Settembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
NEL 2012 SONO AVVENUTI 108 INCIDENTI FERROVIARI GRAVI, IL TASSO PIU’ ALTO DAL 2008… IL 39% E’ CAUSATO DALLA CATTIVA MANUTENZIONE DI BINARI E CONVOGLI
Trecento milioni di euro. Servono per finanziare parte dell’Imu cancellata per il 2013. E verranno sottratti al “finanziamento concesso al Gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale a copertura degli investimenti relativi alla rete tradizionale, compresi quelli per manutenzione straordinaria” previsti nella Finanziaria 2006. Tradotto: per realizzare la promessa su cui Silvio Berlusconi ha imperniato la sua campagna elettorale, sancire il trionfo del Pdl nella coalizione e restare in piedi, il governo taglia sulla sicurezza delle ferrovie.
Eppure solo 5 mesi fa l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria aveva lanciato l’allarme: presentando la relazione su “L’Andamento della sicurezza delle ferrovie per l’anno 2012” (leggi il documento) il direttore Alberto Chiovelli aveva avvertito: “Il dato preoccupante è la carenza manutentiva“.
Non è un caso che l’80% dei deragliamenti avvenuti nel 2012 sia dovuto a “problematiche nella manutenzione dell’infrastruttura”.
Una carenza che pesa anche nel confronto con l’Europa.
Secondo la European Railway Agency, l’Italia è in tutte le classifiche fanalino di coda dei Paesi avanzati: peggio di noi fanno solo gli Stati dell’Europa dell’Est.
Roma, 26 aprile 2012. Quando ormai il treno è a soli 50 metri dalla stazione, la quarta e la quinta carrozza di un Frecciarossa proveniente da Milano e in entrata a Termini a velocità ridotta escono dai binari: il convoglio si inclina e va a toccare un altro Frecciarossa proveniente da Napoli che sta entrando in stazione.
Il bilancio: 10 feriti, terrore tra i passeggeri, nell’aria la sensazione della tragedia sfiorata.
Nel 2012, si legge nella relazione pubblicata ad aprile, si sono verificati 5 deragliamenti (contro i 4 del 2011 e i 3 del 2010): “In 4 casi (tra cui quello di Roma, ndr) — recita il documento a pagina 20 — sono state rilevate problematiche legate alla manutenzione dell’infrastruttura”, la cui gestione compete a Rete Ferroviaria Italia (Trenitalia gestisce i convogli e le attività di trasporto e fa parte con la prima della holding Ferrovie dello Stato).
Il concetto delle carenze manutentive permea l’intero report.
“Nel corso degli anni — continua il rapporto — l’Agenzia ha rilevato numerose problematiche relative alla gestione della manutenzione dell’infrastruttura”.
I numeri parlano chiaro. Nel 2012 sono avvenuti in Italia 108 incidenti “gravi”: lo stesso numero del 2011, il più alto dal 2008.
Il 39% di questi è stato causato da “difetti nell’esecuzione della manutenzione e alle problematiche connesse ai contesti manutentivi” dei binari o dei convogli.
Le magagne saltano fuori non appena si va a controllare: nel 2012 l’Agenzia di sicurezza ha eseguito 1.800 ispezioni (per un totale di circa 10mila singoli controlli), rilevando l’11% di “non conformità ” sull’infrastruttura.
Emblematico il caso delle gallerie. Gli ispettori dell’Ansf ne hanno visitate 24: in tutte mancava l’analisi del rischio, in 21 non c’era nemmeno il Piano Generale d’Emergenza; 3 strutture non avevano vie di fuga, in 8 mancavano parzialmente; in 15 casi l’illuminazione d’emergenza era “del tutto assente”; in 16 trafori non c’era traccia di segnaletica d’emergenza, in 18 non erano stati montati gli allarmi sonori.
Una situazione allarmante, aggravata dal fatto che si trattava di controlli a campione.
E che fa sì che in Europa l’Italia sia il fanalino di coda dei paesi avanzati in tema di sicurezza.
Lo dice l’Intermediate report on the development of railway safety in the European Union 2013, pubblicato il 15 maggio scorso dalla European Railway Agency, l’Agenzia ferroviaria europea.
Nella classifica degli incidenti per milione di treno/km nel periodo 2009-2011, le ferrovie italiane figurano dietro quelle di tutti gli Stati economicamente più avanzati e si trovano davanti solo alle realtà più arretrate dell’Europa dell’Est come Ungheria, Bulgaria e Lituania.
Con il Regno Unito, l’Olanda e l’Irlanda in vetta alla classifica nel ruolo dei tre paesi più sicuri.
Una fotografia che si ripete pressochè identica in tema di vittime contate tra i passeggeri nel periodo 2006-2011 e di rischio cui sono sottoposti i viaggiatori (periodo 2004-2009).
Una situazione solo parzialmente migliorata dal 2° posto dietro alla Gran Bretagna in tema di sicurezza dei passaggi a livello.
Il limbo in cui è imprigionata l’Italia è fotografato anche dall’Heath and Safety Regulation Report 2013 (leggi il documento) stilato dall’Office of Rail Regulation. Secondo i dati dell’authority britannica che vigila sulla sicurezza delle ferrovie, lo scenario è ancora peggiore: l’Italia è di nuovo ultima tra i paesi avanzati per il numero di vittime per treno/km nel periodo 2007-2011 (la classifica somma le vittime sui passeggeri e i morti sul lavoro), a quota 31.3 e ben oltre la soglia dei 23.9 che rappresenta la media europea. Danimarca (2.6), Regno Unito (2.6) e Olanda (2.7), i tre paesi in cui si muore di meno sui binari, sono lontani anni luce.
Soprattutto perchè continuano ad investire sul miglioramento e la sicurezza delle loro infrastrutture.
A gennaio Network Rail, gigante ferroviario che possiede e gestisce la maggior parte della rete ferroviaria di Inghilterra, Scozia e Galles (oltre 32mila km di binari e 40mila tra ponti e tunnel) ha annunciato un mega-piano di investimenti di 32,7 miliardi di sterline (38,7 miliardi di euro) da realizzare tra il 2014 e il 2019: da noi gli investimenti previsti per la rete dal piano industriale 2011-2015 si fermano a 20 miliardi.
Tra gli obiettivi annunciati da NR: 800 nuove cabine di manovra nei 14 centri operativi più importanti, 225 milioni di passeggeri in più all’anno, il 92,5% di puntualità dei convogli.
Non solo: Network Rail punta a ridurre i finanziamenti che riceve dallo Stato fino a 2,6/2,9 miliardi di sterline dai 4,5 miliardi del 2009 e i 7 del 2004.
Altre latitudini: da noi avviene l’esatto contrario.
Un esempio: lo stanziamento previsto nel 2013 per la realizzazione del secondo lotto della linea ferroviaria Genova-Milano, scriveva il 15 marzo il quotidiano Mf/MilanoFinanza, sarà dimezzato da 1,1 miliardi a circa 600 milioni di euro: “La scelta è dovuta al fatto che c’è bisogno di finanziare i lavori di manutenzione della rete ferroviaria nazionale, ma i soldi non ci sono”.
Marco Quarantelli
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Settembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
IN SEI ANNI BIGLIETTI CRESCIUTI DEL 41% CONTRO LA MEDIA UE DEL 28,4%… MA RESTIAMO FINALINO DI CODA TRA I PAESI SVILUPPATI…. IL BILANCIO DELLE FS CONTINUA A POMPARE IL 66% DELLE ENTRATE DALO STATO
Costi pubblici elevati, biglietti sempre più costosi, performance mediocri quando non addirittura scarse.
Altro che liberalizzazioni e aumento di concorrenza: quello italiano è un mercato ferroviario in cui rimane difficile entrare, le ferrovie del Paese ristagnano a centro-classifica nei ranking di efficienza e costano molto alla collettività , perchè i contribuenti pagano due volte per tenerle in vita.
Che potrebbero diventare tre se Ferrovie dello Stato, leader assoluto del mercato controllata completamente dal ministero dell’Economia alla faccia delle liberalizzazioni, deciderà di aprire ai piccoli risparmiatori le sue prossime emissioni di bond, come ventilato dall’amministratore delegato Mauro Moretti.
Nel frattempo i prezzi dei biglietti lievitano più che nel resto dell’Ue, mentre i servizi non migliorano.
Anzi, specie nel trasporto ferroviario locale (22mila chilometri di binari, contro i 1.300 dell’Alta Velocità ) peggiorano di anno in anno.
I biglietti dei treni italiani sono tra i più economici dell’Ue, ma costano sempre di più. Secondo uno studio della Cgia di Mestre basato su dati Eurostat e Ubs, in Italia la liberalizzazione del settore non ha portato a vantaggi per i passeggeri.
L’Italia è il paese in cui i biglietti hanno subìto gli aumenti maggiori: +41,3% tra il 2005 e il 2011, contro una media Ue del 28,4% e una dei paesi dell’Euro del 22,6 per cento.
In Italia, rileva il centro studi, un biglietto di seconda classe per una tratta di 200 chilometri costa in media 25 euro.
All’altro capo della classifica c’è la Svezia, lo Stato che ha liberalizzato di più secondo il Rail Liberalization Index 2011 di Ibm: a Stoccolma i prezzi sono aumentati solo del 5,1% e per un viaggio di 200 chilometri si spendono 18 euro.
Nel frattempo sono tornati ad aumentare i finanziamenti pubblici a Fs, la holding di cui fanno parte Trenitalia (che gestisce convogli e trasporti) e Rete Ferroviaria italiana, cui competono rete e infrastrutture: andando a scorrere i bilanci si legge che dai 3,313 miliardi erogati dallo Stato a Fs nel 2010 si è passati ai 4.145 del 2011 e ai 5,372 del 2012.
Un paradosso tutto italiano, quello dei finanziamenti pubblici garantiti a Fs.
Nell’ultimo bilancio si legge che nel 2012 i ricavi operativi hanno toccato quota 8,228 miliardi: di questi, solo 2,847 miliardi (diminuiti tra l’altro dai 2,951 del 2011) arrivano dalla vendita dei biglietti.
Gli altri 5,4 miliardi sono “interventi e trasferimenti di risorse pubbliche”, la maggior parte destinate a Rfi per la gestione di rete e infrastrutture.
Ma i soldi non bastano mai perchè lo Stato, o meglio le Regioni con cui Fs stipula i contratti di servizio, pagano in ritardo: nel 2012 la holding vantava un credito di 2 miliardi nei confronti delle amministrazioni pubbliche.
Dato che i fornitori vogliono essere pagati, Fs deve trovare il modo di procurarsi altre risorse: dopo la prima emissione obbligazionaria da 500 milioni di euro dello scorso luglio, recentemente Moretti è tornato a parlare di bond.
“Abbiamo pensato di fare qualcosa entro la fine dell’anno”, ha detto l’ad all’ultima kermesse di Cernobbio — “Dovrebbe essere nell’ordine di 500 milioni di euro e stiamo pensando se presentarla (venderla, ndr) o meno al pubblico retail, dei piccoli risparmiatori”. E così gli italiani rischiano di contribuire una terza volta al bilancio di Fs.
Intanto l’efficienza, nella migliore delle ipotesi, ristagna.
Nel 2012 Boston Consulting Group, tra i leader mondiali nella consulenza strategica di business, ha pubblicato uno studio che misura la performance delle ferrovie dei paesi dell’Ue in base a 3 variabili: intensità d’uso (numero di passeggeri e quantità di merci), qualità del servizio (puntualità , tariffe e percentuale di tratte ad alta velocità ) e sicurezza (numero di incidenti e vittime). In testa alla classifica dell’European Railway Performance Index 2012 ci sono Svizzera, Francia, Germania, Svezia e Austria.
L’Italia? Molto più in basso, in 12a posizione, fanalino di coda dei paesi più avanzati (la stessa posizione che occupa nella classifica sulla sicurezza stilata dall’European Railway Agency).
Secondo il report, la performance è legata al livello di finanziamenti erogati dallo Stato: i primi 4 paesi in classifica sono anche quelli che utilizzano al meglio i fondi pubblici, perchè “raggiungono un’elevata efficienza ad un costo pro-capite più basso rispetto agli altri Stati”.
Interessante anche il confronto del prezzo dei biglietti con il resto dell’Ue.
Il sito specializzato Seat61.com, pluripremiato tra i portali di viaggio e gestito dal blogger del Guardian Mark Smith, ha confrontato i costi di Regno Unito, Germania, Francia e Italia su una distanza di circa 250 chilometri.
Il più interessante è il modello britannico.
E’ opinione diffusa che i treni inglesi costino più che altrove, ma oltremanica funziona così: prima si prenota il biglietto e meno lo si paga, e molto dipende dagli orari perchè nelle ore di punta si spende meno.
Una modulazione dei prezzi che permette alle compagnie di ottimizzare i guadagni: acquistandolo in stazione per il giorno stesso, un biglietto da Londra a Sheffield (265 km) costa 123 euro contro i 43 che si spendono in Italia per andare da Roma a Firenze (260 km).
Ma se si prenota con un mese d’anticipo, il prezzo crolla a 14,8 euro. In Italia ne servono 29. Dal confronto emerge che da noi i biglietti costano di meno, ma gli altri tre paesi vengono tutti molto prima della Penisola nella classifica dell’efficienza: come a dire, la qualità dei servizi si paga.
Altre latitudini, purtroppo.
In Italia la qualità del servizio precipita, secondo Pendolaria 2012, report di Legambiente sullo stato dei servizi offerti ai 2,9 milioni di pendolari italiani.
Ne viene fuori il ritratto di un Paese a due marce: da un lato l’Alta Velocità , che garantisce buoni standard di qualità ; dall’altro il trasporto locale: nel 2012 “sono molte le Regioni che hanno deciso di tagliare i servizi (corse e treni) e di aumentare il costo di biglietti ed abbonamenti”.
Qualche esempio: in Campania i tagli “hanno toccato il 90% dei treni sulla Napoli-Avellino e il 40% sulla Circumvesuviana”.
Sono stati del 15% in Puglia e del 10% in Abruzzo, Calabria, Campania e Liguria“.
Nel frattempo “il prezzo del biglietto è aumentato negli ultimi 2 anni”: +20% in Abruzzo e Toscana, + 15% nel Lazio, +10% in Liguria.
“Aumenti che si vanno a sommare a quelli del 2011 in Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Piemonte, Veneto e in Lombardia dove le tariffe erano salite del 23,4 per cento. Considerando l’insieme delle Regioni l’aumento medio è stato del 10%”.
L’Europa dei paesi avanzati resta molto lontana. Per capire le differenze basta fare un confronto.
Nello European Railway Performance Index 2012 il Regno Unito si trova in 7a posizione, nel gruppo dei paesi di seconda fascia di cui anche l’Italia fa parte. Ma tra i treni di Roma e quelli di Londra c’è un abisso.
Dati del Parlamento inglese alla mano (la nota Public Spending and investments on the railways, pubblicata l’8 marzo 2013), dal biennio 2006/2007 sono diminuiti progressivamente sia i finanziamenti governativi che il totale degli stanziamenti pubblici ai gestori delle ferrovie.
I prezzi dei biglietti sono aumentati, ma la qualità del servizio è rimasta alta: i treni inglesi sono i più sicuri del continente secondo l’Intermediate report on the development of railway safety in the European Union 2013, pubblicato a maggio dall’Era.
Oggi i bilanci degli operatori britannici sono costituiti per il 58% dalla vendita dei biglietti e il 32% dai finanziamenti statali. In Italia avviene l’esatto contrario: 34% dai biglietti, 66% dallo Stato.
Marco Quarantelli
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Settembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
LO STUDIO DELLA YALE UNIVERSITY: “LA PASSIONE E’ COSI’ FORTE CHE IMPEDISCE DI PENSARE IN MANIERA CHIARA”…LA NOSTRA APPARTENENZA CI FA IGNORARE LE PROVE PIU’ EVIDENTI
La passione politica è così forte e congenita negli esseri umani, che impedisce alla gente di pensare in maniera chiara.
Diventiamo persino incapaci di fare semplici operazioni aritmetiche, se il loro risultato contraddice le nostre convinzioni.
Questa triste sentenza sui nostri meccanismi intellettivi viene da uno studio condotto alla Yale University dal professore Dan Kahan.
Il titolo è complicato: “Motivated Numeracy and Enlightened Self-Government”. La traduzione, per i profani, è che la politica sabota anche le nostre abilità basilari con i numeri.
Tra gli altri esperimenti realizzati da Kahan, ce n’è uno particolarmente indicativo. Alcuni soggetti dello studio hanno ricevuto l’ordine di interpretare una semplice tavola numerica, che diceva se le creme per la pelle provocano prurito o no. L’argomento non era particolarmente carico di significati politici, e tutti sono riusciti a fare i calcoli giusti. Altri soggetti sono stati messi davanti alla stessa identica tavola, con gli stessi identici numeri, ma stavolta l’interpretazione avrebbe portato a stabilire se vietare il porto di armi nascoste diminuisce il tasso di criminalità .
La risposta sul piano aritmetico era molto facile da trovare, ma il risultato aveva un alto valore politico, perchè avrebbe preso una posizione scientifica definitiva sul lacerante dibattito riguardo la vendita di pistole e fucili negli Usa.
Ebbene molti soggetti dello studio, nel secondo test, non sono riusciti a risolvere calcoli elementari.
Appena si accorgevano che il risultato stava andando contro le loro convinzioni politiche, iniziavano inconsciamente a sbagliare le operazioni per non arrivare alla conclusione che non volevano.
Più erano bravi in matematica, e più baravano, a conferma del fatto che si rendevano conto dell’evidenza dimostrata dai numeri, ma la ignoravano per scelta.
Il risultato di Kahan conferma quello che anche altri studiosi, come Brendan Nyhan di Dartmouth, hanno dimostrato.
La passione politica è un fatto congenito, che sabota il funzionamento dei nostri cervelli.
La conoscenza, le informazioni corrette, non hanno quasi alcun peso sulle nostre convinzioni.
Una volta scelta la nostra verità preferita, le restiamo dogmaticamente attaccati, a scapito di qualunque cosa.
Inutile ripeterci che Saddam non aveva le armi di distruzione di massa, o che Kennedy era riuscito a far approvare le leggi sui diritti civili: se ci siamo convinti del contrario, non lasceremo che la verità riesca a sviarci.
Paolo Mastrolilli
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Settembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
AUSPICA UN ACCORDO TRA I GRUPPI PER CONSENTIRE UNA DEROGA AL REGOLAMENTO
«Sì al voto palese in aula ». Come si decise per Previti nel 2007, anche se lui si presentava dimissionario. Lo dice Dario Stefà no, il presidente della giunta per le elezioni del Senato, a poche ore dalla auto-nomina a relatore sull’affaire Berlusconi. Che esprime «massimo rispetto per le decisioni della magistratura», visto che «siamo in uno Stato di diritto»
Che succede con lei, uomo di Sel, come relatore? Una svolta a sinistra? Vendola al potere? Una nuova minaccia per Berlusconi?
«Magari fosse così semplice. Una cosa è la battaglia politica, che mi vede impegnato tutti i giorni in Senato, in piena sintonia col partito e il nostro elettorato, altro è un compito istituzionale, che deve restare scevro da condizionamenti politici».
Perchè si è auto scelto?
«Ci ho riflettuto a lungo, pur avendo ricevuto molteplici sollecitazioni. È consuetudine che il presidente riferisca direttamente sul caso, per cui mi sono convinto che la soluzione più istituzionale fosse quella di assumere questo ruolo. Sarà più facile riuscire a mantenere sereno il confronto, ma pure sottrarlo a eventuali dinamiche di governo».
In giunta c’è una maggioranza “diversa”, Pd-M5S-Sel-Sc. Il governoregge?
“Dovrebbe dirlo chi lo sostiene. Sotto il profilo costituzionale, non c’è alcun nesso tra la procedura in giunta e i meccanismi fiduciari dell’esecutivo. Per dirla fuori dalle formule: se pure il governo dovesse cadere domattina, la procedura della giunta — per legge — non si arresterebbe».
La giunta lavora ma tutti pensano al voto segreto in aula. Lei che ci dice? Berlusconi compra o non compra?
«Guardi, a costo di sembrarle ingenuo, continuo a credere alla solidità di una convinzione che ogni senatore dovrebbe maturare in coscienza e non per appartenenza partitica. Se così è, non credo cambi molto tra voto segreto o palese».
Favorevole a cancellare il voto segreto?
«Sono in ballo esigenze diverse: da sempre il voto riguardante iparlamentari avviene a scrutinio segreto, ma è pur vero che l’attuale contesto storico chiede la massima trasparenza nelle decisioni. Sarei soddisfatto se, come avvenne nella seduta della Camera del 31 luglio 2007 per Previti, vi fosse un accordo unanime fra i gruppi per consentire in deroga il voto palese».
Prima Mediaset, poi Mondadori. Nelle carte dei giudici Berlusconi è sempre il dominus delle sue imprese, quindi anche dell’illegalità . Lei che idea si è fatto?
«Ho letto gli atti con molta at-tenzione. Per mia cultura, poichè siamo in uno Stato di diritto, va espresso massimo rispetto per le decisioni della magistratura. Sempre».
Il video. Che effetto le ha fatto mentre la giunta doveva decidere? Un colpo basso? Un’interferenza? Il grido del naufrago? O solo un film già visto?
«Non ho mai votato Berlusconi, sono un parlamentare eletto nelle liste di Sel: le mie valutazioni sono alquanto scontate. Parallelamente però, da presidente della giunta, devo dire di non essermi sentito coinvolto, anche perchè il video non fa alcun riferimento al nostro lavoro».
La gente si chiede: è possibile che per far decadere dal Senato uno che per legge non ha diritto di starci si perdano tre mesi?
«So bene cosa pensano i cittadini, ogni giorno ricevo centinaia di email. E so anche bene che il 9 settembre ci si aspettava la decisione della giunta. Ma occorre essere realistici: il relatore Augello ha presentato 71 pagine di relazione, meritevoli di approfondimenti. A soli 9 giorni da quella data, la giunta ha votato. Rispettando quell’”immediatamente” della legge Severino. Non era affatto scontato».
Berlusconi si è difeso nel processo con il fior fiore degli avvocati. Che senso ha, adesso, che venga a difendersi pure in giunta? Da cosa? Dai magistrati o da voi?
«Il senso è tutto nella legge, che certo oggi non invento io. Il contraddittorio è un principio sacro, senza che ciò significhi che gli interessati debbano sfuggire alla fermezza del collegio».
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Settembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
MA CON IMU, IVA E CIG NE SERVIREBBERO 6
Ancora irrisolto il rebus fiscale: ecco perchè bloccare entrambe le tasse è una missione impossibile
Non è facile mettere in piedi in tre mesi una spending review in grado di compensare i costi aggiuntivi
Non c’è molto tempo per risolvere il rebus dei conti pubblici. Dopo mesi di galleggiamento, segnati dalle pressioni del Pdl che ha posto ossessivamente la questione delle tasse e il Pd che non ha potuto far altro che preoccuparsi della cassa integrazione, degli esodati, della scuola e dei precari, ora i nodi vengono al pettine.
Il Documento di economia e finanza che il consiglio dei ministri esaminerà oggi (il primo del governo Letta dopo quello lasciato in eredità il 10 aprile del 2013 da Monti-Grilli) certificherà che siamo al 3 per cento del deficit-Pil e forse un po’ più in là , uno 0,1 per cento pari a 1,6 miliardi: contro il 2,9 per cento stimato fino ad oggi.
Certo è che molte delle coperture dei provvedimenti presi negli ultimi mesi ballano, che servono 4-5 miliardi per le misure promesse a fine agosto per Imu e Iva e che la correzione, sebbene fatta con «aggiustamenti» di bilancio, come assicura il Tesoro, e non con una vera e propria manovra, ci sarà .
Senza contare che la recessione continua a «mordere» in Italia come non mai: secondo le anticipazioni le stime del Pil di quest’anno verranno riviste al ribasso all’1,7 per cento contro una contrazione stimata nell’aprile scorso dell’1,3 per cento.
La situazione è tale che bisogna fare delle scelte. La prima partita è quella dell’Imu: l’intervento fatto a fine agosto, costato 2,3 miliardi, si è limitato ad eliminare la prima rata sulla prima casa, dunque il 50 per cento della tassa.
Per il resto c’è solo un impegno politico: togliere entro il 16 dicembre la parte restante.
Anche perchè nel frattempo i Comuni hanno aumentato le aliquote e il conto potrà essere più salato: secondo un conteggio della Uil servizio politiche territoriali su 2.500 municipi che hanno modificato la tassa, un terzo ha messo in atto rincari.
L’ancoraggio del gettito dell’Imu, sicuro, piaceva all’Europa che da sempre chiede di trasferire il peso dai redditi ai patrimoni e alle cose.
E non c’è da meravigliarsi che Olli Rehn abbia alzato repentinamente i toni.
Del resto alcune aperture di credito da Bruxelles negli ultimi mesi sono già arrivate: è stato possibile pagare uno 0,5 per cento di Pil di crediti alle aziende da parte della pubblica amministrazione caricandolo sul deficit e portandolo all’attuale 2,9 per cento. Una operazione che ha avuto l’ok dell’Europa.
Così come l’incidenza negativa della congiuntura sui conti è stata considerata senza troppi problemi: il nostro «output gap», cioè quanto perde il Pil per colpa della recessione, è molto ampio e consente di avere un consistente sconto sul pareggio di bilancio strutturale, cioè al netto della crisi economica.
Ma se l’Italia mostra leggerezza su coperture, spese e stabilità politica, Bruxelles alza la barriera e pretende un rispetto rigoroso del 3 per cento nominale, ovvero di una soglia che non tiene conto della congiuntura ma si limita alla ragionieristica del bilancio.
E’ molto probabile dunque che la partita debba essere tutta rigiocata.
Non è facile infatti in tre mesi mettere in atto una spending review sostanziosa per trovare i 6 miliardi necessari (tra Imu, Iva, Cig, missioni e correzione del deficit), e le misure per 10,5 miliari proposte da Brunetta del Pdl sembrano a molti osservatori di carattere contabile e una tantum.
Dunque la partita dovrà ripartire dal duello tra Imu e Iva: colpire i proprietari o colpire i consumatori?
Per uscire dal dilemma si potrebbe trovare un compromesso sul quale si starebbe lavorando nelle ultime ore: chiedere ai proprietari delle case di maggior pregio di entrare nella schiera di chi deve pagare (risparmiando almeno un paio di miliardi).
Dall’altra parte lasciar scattare l’aumento dell’Iva ma sterilizzandolo riducendo alcune le aliquote di alcuni prodotti di largo consumo (come il gas da riscaldamento oggi al 21 per cento) portandole al 10 come l’energia.
Al tempo stesso si potrebbero rialzare altre aliquote oggi al 4 per cento, come le concessioni televisive o molti altri sconti attualmente non giustificati.
Un’ultima manovra disperata per attraversare un passaggio assai stretto.
Roberto Petrini
(da “La Repubblica“)
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Settembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
DA UN PARTE UN VECCHIO CAPACE DI CRITICARE I PROPRI DIFETTI E APRIRE NUOVE STRADE ALLA CHIESA, DALL’ALTRA UN VECCHIO GONFIO DI REATI, INCAPACE DI ASSUMERSI LE PROPRIE RESPONSABILITA’
Per l’italiano che guarda la tv è una ferita nel petto.
Di là una Mummia egolatrica, che con voce impostata proclama di avere sempre avuto ragione, schiuma di rabbia verso gli avversari, mente a ogni respiro, alza la mano ancora umida di cosce velate da paramenti religiosi e invoca la “tradizione cristiana”.
Di qua un Uomo che guarda negli occhi i suoi simili senza inganno, che si rivolge ai lontani, che ha il desiderio di piegarsi sulle ferite degli uomini e delle donne affaticati e ammaccati dalle crisi materiali ed esistenziali.
Di qua un vecchio capace di criticare se stesso e i propri difetti e contemporaneamente di aprire nuove strade alla Chiesa.
Di là un vecchio gonfio di reati, incapace di assumersi le proprie responsabilità , drogato dalla ripetizione di antiche promesse mai mantenute.
Guardiamo le immagini.
La tonaca bianca con le vecchie scarpe nere e il volto solcato da rughe parlano ai giovani molto più del doppiopetto irrigidito che fa da basamento a un viso stirato dalla cosmesi.
Chi ascolta sa subito da dove viene la speranza e da dove la noia.
Sono giorni amari per gli italiani.
Plasticamente le due B. di questa storia — il Papa e l’ex premier — riflettono l’impotenza in cui è precipitato il Paese.
Un consesso di anziani cardinali, il conclave di marzo, ha avuto la lungimiranza e il coraggio di aprire la prospettiva di una svolta epocale.
Da noi un Parlamento di impotenti maestri di intrighi si è accartocciato nella rimasticatura del vecchio.
Il Tevere è diventato molto, molto largo.
Oltre il fiume, l’intervista di Francesco porta impetuosamente un vento nuovo alla Chiesa universale.
Sulla riva nostra, le reti unificate hanno trasmesso il disco rotto di Berlusconi.
Questo ci tocca.
E il nuovo che avanza si sbaciucchia con Signorini e Briatore.
Marco Politi
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Settembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
C’E’ ANCOR CIRIACO DE MITA NELLA LISTA DEI POLITICI SOTTO SCORTA CHE “IL TEMPO” HA STILATO… E ANCHE GENTE DEL MONDO DELLO SPETTACOLO
Daniela Santanchè, Renata Polverini, l’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, la non più ministra del Lavoro, Elsa Fornero, l’ex Pm Antonio Ingroia, Gianfranco Fini. C’è anche Ciriaco de Mita nella lista dei politici sotto scorta che il Tempo ha stilato.
Magistrati, ambasciatori, politici, gente del mondo dello spettacolo.
Si legge sul Tempo: “Sono oltre duecento gli intoccabili difesi ogni giorno da centiaia di angeli custodi di carabinieri, polizia, guardia di finanza, politzia penitenziaria e corpo forestale dello Stato. L’elenco degli scortati nella Capitale è aggiornato ai primi di settembre. Sfora di parecchio i 200 servizi quotidiani, tra scorte e tutele.
I big rientrano nel livello 1 (tre auto più una di staffetta) mentre a scendere, il livello 2 prevede un paio di macchine blindate.
Il terzo obbliga a un’auto blindata, mentre il quarto prevede un poliziotto di tutela.
I sindacati delle forze di polizia si domandano con sarcasmo se sia una vera esigenza schierare questo esercito di guardaspalle, oppure se si tratta di fare un favore a questo o quel politicoche non vuole rinunciare ad un prezioso status simbol.
Un privilegio mantenuto nonostante le mille promesse di tagli.
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Settembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
ASTENSIONISMO BOOM: 16 MILIONI DI ITALIANI NON ANDREBBERO A VOTARE
Se si tornasse oggi alle urne, con una affluenza in ulteriore calo al 66 per cento, centrosinistra e centrofestra rimarrebbero sotto gli 11 milioni di voti, posizionandosi intorno al 35%, con uno scarto tra le due principali coalizioni inferiore ai 100 mila voti.
Il Movimento 5 Stelle otterrebbe il 19%, l’area dei centristi il 7 per cento.
Il Pd con i suoi alleati conquisterebbe 10 milioni e 560 mila voti, il centrodestra pochi di meno (10 milioni e 500 mila).
E’ quanto emerge dal Barometro Politico di settembre dell’Istituto Demopolis che conferma l’incertezza del quadro politico ed il consenso altalenante ai due principali partiti del Paese.
Il Pd (27,5 per cento) superebbe oggi di mezzo punto percentuale il Pdl (27 per cento), la cui forza elettorale appare molto legata ai destini di Silvio Berlusconi.
Il Movimento 5 Stelle, in ripresa rispetto al mese di luglio, ma ancora lontano dal risultato delle Politiche, si attesta al 19 per cento.
Al 5 per centoSEL di Vendola, al 3,9 per cento la Lega.
I dati di Demopolis confermano la crisi di consensi per Scelta Civica (3,7 per cento), mentre qualche segno positivo lo registra l’Udc che risale al 2,8 per cento; sotto il 2% le altre liste.
Non trascurabile, infine, il dato degli astensionisti: circa 16 milioni di elettori, oggi, sceglierebbero di non recarsi alle urne.
«Si tratta di dati molto liquidi e provvisori», spiega il direttore dell’Istituto Demopolis, Pietro Vento, «destinati a modificarsi profondamente in uno scenario politico che dovrà presto misurarsi con almeno tre grandi incognite: la legge elettorale con cui ci si recherebbe effettivamente al voto; l’ipotesi di un Centrodestra, per la prima volta da vent’anni, senza Berlusconi candidato premier; il sindaco di Firenze Matteo Renzi alla guida del Pd e della coalizione di Centrosinistra”.
(da “L’Espresso“)
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Settembre 20th, 2013 Riccardo Fucile
PRONTO ALLA GUERRA COL PDL: NON UN EURO PER L’IVA… TUTTO ANDRà€ AL TAGLIO DELLE TASSE PER I DIPENDENTI COME VUOLE IL PREMIER
“Non faremo la fine del governo Monti”, dice un sottosegretario Pd.
Il professore della Bocconi si congedò un anno fa con una legge di Stabilità (la Finanziaria) prodotto di un’esperienza ormai conclusa, svuotata e riscritta dal Parlamento sotto lo sguardo rassegnato dei ministri.
Enrico Letta non vuole seguire la stessa traccia, anche se ci sono tutte le premesse per lo stesso finale, cioè un’approvazione con i voti del Pdl che però si stacca subito dopo uscendo dalla maggioranza e rinnegando i risultati ottenuti.
Letta lo dice a modo suo, con sforzo pop: “Il governo non è un punching ball”.
Poi un criptico riferimento a un dimenticato personaggio di Carosello: “Non ho scritto Joe Condor in testa. Giocheremo all’attacco”.
Traduzione: il Pdl può scordarsi che il governo faccia come con l’Imu, cioè faccia di tutto per dare l’illusione che Silvio Berlusconi abbia rispettato le sue promesse elettorali.
Nelle conversazioni ufficiose i membri del governo in quota Pd sono bellicosi: “Non ci faremo dettare più la linea, se il Pdl esce dalla maggioranza prima del voto di fiducia sulla legge di Stabilità è pure meglio”, dicono.
Analoghe dichiarazioni d’intenti circolavano al Tesoro — soprattutto dalle parti di Pier Paolo Baretta, Pd — all’indomani della sentenza di condanna per Berlusconi.
Poi, grazie anche al Quirinale che voleva la prosecuzione del governo, Letta e Angelino Alfano hanno annunciato l’abolizione dell’Imu sulla prima casa (anche se i soldi sono ancora da trovare, mancano almeno 2,4 miliardi di euro).
La differenza è che adesso si fa sul serio, ora comincia la sessione di bilancio che probabilmente sarà la prima e ultima per questo esecutivo.
E il Pd ha lo stesso obiettivo dei berlusconiani: usare la legge di Stabilità come traino verso le elezioni.
Il Pdl, tramite Renato Brunetta, vuole ottenere il rinvio dell’aumento dell’Iva dal 21 al 22 per cento previsto per ottobre e confermare l’abolizione dell’Imu sulla prima casa.
Letta ha deciso che questa legge di Stabilità dovrà essere ricordata per un drastico intervento sul cuneo fiscale.
Che, tradotto in italiano, significa un aumento in busta paga per i lavoratori dipendenti grazie a un taglio delle tasse oggi pagate (e trattenute dal datore di lavoro).
“Il miliardo per rinviare l’aumento Iva? I soldi Letta non li troverà mai perchè gli servono per il cuneo fiscale”, dice un membro del governo vicino al premier.
Gli altri segnali all’elettorato del Pd sono evidenti: dal decreto sulla scuola presentato dal ministro (Pd) Maria Chiara Carrozza al piano “destinazione Italia” annunciato ieri per attrarre investimenti stranieri, che vuole essere un segnale al mondo delle imprese e alla finanza.
Letta si è anche detto a favore delle richieste congiunte di Confindustria e sindacati, nonostante il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni abbia fatto notare che sono costose.
Ma le campagne elettorali, come le rivoluzioni, non sono pranzi di gala.
Per ora Letta si limita a evocare la minaccia delle sue dimissioni (ma è dal primo giorno che dice “non governo a ogni costo”) e a Berlusconi dice che “In Italia siamo in uno Stato di diritto, non ci sono persecuzioni, in Italia rispettiamo l’autonomia della giustizia”.
Ma la partita vera comincia stasera, con il Consiglio dei ministri che approverà la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, cioè il quadro di conti pubblici su cui si imposta la legge di Stabilità .
Dopo giorni di simulazioni, revisioni, alchimie contabili più o meno lecite, il risultato è questo: una stima (generosa) del Pil 2013 a -1,7 per cento e un deficit “a legislazione vigente” superiore di poco al tetto massimo, 3,1 per cento.
Quello vero sarebbe 3,4 ma i tecnici del Tesoro sanno come addomesticare i numeri. Per tornare sotto il 3 per cento, come abbiamo promesso alla Commissione europea, nel documento sarà indicata la necessità di un intervento.
Ma non chiamatela manovra, per carità .
Nessun decreto d’emergenza, tutto finisce nella legge di Stabilità da definire entro il 15 ottobre, in tempo per mandarla a Bruxelles.
E se a Berlusconi non piace, pazienza. Letta (e il Quirinale) potranno trovare facilmente un po’ di parlamentari responsabili disposti a votarla per evitare l’esercizio provvisorio.
Magari con la garanzia che un minuto dopo la fiducia Letta lascerà .
Stefano Feltri
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