa non ferma neppure gli effetti nè dell’interdizione, nè della Severino, cioè di una semplice clausola di candidabilità .
Ottavo quesito. Ma Augello proporrà la decadenza di SB?
Tutto lascia ipotizzare che Augello, spesso in polemica col centrodestra come quando si schierò per mettere fuori dal Senato Di Girolamo, stavolta insista prima per mostrare quelle che lui ritiene vistose crepe della Severino, e poi per aprire subito la procedura di contestazione nella quale SB può difendersi.
Questo gli consentirebbe di non essere subito “bocciato” come relatore, ma di gestire la fase vera e propria del processo.
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Settembre 8th, 2013 Riccardo Fucile
NEL QUARTIER GENERALE DEL CAVALIERE SI ALTERNANO FALCHI E COLOMBE, MA ORMAI OGNI VIA D’USCITA SEMBRA PRECLUSA
“Offriamo a questi signori del Pd l’ultima chance per evitare la crisi». Prendere tempo, bloccare la clessidra che per lui inizierà a scorrere inesorabilmente da domani con l’esame in giunta sulla decadenza, tentare di far saltare la ghigliottina.
Ecco cosa nasconde la carta jolly che dal fortino di Arcore decidono di piazzare in questo weekend di fine estate, col ricorso piuttosto annunciato alla Corte dei diritti umani di Strasburgo.
Altro che tentativo di portare su scala internazionale il «caso Berlusconi».
La mossa quasi disperata è il Cavallo di Troia scagliato contro i portoni di Palazzo Madama per provare a condizionare i lavori della giunta presieduta da Stefà no e che ha ora in mano i destini del leader.
Ottenere un rinvio in attesa che sia Strasburgo a pronunciarsi sull’esistenza o meno della presunta «persecuzione» ai danni del Cavaliere, nell’Italia delle «toghe rosse». Ingegneria legale messa a punto dal team Ghedini-Coppi- Longo.
Ma mossa dal sapore e dalle finalità quasi esclusivamente politiche.
«Vedremo a questo punto domani se i cosiddetti democratici hanno a cuore le ragioni del diritto o piuttosto puntano solo a eliminarmi politicamente, come hanno dimostrato finora», andava ripetendo Berlusconi a chi lo ha chiamato ieri. Dall’accelerazione o meno dei lavori in giunta farà dipendere l’accensione dell’interruttore di una crisi al buio, rischiosa innanzitutto per lui. E lo sa bene.
Se i senatori Pd accetteranno di attendere quanto meno un pronunciamento di Strasburgo sull’ammissibilità¡ del ricorso (potrebbero trascorrere mesi, dato che non è stata depositata, guarda caso, alcuna richiesta di esame d’urgenza dai legali dell’ex premier), allora Letta e il suo governo saranno salvi.
Ma solo a quella condizione, fanno sapere dal quartier generale berlusconiano.
«Tutto è ora nelle mani del Pd» sostiene non a caso Brunetta. «Se la giunta accelerasse ora sarebbe un colpo mortale alla nostra democrazia» dice di rimbalzo l’eurodeputata Licia Ronzulli.
Condizioni che tuttavia la segreteria Epifani e tutto lo stato maggiore Pd già in serata valutavano come «irricevibili».
In giunta si andrà avanti. Del resto, anche il relatore Andrea Augello (Pdl) non chiederà domani una moratoria dopo il ricorso alla Corte di ieri, terrà la sua relazione e si rimetterà ai colleghi.
Schifani e gli altri sono convinti di strappare almeno un mese di tempo.
Ma Berlusconi si sente spalle al muro. Sa di non poter contare su una mano d’aiuto dal Colle, sul capo dello Stato la pensa ormai come la Santanchè: «È stato un errore rivotarlo».
Del resto, anche le ultime ambasciate al Colle hanno sortito risultati nulli.
La posizione di Napolitano non cambia, tanto meno in ragione del ricorso a Strasburgo che è affare giurisdizionale ed «esterno».
Il Quirinale non può certo interferire sul cammino parlamentare che sarà avviato domani al Senato. Come pure sull’eventuale richiesta di revisione del processo. Quanto alla grazia, la tesi resta quella ribadita nella nota di Ferragosto: sarebbe valutata – non certo automaticamente accordata – solo in caso di richiesta dei legali o dei familiari.
Già¡, i familiari. I figli, a pranzo ad Arcore eccezionalmente di sabato, con Marina e Piersilvio in testa hanno ripetuto al padre che se davvero non si vorrà imboccare la via della richiesta di grazia («Sono innocente e non mi piego», insiste lui), allora forse andrebbe presa in considerazione l’ipotesi del passo indietro, delle dimissioni da senatore un minuto prima del voto in giunta dall’esito scontato.
L’obiettivo, a quel punto, sarebbe quello di ottenere dal presidente Napolitano almeno la commutazione della pena, che non lo salverebbe dall’incandidabilità , ma dai domiciliari o dai servizi sociali sì.
Resterebbe un uomo libero, insomma, e per un leader politico non sarebbe poca cosa.
Ma ancora una volta ieri, autorevoli falchi quali Verdini e Santanchè lo hanno scongiurato di tenere duro, di non cedere.
«Dai calcoli che ho fatto sono abbastanza certo che comunque un aula al Senato, col voto segreto, la tua decadenza sarebbe respinta», lo rassicura proprio il coordinatore e giocoliere del pallottoliere d’aula, Verdini.
Convinto che in ogni caso Forza Italia potrebbe schierare il suo fondatore in lista in caso di crisi e elezioni anticipate, confidando nella clemenza delle Corti d’appello e dei Tar a livello locale.
Un azzardo tira l’altro. L’eterno conflitto di corte tra falchi e colombe.
Che si alternano al cospetto del capo.
Oggi pomeriggio a Villa San Martino voleranno queste ultime: il ministro Quagliariello, Brunetta, Gelmini, Tajani, tutti reduci dall’appuntamento di Cernobbio. Toccherà a loro spegnere i furori della calda vigilia del Cavaliere. Dopo aver fatto il punto coi direttori delle reti Mediaset, lo stesso Berlusconi ha confermato il congelamento del «colpo in canna » del video che segnerebbe lo strappo sul governo, già registrato per la messa in onda di oggi o domani. Del resto, hanno ragionato, il docufilm sulla «Guerra dei vent’anni» a ridosso della Cassazione aveva già sortito effetti a dir poco deleteri.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Settembre 8th, 2013 Riccardo Fucile
DAL MSI AL SANTO GRAAL, ECCO AUGELLO, L’ESPERTO DI DRAGHI RELATORE DELLA CAUSA DI DECADENZA DEL CAVALIERE
Con il che si rende noto al gentile pubblico che il senatore- relatore della causa di decadenza di
Berlusconi, Andrea Augello, Pdl, è uno dei più grandi esperti di draghi. Sì, draghi, scritto minuscolo, cioè mitologici serpentoni sputafuoco su cui Augello ha appena pubblicato una specie di atlante, “I draghi d’Italia” (Gaffi) e quindi non Draghi inteso come Mario, il super-banchiere dei poteri forti.
Per cui la triplice, bizzarra combinazione sta nelle coincidenze che si aggrovigliano lasciando già intravedere un intricato finale.
E dunque, la prima simbolica casualità illumina il marchio della Fininvest che ritrae indubbiamente un drago, il cosiddetto biscione, e cioè l’emblema araldico stilizzato di quel basilisco visconteo che i proto-creativi berlusconiani vollero addolcire con un fiore in bocca.
La seconda circostanza, sempre in termini di edulcorazione, è che la principale società immobiliare di Silvione ha nome — guarda guarda — “Dolcedrago”. L’amministrava fino a poco tempo fa il ragionier Spinelli, insieme a un’altra holding battezzata “Idra”, che a sua volta, sempre in mitologia, sarebbe un drago multiplo con la bellezza di sette capocce di serpente, la più grossa delle quali immortale.
Nel suo studio il senatore-relatore Augello, che in un recente tour tematico sul lago d’Orta ha scovato vestigia dell’unica dragonessa italiana, si sofferma sull’immaginario che, dalla preistoria fino ad Hollywood, proietta su tali orrifiche creature una sorta di presidio contro il volto oscuro del progresso.
Ma per tornare all’impegno che lo attende a Palazzo Madama non gli sarà sfuggita — ed è la terza singolare particolarità — l’immagine che da parte di Veronica Lario precedette l’ondata devastante degli scandali sessuali berlusconiani: quella sulle “vergini” — e su questo pare lecito nutrire qualche riserva — che comunque “si offrivano al Drago”.
Quest’ultimo da identificarsi nel ringalluzzitissimo marito, della cui sorte Augello è da domani corresponsabile.
Con quale e quanta perizia giuridica è difficile dire.
Perchè il senatore, che come autore di libri si è pure dedicato alla letteratura cortese del Santo Graal e alla battaglia di Gela, svoltasi dopo lo sbarco alleato in Sicilia, è un uomo anche colto.
Ma come mestiere resta pur sempre un impiegato di banca, oltretutto prestato al sindacato dell’ex Msi, la Cisnal.
In realtà Augello ha sempre fatto politica, fin dai tempi in cui con il fratello maggiore Tony frequentava la sezione missina di Monteverde, dove tra gli altri presero la tessera Gianfranco Fini e Valerio Fioravanti. Poi si trasferì all’Aurelio, legandosi alla nouvelle vague di Pino Rauti, donde la passione tutta evoliana per i cavalieri medievali, e l’esperienza di un giornaletto non privo di fantasia innovativa che si chiamava La Contea.
Nella destra romana, entità peraltro abbastanza intricata e spesso nefasta, fece carriera alleandosi, scontrandosi e districandosi con Alemanno, Storace, Rampelli, amici-nemici e fratelli-coltelli.
Consigliere comunale, assessore regionale, parlamentare e finalmente sottosegretario, lungo un tragitto che dal ghetto degli esuli in patria l’ha portato in braccio al dinosauro di Palazzo Grazioli, dove è comparso o meglio è ricomparso al centro della recente foto del cosiddetto Quarto Stato berlusconiano.
Augello infatti stava per passare con Fini, ma poi è rimasto nel Pdl; ai tempi di Monti e delle primarie del centrodestra stava per mollare il Cavaliere, però all’ultimo ci ha ripensato e adesso, insieme con la compagna europarlamentare Roberta Angelilli, guida un gruppo dall’impegnativo nome di “Capitani coraggiosi”.
Il vero mistero è come abbia potuto conciliare per tutto questo tempo il fascino del mondo premoderno con l’intruppamento di tanti ex democristiani; e come tuttora riesca a tenere insieme l’amore per le uniformi d’epoca e le cene con i placidi e voraci palazzinari.
Ma questi sono gli enigmi insondabili della destra, come la fine dei draghi, che poi forse erano i dinosauri, o chissà chi.
Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica“)
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