Settembre 1st, 2013 Riccardo Fucile
DOPO 14 MESI DI LATITANZA IL TITOLARE DI ATLANTIS POTREBBE VENDERE LA CONCESSIONARIA E RITROVARSI 200 MILIONI DI EURO IN TASCA
Francesco Corallo, dopo 14 mesi di latitanza e una condanna della sua società davanti alla Corte dei Conti, potrebbe lasciare la scena italiana con 200 milioni di euro in tasca.
à‰ questo l’epilogo più probabile della partita nella quale si inseriscono il condono per le penali miliardarie previsto dal decreto Imu del governo Letta e le trattative per la cessione della società leader nel settore delle slot machine in Italia.
Francesco Corallo è il figlio di Gaetano Corallo, (un amico del boss mafioso Nitto Santapaola, condannato negli anni ottanta per associazione a delinquere nel processo per la scalata dei catanesi ai casinò del nord Italia) ma sostiene di non avere nulla a che fare con il padre da decenni.
Tornato in Italia nel 2004, Corallo Jr ha messo in piedi la principale concessionaria italiana del settore slot.
E ora — grazie al condono di Letta — potrebbe venderla.
Le due offerte per Bplus, la prima di 420 milioni di euro della multinazionale spagnola Codere e l’altra — circa 500 milioni — del fondo inglese Eaton Gate, erano ostacolate dal contenzioso miliardario che vede contrapposta Bplus e altre 9 concessionarie del gioco, alla Corte dei Conti.
Il condono che prevede la possibilità di sanare le penali per i disservizi del 2004-2007 con il 25 per cento del dovuto potrebbe sbloccare la partita: lo Stato incasserebbe 211 milioni di euro utili per coprire l’intervento sull’Imu, l’acquirente (Codere?) entrerebbe nel mercato più redditizio d’Europa dalla porta principale pagando poco più di 250 milioni (la differenza tra la valutazione della società e le penali scontate da pagare).
E Francesco Corallo potrebbe tornare ai suoi casinò delle Antille con 200 milioni in tasca, anche se sarebbe costretto ad abbandonare la sua gallina dalle uova d’oro in mano ai concorrenti più graditi alle autorità italiane.
Ma solo dopo avere risolto i suoi problemi con la giustizia milanese che lo tiene agli arresti domiciliari per il caso dei prestiti facili della Bpm.
Secondo l’accusa, Bpm avrebbe elargito un prestito di 148 milioni di euro alla Atlantis, in cambio, ci sarebbe stata una presunta mazzetta da oltre un milione di euro girata all’ex presidente Bpm Massimo Ponzellini oltre che la promessa, da dimostrare, di 3,5 milioni di sterline.
Nei confronti di Corallo inoltre la Procura aveva contestato anche il reato di corruzione che tuttavia è decaduto perchè la Bpm ha ritirato la querela.
Il 4 agosto Corallo è tornato in Italia dopo 14 mesi di latitanza.
Era scappato a Santo Domingo dopo che la Procura di Milano aveva emesso nei suoi confronti un’ordinanza di custodia cautelare per associazione a delinquere.
La prefettura di Roma, il 26 luglio, ha sospeso temporaneamente la validità dell’informativa antimafia interdittiva del 24 settembre 2012, che aveva causato l’esclusione di Bplus dalla gara per le concessioni.
Lo Stato non può fare a meno degli 800 milioni di euro di imposte versate ogni anno grazie alle macchinette di Bplus e quindi si era trovata una soluzione all’italiana: l’attribuzione del controllo a ‘Bplus Trust’, guidata dall’amministratore fiduciario, l’avvocato olandese Jeroen Veen, gradito alla proprietà .
Entro il 15 novembre prossimo i giochi dovrebbero essere fatti su entrambi i tavoli: il condono e la cessione.
Oltre a Bplus potrebbero scegliere di sanare la propria posizione altre grandi società concessionarie come Sisal Slot o Lottomatica mentre incontreranno maggiore difficoltà a pagare le penali, nonostante lo sconto dei tre quarti, quelle più piccole.
Lo Stato spera di incassare 611 milioni di euro, anche se la contestazione iniziale del Gat della Guardia di Finanza alle società del settore era di tutt’altro ordine di grandezza, oltre 90 miliardi di euro.
Eppure non è scontato che i concorrenti di Corallo siano in grado di pagare.
Sisal Slot potrebbe sanare la propria posizione con una multa di 61, 2 milioni di euro.
Un ammontare comunque pesante per una società che ha chiuso il bilancio 2012 con 823 milioni di euro di fatturato ma 40 milioni di perdite.
La piccola Gamenet dovrebbe dare allo stato 58, 7 milioni di euro, un esborso piuttosto pesante.
Avrebbero problemi anche società come HBG che deve 50 milioni o la Snai che dovrebbe pagare 52 milioni di euro.
E se al Tesoro non arriverà il gettito sperato dalla sanatoria, per il governo Letta sarà un grosso problema.
Marco Lillo e Valeria Pacelli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 1st, 2013 Riccardo Fucile
RIMOSSO IL SOTTOSEGRETARIO DELLA BASSA SASSONIA: AVEVA ORDINATO UN’AUDI A8 IPERACCESSORIATA: IL GOVERNATORE LO HA MANDATO A CASA
Una passione incontenibile per le auto di lusso.
Piuttosto singolare per Udo Paschedag, viceministro all’Agricoltura della Bassa Sassonia, land tedesco nordoccidentale, ed esponente dei Verdi.
Tanto travolgente da spingerlo a ordinare come macchina di servizio un’Audi A8, la stessa in dotazione alla cancelliera Angela Merkel, in una versione addirittura più aggressiva: allungata e con una potenza di 245 cavalli.
Peccato che il desiderio gli sia costato il posto: il governatore socialdemocratico del Land, Stephan Weil, lo ha infatti immediatamente rimosso dall’incarico.
“Proprio un politico ecologista che lotta in favore dei limiti di velocità e contro le auto assetate di benzina si fa trasportare con una berlina da 245 cavalli con diversi extra” ha commentato polemicamente la stampa tedesca.
A quanto pare, l’ormai ex sottosegretario aveva annotato su un documento che sull’acquisto della lussuosa Audi A8 “il governatore e il ministro sono d’accordo”.
Appena appresa la notizia, e senza perdere un attimo di tempo, il governatore della Bassa Sassonia ha invece spedito in pensione il cinquantottenne esponente ecologista, che in ogni caso non dovrà preoccuparsi troppo per continuare a sbarcare il lunario. Per i primi tre mesi da disoccupato percepirà uno stipendio mensile da 11mila euro. Per i prossimi tre anni scenderanno invece ad “appena” 8mila.
Sul caso auto blu l’opposizione cristiano-democratica locale ha chiesto la convocazione di una commissione parlamentare.
Forte l’imbarazzo dei Verdi per la faccenda, esplosa proprio nell’ultimo scorcio di campagna elettorale in vista delle elezioni per la Cancelleria del 22 settembre: per cercare di correre ai ripari il presidente dei Verdi, Claudia Roth, ha spiegato che “un sottosegretario ecologista non si prende un’auto di servizio più grossa di quella che gli spetta, ma nel dubbio una più piccola”.
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Settembre 1st, 2013 Riccardo Fucile
RINCARI ANCHE PER LE TARIFFE TERRITORIALI
L’hanno chiamato pomposamente federalismo fiscale, abbiamo scoperto che si traduceva prosaicamente in: più tasse per tutti.
È il frutto avvelenato del fisco creativo della seconda Repubblica che – certo – insieme alla ubriacatura a corrente alternata per le devoluzioni ha dovuto fare i conti con il debito monstre prodotto dalla prima Repubblica dei partiti.
Siamo arrivati così a una pressione fiscale che sfiora il 45 per cento.
Tasse, tasse e sempre tasse.
Con una babele di acronimi orribili (Ici, Irap, Irpef, Tarsu, Tia, Imu, Ires), altri improponibili e dal futuro già segnato (Tares che è anche una pistola, usata dai poliziotti americani, per sparare scariche elettriche) fino ad approdare ai confortevoli ma assai nebulosi anglicismi: Service tax.
E cioè? Dal 1996 al 2011, in quindici anni, le entrate tributarie dei governi locali (Regioni, Province e Comuni), bilanci dello Stato alla mano analizzati dal centro studi della Cgia di Mestre, sono letteralmente esplose: + 114,4 per cento, pari in termini assoluti a una crescita di circa 102 miliardi di euro.
Sono usciti dalle tasche degli italiani per andare (più o meno) nelle casse dei governi locali ai quali lo Stato centrale ha via via attribuito più competenze ma anche tagliato più trasferimenti.
I Comuni, mediamente, sono con l’acqua alla gola.
Quelli praticamente falliti come Taranto, Catania e la stessa Roma sono stati salvati. Dallo Stato centrale, però.
Con le tasse di tutti, senza che nessuno abbia mai pagato pegno.
Si è cominciato con l’Ici, agli albori della seconda Repubblica, era il 1992.
L’imposta comunale sugli immobili. Che però è stata prima abolita (Silvio Berlusconi ci vinse la sua penultima campagna elettorale) proprio quando arrivava (si fa per dire) il federalismo fiscale, per essere sostituita dall’Imu che però non piace più e diventerà Service tax, di cui faranno parte la Tari, che prenderà il posto della Tarsu o della Tia (le imposte sui rifiuti), e la Tasi, ossia la «misteriosa» (copyright di Massimo Bordignon sul sito lavoce. info) imposta sui servizi indivisibili.
I criteri per il prelievo della Service tax saranno fissati dai singoli Comuni con alcuni paletti stabiliti dal governo centrale.
Alla fine una girandola di sigle che – chissà perchè – fa venire in mente la celebre frase del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».
Appunto
Una tassa nuova con le vecchie dentro sembra un buon metodo. Già sperimentato.
Con l’Irap (l’imposta regionale sulle attività produttive), ad esempio, la tassa più odiata dagli imprenditori italiani. Che nel 1998, assorbì i contributi sanitari, la tassa sulla salute, l’Ilor e l’Iciap.
Sull’Irap e sull’Irpef poi – lo sappiamo a spese nostre – le Regioni possono intervenire con la loro “addizionale” che vuol dire far pagare di più soprattutto per colpa dei buchi nella sanità . Meccanismo che non va confuso con quello della “compartecipazione” (i vari livelli di governo si distribuiscono l’entrata) che vale anche, per esempio, per le accise sulla benzina.
Sempre tasse sono. Con più esattori, però. E sempre gli stessi contribuenti.
Tasse e tariffe.
Perchè altrimenti come si fa a finanziare i servizi locali, dai trasporti alla raccolta dei rifiuti, dalla fornitura della luce a quella dell’acqua? A questo servono le tariffe.
E per colpa della crisi, delle politiche di austerity imposte dalla Commissione di Bruxelles e dalla Bce di Mario Draghi, e il conseguente drastico taglio dei trasferimenti dal centro alla periferia, le tariffe locali si sono impennate.
In un anno – dati dell’Uniocamere – sono aumentate del 4,9 per cento, ben oltre il tasso di inflazione che, nell’arco dell’ultimo anno, si è attestato intorno al 3 per cento.
Ed è nei trasporti che l’incremento del costo del servizio è stato tra i più marcati: in media +5,3 per cento con un picco del 9,3 per cento nei collegamenti extra urbani.
Solo di poco inferiore l’aumento delle tariffe per la fornitura dell’acqua: + 6,7 per cento. E + 4,7 per cento quello per i rifiuti.
Che cosa resta del liberale principio “no taxation without representation”?
L’illusione che quando si va alle urne (nazionali e locali) qualcuno prima o poi mantenga la promessa di abbassarle le tasse senza sostenere di non poterlo fare per colpa del buco lasciato in eredità dal suo predecessore.
E senza cambiare solo il nome alle vecchie tasse.
Roberto Mania
(da “La Repubblica“)
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Settembre 1st, 2013 Riccardo Fucile
LA FRANCIA RIMANDA L’INIZIO DEI LAVORI PER LA COSTRUZIONE DELL’OPERA AL 2030
La Francia dice sì alla linea Tav Torino-Lione “ma allo stesso la congela, dilatando l’inizio dei lavori per la costruzione dell’opera al 2030”.
Sulla Gazzetta Ufficiale transalpina, segnala Andrea Mollica sul blog di Gad Lerner, è stato pubblicato un decreto che solo in apparenza sembra accelerare l’iter per il corridoio ferroviario italo-francese, fortemente avversato dalla ventennale opposizione della valle di Susa, ormai condivisa da larghi strati dell’opinione pubblica italiana: grande opera misteriosamente assurda, mai motivata in modo serio, giudicata completamente inutile dal punto di vista strategico e pericolosa per il suo impatto sull’ambiente e sulla salute, nonchè sulle finanze pubbliche, a unico beneficio delle banche.
Spacciata inizialmente come linea passeggeri, sul modello Tgv, la Torino-Lione è bocciata dai numeri: traffico inesistente.
Convertita in linea per le merci, come doppione dell’attuale ferrovia valsusina Torino-Modane, il risultato non cambia: la linea storica è semi-deserta, segno evidente che Italia e Francia non hanno nessun bisogno di una nuova arteria, tantomeno dai costi stellari.
Da un lato, sottolinea Mollica, la Francia ribadisce formalmente l’utilità pubblica e l’urgenza dei lavori.
Obiettivo: creare un itinerario d’accesso — che ancora non esiste — al cantiere del tunnel di base di 57 chilometri nei pressi di Chambery.
In questo modo, potranno partire i lavori propedeutici alla costruzione dell’infrastruttura, gli espropri dei terreni compresi tra i comuni di Saint Jean de Maurienne, Avressieux, Francin e Montmelian.
Tutte azioni ancora di là da venire: sul versante francese, infatti, il progetto Torino-Lione non è mai partito, se si escludono le “discenderie” preliminari realizzate anni fa.
E anche adesso che Parigi decide di cominciare finalmente a progettare l’iter realizzativo, in realtà sembra puntare a rinviare il programma all’infinito.
“La decisione, che apparentemente sembra un’accelerazione sulla realizzazione di questa infrastruttura ferroviaria, rappresenta invece un pesante rallentamento”, spiega Mollica: “Nella dichiarazione di utilità pubblica e urgenza dei lavori, l’orizzonte temporale degli espropri per accedere ai cantieri viene infatti dilatato ad un ritardo massimo di ben quindici anni”.
La conclusione della fase preliminare dei lavori dunque slitta addirittura al 2030?
Questo “evidenzia il sostanziale congelamento della Torino-Lione, coerentemente a quanto annunciato dal governo francese nei mesi scorsi”.
Nel rapporto “Mobilitè 21” redatto dalla commissione guidata dal deputato socialista Philippe Duron, infatti, il Tav era stato escluso dalle opere prioritarie, alla luce delle attuali ristrettezze finanziarie: “Il rapporto aveva indicato alcune opere ad alta velocità da costruire con i fondi disponibili da qui al 2030, e tra queste non c’era la Torino-Lione”.
A pagina 57 del documento, ricorda il blog di Lerner, gli autori del rapporto Duron rimarcano come la saturazione della linea attuale — cioè la condizione per la costruzione del collegamento-bis tra Italia e Francia — potrebbe non verificarsi prima del 2035 o del 2040.
“Di conseguenza, l’opera viene classificata come non prioritaria, e come tale potrebbe non ricevere fondi per la sua realizzazione nei prossimi anni”.
Pertanto: “Senza fondi e con lavori propedeutici spostati fino alla fine del 2029, la Francia pare aver accantonato la Tav”.
Giorgio Cattaneo
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Settembre 1st, 2013 Riccardo Fucile
IL PROFESSORE AVEVA DETTO: “SE QUALCUNO TRA I CENTRISTI SI SENTE A DISAGIO PUO’ ANCHE ANDARSENE DA SCELTA CIVICA”… LE REAZIONE: “DILETTANTE, IMPARI L’UMILTA'”
Il feeling politico è finito da mesi, ma ora il rapporto tra l’Udc e Monti degenera.
E sconfina nell’insulto. Il professore viene definito “arrogante, “guastatore” e “dilettante della politica” da esponenti dell’Udc furiosi con l’ex oggi scagliano contro Mario Monti, “colpevole” di aver detto ieri che se tra i centristi c’è gente che si sente a “disagio” di stare nei gruppi di Scelta Civica può anche andarsene.
Queste le parole del senatore a vita che hanno infiammato gli animi: “Se qualcuno dice che l’Udc non esiste più, io questo non lo so. Vorrei dare da qui un messaggio chiaro, a chi si sente a disagio in gruppi unitari che si chiamano Scelta civica alla Camera o al Senato, a essere liberato dall’impegno che pure ha preso di far parte per tutta la legislatura di quel gruppo. Se poi qualcuno non più sufficientemente interessato all’esperienza dell’Udc volesse pensare di formalizzare la propria presenza in Scelta civica è un’ipotesi che si può prendere in considerazione”.
Evidentemente i tono del professore non sono piaciuti a molti che, dopo una notte di riflessione, sono partiti all’attacco.
Comincia Lorenzo Cesa: “Ho letto le dichiarazioni del presidente Monti e mi trovo d’accordo con lui: questo è il momento della chiarezza. E, per essere chiari, finchè sarò segretario dell’Udc questo partito continuerà a esserci”.
Gli animi si scaldano. “Leggo con sconcerto le parole di Monti. Così come non ho dubbi sul fatto che il professore sia stato una eccellenza nel campo universitario in eguale maniera non ne ho sul fatto che come politico sia un dilettante assoluto”, attacca Antonio Pedrazzoli.
Poi è la volta di Maurizio Ronconi: “Il presidente Monti sembra molto più impegnato a fare il guastatore dell’alleanza con l’UDC che a definire un orizzonte di impegno per i moderati.
Per l’europarlamentare Gino Trematerra, “quando parla dell’Udc, Monti dovrebbe imparare il termine umiltà “.
Per il deputato Angelo Cera, “le parole di Monti sono un cazzotto sui denti per chi è in cerca di una verginità perduta e di future poltrone”.
Decisamente, tra Monti e l’Udc, un amore finito male.
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Settembre 1st, 2013 Riccardo Fucile
LA PROMESSA DI FRANCESCA PASCALE NEL SUO STATUS SU WHATSAPP: SELVAGGIA LUCARELLI LO PUBBLICA E LA RETE SI SCATENA
«Mi cade l’occhio sul profilo whatsapp della Pascale e scopro che ha fatto la promessa di matrimonio a Silvio. Deve essere proprio amore vero per essere disposta a correre quel rischio così concreto di amarlo anche in povertà ».
È un tweet di Selvaggia Lucarelli a scatenare il gossip domenicale.
La Lucarelli, che aveva già postato l’autoscatto della fidanzata del Cavaliere con Marina Berlusconi, questa volta mette in rete lo status pubblicato tre giorni fa dalla Pascale sul servizio di messaggistica, due cuoricini con la promessa: «Nel bene e nel male, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà , prometto di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita».
La giornata sonnacchiosa dei social network si risveglia di colpo: oltre un migliaio di “like” su Facebook, centinaia di retweet su Twitter.
E, in mezzo, una valanga di commenti.
Da chi immagina le nozze, a chi lancia una colletta «per evitare che un amore così ricco di sentimenti possa un domani diventare così povero di emolumenti».
(da “La Stampa“)
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Settembre 1st, 2013 Riccardo Fucile
ORA VUOLE CHE A BERLUSCONI VENGA RICONOSCIUTO IL “DIRITTO ALLA DIFESA” NONOSTANTE UNA CONDANNA DEFINITIVA, MA LUI INCARCERO’ SOGNO SENZA PROVE E INFATTI IL PROCESSO FINI’ CON L’ASSOLUZIONE DELL’IMPUTATO
Una storia cominciata nella Torino degli anni Settanta, in quel crogiuolo di ideologie in cui confluivano il Pci, la cultura azionista e pure un certo intransigentismo cattolico.
In quella Torino un giovane giudice istruttore di famiglia comunista e di studi pugliesi come Luciano Violante condivideva con un cattolico torinese come Giancarlo Caselli una comune idea militante della magistratura.
Violante che si fa un nome nazionale ordinando l’arresto di Edgardo Sogno e istruendo un’inchiesta finita in niente per un golpe da operetta (Pietro Di Muccio ne ripercorre la storia nel recente “Il golpe bianco di Edgardo Sogno” per Liberilibri).
Il partigiano della libertà , Edgardo Sogno, pubblicò nel settembre del 1978 per una piccola casa editrice di Milano – Edizioni dello Scorpione – il libro Il golpe bianco.
Quel testo, oggi introvabile, non era un pamphlet politico ma una precisa requisitoria dell’autore contro il suo accusatore: Luciano Violante che all’epoca era giudice istruttore di Torino.
Il libro uscì subito dopo la sentenza di assoluzione con cui si concluse il processo in cui Sogno, insieme con Randolfo Pacciardi e altri, era accusato di «cospirazione politica».
Il giudice del tribunale di Roma, Francesco Amato, assolse Sogno e gli altri «cospiratori» perchè «il fatto non sussiste».
Una piena assoluzione che stabilì che Sogno con la sua azione culturale e politica anticomunista e antifascista non perseguiva alcuna intenzione golpista.
Sogno, nonostante fosse stato assolto con formula piena dall’accusa di «cospirazione politica», entrò in una serie di disavventure e guai giudiziari, la sua famiglia fu rovinata, tanto che per far fronte alle spese si dovette vendere il palazzo avito.
Di tutt’altra natura fu il destino del giovane giudice istruttore di Torino che nel 1979, l’anno dopo il processo, entrò in Parlamento come deputato comunista.
Edgardo Sogno era contrario al «compromesso storico» e inseguiva l’idea di una riedizione del centro degasperiano. Ne pagò le conseguenze.
La sera del 5 maggio 1976 Sogno venne fermato sulla porta di casa a Torino e portato in questura: su mandato del giudice Violante fu arrestato e poi trasferito a Regina Coeli.
Rimase in carcere un mese e mezzo non solo senza prove di colpevolezza ma addirittura sulla base di una prova inesistente: la fantomatica lettera dell’avvocato Antonio Fante di Padova che farneticava di riunire tutti i gruppi di estrema destra in vista di un colpo di Stato.
Edgardo Sogno morì il 5 agosto 2000.
Senza poter assistere alla trasformazione di Violante in “garantista” .
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Settembre 1st, 2013 Riccardo Fucile
A TORINO VIOLANTE SPIEGA ALLA BASE IL LODO BERLUSCONI, I MILITANTI PROTESTANO
“Berlusconi ha il diritto di difendersi davanti alla Giunta del Senato come qualunque altro parlamentare, nè più nè meno. Occorre rispettare le regole anche per i nostri avversari. È molto facile applicare le regole solo per gli amici, è molto più complicato farlo per gli avversari”. Ha esordito così Luciano Violante davanti a un gruppo di militanti e di parlamentari riuniti nella sede del Pd torinese.
Il ‘saggio’ di Giorgio Napolitano ha ribadito la posizione espressa negli scorsi giorni, che sta facendo molto discutere all’interno del suo partito.
Un incontro richiesto da dieci senatori Democratici, guidati da Stefano Esposito, che nei giorni scorsi avevano diramato a tal proposito una lettera.
“A prescindere dall’opinione che ciascuno può avere sugli aspetti strettamente giuridici legati alla decadenza di Berlusconi e all’interpretazione della legge Severino, riteniamo necessario il confronto, anche aspro, tra posizioni diverse”.
“C’è chi ha visto in noi parte dei 101 traditori ma noi ribadiamo che il Pd voterà la decadenza di Silvio Berlusconi sia in Giunta sia in aula”, ha spiegato Federico Fornaro, tra i firmatari del documento che ha proposto l’incontro di oggi.
“La nostra è una risposta al clima di imbarbarimento seguito all’intervista di Violante – ha aggiunto – Non una lista di proscrizione”.
L’ex presidente della Camera ha ribadito di non aver “mai proposto salvacondotti” per il Cavaliere: “Non ho mai detto – ha proseguito – che la Giunta abbia il dovere di sollevare la questione davanti alla Corte costituzionale, ma che lo debba fare se lo giudica opportuno. L’ho detto sia perchè lo hanno sostenuto illustri personaggi prima di me, uno fra tutti Onida, sia sulla base di quanto proposto dal Pd in Giunta il 1° giugno 2009 a proposito del Porcellum”.
Una stoccata al giudice Esposito, che in un’intervista al Mattino di Napoli aveva anticipato parte dei contenuti della sentenza: “Da ex magistrato penso che chi giudica deve mantenere il riserbo fino al pronunciamento delle motivazioni”.
Ma la critica principale è stata rivolta nei confronti del Pd: “”Io non sono favorevole a trasformare Berlusconi in una vittima. La ricerca costante del nemico è segno di debolezza del partito. E questo c’è da una parte e dall’altra”.
Tuttavia Violante ha lanciato un messaggio distensivo alla platea: “Sono venuto qui per spiegare ed eventualmente correggere, perchè la capacità politica di un partito nasce dalla sua capacità di discutere”. Non è bastato a una simpatizzante Pd, una signora di una settantina d’anni, che in modo visibilmente contrariato ha lasciato la sala proprio quando l’ex presidente della Camera ribadiva l’inopportunità di fare del leader del Pdl una vittima.
Si chiama Vittoria Silvestri, 72 anni, una militanza di lungo corso, che prima di imboccare l’uscita è sbottata: “Mio marito è stato assunto alla Fiat solo dopo aver presentato il certificato penale. Perchè noi del Pd dobbiamo difendere un delinquente?”.
Giampaolo Zancan, ex senatore e avvocato del foro di Torino, lo ha criticato: “Sono d’accordo con quello che dici, la libertà di difesa è sacro. Ma la questione è sull’opportunità politico-giuridica della tua intervista. Io sono assolutamente contrario e ritengo che sia grave questa intervista”.
“Siamo tutti d’accordo che la Giunta possa sollevare questione di costituzionalità – ha continuato Zancan – ma dirlo è un’altra cosa”.
Roberto Placido, consigliere regionale, ha osservato che “la legge Severino ha superato tre giudizi di costituzionalità , e nessuno ha mai sollevato dubbi”.
(da “Huffington Post“)
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Settembre 1st, 2013 Riccardo Fucile
I PONTIERI TENTANO IN EXTREMIS DI ALLUNGARE I TEMPI DELLA GIUNTA
I ministri del Pdl possono dimettersi in blocco. Berlusconi può fare il discorso della vita, da condannato, annunciando fuoco e fiamme.
Enrico Letta si aspetta tutto questo. «Il nodo arriverà . Non c’è da fidarsi delle giravolte del Cavaliere, non credo alla linea ragionevole ».
L’importante, dicono a Palazzo Chigi, è non farsi trovare impreparati.
Perciò alle minacce si risponde con la “minaccia” di portare la crisi in Parlamento.
«Ho ottenuto la fiducia dalle Camere e se ci sarà uno strappo chiederò una nuova fiducia a Montecitorio e Palazzo Madama – ha spiegato il premier ai suoi interlocutori – . Non mi dimetto, qualsiasi cosa succeda: ritiri, dimissioni, parole di sfida. Tutto avverrà in Parlamento». Così, sarà trasparente che Berlusconi fa saltare le larghe intese per la sua vicenda giudiziaria. Così, i parlamentari saranno messi di fronte a una scelta netta.
E potrebbe nascere un Letta bis, con qualche fuoriuscita del Pdl e qualche voto “responsabile”.
Questa è la road map del premier di fronte al passaggio della decadenza di Berlusconi. Mancano pochi giorni al 9 settembre, data della prima riunione della Giunta del Senato.
La dichiarazione “moderata” del leader Pdl non cambia nulla nella strategia del presidente del Consiglio.
Letta è ormai convinto di aver tolto di mezzo l’argomento del “governo del salvacondotto”.
O della larghe intese come progetto di lungo periodo. «E’ sempre stato così. Ma qualcuno soffiava sul fuoco. Alla festa di Genova però ho sentito che il popolo del Pd capisce cosa vogliamo fare».
Quindi, ha le mani più libere. Aver preparato il terreno su cui può svilupparsi la crisi è un risultato che Palazzo Chigi pensa di aver messo in tasca.
Ma la crisi segnerebbe comunque un passo falso.
«Lo so, il livello di tensione è altissimo. Non posso garantire sui ministri del Pdl, non riesco a immaginare come si comporterebbero di fronte a un diktat di Berlusconi. E non voglio entrare nelle dinamiche del centrodestra».
Spera però si sia definitivamente compreso che «uno scambio tra la sopravvivenza dell’esecutivo e la decadenza di Berlusconi non esiste, non è possibile». Che lo abbiano capito a destra e a sinistra.
I contatti con le colombe del Pdl sono continui.
Il ministro dei Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini fa un check up quotidiano agli umori del Pdl. Non basta, è ovvio.
Tutto può precipitare se l’uomo di Arcore schiocca le dita. L’unica difesa dall’offensiva berlusconiana è quella di un passaggio parlamentare solenne.
Senza scorciatoie, senza farsi intimidire. E’ una linea di condotta che ha il pieno sostegno di Giorgio Napolitano.
«In fondo, è tutto molto semplice – spiega Franceschini – . Non si accettano ricatti e ci si affida al Parlamento. Lì si vedrà chi vuole interrompere un percorso di governo che tra mille difficoltà ha raggiunto alcuni obiettivi»
In questo schema, se non ci fossero soluzioni alternative al voto, appare chiaro che Letta si presenterebbe agli elettori come candidato premier del centrosinistra.
E Guglielmo Epifani, in caso di elezioni in autunno, rimarrebbe alla guida del Partito democratico.
Uno scenario che non fa i conti con Matteo Renzi, ma Letta è sicuro che non si aprirebbe una crepa nel Pd e con il sindaco di Firenze si possono trovare le soluzioni.
A sentire Epifani, il Pd, nella giunta del Senato, concederà a Berlusconi i tempi normali per esercitare la sua difesa. «Senza forzature e senza slittamenti».
Gli uffici del gruppo parlamentare guidato da Luigi Zanda hanno calcolato che il voto della commissione potrebbe arrivare alla fine di settembre.
Epifani conferma il rifiuto di trattative: «Non ci sono margini, come dice Letta. E non capisco come il Pdl possa creare una situazione di instabilità con la guerra in Siria alle porte. Che non ci coinvolge direttamente ma riguarda anche noi».
Questo non significa che una parte del Pd non continui a cercare di capire come evitare strappi che investano l’esecutivo.
Venerdì sera il ministro Gaetano Quagliariello e Luciano Violante si sono a lungo parlati a margine di un convegno a Saint Vincent. C’è ancora chi pensa a un leggero allungamento dei tempi in grado, sostanzialmente, di affidare alla Corte d’appello di Milano la scelta sul Cavaliere: quando il tribunale deciderà la nuova pena accessoria dell’interdizione, il voto del Senato diverrà secondario.
«Ma il nodo arriva», ripetono a Palazzo Chigi. Non cambierà il corso degli eventi qualche giorno concesso al leader del Pdl.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)
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