Settembre 25th, 2013 Riccardo Fucile
POI GASPARRI PRECISA: “I MINISTRI RESTANO E LE DIMISSIONI SARANNO CONSEGNATE AI CAPIGRUPPO”… NON SIA MAI CHE LI CONSEGNINO COME DA REGOLAMENTO ALLA PRESIDENZA DI CAMERA E SENATO E VENGANO PRESE SUL SERIO
Il Pdl minaccia la crisi e annuncia un’iniziativa clamorosa per evitare di rimanere “prigioniero” di un documento vincolante di Letta con la supervisione di Napolitano.
La tensione nel Pdl non è soltanto per gli assetti futuri della nuova Forza Italia, ma soprattutto perchè ritorna prepotente la minaccia dimissioni di massa di tutti i parlamentari berlusconiani, ministri inclusi, in caso di decadenza del leader.
Senatori e deputati unanimi consegneranno le dimissioni nel caso di decadenza della loro guida. Silvio Berlusconi vede avvicinarsi sempre di più la data del 15 ottobre quando dovrà dire se vuole essere affidato ai servizi sociali oppure se scegliere gli arresti domiciliari perchè bisognerà eseguire la pena a un anno per frode fiscale (tre sono stati condonati per indulto, l’interdizione dei pubblici uffici dovrà essere rideterminata) dopo la condanna definitiva nel processo Mediaset.
E in vista di questo appuntamento che il Cavaliere, come ha anticipato l’agenzia Radiocor, ha cambiato residenza portandola da Milano a Roma a Palazzo Grazioli.
Il Cavaliere teme che senza lo scuso dell’immunità parlamentare alcuni pm potrebbero chiedere misure cautelari: “Sono sicuro, mi vogliono arrestare, vogliono umiliarmi. Non mi fido più di nessuno”.
Il Quirinale non vuole una crisi, non vuole le elezioni, ma il Pdl vuole garanzie precise sul leader. Berlusconi arringa la folla di parlamentari: “Non ho mai rubato, non dormo da 55 giorni e ho perso 11 chili”.
Anche la Lega Nord sarebbe disponibile a dimettersi in linea con le decisioni prese dal Pdl.
Ci sarebbero stati dei contatti tra il Carroccio e diversi esponenti pidiellini.
Sandro Bondi è tra i più sicuri dell’ipotesi di dimissiopni di massa: “E’ una questione morale noi restiamo in Parlamento se c’è Berlusconi, se non c’è lui non ci restiamo neppure noi”. “Speriamo che sulla decadenza di Berlusconi ci sia saggenza e che non si applichi retroattivamente una legge” afferma Maurizio Gasparri, il quale però conferma che le dimissioni saranno consegnate ai capigruppi azzurri di Camera e Senato, ma non riguarderebbero i ministri Pdl del governo Letta .
Modo di procedere assai sospetto.
Le dimissioni quindi appaiono essere l’ennesimo capitolo della lotta di nervi con il Quirinale per ottenere garanzie, esercitando quindi pressioni continue con l’innalzamento dell’asticella.
Il premier Enrico Letta starebbe preparando un documento, una sorta di capitolato di governo chiamato anche documento di ripartenza, da sottoporre al prossimo Consiglio dei ministri.
In questo contratto delle larghe intese ci sarebbero non solo le priorità urgenti per la ripresa economica e gli strumenti per evitare l’aumento dell’Iva (tramite l’aumento delle accise su tabacchi, benzina e giochi), ma anche il tema della riforma elettorale (che da oltre un anno viene invocato da Giorgio Napolitano).
Il Pdl e Berlusconi non vogliono che questo documento sia troppo vincolante, per evitare un guinzaglio troppo stretto al partito e al suo leader.
Con il Porcellum ancora lì però il presidente della Repubblica potrebbe, in caso di crisi, non sciogliere le Camere.
Il documento dovrebbe quindi diventare la chiave della cassaforte in cui chiudere, almeno fino al 2015 spera il Colle, la stabilità di governo.
Le dimissioni di massa non comporterebbero comunque l’automatico scioglimento delle Camere, perchè i seggi lasciati vuoti verrebbero occupati dai primi dei non eletti.
“Prima che arrivi il presidente in sala diteci se vi dimettete o no” ha chiesto Schifani, parlando ai gruppi del Pdl riuniti alla Camera.
Nel corso della riunione mattutina invece a Palazzo Grazioli le ‘colombe’ avevano tentato di far tornare sui propri passi i colleghi da sempre contrari alle larghe intese, con l’unico risultato che tutti i parlamentari azzurri consegneranno ai capigruppo la rinuncia ufficiale alla carica ricoperta. Dimissione da congelare fino al voto della Giunta del Senato.
A spuntarla quindi i falchi che avrebbero protestato dopo l’esito dell’incontro tra il segretario e vice premier Alfano e il capo dello Stato.
Secondo l’ala dura del Pdl Alfano “terrebbe troppo a questo governo” e alla sua “sopravvivenza”.
Ecco allora lo scontro soprattutto ora che con la nuova Forza Italia sarebbero libere alcune poltrone di potere.
Sul tavolo della discussione c’è stato infatti anche l’argomento nuovi assetti del partito. Chi sarà alla guida della nuova “cosa azzurra” accanto al leader è stato l’argomento al centro di una lungo vertice ieri sera a Palazzo Grazioli, finito a notte tarda e senza nessuna soluzione.
Tanto che Berlusconi ha deciso di riconvocare i big del partito a pranzo per tentare di arrivare ad un compromesso che metta d’accordo le diverse anime pidielline.
Raccontano che la tentazione dell’ex premier sia quella di un forte rinnovamento che porti all’azzeramento di tutti gli incarichi per tornare ad un modello di partito simile a quello della discesa in campo nel ’94.
Una soluzione però che sembra difficilmente praticabile perchè, se è vero che l’obiettivo è creare una struttura molto più snella, l’assenza di una gruppo dirigenziale, anche minimo, appare complicata.
Ed è proprio sugli assetti da dare al nuovo partito che si è scatenata la tensione a palazzo Grazioli.
Uno dei problemi da risolvere riguarda il ruolo di Angelino Alfano. Nella nuova Forza Itala non dovrebbe più esserci la figura del segretario, ma una delle ipotesi potrebbe essere quella di dare all’attuale vice premier il ruolo di ‘primus inter pares’ rispetto al resto dei dirigenti.
L’idea che si cambi lo statuto per creare la casella di vice presidente del partito, invece, non sembra avere grandi chance.
E’ allo studio poi la possibilità di creare un gruppo dirigenziale composto da diversi esponenti del partito, da affiancare ad Alfano.
Proprio la composizione però genera spaccature dentro il Pdl: c’è chi ipotizza che a farne parte debbano essere solo i due coordinatori ed i capigruppo e chi invece vorrebbe una struttura più allargata, magari a chi ricopre già dei ruoli all’interno del Pdl.
Un esempio è quello di Daniela Santanchè, fedelissima del Cavaliere e responsabile organizzazione del partito.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 25th, 2013 Riccardo Fucile
“NON L’HO MAI RICEVUTA” COMMENTA IL CAVALIERE CHE POI NE SMENTISCE (SOLO IN PARTE) IL CONTENUTO
Sono le 16 del 14 maggio scorso.
Silvio Berlusconi viene interrogato nell’ambito dell’inchiesta della magistratura di Roma sui soldi versati al faccendiere Valter Lavitola e ai coniugi Gianpaolo e Nicla Tarantini.
È ritenuto parte lesa, ma poichè a Bari lo accusano di induzione del testimone a mentire proprio per aver comprato il silenzio dell’imprenditore pugliese sulle feste organizzate nelle sue residenze, sono presenti i suoi difensori.
L’ex premier risponde alle domande del procuratore Giuseppe Pignatone, dell’aggiunto Francesco Caporale e del sostituto Simona Marazza.
Berlusconi ammette di aver versato denaro «tramite Lavitola che mi rappresentava lo stato di difficoltà di Tarantini e della sua famiglia. Peraltro Lavitola era diventato buon amico della moglie di Tarantini».
Pm: Lei è a conoscenza di alcune telefonate intercorse tra Lavitola e Tarantini che fanno intendere che pretendessero denaro e in particolare somme sempre più alte da lei con utilizzo di toni accesi? Toni che si fanno più accesi in concomitanza con la conclusione delle indagini di Bari sul «caso escort«? Lei vede una connessione? Perchè Tarantini pretendeva questo soldi?
Berlusconi: «A me le richieste sono pervenute tramite Lavitola sempre in termini di venire incontro alle esigenze familiari di Tarantini e io le ho accettate per i motivi esplicitati nella memoria che deposito oggi. Preciso che non ho mai ricevuto in tal senso alcuna minaccia, nemmeno in modo velato».
Pm: Nella sua memoria di settembre 2011 si fa riferimento a una somma che lei avrebbe messo a disposizione dei coniugi Tarantini per avviare un’attività all’estero. A chi?
Berlusconi: «Mi riporto a quanto detto nella memoria e preciso che ho consegnato 500 mila euro a Lavitola. Del resto quando l’avvocato Peroni – che avevo informato dell’avvenuta consegna – ne informò Tarantini (suo cliente), Tarantini chiese un incontro a me e Lavitola per chiarire la situazione. L’incontro avvenne a Roma e Lavitola confermò davanti a me di aver ricevuto quella somma e che la stessa era a disposizione di Tarantini presso la propria banca in Uruguay. Gli accordi erano stati presi durante un incontro ad Arcore con i coniugi Tarantini e Lavitola».
Pm: Ha mai sentito parlare di un imprenditore pugliese di nome Settanni? Si tratta di un imprenditore che aveva interesse ad aggiudicarsi un appalto con Eni e al quale si fa riferimento nelle intercettazioni telefoniche.
Berlusconi: «Non mi pare di ricordare una persona di nome Settanni o comunque l’imprenditore cui viene fatto riferimento».
A questo punto i magistrati mostrano a Berlusconi la lettera ritrovata in un computer di Lavitola e datata 13 settembre 2011.
Nella missiva Lavitola sostiene di aver ricevuto soldi in cambio dei documenti sulla casa di Montecarlo utilizzati contro l’allora presidente della Camera Gianfranco Fini «portati direttamente da Santa Lucia».
Ma soprattutto dichiara che Berlusconi deve soldi all’imprenditore Angelo Capriotti, arrestato dalla magistratura di Napoli per le tangenti che sarebbero state pagate per la costruzione di carceri a Panama
Pm: Le poniamo in visione la lettera del 13 dicembre 2011. L’ha mai ricevuta?
Berlusconi: «No, non l’ho mai ricevuta. Ne prendo visione e posso rilevare che è un insieme di cose vere e di cosa totalmente false. Dico subito che non è vero che io abbia promesso a Lavitola di dargli un incarico governativo, nè di candidarlo alle elezioni europee in modo tale da garantire la sua elezione, nè di farlo nominare nel Cda della Rai. Non è vero nemmeno che io abbia parlato con Lavitola di far nominare la senatrice Ioannucci nel Cda dell’Eni. Peraltro io conosco la senatrice che è del Pdl e ho con lei rapporti diretti. Non è vero neanche quanto asserito da Lavitola sulla promessa da parte mia di far nominare Pozzessere “almeno direttore generale di Finmeccanica”. Tengo a dire che io non ho mai nominato nessuno in Finmeccanica nel senso che non mi sono mai interessato a questo tipo di nomine. Non ricordo che la senatrice Ioannucci abbia avuto un incarico presso Poste italiane, ma certo non ne ho parlato con Lavitola, non capisco neanche il riferimento al “commissario delle dighe”».
Pm: E riguardo alle altre circostanze?
Berlusconi: « Non è vero che io abbia rimborsato una somma di circa 500 mila euro a Lavitola per la sua attività a proposito della vicenda “Casa di Montecarlo”. Non ho mai ricevuto le richieste, di cui pure in questa lettera si parla, di presunte restituzioni di denaro a Angelo Capriotti, agli avvocati panamensi di Lavitola e a una società cinese. È vero invece che mi fu chiesto da Pintabona (il senatore eletto all’estero esponente del Mpa di Lombardo ndr) per conto di Lavitola di far assumere i 19 dipendenti de L’Avanti che erano stati licenziati. Non fu possibile assumere i suddetti dipendenti anche se io ero disponibile a impegnarmi perchè si trattava di lavoratori che avevano perduto il posto di lavoro».
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 25th, 2013 Riccardo Fucile
IL TESORIERE MISANI SBOTTA: “IL PD RIMARRA’ LA CASA DI TUTTI, A PARTIRE DA COLORO CHE L’HANNO GUIDATO E CHE MERITANO RISPETTO E GRATITUDINE”
Una stanza un metro per due, uno stanzino in realtà .
Ma nel Pd alle prese con la ricerca delle regole (venerdì è prevista la direzione, ndr) anche un ufficio da destinare all’ex leader diventa un caso, anzi un casus belli.
Pier Luigi Bersani ex segretario del Pd non avrà il suo ufficio al Nazareno, sede del partito.
Ci ha rinunciato dopo un polverone, tanto da dover far intervenire un alto dirigente del partito. “Tra le tante (troppe) polemiche inutili nel Pd, quella sulla stanza di Bersani è la più stupida e assurda. Lo voglio dire con la massima chiarezza: il Partito democratico è e rimarrà la casa di tutti, a partire da coloro che si sono assunti la responsabilità di guidarlo dalla sua nascita in avanti e che meritano rispetto e gratitudine. Vale per Pier Luigi Bersani, così come per Walter Veltroni, Dario Franceschini e oggi Guglielmo Epifani” ha dichiarato il tesoriere del Pd, Antonio Misiani, smentendo che all’ex segretario sia stato chiesto di liberare la stanza che ancora occupa nella sede nazionale al Nazareno.
Tutto sarebbe nato, si mormora nei corridoi del partito, dalle critiche sottotraccia di alcuni suoi colleghi.
Tanto da far rinunciare il candidato premier, per la prima volta ad una prassi consolidata, visto che da anni gli ex leader avrebbero diritto ad un proprio ufficio.
La vicenda è stata portata oggi alla luce dalla Velina Rossa di Pasquale Laurito .
“Si è perso — scrive il giornalista — ogni ritegno e si ha la sensazione che non esista più rispetto per chi ha lavorato per il partito. Gli uomini possono essere criticati per le loro scelte, ma quando si arriva ad essere maleducati e a polemizzare perfino sulla stanza che spetta ad un ex segretario di partito, c’è davvero da allarmarsi. Evidentemente ci sono già i gerarchetti pronti a compiacere il nuovo ducetto”.
Ma che un problema ci sia stato sulla stanza dell’ex segretario è indubitabile, visto l’intervento ufficiale del tesoriere.
Bersani, che giovedì farà una manifestazione a sostegno di Gianni Cuperlo, in ogni caso dovrà probabilmente trovare un’alternativa, visto che neppure al gruppo di Montecitorio ha una stanza privata.
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Settembre 25th, 2013 Riccardo Fucile
LE SPESE PAZZE DELLA CAMERA. E AL SENATO E IL TESORETTO SEGRETO
Quando ha posto la questione al-l’ufficio di presidenza, Pietro Grasso le ha risposto secco: “È un problema che finora non si è mai posto, lo risolva con i questori”.
Ma Laura Bottici, questore pure lei, con i suoi colleghi (il pidiellino Lucio Malan e Antonio De Poli di Scelta Civica) non ha mai fatto troppo squadra.
Li “bypasso”, spiega, perchè non è con loro che immagina di poter aprire la “scatoletta di tonno” di palazzo Madama.
Così, niente da fare. A sei mesi dalla sua elezione, il suo lavoro di controllore della cassa del Senato, si ferma lì, ai titoli principali.
Oltre, è vietato andare: “Questioni di privacy”, il muro che le hanno alzato di fronte a proposito del milione di euro che l’anno scorso è finito in beneficenza.
Solo spiccioli a scuole e ospedali
Dunque, non si può sapere chi sono i beneficiari dei 546 mila 140 euro elargiti nel 2012: associazioni, onlus, fondazioni; quali, non si sa.
Lo stesso vale per i 130 mila 299 euro destinati a persone fisiche (forse l’unico caso in cui l’anonimato potrebbe essere giustificabile).
Non ci sono i nomi degli ospedali e delle scuole che hanno ricevuto contributi. Si sa solo che sono pochi, pochissimi: 7 mila 960 euro per i primi, 10 mila euro per le seconde.
In compenso 147 mila 459 euro sono andati ad enti religiosi.
Quali? Anche qui, silenzio.
“Il Senato è una città chiusa che non permette a nessuno di verificare la propria gestione”. Nemmeno a lei che fa il questore.
L’eredità di Schifani
La Bottici, oltre all’elenco dei beneficiari, ha anche formalmente chiesto i nomi di chi ha deciso la destinazione dei fondi.
Si tratta di “una stretta cerchia di persone”, riferisce ancora la Bottici. Tra loro c’è certamente il presidente: raccontano che Renato Schifani, il capogruppo Pdl che un anno fa sedeva sullo scranno più alto di Palazzo Madama , abbia già fatto trapelare il suo disappunto con il questore ficcanaso.
Sono piuttosto risentiti anche gli attuali inquilini del Senato. Una nota diffusa ieri, replica al post della Bottici: quei dati sono del biennio scorso , da aprile, si legge, “il Consiglio di Presidenza ha deciso il dimezzamento di disponibilità per questo capitolo di bilancio” e l’intenzione è quella di “eliminare tali voci di spesa”.
Ex deputati e nuove indennita’
In attesa dei tagli a palazzo Madama, anche alla Camera c’è materia per sforbiciare.
Entro fine anno va approvato il bilancio e tra le spese sostenute nel 2012 si continuano a trovare uscite incomprensibili. Per esempio gli 800 mila euro destinati per “Rimborsi di viaggio ai deputati cessati dal mandato”. Non sono una novità , si spendono ogni anno ma le ragioni (e i beneficiari) restano ignote.
Così come risulta poco chiaro l’aumento del 43 per cento del capitolo 1: sono indennità aggiuntive per i deputati e rispetto al 2011 si sono spesi 165 mila euro in più.
A questi, ogni anno, vanno sommati 300 mila euro investiti per la formazione linguistica straniera dei deputati. Iniziativa lodevole, ma la spesa non varia a seconda della frequentazione (o meno) degli onorevoli ai corsi.
Documenti e facchini
O ancora non si capisce come mai, nonostante siano stati disdettati per i prossimi anni diversi contratti d’affitto, continuino a crescere le spese per la locazione degli immobili: i 25 milioni e 400 mila euro del 2012 diventeranno 26 milioni e 500 mila euro nel 2015. Continuano invece a essere esorbitanti le risorse messe a bilancio per la stampa di documenti: 5 milioni di euro l’anno, a fronte di un investimento sul portale Internet (obiettivo: digitalizzare i materiali) di 1 milione e 800 mila euro.
Anche perchè, poi, quei documenti vanno catalogati e archiviati: se ne vanno per queste funzioni buona parte dei 970 mila euro spesi per i lavori di facchinaggio.
Ma il capitolo (anzi, i capitoli: sono sette) più corposi, restano quelli destinati alle consulenze: 6 milioni e 200 mila euro che ogni anno servono a retribuire competenze esterne di varia natura.
Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 25th, 2013 Riccardo Fucile
LA COMMISSIONE EUROPEA METTE IN LUCE UNA FORTE DEINDUSTRIALIZZAZIONE NEL NOSTRO PAESE… BASSA COMPETITIVITA’ DOVUTA ALLA MANCATA RIDUZIONE DEL CARICO FISCALE SUL LAVORO E COSTO DELL’ENERGIA PIU’ ALTO D’EUROPA”
“L’italia sta attraversando una vera deindustrializzazione, corroborata dal fatto che dal 2007 in poi l’indice della produzione industriale ha perso 20 punti percentuali. Quest’evoluzione sembra essere attribuibile sia alla riduzione dell’attività dovuta al rallentamento economico, sia alla chiusura di numerosi impianti in alcuni settori industriali di base (petrolchimica, siderurgia e biocombustibili)”.
Lo afferma la Commissione europea in un rapporto sulla competitività industriale nei paesi membri dell’Ue presentato su iniziativa del commissario all’industria, Antonio Tajani.
“Sebbene la quota del settore manufatturiero, in termini di valore aggiunto totale nell’economia, resti leggermente al di sopra della media Ue, l’Italia sta vivendo una vera deindustrializzazione, con una perdita di 20 punti percentuali nell’indice di produzione industriale rispetto al 2007”, afferma la commissione, secondo cui “in termini di costo unitario medio del lavoro, la competitività dell’italia si è notevolmente deteriorata negli ultimi dieci anni a causa di un aumento del salario lordo nominale combinato con una debole crescita della produttività “.
Tuttavia, osserva ancora l’esecutivo Ue, “i salari reali sono rimasti pressochè stabili, evidenziando l’importanza di colmare il divario di produttività e nel contempo di migliorare l’allineamento dei salari alla produttività . Un ulteriore contributo – sottolinea la Commissione – potrebbe derivare da un alleggerimento del cuneo fiscale sul lavoro”.
Nella produttività del lavoro nel settore industriale, l’Italia nel 2012 ha perso posizioni rispetto al 2007, ed è stata superata persino dalla Grecia, che nel 2007 era molto più indietro.
Dalla tabella che la commissione pubblicherà domani, risulta nel 2012 anche una forte accelerazione della produttività del lavoro da parte della Spagna, che comunque era già più avanti dell’Italia nel 2007.
(da “Huffington Post”)
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Settembre 25th, 2013 Riccardo Fucile
IN CORSO IL TURN OVER: ANCHE ALLA PASCALE UN RUOLO PIU’ IN VISTA
Ci sarebbe in realtà anche il cane Dudù, le cui ennesime «foto segrete» sono da ieri in visione su Vanity fair.
Il barboncino bianco di Palazzo Grazioli vi appare circondato da fiori veri e posticci, o intento a nutrirsi su un ricco tappeto persiano, tipo cane degli Zar, come pure si può ammirare l’innocente bestiola strizzatissima in un vestitino «I love my dog» e perfino avvolto in una casacca del Milan. Pazienza.
Come sempre accade nelle faccende che investono l’immagine pubblica del Cavaliere non si capisce mai bene cosa è vero, cosa emerge spontaneamente e cosa invece risponde a strategie comunicative che sono tanto più semplificate nel loro messaggio, quanto più in realtà sottili e pianificate a livello simbolico e cognitivo da menti, per così dire, raffinatissime.
E però dopo una ventina d’anni si può forse tentare un’opera di decrittazione, per cui Barbara Berlusconi, che ieri sera è graziosamente arrivata a Ballarò, sa un po’ di minestra riscaldata, o di pangrattato diversivo ad effimero impatto.
Nel senso che i talk-show, per loro cannibalica natura, necessitano di carne fresca. Quanto è bastato comunque perchè i giornali e anche Cacciari, che è stato suo professore, ritenessero la terza figlia una soluzione alternativa e anzi preferibile rispetto alla prima, Marina, che pare certo non sia ancora andata a visitare la sontuosa sede di Forza Italia a Palazzo Fiano, già sede di uno storico teatro di marionette.
Vero è che Barbara, già fondatrice di «Milano Young» nonchè organizzatrice di un improvvido convegno su Etica ed economia con la partecipazione del giovane Ligresti, non solo si è laureata con profitto, tanto che Don Verzè le propose una cattedra seduta stante, ma ha anche mostrato una certa indipendenza di pensiero.
E tuttavia, se mai c’è stato, il momentum di Barbara in politica parrebbe già lontano, vittima della separazione del papà con Veronica, delle costose foto smerciate da Corona e magari anche delle recenti peripezie calcistico-sentimentali.
Ma soprattutto, a chiuderle quella prospettiva resta l’annoso e fin qui terrificante groviglio dinastico- ereditario tra figli di primo e secondo letto.
Groviglio però entro il quale — ed è l’altra rimarchevole pseudo-novità di giornata — si è venuta a inserire la fidanzatina Francesca Pascaleche, in vena di confidenze patinate, pare proseguire quel sentiero di stabilizzazione matrimoniale iniziato nei giorni scorsi attraverso messaggeria gratuita, cioè a colpi di WhatsAp con baci, cuoricini e promesse: «Ti amerò sempre, in ricchezza e povertà » — che qualche ironia, considerato il patrimonio del possibile anche se attempatissimo sposo, se la trascina indubbiamente.
Anche nel caso di Francesca Pascale, pur inseguita da videofantasmi di giovane e tenerissima volgarità — l’ultimo in estate la ritraeva danzare su una spiaggia del litorale campano al canto di un brano intitolato «Levat’ a’ mutand’» — ecco, anche nel suo caso si sconta una metamorfosi.
L’altro giorno su Libero si è letto di un manager Ferragamo, alta sartoria, che ha potuto chiudere positivamente il budget grazie ai tanti vestiti acquistati dalla fidanzatina, che peraltro li porta benissimo.
Di certo la ragazza ha carattere, e voglia di farsi notare, e energia di riscatto, e forse pure simpatia — come dimostra la sportiva disponibilità mostrata nei riguardi della sua imitatrice Virginia Raffaele.
Ma il fatto che Pascale possa realmente convolare a nozze con un 77enne non solo incerto fra gli arresti domiciliari e i servizi sociali, ma anche già ampiamente scombussolato dalle divisioni anche economiche della sua famiglia, è un’ipotesi come minimo problematica.
A misurarsi con tali coloriti personaggi e romanzesche prospettive sono comunque chiamati, in questo specialissimo tempo, gli osservatori e i giornalisti della politica, ormai avvezzi anche se tuttora in bilico tra divertimento e dramma.
Le due cose d’altra parte ancora una volta sembrano tutt’altro che inconciliabili.
Nel paese della commedia e del melodramma va infatti così, ed evidentemente non c’è messinscena che la crudeltà del destino abbia risparmiato a tanti cittadini che pure ad altro sono costretti a pensare.
Filippo Ceccarelli
(da “la Repubblica”)
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Settembre 25th, 2013 Riccardo Fucile
LE LARGHE INTESE SALTANO SULLE DONAZIONI DEI PRIVATI… IN AULA SENZA ACCORDO, SI VA VERSO L’ENNESIMO RINVIO
Stavolta, la colpa è di quello che ormai i deputati della Commissione Affari Costituzionali definiscono solo “il tetto”.
E la rottura è plateale.
La legge sul finanziamento ai partiti torna in Aula oggi, senza accordo.
Ieri un vertice di maggioranza con i due capigruppo del Pdl, Renato Brunetta e Renato Schifani e Roberto Speranza, presenti i relatori del testo Emanuele Fiano (Pd) E Maria Stella Gelmini (Pdl) è finito proprio di fronte all’impossibilità di superare l’ostacolo: il Pdl non vuole che ci sia un tetto al finanziamento dei privati ai partiti, il Pd lo considera un punto irrinunciabile.
Brunetta se n’è andato bruscamente, la Commissione ha alzato bandiera bianca, interrompendo i suoi lavori, e oggi si va in Aula al buio.
Sono passati 4 mesi da quando il Parlamento ha cominciato a discutere (o forse meglio a cavillare) sulla proposta del governo di abolire il finanziamento pubblico ai partiti, e si riparte da un muro contro muro.
Che prelude a un ulteriore slittamento, magari con rinvio in Commissione.
Nel nome del reciproco bene, Pd e Pdl hanno trovato l’accordo su due punti.
È passato l’altro ieri un emendamento del Pd che prevede la cassa integrazione per i dipendenti dei partiti.
C’è un problema di coperture, però: per adesso sono previsti 15 milioni di euro.
Troppi secondo il deputato Francesco Sanna (vicinissimo a Letta) che presenterà un emendamento per ridurli. Il Pd è pronto poi ad andare incontro al Pdl sul cosiddetto “salva Forza Italia”, quello in cui si dice che le agevolazioni “si applicano ai partiti a cui dichiari di far riferimento almeno la metà più uno dei candidati eletti sotto il medesimo simbolo alle più recenti elezioni per il rinnovo di Camera e Senato”.
Muore il Pdl, nasce Forza Italia, e accede alle “contribuzioni” volontarie. Maria Elena Boschi (renziana) assicura: “Ma non potranno avere i rimborsi residui da qui al 2017”. Mentre il relatore del Pd, Emanuele Fiano: “Bisognerà vedere come ripresentano l’emenda-mente. Ma noi non abbiamo nulla in contrario”.
Poi gli interessi vanno in rotta di collisione. Tuona l’avvocato berluscones Francesco Paolo Sisto, presidente della Commissione: “Se arriva un testo del governo e il Pd presenta un emendamento che rimette tutto in discussione è il Pd che disconosce quel testo”.
In effetti, il tetto nel testo dell’esecutivo non c’era. Ma i Democratici lo considerano irrinunciabile: “Ne va del rispetto della Costituzione”, dichiara Danilo Leva, responsabile Giustizia. Una mediazione la stanno cercando Francesco Sanna e Gianclaudio Bressa, con un emendamento in cui inseriscono la gradualità del tetto: un privato potrebbe donare 100mila euro o una somma pari al 10 per cento del partito prescelto nel 2015, nel 2016 100mila euro o il 5%, nel 2017 100mila euro o il 3%. Mediazione che per adesso non va bene al Pdl. E i grillini? Dicono dal Pd che cercheranno anche i loro voti, ma il tetto loro lo vogliono, ma molto più basso.
Presenteranno una loro proposta alternativa, che prevede per i partiti soltanto il finanziamento dei privati, con un tetto di cinquemila euro l’anno per ciascun donatore.
E poi, c’è il reato di finanziamento illecito: il Pdl ripresenta l’emendamento secondo il quale salta il passaggio per cui non basta l’iscrizione nel bilancio della società , ma è obbligatoria la delibera della società stessa.
I Democratici sentono puzza di colpo di spugna sui processi del passato. Sarebbe un salva — Verdini, insomma. Il testo arriva in Aula oggi pomeriggio.
L’indicazione è prendere tempo: non è che al governo manchino grane. E quindi si comincia a votare dagli emendamenti su cui si è d’accordo.
Si potrebbe slittare direttamente a martedì prossimo.
Enrico Letta ha più volte minacciato il decreto, se la maggioranza non si accorda. Ma quale decreto farebbe? Quello sul testo originario o sulle modifiche chieste dal suo partito?
Ieri intanto il Senato ha approvato l’emendamento presentato dal relatore del dl Cultura, Marcucci (Pd): 3 milioni di euro in favore di 103 fondazioni culturali tra cui anche la fondazione Sturzo, l’Istituto Gramsci e la Fondazione Bettino Craxi.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 25th, 2013 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE BERNABE’: “SAPUTO DI TELEFONICA DALLA STAMPA”… “SCORPORO DELLA RETE IN TEMPI LUNGHI”
E’ avvenuto tutto a sua insaputa.
Il presidente Franco Bernabè ha scoperto che Telecom era in mano agli spagnoli dai media. “Non sapevo”, ha dichiarato in audizione alla commissione Industria e lavori pubblici del Senato, commentando così il passaggio di proprietà dell’impresa di telecomunicazioni, ”abbiamo avuto conoscenza dalla lettura dei comunicati stampa della recente modifica dell’accordo parasociale tra gli azionisti di Telco”.
Telefonica, entrata in punta di piedi 6 anni fa, è diventata l’azionista di maggior peso nel gruppo, salendo al 66% di Telco, la holding che controlla il 22,4% del gruppo telefonico italiano.
Bernabè nel corso dell’intervento ha poi confermato l’impegno di Telecom Italia ”a procedere nel confronto con l’Autorità e la Cdp” sullo scorporo della rete, “ma l’esito finale dell’operazione non è scontato e, in ogni caso, richiede tempi molto lunghi”. Tempi lunghi probabilmente dettati anche dalle resistenze sul fronte spagnolo. Secondo infatti quanto ricordato dal quotidiano finanziario Mf, non piace al gran capo di Telefonica, Cesar Alierta, il progetto di scorporo della rete fissa da Telecom.
A dare fastidio in primo luogo i tempi lunghi per l’ok dall’Agcom e la societarizzazione, fino a 18 mesi, un periodo incompatibile con il processo di crescita in Telco di Telefonica.
E poi, si chiede il quotidiano finanziario, se la Cassa depositi e prestiti si tira fuori, chi metterà i capitali?
In realtà la stessa Telefonica ha molto da guadagnare dalla separazione tra rete e azienda.
In primo luogo una pesante immissione di capitale in una azienda che oggi viaggia appesantita da 29,9 miliardi di debiti.
Senza contare l’effetto dell’ennesima “operazione italianità ”, con la politica pronta a sbandierare il mantenimento in patria dell’infrastruttura telefonica, ancorchè obsoleta. Anche se non è dato sapere, oggi, a che prezzo questo avverrà .
Intanto Bernabè al Senato ha toccato un altro punto nevralgico del difficile passaggio agli spagnoli: il mercato sudamericano, in cui Telecom e Telefonica sono di fatto concorrenti.
Il presidente di Telecom ha proseguito il suo intervento ricordando che la vendita delle partecipazioni in America latina di Telecom Italia “determinerebbe un forte ridimensionamento del profilo internazionale del gruppo e delle sue prospettive di crescita e comunque potrebbe non essere realizzabile in tempi brevi, compatibili con la necessità di evitare il rischio downgrade”.
Per evitarlo si potrebbe procedere “a un aumento di capitale, aperto a soci attuali o nuovi”.
Questa opzione, secondo il Presidente, darebbe solidità finanziaria, valorizzando le potenzialità dei nuovi investimenti e contribuirebbe al rilancio dell’economia.
Il riassetto azionario ”porterà Telefonica ad avere il controllo di Telco e, quindi, a diventare l’azionista di riferimento di Telecom Italia, che resterà , tuttavia, una società quotata con circa l’85% del capitale sul mercato, incluse le azioni di risparmio. Pertanto — ha aggiunto — le prospettive della società non riguardano solo Telefonica, ma l’intera platea degli azionisti”.
In merito alle singole responsabilità nella lunga e travagliata storia della privatizzazione della società — a tutt’oggi gravata da 30 miliardi di euro di debiti — Bernabè preferisce evitare la ricerca dei responsabili: “La vicenda Telecom Italia è molto complessa: è inutile andare a risalire alle responsabilità di come e perchè si è arrivati a questa condizione. La verità è un’altra: è un’azienda sana, che sta facendo gli investimenti necessari”.
Nè è mancato il momento per togliersi qualche sassolino dalle scarpe.
L’interesse per l’impresa, ha concluso il presidente, è arrivato troppo tardi: “Questo straordinario interesse per Telecom non mi sembra il sentimento che ha ispirato finora il sistema Italia. Se si parla di sistema — ha concluso — sarebbe stato necessario un consenso più unanime e organico sugli obiettivi di Telecom”.
Telefonica è in conflitto di interesse, “è un concorrente diretto in Argentina e Brasile, che rischia di forzare Telecom Italia alla dismissione di asset preziosi per il rilancio della società ”, ha dal canto suo evidenziato in una nota il consigliere di Telecom Luigi Zingales in qualità di rappresentante degli amministratori indipendenti che lamentano che “ancora una volta, la partecipazione di maggioranza relativa di Telecom venga trasferita a sostanziale vantaggio di pochi, senza alcuna considerazione per la maggioranza degli azionisti”.
“E’ con disappunto — sottolinea ancora Zingales esprimendo il pensiero dei consiglieri indipendenti — che osservano come l’ordinamento italiano non contempli strumenti di tutela della maggioranza degli azionisti quando pacchetti in grado di conferire il controllo di fatto finiscono nelle mani di azionisti in conflitto coll’interesse sociale”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 25th, 2013 Riccardo Fucile
UNICOST, LA CORRENTE MODERATA E MAGGIORITARIA DELLA MAGISTRATURA ATTACCA: “NOTIZIE OFFENSIVE E DENIGRATORIE, SISTEMATICA DELEGITTIMAZIONE” DA PARTE DEL CAVALIERE
La vicenda giudiziaria del Cavaliere non smette di creare polemiche.
Al Csm arriva la richiesta di aprire una pratica a tutela di tutta la magistratura per i toni del videomessaggio di Berlusconi denso di attacchi ai giudici.
E a presentarlo non sono le “toghe rosse” di Magistratura democratica, bersaglio preferito del Pdl nello scontro tra politica e giustizia, ma i moderati di Unicost, la corrente che vanta la maggioranza relativa in seno all’Anm.
La campagna mediatica contro le toghe “ha raggiunto l’acme con la diffusione di un recente videomessaggio”, scrivono al comitato di presidenza del Csm i togati di Unicost.
C’è una “sistematica delegittimazione” della funzione giudiziaria e “dell’indipendenza e del prestigio della magistratura nel suo complesso”, lamentano. E denunciano la diffusione di “notizie offensive, denigratorie e non rispondenti alla verità ”.
Una campagna mediatica, sottolineano i consiglieri di Unicost, è iniziata nei primi giorni di luglio, “al momento della fissazione, da parte della Corte di Cassazione, della data di svolgimento di un importante processo penale” ed è “continuata ancora più virulenta una volta conosciuto l’esito di un altro procedimento civile”.
I riferimenti sono al processo Mediaset, che ha condannato in via definitiva Berlusconi per frode fiscale e al processo sul Lodo Mondadori, che ha confermato il risarcimento a favore della Cir di De Benedetti.
I consiglieri della corrente di centrodestra delle toghe fanno presente che la campagna mediatica “è tuttora in corso”.
Questi fatti “appaiono lesivi del prestigio e dell’indipendente esercizio della giurisdizione” accusa il gruppo, e sono tali da “determinare un turbamento al regolare svolgimento e alla credibilità della funzione giudiziaria”.
Forse oggi stesso di potrebbe essere la decisione del comitato di presidenza del Csm se dare o no il via libera alla pratica e in questo caso assegnarla alla prima commissione del Csm.
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