Settembre 13th, 2013 Riccardo Fucile
PERCHE’ BERLUSCONI NON VUOLE MOLLARE
Morire sì, ma come? Perchè si può morire per dissolversi nel nulla. O morire una volta per risorgere, morire per ritornare, morire per non morire mai, per rendersi eterni.
A ben vedere è questo il rovello, il tormento, il dilemma che angoscia Silvio Berlusconi dalle 19.40 di giovedì primo agosto, quando il presidente della sezione feriale della Cassazione Antonio Esposito ha letto la sentenza che lo ha condannato a quattro anni per frode fiscale. Game over, corsa finita, almeno in apparenza.
Da quell’istante l’ex pianista di crociere diventato monopolista televisivo, padrone del primo partito italiano e presidente del Consiglio, l’uomo che sognava una terza vita da statista al Quirinale, ha cominciato soltanto a preoccuparsi di come gestire la sua uscita di scena, se morbida o cruenta, differita o accelerata, se come cantava il suo antico compagno di esibizione di fronte al pubblico dei crocieristi Fabrizio De Andrè, « moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta, va bè, ma di morte lenta», oppure un crollo epocale che travolga con s è il governo, le larghe intese, la legislatura, le istituzioni, il fondamento della Costituzione repubblicana, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Perchè di morte si tratta, spiega crudamente l’ex ministro dell’ultimo governo Berlusconi Saverio Romano: «Gli hanno diagnosticato un brutto male, la fine è già scritta. Silvio sa che deve morire, ma non ha ancora deciso come».
Ma perfino la morte, nell’anomalo, abnorme universo berlusconiano, può trasformarsi in un’occasione di rivincita.
Tutte le opzioni erano ancora presenti nel tardo pomeriggio di martedì 10 settembre, a una manciata di minuti dall’inizio della riunione della Giunta del Senato che avrebbe dovuto votare sulle pregiudiziali presentate dal Pdl Andrea Augello, costretto a indossare la toga dell’avvocato difensore di Berlusconi, come e più dei Ghedini vari, di fronte ai colleghi senatori.
Si manifestava il Partito della Crisi, agguerrito e ben visibile ai vertici del partito azzurro, da Daniela Santanchè scatenata nel suo road show televisivo a Denis Verdini, sornione e felpato nel backstage a tenere uniti i gruppi parlamentari in vista dello scontro decisivo, più nascosto e impalpabile nel Pd.
E il ministro Gaetano Quagliariello, il più vicino a Giorgio Napolitano tra gli esponenti del Pdl, non nascondeva lo sconforto: «La crisi, a questo punto, è sicura». E invece, a un passo dal burrone, il Partito della Stabilità , quel fronte trasversale che va dalle colombe del Pdl a Enrico Letta ai vertici aziendali e familiari di Mediaset, idealmente guidato dal Quirinale (vedi l’incontro riservato tra il capo dello Stato e Fedele Confalonieri), ha ottenuto qualche altra ora di tempo per continuare a lavorare.
I due partiti, quello della Crisi e quello della Stabilità , si confrontano, si fronteggiano, provano a prevalere l’uno sull’altro da molte settimane.
Una partita estenuante, che vede i fronti contrapposti rimescolarsi e ribaltarsi di giorno in giorno. Nel Pd, per esempio, fino all’inizio dell’estate il più interessato ad accelerare i tempi di un nuovo giudizio elettorale sembrava decisamente Matteo Renzi: in testa ai sondaggi, poco o nulla interessato a gareggiare per la segreteria del Partito democratico, in sotterranea polemica con il premier Letta, in rotta con il governo sull’affaire Alfano-Kazakistan, quando i renziani sono stati a un passo dal votare una mozione di sfiducia nei confronti del ministro dell’Interno.
Ora, dopo la pausa estiva, i ruoli si sono rovesciati.
Il sindaco di Firenze si è trasformato in un sostenitore della pax lettiana a Palazzo Chigi. «Non ho detto nulla che possa dare fastidio, vero?», si è informato l’ex rottamatore nel retropalco della festa Pd di Modena dopo aver parlato a una folla di ottomila persone, insolitamente prudente, attento a non guastare il fine settimana di Letta.
Il premier, il giorno dopo, a Cernobbio, ha ricambiato la cortesia: «Il Pd è il mio partito, ma resterò lontano dal congresso».
Una dichiarazione di neutralità che suona come un via libera per la candidatura Renzi alla segreteria.
E se Matteo viene eletto avrà bisogno di tempo per conquistare il partito e costruire la sua candidatura a premier: voto rimandato.
Ma proprio per questa ragione la crisi trova ora numerosi simpatizzanti tra gli anti-renziani, la corrente degli ex Ds divisa tra amici di Pier Luigi Bersani e compagni di Massimo D’Alema.
Il più duro nel respingere ogni ipotesi di benevolenza nei confronti del Cavaliere condannato è il morbidissimo (in genere) segretario del Pd Guglielmo Epifani.
Toni da super-falco, «nella giunta del Senato si discuta, ma poi si voti, altrimenti è la legge della giungla», copertura totale assicurata a Felice Casson e Stefania Pezzopane, i pasdaran del Pd nell’organismo di Palazzo Madama che vota sulla decadenza di Berlusconi, presa di distanza netta da Luciano Violante che aveva provato a tracciare un sentiero per salvare l’onore del Pd e il seggio senatoriale del Cavaliere, rispedire la pratica sulla costituzionalità della legge Severino alla Consulta e intanto attendere la Corte d’appello di Milano, chiamata a stabilire l’interdizione dai pubblici uffici per Berlusconi, da uno a tre anni.
Evitare l’amaro calice del voto politico al Senato e rimandare ogni decisione agli organi giurisdizionali. Niente da fare, Epifani vuole votare.
Ostenta sicurezza di fronte agli elettori infuriati e preoccupati, il Pd non arretra di fronte ai ricatti di Berlusconi, anche a costo di tornare alle urne.
Almeno la faccia è salva, nè si potrebbe fare altrimenti, con un congresso alle porte, Renzi che spopola nella rossa Emilia e i dirigenti che vengono dal Bottegone che assaporano l’amara sensazione di essere finiti intrappolati in un labirinto di chiara impronta democristiana. Marginalizzati, residuali, a meno che un fatto nuovo non intervenga a riportare tutto in ordine. Una crisi, per esempio.
Ragionamenti che filtrano ad Arcore. Berlusconi teme di finire in mezzo all’ennesima resa dei conti interna al Pd, questa volta nella parte della vittima (in aprile, al momento dell’elezione del presidente della Repubblica, ne fu invece il massimo beneficiario).
Il capo dei falchi, altro che Verdini e Santanchè, è lui.
Il Partito della Crisi è guidato da Berlusconi. O, almeno, da mezzo Berlusconi: quello degli animal spirits padani, della religione del maggioritario, l’Unto dal popolo sicuro di poter trascinare l’Italia a un nuovo referendum sulla sua persona e di riuscire a vincerlo.
L’altra metà dell’ex premier, però, ragiona con la freddezza dell’imprenditore su vantaggi e svantaggi, controindicazioni e opportunità .
E il bilancino dei pro e contro consiglia al Cavaliere di tenersi lontano dalla prospettiva della crisi e del voto anticipato, nonostante la voglia enorme di rovesciare il tavolo.
Primo, per come si sono messe le cose la crisi per Berlusconi non è affatto una passeggiata. I numeri a Palazzo Madama indicano che senza il Pdl un eventuale governo Letta-bis potrebbe contare in partenza su 142 senatori.
Per arrivare alla maggioranza di 161 ne mancano una ventina, a prima vista tanti, ma se si aggiungono i neo-senatori a vita, quattro ex senatori del Movimento 5 Stelle ora accasati nel gruppo misto, forse i sette senatori di Sel disponibili a sostenere un governo che faccia una nuova legge elettorale, ecco che l’obiettivo diventa realistico.
E il gruppo del Pdl, 91 senatori, è tutt’altro che animato da sentimenti di granitica solidarietà con il Cavaliere.
La fazione di origine siciliana, vicina ad Angelino Alfano e all’ex presidente del Senato Renato Schifani, si è già espressa per bocca del coordinatore (e sottosegretario) Giuseppe Castiglione: «La crisi di governo va evitata».
Può contare almeno su sei senatori. Ma anche i senatori eletti in Campania si sono già iscritti al Partito della Stabilità . Quattro di loro hanno giurato con un comunicato congiunto eterna fedeltà al Cavaliere. Ma c’è poco da stare tranquilli.
Uno di loro, il senatore Ciro Falanga, deputato di Forza Italia dal 2001 al 2005, nel marzo 2005 scrisse una lettera aperta a Berlusconi (in quel momento premier): «Per me è inammissibile il cambio di casacca, sarebbe allucinante che tradissi il mandato».
Un mese dopo, in mezzo c’era stata la sconfitta del centrodestra alle elezioni regionali, passò con il centrosinistra, tuonando contro «le leggi ad personam, diseducative».
Un altro senatore Pdl di incrollabile coerenza politica è Riccardo Villari: ex Udeur, ex Margherita, ex Pd, ex Api, ora nel Pdl.
Per non parlare del Responsabile per eccellenza, l’ormai mitologico Domenico Scilipoti.
Lui è dalla parte della durata della legislatura, a prescidendere.
«Un governo c’è, deve andare avanti».
E il Cavaliere? «La fedeltà è una roba da cani». E Scilipoti cane non è. Se si scarta la rapida scorciatoia della crisi, dunque, al Cavaliere resta una strada molto più tortuosa, il lungo addio, trasformare il voto della giunta e dell’aula del Senato in un manifesto della sua prossima azione politica.
Un Cavaliere extraparlamentare, già visto all’opera qualche giorno fa, quando ha firmato i dodici referendum radicali a braccetto con Marco Pannella, compresi quelli che vorrebbero abrogare alcune leggi approvate dai suoi governi.
E soprattutto un Berlusconi che tratta la sua buonauscita, scambia un ritiro morbido dallo scranno parlamentare (che non ha mai occupato con grande entusiasmo) con un nuovo scudo per la sua persona, un lodo più solido di quelli che portavano il nome di Schifani e Alfano bocciati dalla Consulta.
Un lodo tutto politico. L’ex ministro Romano, siciliano che ha superato un’inchiesta che lo collegava alla mafia, lo spiega così: «Berlusconi muore, ma può morire per salvare il governo, morire per salvare il partito, morire per salvare la patria…».
Ipotesi più terrena: e se morisse per salvare se stesso, morire per non morire?
«Più di ogni altra cosa lui teme le manette. Ha paura di essere privato dell’immunità parlamentare e di essere arrestato da una qualsiasi procura della Repubblica, per esempio quella di Napoli», racconta Romano.
«Se esce di scena fragorosamente, come un criminale che non vuole mollare il seggio, l’arresto diventa una cosa praticamente certa. Se invece lascia da statista che ha a cuore il bene del suo Paese il gesto gli sarà riconosciuto: dal presidente Napolitano, dal premier Letta e dagli avversari del Pd».
Un nuovo scudo, tutto politico, distante dai marchingegni infernali ideati dai Ghedini che hanno provocato solo danni. Chiedere qualcosa di più della grazia presidenziale, che resta sul tavolo come ipotesi, ma il riconoscimento dell’onore politico del Cavaliere.
Nonostante le condanne e i processi in arrivo.
Morire per non mollare. Si può concedere al condannato Berlusconi?
Marco Damilano
(da “l’Espresso“)
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Settembre 13th, 2013 Riccardo Fucile
L’ECOFIM AVVISA SACCOMANNI
Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha assicurato che lui ha difeso la misura con le unghie e con i denti.
Ma sulla cancellazione dell’Imu sulla prima casa la Commissione Europea avrà diritto di mettere bocca.
A Bruxelles andrà consegnata la prossima legge di stabilità per una valutazione preventiva delle misure come previsto dalle nuove norme comunitarie.
Tuttavia, ha spiegato Saccomanni, la Commissione non si limiterà a verificare il rispetto del tetto del 3%, ma anche le raccomandazioni dettate all’Italia per l’uscita dalla procedura di deficit eccessivo.
Tra queste raccomandazioni c’era anche quella di spostare la tassazione dalle persone alle cose e il taglio dell’Imu va esattamente nella direzione opposta.
Le obiezioni di Bruxelles potrebbero riguardare soprattutto la cancellazione della seconda rata, rinviata ad un decreto collegato alla legge di stabilità .
Un provvedimento che dunque dovrà superare il vaglio della Commissione.
Saccomanni ha già oggi provato a difendere le misure, ammettendo che gli altri partner non hanno ben compreso la manovra sulla tassa sulle prime case.
Sull’Imu “c’è una non piena comprensione e li ho rassicurati”, ha spiegato, aggiungendo “che c’è la tendenza superficiale a dire non avete rispettato l’indicazione di tassare gli immobili”.
Le rassicurazioni di Saccomanni hanno riguardato soprattutto la futura introduzione della Service Tax. Un prelievo sugli immobili, insomma, resterà anche se sotto diverso nome.
Insomma, il ministro ha provato a giustificare l’abolizione della rata almeno per l’anno in corso come uno “shock congiunturale”, assicurando contemporaneamente i partner che Roma non sforerà il tetto del 3% nel deficit-Pil.
Su quest’ultimo punto ha addirittura parafrasato il “whatever it takes” di Mario Draghi, dicendo che il governo farà di tutto per rispettare il deficit e, ha aggiunto “basterà “.
Tuttavia Saccomanni non ha escluso una manovra correttiva per poter tener fede a questo impegno (“stiamo facendo ancora i conti” ha detto).
A chi invece gli chiedeva del taglio del costo del lavoro, Saccomanni ha risposto che si tratta di “un tema importante che si può articolare in diversi interventi: cuneo, Ace, reinvestimento degli utili nelle imprese. Ci stiamo lavorando”.
Il governo sta studiando misure “strutturali” dopo gli interventi “sulla congiuntura” fatti “per dare una scossa all’economia entro il 3%”, come le decontribuzione per i giovani.
Sull’obiettivo di dare una scossa, ha aggiunto, “credo che ci stiamo riuscendo”.
(da “Huffington Post“)
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Settembre 13th, 2013 Riccardo Fucile
“I GRILLINI HANNO PERMESSO A BERLUSCONI DI TORNARE AL GOVERNO”
L’Idv si prepara alla festa del partito, una due giorni di dibattiti e confronti a Sansepolcro (provincia di Arezzo il 14 e 15 settembre), nella quale presenterà il suo nuovo simbolo e dove non ci sarà più il nome del fondatore Antonio Di Pietro.
Il segretario Ignazio Messina spiega: “Ripartiamo dalle origini, legalità e questione morale, ma la priorità è il lavoro. Con il nuovo simbolo il partito diventa adulto”.
Sul quadro politico nazionale, Messina critica le scelte politiche del M5S: “Ho rispetto per gli elettori, ma non condivido l’azione politica che il M5S ha fatto in Parlamento. Si è assunto una responsabilità incredibile consentendo a Silvio Berlusconi di ritornare a governare il paese. Grillo ha congelato i consensi così non si cambia il paese”.
Sui rapporti con il Pd, Messina conclude: “Non condividiamo il governo delle larghe intese, ma Idv è pronto a ricostruire il centrosinistra”
Nello Trocchia
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 13th, 2013 Riccardo Fucile
E’ L’ULTIMA DI TANTE DIVERGENZE TRA IL PRIMO CITTADINO E L’EX COMICO
A Parma cominciano le prove generali per lo ius soli.
I Cinque stelle in accordo con il Pd hanno dato il via libera a un provvedimento per concedere la “cittadinanza civica” ai figli di stranieri che risiedono in Italia da almeno cinque anni.
Due volte all’anno a 500 bambini con genitori senza cittadinanza italiana sarà conferito il riconoscimento che concederà loro la “cittadinanza parmigiana”.
Un gesto puramente simbolico per ora, in attesa che l’argomento venga discusso anche a livello nazionale, ma che potrebbe sollevare un polverone all’interno del Movimento 5 stelle e portare a uno strappo con Beppe Grillo, che più volte ha espresso le sue perplessità sullo ius soli, ammettendo eventuali cambiamenti delle regole solo con un referendum.
Parma però, almeno nelle idee e nei primi atti, sembra seguire un’altra direzione, e la cittadinanza civica ai figli di immigrati regolari ne è una prova.
Non è la prima volta che i Cinque stelle ducali e Grillo hanno visioni differenti, e ultimamente il sindaco Federico Pizzarotti ha espresso opinioni non del tutto in linea con il leader del Movimento su temi come il porcellum o la durata del governo.
Da ultima, la questione inceneritore e “Food Valley avvelenata”, che ha costretto il sindaco a giustificare di fronte alla città le dure affermazioni di Grillo, che sul blog ha continuato a pubblicare post contro l’accensione dell’impianto, come l’appello dell’attore Jeremy Irons.
La proposta di introdurre la cittadinanza civica per i figli di stranieri era stata sollevata dal consigliere del Pd Alessandro Volta e in commissione Affari istituzionali ha incontrato il favore dei consiglieri Cinque stelle.
Unici ad opporsi all’intesa Udc e Pdl, che hanno sottolineato l’inutilità del provvedimento, dal momento che è di natura simbolica e non produce alcun effetto.
“La normativa locale non può sostituirsi a quella nazionale” ha fatto notare Giuseppe Pellacini (Udc). A livello giuridico per i figli di immigrati le cose non cambieranno, ma la cittadinanza civica sarà un riconoscimento territoriale, che li attesta come “parmigiani”, anche se fino al compimento della maggiore età non potranno fare richiesta di carta di identità o passaporto italiano.
Per il via libera ufficiale si dovrà attendere il prossimo consiglio comunale del 17 settembre, quando l’assemblea sarà chiamata a votare la delibera approvata in commissione, ma con la maggioranza che i Cinque stelle hanno sui banchi la votazione sarà solo una questione di formalità .
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 13th, 2013 Riccardo Fucile
CONFCOMMERCIO: LE SPESE OBBLIGATE SONO PIU’ CHE RADDOPPIATE DAL 1992
La ripresa sta arrivando, ma i redditi non se ne sono accorti, anzi, stanno fermi al 1986.
Ventisette anni fa le entrate disponibili pro capite erano pari a 17.200 euro, ora, nel 2013, sono più alte per soli 100 euro.
Nel quarto di secolo abbondante che separa le due ere (il 1986 è stato l’anno del disastro nucleare di Chernobyl) si è però impennato il fisco e le spese obbligate – dalla casa, alla sanità e alla salute – si sono messe a correre.
Oggi assorbono il 46 per cento dei consumi familiari, 6.500 euro l’anno circa, solo una ventina di anni fa, nel 1992 si accontentavano del 32,3 per cento, fermandosi a quota 2.700 euro.
Tutto gli altri consumi, quindi, sono stretti in una morsa e la ripresa – conclude Confcommercio dopo aver elaborato dati e confronti – «al momento è solo un dato statistico»
L’analisi elaborata dal Centro studi elenca le voci dolenti dei bilanci familiari: il 58 per cento del budget se ne va per mantenere la casa, e un altro 25 per cento va a coprire i trasporti.
Il 7 assorbe le spese sanitarie, il 10 per cento i servizi finanziari e la protezione sociale.
Ma se nel 1992 per pagare tale paniere bastavano 100 euro, ora ce ne vogliono oltre 216: un balzo dovuto alla carenza di liberalizzazioni.
Al contrario – sostiene il rapporto – è crollata la spesa per tutti gli altri beni messi in commercio (alimentari, abbigliamento, istruzione, servizi e quant’altro), passata in venti anni dal 51,4 al 39,8 per cento.
Anche se in tali settori l’aumento dei prezzi è stato decisamente più contenuto: per 100 euro spesi nel 1992, ora ce ne vorrebbero 160.
«L’economia italiana non è stata contaminata dal risveglio » commenta, Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio e in un quadro del genere – se tagliare il cuneo fiscale è una priorità – la riforma del fisco è un obbligo, anche perchè «l’aumento dell’aliquota Iva trasformerebbe la crisi economica in crisi sociale: imprese e famiglie sono già state durissimamente colpite». In questo quadro complesso e difficile la crisi di governo «va sicuramente evitata», la politica deve «abbandonare il confronto muscolare » e avviare le riforme «che affrontino l’emergenza del Paese».
A partire dalle liberalizzazioni, dal fisco e dagli interventi a favore delle piccole imprese, che sulla questione chiedono un incontro al premier Letta.
Quanto ai consumi, il loro futuro è ancora in sofferenza: se dall’Ocse alla Confindustria intravedono la possibilità di uscire dalla crisi già da questo trimestre, secondo Confcommercio, per le vendite «nel 2014 ci sarà una flessione di modesta entità , limitata a circa due decimi di punto, ma nel biennio 2012-13 la perdita reale è stata di oltre 6,5 punti percentuali». Se il crollo è dunque finito, il resto è tutto da recuperare.
La crisi ha portato le famiglie a raschiare il fondo del barile: non si vendono più nemmeno i balocchi.
Il settore – tra gennaio e luglio – ha subito un calo delle vendite del 3,4 per cento in valore e del 2,4 in volume, confermando – dice Assogiocattoli – la tendenza registrata già nel 2012 (meno 2 per cento in valore sul 2011).
Luisa Grion
(da “la Repubblica”)
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Settembre 13th, 2013 Riccardo Fucile
SE LO CONTENDONO TOSCANA E SICILIA, LA LOTTA E’ TRA PIOMBINO E PALERMO
“La partita” su quale porto ospiterà la Concordia “è ancora tutta aperta”.
Così il capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli, prova a tranquillizzare chi, dalla Toscana alla Sicilia, già si accapiglia per mettere le mani su ciò che resta della nave.
Se per legge, infatti, la Concordia è tecnicamente “un rifiuto”, dal punto di vista del business è una miniera d’oro: il suo smantellamento è un affare da centinaia di milioni di euro. Rifiuto ricco, mi ci ficco.
I due principali contendenti sono il porto di Piombino e Palermo.
Poichè il disastro è avvenuto in Toscana, la competenza spetterebbe alla Regione. Lo ha ribadito anche oggi Gabrielli nel corso di un’audizione alla Commissione Ambiente della Camera: “In generale, la competenza sulla nave è della Regione Toscana, perchè tanto a livello legale che di norme Ue il relitto è un rifiuto” del quale la Regione dovrà disporre lo smaltimento.
Il problema, però, è che il porto di Piombino non presenta le adeguate caratteristiche tecniche.
Motivo per il quale in primavera il governo ha emanato un decreto per far arrivare a Piombino i fondi necessari per i lavori sul porto (un decreto da 73 milioni di euro per dragare i fondali, realizzare una nuova banchina e il tratto della 398 da Montegemoli fino al porto).
È qui che si inserisce la battaglia della Sicilia, che vorrebbe portare il relitto a Palermo.
A farsi carico della causa siciliana è Giuseppe Marinello (Pdl), presidente della Commissione Ambiente di Palazzo Madama, secondo il quale il relitto (sempre che si riesca a spostare, ndr) deve virare a Sud.
“Mentre aspettiamo fiduciosi la fase di rotazione del relitto, crescono le preoccupazioni sulle voci, sempre più insistenti, secondo cui lo smantellamento della Costa Concordia possa essere affidato, contro qualsiasi logica e ragione, ai cantieri di Piombino: le inadeguatezze di quel porto e del bacino sono ben note, così come la complessità dei lavori necessari per l’eventuale adeguamento”, ha argomentato Marinello. “Oggi spiamo perplessi e preoccupati, tra qualche settimana non vorremo dover essere indignati”.
Secondo Marinello, accanirsi su Piombino significherebbe legare lo smantellamento della Concordia a “interessi politici”.
“Non è chiaro perchè non si prendano in considerazione gli altri impianti Fincantieri presenti nel Mediterraneo per i quali certo non ci sarebbe bisogno di lavori di adeguamento imprevedibili e particolarmente onerosi, come invece si rendono necessari a Piombino, dove si dovrebbe procedere anzitutto a un’escavazione dei fondali di 16 metri per accogliere il relitto della Xoncordia. Vorrei ricordare che lo smantellamento della nave Costa significherebbe una boccata d’ossigeno all’industria cantieristica navale che in particolare al sud vive uno stato di profonda crisi con oltre 700 cassaintegrati”.
In tutta questa storia, il capo della Protezione Civile fa l’equilibrista assicurando che “la questione è ancora aperta”.
Sulla carta la Regione Toscana, con il presidente Enrico Rossi, può contare sull’appoggio del governo, ma le pressioni che arrivano dalla Sicilia si stanno rivelando efficaci.
Al momento del ripristino del galleggiamento — ha spiegato oggi Gabrielli — “se il porto di Piombino sarà pronto, la nave sarà portata lì”, ricordando che “gli oneri dell’operazione Concordia sono a carico totale della parte privata e non ci sarà nessun costo per il contribuente”.
La chiave di tutto sta in quel “se”.
Nel caso in cui Piombino non devesse essere pronta, infatti, c’è già un piano B.
In tal caso — ha detto Gabrielli, “la nave, una volta rimossa, sarà trasportata nella destinazione individuata tramite un Vanguard, un’apposita struttura che imbracherà la nave per portarla in sicurezza e in questo modo potrà essere trasportata in qualsiasi parte del mondo”.
“Questo, però – ha aggiunto – implica che la nave quando verrà sollevata, produrrà lo sversamento di quanto contiene. E la Regione Toscana, dal suo punto di vista, è chiaro che porrà seriamente la questione”.
Un altro buon motivo che spingerà la Toscana a non mollare l’osso, considerando il rischio di subire, oltre al danno, anche la beffa.
(da “L’Huffington Post”)
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Settembre 13th, 2013 Riccardo Fucile
LO SCRUTINIO SEGRETO TERRORIZZA IL PD… E IN SCELTA CIVICA C’E’ GIA’ CHI TRATTA
Denis Verdini, fidato “contabile” di Arcore, ha stupito anche un inguaribile ottimista come Silvio Berlusconi: «Presidente, in Aula c’è il voto segreto. Non avranno i numeri per farti decadere, ce la possiamo fare».
Previsione a dir poco azzardata, sulla carta, perchè per ribaltare un’espulsione che appare certa dovrebbe convincere decine di senatori.
Quarantatre, per la precisione.
Numeri alla mano, infatti, la somma dei parlamentari di Pdl (91), Lega (16) e Gal (10) si ferma a quota 117.
La maggioranza è 161. Ma visto che il Presidente non vota, per salvare il leader del Pdl servono 160 schede a favore di Berlusconi.
Vetta impervia, certo, eppure ad Arcore puntano a fare proseliti nel campo avverso.
Nel partito del “non voto” e fra i peones incupiti dal rischio delle urne, ma anche fra gli inquieti di Scelta civica e in un Pd ancora sotto choc per i 101 che affossarono Romani Prodi.
Il veleno scorre copioso, tra gli scranni di Palazzo Madama.
E i grillini hanno gioco facile a gettare ombre sul partito delle largheintese.
Sentite il capogruppo Nicola Morra: «Noi chiederemo il voto palese, vedremo se il Pd ci sosterrà . Altri, e non il M5S, hanno il problema della doppia verità . Per noi Berlusconi era già ineleggibile, ma non per il Pd. Almeno ci mettano la faccia».
Parole dure e un pizzico di propaganda, forse.
Eppure nel Pd il terrore di urne infauste è reale e cresce ora dopo ora.
Due giorni fa, a Montecitorio, il ministro Graziano Delrio sussurrava: «Non dobbiamo dare a Berlusconi il tempo di organizzarsi…».
Se Berlusconi decidesse di non dimettersi, sfidando l’Aula, tutti guarderebbero a eventuali franchi tiratori dem: «Occhi aperti — avverte Pippo Civati — ma non voglioneanche immaginare che tornino i 101. Sarebbe la fine del Pd. Non reggeremmo».
L’incubo peggiore, però, è un altro.
Prevede un blitz dei cinquestelle nel segreto dell’urna e un clamoroso sostegno dei grillini al Cavaliere.
Ugo Sposetti non si nasconde: «I dalemiani pronti a sostenere Berlusconi? A parte che io sono migliorista, ma comunque chi lo dice è un mascalzone. Il Pd non ha alcun interesse a fare una cosa del genere».
Piuttosto, domanda l’ex tesoriere dei Ds, «chi vuole destabilizzare la politica italiana e il governo?».
La risposta non si fa attendere: «Il M5S. Ecco, secondo me sono pronti a salvare il leader del Pdl. È lo stesso schema di vent’anni fa, quando Lega e MSI salvarono Craxi».
Mentre il Partito democratico è alle prese con il pallottoliere, dalle parti di Arcore si alimenta una fiammella che sembrava già spenta.
Il sottosegretario Michaela Biancofiore è tra quelli pronti a scommettere sulla “conversione” in Aula: «Pd e Giunta sono fuori legge e vogliono decidere prima di eventuali ricorsi?
Vogliono bruciare Berlusconi come Giordano Bruno? Bene, penso che fra i democratici ci siano persone intellettualmente oneste pronte a votare in Aula contro la decadenza».
E poi c’è Scelta civica. Può contare su venti, preziosissimi voti.
Nulla è ancora deciso, ma a molti non è sfuggito l’attivismo di Pier Ferdinando Casini.
Il leader dell’Udc coltiva il confronto con i mille ambasciatori di via dell’Umiltà . Come lui, anche il ministro Mario Mauro.
Di certo, i due possono contare su sette o otto senatori e continuano a predicare il verbo della stabilità di governo.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Settembre 13th, 2013 Riccardo Fucile
IL VOTO FINALE A META’ OTTOBRE
Il Pdl accetta il calendario. Il primo voto sulla decadenza di Berlusconi ci sarà mercoledì 18 settembre, dopo le 20 e trenta. Probabilmente nella notte.
Dopo altre sedute tra lunedì e martedì.
Attenzione: sarà solo il voto sulla relazione di Andrea Augello, il relatore pidiellino che si è dichiarato contro la decadenza e contro la legge Severino e che oggi si dice convinto che «Berlusconi non si dimetterà ».
Per i due voti davvero determinanti sull’effettiva decadenza dell’ex premier da senatore bisognerà aspettare la prima settimana di ottobre per il voto in giunta e quelle immediatamente successive per l’aula. Grosso modo saremo a metà ottobre
C’è voluta non solo un’altra seduta a Sant’Ivo alla Sapienza per deciderlo, ma soprattutto un mini tavolo tra i big del Senato – i capigruppo Pdl Schifani e Pd Zanda – per respingere le ultime resistenze dei berlusconiani che chiedevano almeno di arrivare a giovedì.
Alla fine si è chiuso su mercoledì.
Da Barletta il presidente del Senato Grasso parla di «una condivisione di tempi e di regole per portare avanti quello che è nelle cose».
Zanda di «un risultato raggiunto in modo equilibrato ».
Il cappello politico ce lo mette il segretario del Pd Epifani: «Oggi sono più rasserenato, sono contento che si sia raggiunta un’intesa». Poi: «La legge è uguale per tutti».
Un preannuncio del risultato del voto. L’M5S avrebbe voluto andare a oltranza, ma alla fine accetta l’intesa perchè «24 ore non cambiano nulla, l’importante è che ci sia una data certa » (Crimi).
Si sblocca l’impasse, questo conta.
Il presidente della giunta per le immunità Stefà no già indica il prossimo cammino: «Bocciata la relazione Augello, nel giro di pochi minuti sarà nominato un nuovo relatore all’interno della maggioranza che si è creata, quindi ci saranno 10 giorni per l’udienza pubblica. Il senatore Berlusconi potrà difendersi di persona o tramite i suoi legali».
Sempre Stefà no: «È presumibile che questa udienza dove, se lo chiederà , sarà sentito anche Berlusconi, si metterà in Rete»
Non è notizia da poco quest’ultima. Perchè il Cavaliere potrebbe sfruttare l’occasione per rendere pubblico tutta la sua “collera” contro la Severino e contro i giudici.
Quella legge tratteggiata come «incostituzionale e contraria alle norme europee» dal relatore Augello che la prossima settimana finirà il suo mandato.
Stefà no potrebbe scegliere come nuovo relatore la Pd Doris Lo Moro, ex giudice ed ex sindaco Pd di Lamezia Terme
Una legge che già ieri, in giunta, è stata pienamente sdoganata da Felice Casson, in una vera e propria contro relazione che ha raggiunto le 40 pagine.
La voce opposta a quella di Augello.
Cos’è la Severino? «Nè una sanzione penale, nè amministrativa, per cui non si pone il problema della retroattività ».
Ancora: «Una legge in linea con la Costituzione e con il diritto europeo».
Quindi non ha alcun fondamento l’idea di sottoporla al giudizio della Consulta, nè tantomeno quella di rinviarla alla Corte di giustizia del Lussemburgo, perchè è dimostrato da decisioni e sentenze che il diritto europeo ammette autonome scelte nazionali sul piano della candidabilità . In ogni caso, secondo Casson, la giunta per le immunità non è titolata a sollevare nè conflitti, nè altro, come dimostra la storia stessa delle giunte tra Camera e Senato.
Liana Milella
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Settembre 13th, 2013 Riccardo Fucile
VERSO I SERVIZI SOCIALI…L’IRA DELL’EX PREMIER
È dal Colle che adesso attende un segnale.
«Io posso pure sacrificarmi, compiere il passo indietro, ma voglio garanzie dal Quirinale e finora non ne ho avuto traccia».
Silvio Berlusconi lo ripete tutto il giorno ai suoi interlocutori romani, masticando amaro dopo aver appreso che la giunta del Senato non farà affatto melina, come lui sperava, ma già mercoledì boccerà la relazione che propone il no alla decadenza.
Il Cavaliere del resto la sera prima l’aveva detto nel chiuso del salotto di Arcore anche ai figli, presentatisi ancora una volta con la richiesta di grazia tra le mani. Disponibilità al sacrificio estremo molto condizionata e rimessa di fatto sul tavolo di una ipotetica trattativa.
Con Marina, Piersilvio, Barbara invece ha quasi concordato ormai l’opzione sulla pena: servizi sociali, anzichè domiciliari, seguendo i suggerimenti di Franco Coppi. Dalla più alta carica dello Stato pretende intanto una mossa, una qualche apertura, un ombrello che lo metta a riparo dalle «bizze» delle procure e che gli consenta di rinunciare alla carica parlamentare – e all’immunità – senza rischi per la sua libertà personale.
I canali di dialogo con il presidente Napolitano sono tutt’altro che chiusi.
Da Gianni Letta a Fabrizio Cicchitto passando per il ministro Gaetano Quagliariello, non mancano i contatti.
Ma nell’ottica dell’ex premier sono stati infruttuosi. «Finora non è arrivato alcun segnale» è la constatazione di un Berlusconi che da settimane ormai si è autorecluso a Villa San Martino, solo coi figli e gli avvocati Ghedini e Longo.
Ieri, racconta chi gli ha parlato al telefono, è stata una nuova giornata nera. In cui proprio il capo dello Stato è tornato nel mirino.
«È stato una delusione, avrebbe dovuto far sentire la sua voce: sono stato determinante nella sua elezione, ho dato vita al governo Letta e poi mi ha abbandonato al mio destino» è lo sfogo ultimo (ma non nuovo).
A questo punto – lascia intendere soprattutto alle colombe del partito che pressano al pari dei familiari per il passo indietro – «la mia scelta dipende da lui».
Chi sta lavorando a quello scenario arriva ad ipotizzare che la rinuncia, alla quale ieri lo ha incoraggiato anche Marco Pannella, potrebbe maturare già in giunta per le immunità , quando con molta probabilità Berlusconi si presenterà per la sua difesa, negli ultimi giorni di settembre.
Oppure, come ha fatto a suo tempo Cesare Previti, in aula al Senato, poco prima che l’assemblea voti la definitiva decadenza.
Rinunciare al seggio, dichiarandosi vittima delle procure, ma garantendo sopravvivenza al governo.
C’è chi ha già cerchiato in rosso i giorni vicini al 10 ottobre per il D-day.
Da lì al 15 poi il Cavaliere dovrà anche optare tra domiciliari e servizi sociali. «E io gli consiglierei questi ultimi, che gli garantirebbero agibilità politica » anticipa non a caso il senatore Paolo Romani a lui molto vicino.
A quel punto, con la Corte d’appello che dopo il 19 ottobre ridefinirà l’interdizione, ecco che il Colle potrebbe intervenire con la commutazione della pena: ma è la visione di Arcore. L’avvocato Niccolò Ghedini resta nettamente contrario al passo indietro e alla richiesta.
Ed è tornato a opporsi anche ai figli, in questi giorni.
Berlusconi resta scettico sull’operazione. Troppe incognite, non ultimo il rischio dell’«umiliazione » di un no alla richiesta dal Quirinale.
Nelle ultime ore così torna a prevalere il pessimismo. Proprio il voto in giunta che fissa il nuovo calendario dei lavori (sebbene approvato all’unanimità dunque anche coi voti Pdl) lo ha rigettato nello sconforto.
Il leader torna a ipotizzare la convocazione dei gruppi parlamentari che era stata congelata la settimana scorsa e che stava per precipitare tutto in una crisi.
Al momento è una «minaccia», che torna sul tavolo con l’ipotetica convocazione per giovedì, l’indomani del primo voto in giunta.
L’alternativa sarebbe uno strappo da consumare ricorrendo al mezzo per lui più congeniale, la tv.
E le ipotesi sul tavolo, al posto del freddo videomessaggio, sarebbe un’intervista. Magari nel salotto di Bruno Vespa.
Ma sarebbe l’estrema ratio, che rischierebbe di compromettere la tenuta dei titoli e della stessa azienda Mediaset.
Soluzione alla quale tuttavia i falchi alla Verdini e la Santanchè, tra gli altri, vorrebbero trascinarlo.
Sta di fatto che ieri anche una moderata come Mariastella Gelmini tuonava contro i «molti che si pentiranno di questa corsa contro tempo in giunta», avvertendo che Berlusconi «non ha chiuso il suo ciclo».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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