Settembre 16th, 2013 Riccardo Fucile
FALCHI E COLOMBE PER UNA VOLTA UNITE: NO ALL’EX RESPONSABILE DELLA PROTEZIONE CIVILE, COLPEVOLE DI FARE SEMPRE DI TESTA SUA
Per la battaglia finale serve chi della gestione delle emergenze ha fatto una professione.
Ecco perchè Silvio Berlusconi ha chiesto a Guido Bertolaso di prendere in mano Forza Italia, che rinascerà a giorni.
E che sarà annunciata ad ore con il videomessaggio che fonti autorevoli rivelano potrebbe essere diffuso già nella mattinata di martedì.
Il Cav sta già studiando il nuovo organigramma e Bertolaso potrebbe avere il ruolo di responsabile dell’organizzazione.
I due ne hanno parlato più volte nell’ultima settimana. Bertolaso, il Mister Wolf che risolveva problemi ai tempi della propaganda sulle catastrofi (vai alla voce: terremoto dell’Aquila) non avrebbe detto di no. Ma nemmeno di sì.
Non è la prima volta che Berlusconi gli fa una proposta del genere. Anzi da quando Bertolaso ha lasciato la Protezione civile, e da quando non è decollata la Protezione civile Spa ai tempi di Letta (Gianni) a palazzo Chigi, l’ex uomo della provvidenza è rimasto il chiodo fisso di Berlusconi, affezionato all’idea di un partito efficiente come una azienda più che a uno zoo di falchi, colombe e sciacalli.
Una fonte vicinissima al Cavaliere spiega all’HuffPost: “Berlusconi sta provando a convincerlo perchè è l’uomo per questo momento. Ha un carattere pessimo, è un decisionista, non ascolterebbe nessuno, nè falchi nè colombe”.
E infatti in queste ore si è già registrata una resistenza di tutti i volatili pidiellini. Non lo vogliono perchè perderebbero potere in San Lorenzo in Lucina. Chissà .
È certo che nel nuovo-vecchio partito il Capo non vuole tanti dibattiti.
Basta vedere la sede: “un mausoleo” dice chi ci lavora, all’insegna del culto della personalità .
Solo foto di Berlusconi, che le ha scelte personalmente con il suo assistente Roberto Gasparotti, e soprattutto di Berlusconi trionfante (ad Onna, nei vertici internazionali, a Napoli) e nessuna traccia dell’epoca pidiellina.
Così come si presta a pochi dibattiti il nuovo organigramma.
Che, come da statuto, non contempla la figura del segretario.
Il falco Verdini dovrebbe diventare coordinatore unico. Mentre Alfano si dovrebbe occupare di diplomazia “col nemico” più che di partito: da ministro a tempo pieno avrebbe più tempo per tessere la trama diplomatica col Colle e Letta (Enrico). Insomma, da erede senza quid di Berlusconi a erede col quid di Gianni Letta.
Questa è l’idea per la battaglia finale del Cavaliere che si appresta a diventare decaduto ed extraparlamentare.
Chi conosce come vanno le cose in casa azzurra è però certo che un conto è l’idea, altra cosa è la sua realizzazione. E le resistenze sono molte.
E’ bastata un’intervista al Tempo, in cui Daniela Santanchè annunciava che Alfano non sarà più segretario, a provocare l’insurrezione del partito di governo e pure di tutti i ministri del Pdl. Seguita poi dalla difesa della Pitonessa da parte dei falchi.
O forse, per realizzarla (l’idea) serve proprio chi se ne intende di Protezione civile.
(“da Huffington Post“)
argomento: Forza Italia | Commenta »
Settembre 16th, 2013 Riccardo Fucile
PRESENTATO UN EMENDAMENTO PER NON PERDERE IL FINANZIAMENTO PUBBLICO… BATTAGLIA CONTRO LA PROPOSTA DI CHI VUOLE VIETARE DONAZIONI AI PARTITI DA PARTE DI UN CONDANNATO
Soldi e tv. Finanziamento a Forza Italia e Mediaset.
È legata alla tenuta dell’impero l’ultima trincea scavata da Silvio Berlusconi.
Che può reggere solo con questa maggioranza: “Se salta tutto — dicono nella cerchia ristretta — le ritorsioni saranno pesanti”.
Le avvisaglie (di “ritorsione”) che hanno fatto scattare il warning ad Arcore si sono già appalesate in prima commissione, alla Camera. Dove è in discussione la legge sul finanziamento pubblico.
Partiamo da qui.
Eccolo l’emendamento di Sel che ha avuto l’effetto di una scossa sulle mura di Villa San Martino, ribattezzato come una Severino patrimoniale. È l’articolo 10, comma 6-bis: “Chiunque sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per i reati previsti dagli articoli 314, 1 comma, 318, 319, 319 ter, 320 del codice penale e dagli articoli 8, 9, 10, 11 del Decreto legislativo n.74 del 2000, non può destinare sotto qualunque forma, erogazioni, liberali o meno, denaro o altra forma di altre utilità in favore di partiti, movimenti, liste e fondazioni politiche”.
Se passa, significa che il condannato Berlusconi non può donare soldi al suo partito. Almeno per il periodo in cui sconta la pena.
Almeno è così nell’ultima formulazione: “Il divieto – prosegue l’articolo – decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa e ha effetto per un periodo corrispondente alla durata della pena comminata in concreto dal giudice, nonchè per l’anno successivo”.
Per un partito che si alimenta grazie ai granai dell’impero berlusconiano significa, praticamente, casse vuote.
Per questo il berluscones in commissione stanno rallentando la discussione di un provvedimento che doveva essere approvato entro l’estate.
E che ora pare senza scadenza. Al momento il Pd tace.
Se ne parla oggi quando si riunirà la commissione. Ma al quartier generale berlusconiano l’ennesima pistola è già sul tavolo: “Non si può stare nella stessa maggioranza — dice un azzurro di rango — e continuare nel tentativo di colpire il leader del partito alleato su tutti i terreni”.
Ma a Berlusconi non basta stoppare l’emendamento di Sel che in molti, tra i democrat, considerano un “dato di civiltà ”: evitare cioè che i quattrini di un condannato per frode fiscale foraggino un partito politico.
Già , non basta.
Presentati pure una serie di emendamenti “salva-Forza Italia”.
Il trucco è semplice. Secondo la legge, i cittadini, attraverso il due per mille o le detrazioni, possono finanziare i partiti che si sono presentati alle elezioni: i soldi cioè si possono destinare alle sigle che erano sulla scheda elettorale.
In base a questo meccanismo c’è il Pdl, non Forza Italia.
Pronto l’emendamento dei berluscones per trasferire i soldi a Forza Italia, aggirando l’ostacolo.
Eccolo, all’articolo 8, comma 1-bis: “Le disposizioni di cui al comma 1, lettere a) e b) si applicano altresì ai partiti politici a cui dichiari di fare riferimento almeno la metà più uno dei candidati eletti sotto il medesimo simbolo alle più recenti elezioni per il rinnovo del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati”.
Quindi, quando metà degli eletti si trasferiscono dal Pdl in Forza Italia con loro si trasferisce anche il finanziamento.
E fin qui il partito. Che però è solo un aspetto.
In questi giorni è stata allertata una specie di unità di crisi per tenere d’occhio i movimenti al ministero dello Sviluppo economico.
Soprattutto dopo che è circolata una voce, come riportato da Repubblica, di un decreto per fissare un “tetto per la pubblicità ” per mettere in ginocchio Mediaset.
Al viceministro Antonio Catricalà , vicinissimo a Gianni Letta e alla sottosegretaria Simona Vicari — praticamente l’ombra di Schifani — il compito di verificare l’ipotesi di “blitz”: “Non c’è nulla” assicurano dallo staff di Catricalà . Fuori dal governo potrebbe esserci di tutto.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Berlusconi | Commenta »
Settembre 16th, 2013 Riccardo Fucile
MIGRANTI ALLO STREMO, POCHI AGENTI SENZA PRECISE DIRETTIVE, STRUTTURE DEVASTANTE: IL SAP ATTACCA IL GOVERNO
L’ultimo episodio è dello scorso 10 agosto: un immigrato marocchino di 31 anni, Moustapha Anaki, è morto all’interno del centro di identificazione ed espulsione di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone.
Una cardiopatia, la causa ufficiale del decesso. La sua morte ha fatto da miccia a un contesto infiammabile da mesi.
Gli altri migranti, infuriati, hanno devastato il centro: mobili e sistemi di sorveglianza sfasciati, pareti dei muri sbriciolate.
La Prefettura ha alzato bandiera bianca: struttura compromessa e quindi chiusa, perchè dichiarata inagibile. E di soldi per riparare i danni non ce ne sono più.
Quello di Crotone è solo il più recente di molti episodi simili. Qualche giorno fa Alessandra Naldi, nominata ‘Garante dei Diritti delle persone private della libertà personale’ per il Comune di Milano, ha scritto al prefetto in merito al Cie di via Corelli, esigendo chiarimenti non solo sui recenti episodi di violenza ma sul destino della struttura stessa, sempre più scricchiolante per i mesi a venire.
La situazione si è resa così insostenibile che a denunciare, oggi, non sono più solo le associazioni umanitarie ma lo stesso sindacato autonomo di Polizia, il Sap, che ha più volte chiesto un incontro al Ministero dell’Interno per individuare delle soluzioni che tamponino, almeno in parte, condizioni di lavoro inaccettabili, nonchè la ripetuta negazione di una sopravvivenza dignitosa per chi è trattenuto.
Nicola Tanzi, segretario generale del sindacato, ha alle spalle 30 anni di esperienza nella polizia giudiziaria e nel contrasto alla criminalità organizzata in Puglia: “Abbiamo chiesto da cinque mesi un incontro col dipartimento Immigrazione del Ministero dell’Interno. Non solo denunciando la mole di spreco di denaro nella gestione dei centri, ma gli stessi disagi di chi è accolto. E’ un circolo infernale: gli immigrati sono piegati dagli stenti, diventano rabbiosi, spaccano le strutture che li ospitano. La carenza dei fondi non consente di aggiustare i danni. La vita diventa sempre più difficile e il disagio genera nuova rabbia”.
Coi tagli del governo Monti la quota riservata a ogni migrante accolto in uno dei 12 Cie attivi sul territorio nazionale si è ridotta all’osso: circa otto volte inferiore a quella di un detenuto ordinario.
In media, si parla di 30-35 euro al giorno. La cifra deve coprire le spese di vitto, alloggio, vestiario, cure mediche, mediazione sociale e sicurezza. Una follia.
A questo si aggiungono i tagli alle forze dell’ordine: 13mila uomini in meno, in seguito ai provvedimenti dei governi Berlusconi e Monti.
Tre miliardi di euro polverizzati nel comparto Sicurezza, proprio quello che gestisce la sorveglianza delle strutture.
Ma il paradosso più grande è una legge che sembra complicare ulteriormente la gestione dei flussi migratori sul nostro territorio.
“Quando è stata licenziata la Bossi-Fini sull’immigrazione” racconta Tanzi all’Espresso “in audizione parlamentare abbiamo più volte denunciato la nostra contrarietà all’introduzione del reato di clandestinità . Senza contare l’aggravio d’aver allungato i tempi di permanenza nei centri da 6 a 18 mesi. In questo modo non ci sono sufficienti pattuglie per accompagnare in questura i clandestini e, nello stesso stempo, adempiere alla ordinaria amministrazione della sicurezza per le strade. Due obiettivi mancati in un solo colpo”.
Eppure, tra il 2005 e il 2012, sono stati spesi, complessivamente, oltre un miliardo e mezzo di euro per il controllo delle frontiere esterne, 55 milioni di euro all’anno per la gestione dei Cie ufficiali, senza contare le strutture temporanee che dovranno essere commutate in centri permanenti, come in provincia di Caserta e di Potenza.
Ma i soldi sembrano non bastare mai: ci sono da pagare gli stipendi degli operatori (oltre alle forze dell’ordine, il personale medico, i mediatori, gli assistenti sociali, le imprese che si occupano di pulizia e distribuzione del cibo), per non parlare dei costi di manutenzione ordinaria (ma la cifra è sempre più erosa dai continui danni alle strutture).
“Quello che chiediamo innanzitutto” dice Tanzi “sono precise regole d’ingaggio per i poliziotti: i migranti non sono nè detenuti, nè liberi, ma, tecnicamente, “trattenuti”. Noi, di conseguenza, abbiamo poco spazio di manovra: non possiamo in alcun modo prevenire le esplosioni di violenza. Nè sanzionarle, poichè nella legge non si fa cenno a questa eventualità . Anche la fase del trasporto è parecchio complicata: si procede con mezzi ordinari, senza protezioni divisorie che separino l’agente dall’immigrato. Parliamo, sovente, di individui che presentano situazioni di salute estremamente rischiose (non di rado si sono verificati casi di colera, senza contare i malati di Hiv, ad esempio). Entriamo direttamente in contatto con loro e spesso, nella fase di trasporto al centro, si manifestano i primi episodi di violenza. Quando la tensione sale, di norma, ci lanciano le loro feci, o l’urina raccolta in bottiglie di plastica. Alcuni, in preda all’esasperazione, si tagliano, e il sangue schizza sugli agenti o sul personale medico, con quello che questo può comportare”.
La procedura del foglio di via, il decreto d’intimazione a lasciare l’Italia entro 15 giorni, è del tutto inutile: se non ci sono poliziotti in grado di accompagnarli alle frontiere per l’espulsione, i clandestini si trattengono sul territorio nazionale.
Non hanno denaro, nè domicilio. Nei Cara — i centri di accoglienza per i richiedenti asilo – la situazione è perfino più complessa.
“Molti entrano la mattina e rientrano la sera” prosegue Tanzi “perchè per la legge sono cittadini liberi, e quindi senza controllo. Alcuni si allontanano perchè non sono veri rifugiati, ma la Prefettura è costretta a garantire loro, comunque, vitto e alloggio: i soldi, però, sono sempre di meno e le gare di appalto per aggiudicarsi i servizi sono stritolate in una corsa al ribasso dei costi. Il servizio, in questo modo, non può che essere al di sotto dei livelli dignitosi. Il mese scorso c’è stata una riunione al Viminale, alla presenza di tutti i responsabili del Cie (tra cui i rappresentanti delle Forze di Polizia) e il responsabile del dipartimento immigrazione del Ministero. Siamo in attesa di essere convocati questo mese, come ci avevano promesso”.
Anche i parlamentari sembrano manifestare in media scarsa sensibilità per l’argomento, se non fosse per qualche rara eccezione, secondo quanto denuncia Nicola Tanzi: “Alcuni di loro si sono mossi per porre l’attenzione sull’esigenza di una profonda revisione della legge Bossi-Fini, come chiedevamo” Rosa Calipari ed Emanuele Fiano del pd, ad esempio “ma in linea generale ci ha colpito l’assoluto disinteresse degli altri in audizione”.
Si procede a tentoni: il denaro destinato a riparare i frequenti danni alle strutture, ad esempio, è sottratto al capitolo di spesa sull’immigrazione, fondi che, in realtà , dovrebbero essere destinati a migliorare la vita all’interno dei centri.
Angelo Obit, ispettore di polizia in servizio a Gorizia e segretario provinciale della Sap, solleva un’altra questione: le condizioni di lavoro del personale sottopagato, diretta conseguenza delle gare al ribasso nell’assegnazione degli appalti.
“L’attività ” racconta “deve inoltre essere regolamentata dal Ministro dell’Interno, tramite decreto, e sono necessari dei corsi di formazione specifici, data la delicatezza delle mansioni. Invece, sovente, sono gli stessi migranti a essere assunti per occuparsi degli altri immigrati”.
Ma la quotidianità è diventata incandescente: aggressioni ordinarie agli agenti, scoppio di liti furibonde tra di loro.
E se è vero che il termine massimo di permanenza è di 18 mesi, dopo il decreto di espulsione, se il clandestino non esce dal paese viene di nuovo fermato e rispedito in un altro centro: una sorta di pena senza fine.
Ad oggi, la popolazione di migranti trattenuti nei Cie è di poco meno di 8mila unità , secondo i dati della Polizia di Stato, relativi al 2012.
La metà di essi viene rimpatriata, ma il 50 per cento di questa quota rientra comunque in Italia.
Senza controllo. Giuseppe Corrado, del reparto mobile di Torino e vice segretario provinciale della Sap Torino, lavora nel Cie della città , in corso Brunelleschi: struttura spesso al centro delle cronache per ripetuti episodi di violenza.
“Siamo passati, nel giro di un paio d’anni, da 211 posti letto agli attuali 60, perchè chi è trattenuto spesso brucia le stanze. Quando ancora si utilizzavano i container, anni fa, ogni tre giorni veniva sfasciato un televisiore. A fine luglio un aereo da Malpensa avrebbe dovuto decollare per riportare alcuni immigrati nei rispettivi paesi di provenienza, secondo il decreto d’espulsione. La partenza, prevista alle 5 del mattino, è slittata a quattro ore più tardi: alcuni di loro sono saliti sul tetto e hanno dato fuoco al veicolo. Quello che chiediamo è semplice: moduli operativi e direttive precise che possano applicarsi nella stessa maniera in ogni centro, non a discrezione dell’ufficio immigrazione o dei funzionari. Abbiamo sottoposto il problema più volte ai questori, ma senza molta fortuna: non c’è attenzione, nè tanto meno ascolto. Ma quello che si deve comprendere bene è che siamo tutti sulla stessa barca: noi e loro. E’ qualcosa che riguarda tutti, anche se vorremmo girare la testa altrove per non sapere”.
Paola Bacchiddu
(da “La Repubblica”)
argomento: Immigrazione | Commenta »
Settembre 16th, 2013 Riccardo Fucile
BERLUSCONI PRESENTE IN SENATO UNA SOLA VOLTA IN SEI MESI: IL PEGGIORE INSIEME A GHEDINI, MARIA ROSARIA ROSSI E VERDINI
Vuole restare senatore, ma in Senato non ci va mai.
Proprio in vista del voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi dalla carica a Palazzo Madama, si cominciano a fare i conti sulle presenze dei senatori, di chi è più assenteista e chi si è discostato, durante le votazioni, dalla linea dettata dal proprio partitito.
Come riporta la Stampa, da uno studio Open Polis tra i meno presenti alle votazioni in Parlamento, la palma d’oro va proprio al Cavaliere e a i suoi colleghi del Pdl.
Mentre i più presenti sono i democrat.
Di certo il Pd vince il premio Stakanov di questi primi sei mesi: alla Camera i deputati Carra, D’Incecco, Fontana, Guerini, Iannuzzi e Tullo (oltre a Totaro, di Fratelli d’Italia) non si sono persi una votazione.
Sempre presenti anche i senatori Fornaro e Pegorer che, con il Pdl Mandelli, compongono il podio a Palazzo Madama.
Dal lato opposto della graduatoria, la maglia nera spetta al quartetto di Arcore: Berlusconi, la sua assistente Mariarosaria Rossi, l’uomo-macchina del Pdl Verdini e l’avvocato Ghedini si sono presentati a una sola votazione, i peggiori in assoluto.
argomento: Berlusconi | Commenta »
Settembre 16th, 2013 Riccardo Fucile
BERSANIANI E DALEMIANI TENTATI DAL BLITZ PER TENERSI IL PARTITO
«Chiamala se vuoi, tentazione…»: così la definisce per ora uno dei giovani leoni della brigata anti-Renzi messa in piedi per ingaggiare la resistenza contro il rottamatore: e la «tentazione», che in questi giorni stanno accarezzando bersaniani e dalemiani ha già un nome e cognome: «clausola di salvaguardia».
Da far votare in assemblea se si riuscisse a raggranellare una vasta maggioranza di «maldipancisti vari», franceschiniani, lettiani, bindiani, fioroniani e così via.
L’obiettivo è chiaro, evitare che in caso di elezioni Renzi possa prendersi in due colpi ravvicinati partito e governo.
Ad illustrarne la ratio senza peli sulla lingua è Alfredo D’Attorre, autore del documento congressuale di Bersani, «Fare il Pd» e membro della segreteria di Epifani: «Se la crisi non deflagra prima, venerdì l’assemblea è chiamata a convocare il congresso ragionando come se legislatura andasse avanti. Ma si potrebbe proporre una clausola per stabilire che se si aprisse un percorso che portasse ad elezioni anticipate, si sospendano le primarie per il segretario e si facciano quelle per la premiership. Ma senza alcuna intenzione di usare l’incertezza politica come alibi per non fare il congresso, si badi bene».
Un blitz che risulterebbe indigesto al sindaco di Firenze, al punto che basta prospettare una simile ipotesi a due suoi parlamentari per sentir esplodere due sonore risate, condite dalla controaccusa «sarebbero irresponsabili».
Ancora non c’è uno straccio di accordo con Renzi su come si svolgerà il congresso, per evitare di arrivare in Assemblea «al buio» mercoledì dovrebbe riunirsi la Commissione ad hoc, ma Epifani ancora non l’ha convocata.
I due nodi sul tappeto sono la partita dei segretari regionali, se cioè farli eleggere prima, dopo o in contemporanea al leader; e quella per la «separazione delle carriere» tra segretario e candidato premier.
Quest’ultima è collegata appunto alla «tentazione» che i giovani leoni delle correnti che sostengono Cuperlo stanno maturando: perchè certificando che in caso di voto anticipato si facciano solo le primarie per la premiership, di fatto si congelerebbe la figura del segretario.
E difficilmente, una volta giocata la partita per Palazzo Chigi, Renzi potrebbe spendersi pure per la campagna congressuale, che verrebbe rinviata a dopo le elezioni.
«Comunque sia, se vi fosse una clausola del genere non sarebbe male, ma anche se non vi fosse sarebbe ragionevole tenere in conto un’eventuale sospensione e una modifica del percorso congressuale», fa notare il portavoce di Bersani, Stefano Di Traglia
Insomma, la questione ancora viene derubricata come un’ipotesi di «buon senso», figlia della distinzione dei ruoli tra segretario e premier, ma non è stata formalizzata in attesa dello scontro finale
«Fermo restando che il congresso va chiuso entro l’anno chiarisce D’Attorre – noi teniamo il punto che si debba partire dal basso, facendo votare i circoli e le federazioni liberamente, senza ingabbiarli in schemi correntizi. In Lombardia, una parte dei nostri voterà un renziano, in Calabria avverrà il contrario: meglio se non siamo noi da Roma a dirgli cosa fare. E non è per mantenere l’apparato esistente, anzi»
E mentre i resistenti stanno preparando una manifestazione per la prossima settimana a Roma con Cuperlo Bersani, Marini ed altri ex Dc, i renziani già salgono sulle barricate contro la tentazione del blitz.
«Una cosa così sembrerebbe di fatto un macigno per indebolire Letta e se l’assemblea nazionale votasse una roba simile si capirebbe chiaramente chi pensa davvero alla crisi di governo», dice Paolo Gentiloni. E chi per Renzi tratta le regole in commissione congresso, cioè Lorenzo Guerini, è ancora più duro. «Votare una clausola del genere? Se fossi Letta li manderei a quel paese…»
Carlo Bertini
(da “la Stampa“)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »
Settembre 16th, 2013 Riccardo Fucile
RITORSIONE DEGLI AMICI DI TOSI: “IL PARTITO NON E’ DI BOSSI”
Rivolta contro Umberto Bossi all’interno della Lega Nord.
Dopo essere stato scalzato nel suo ruolo di segretario federale da Roberto Maroni, il senatur rischia di perdere anche la carica di presidente a vita a cui era stato relegato dopo lo scandalo Belsito.
All’ordine del giorno della Liga Veneta, che si riunisce a Vicenza, c’è infatti una mozione che prevede di eliminare dallo statuto la presidenza federale come carica a vita attribuita a Bossi.
Al documento hanno lavorato alcuni degli uomini vicini al sindaco di Verona Flavio Tosi.
Nella mozione firmata dal segretario di Feltre Sandro D’Incau, e iscritta all’odg dell’assemblea, si chiede “l’eliminazione dei commi primo e quinto dell’art. 14 dello Statuto”, che definiscono “di fatto una carica a vita di natura non elettiva appositamente per il ‘socio ordinario militante’ Umberto Bossi”.
Carica che si ritiene “non corretta in considerazione dei fatti avvenuti in questi anni” perchè dev’essere allontanato “il concetto che la Lega è un movimento politico di proprietà di Bossi“.
Nel documento si fa riferimento “all’eccessivo potere del presidente federale” laddove questo rappresenta “l’organo di ultimo e insindacabile appello” dei provvedimenti disciplinari.
Obiettivo polemico della mozione è anche l’immunità garantita a Bossi e ai suoi fedelissimi dallo strapotere che la carica di presidente a vita gli attribuisce.
“Il fatto di avere 20 anni o più di militanza non deve essere considerato un salvacondotto“.
La conseguenza sarebbe “che tale carica tutela di fatto, a prescindere dai fatti e dalle decisioni dei direttivi e degli organi interni al movimento, e superando le decisioni degli stessi organi elettivi, tutte quelle persone che per motivi affettivi o di simpatie o altro sono vicine ad Umberto Bossi”.
Il voto della Liga Veneta è solo l’ultimo episodio dello scontro in atto tra il senatur e Flavio Tosi.
Nei giorni scorsi, Umberto Bossi aveva apostrofato il maroniano di ferro dandogli del “fascista” e dello “stronzo”.
L’ultimo affondo era stata l’insinuazione dell’omosessualità di Tosi.
Il sindaco di Verona ribatte dalle pagine di Repubblica: “Ho troppo rispetto di una persona malata per replicare”.
E considera gli attacchi di Bossi come “cose fuori dal tempo” che non farebbero più presa sull’elettorato leghista.
Anzi, sarebbero dannose per l’unità del partito: “Molte sue uscite dopo il congresso dell’anno scorso hanno creato più dissensi che consenso”.
E ancora: “A Bossi dà un fastidio terribile vedere che all’interno del movimento ci sono proposte diverse”.
La carica di presidente a vita di Bossi finisce anche nel mirino del segretario provinciale di Verona, Paolo Paternoster, vicinissimo a Tosi. “Questa carica non ha più ragion d’essere”, ha spiegato al quotidiano L’Arena.
“E’ giusto che la presidenza vada di pari passo con la segreteria federale e che quando si cambia il segretario si proceda alla nomina del nuovo presidente”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: LegaNord | Commenta »
Settembre 16th, 2013 Riccardo Fucile
APPOGGIO A LETTA E LIQUIDAZIONE DELLE COLOMBE… FORZA ITALIA A VERDINI E SANTANCHE’
Vuoi vedere che Letta ci ha indovinato, mercoledì non scoppierà la crisi, giovedì neanche e venerdì nemmeno? –
Berlusconi sta per alzare bandiera bianca.
Se la Giunta delle elezioni deciderà di cacciarlo dal Parlamento, con un nobile discorso lui protesterà al mondo la propria innocenza, si dichiarerà vittima dei magistrati.
Ma per il bene supremo dell’Italia incasserà il ceffone senza mandare tutto all’aria…
Così perlomeno in questo momento il Cavaliere sembra orientato.
Sabato ne aveva discusso con i più fedeli amici, e domenica non ha cambiato idea.
Anzi, si va convincendo vieppiù che tenere in vita il governo sarebbe una trovata strategica geniale, l’unico modo per intralciare la marcia trionfale di Renzi.
Se fino a pochi giorni fa Silvio non vedeva l’ora di tornare alle urne, adesso pare intenzionato a votare non prima del 2018.
Questa è l’istantanea postata da Arcore, sempre soggetta a ripensamenti si capisce.
Verrebbe dunque da immaginare le «colombe» che festeggiano a champagne la svolta pacifista del Làder Mà¡ximo, e viceversa i cosiddetti «falchi» con le piume abbassate.
Invece, sorpresa, succede esattamente il contrario.
Il gruppone dei moderati è in grande allarme, laddove si coglie euforia tra i duri e puri.
Pare infatti che, nel suo discorso al Paese, il Cav non voglia soltanto confermare il sostegno a Letta, ma intenda sbaraccare il Pdl e annunciare la rinascita di Forza Italia la cui gestione finirebbe (ecco il motivo del loro giubilo) tutta nelle mani dei «falchi».
Vale a dire di Verdini, di Bondi, di Capezzone e, naturalmente, della volitiva Santanchè. Verrebbe nominato un comitato di gestione provvisorio, come avviene in tutte le fasi di transizione rivoluzionaria.
Ma trova pure conferma l’indiscrezione, divulgata dal «Giornale», secondo cui Berlusconi avrebbe già vergato di suo pugno una carta che trasferisce a Verdini tutte le deleghe operative fin qui gestite da Alfano.
In pratica, un trasferimento dei poteri che nella visione berlusconiana segnerebbe una sorta di Yalta, una pace durevole tra le anime interne basata sulla ripartizione delle sfere di influenza: di qua il partito, di là il governo.
Chi si occupa del primo non dovrà immischiarsi del secondo, e viceversa.
Oltre al quartetto sopra illustrato, i ruoli di primo piano verrebbero conferiti a Crimi, nella veste di tesoriere, a Palmieri, a Fontana, a D’Alessandro, alla Calabria: tutti quanti falchi, falchissimi.
Ma come escludere dagli organigrammi Michela Vittoria Brambilla, già animatrice dei circoli berlusconiani, tornata in auge dopo una campagna di battaglie animaliste?
Ci sarà posto anche per lei, laddove i governativi, i ministeriali saranno tenuti fuori dal palazzo di Piazza San Lorenzo in Lucina, finemente arredato con divani in pelle della Natuzzi, una sede sibaritica che Berlusconi inaugurerà con la sua presenza mercoledì o giovedì, davanti a un nugolo di telecamere.
E potrebbe essere quella (sebbene come sempre nulla sia deciso) l’occasione ideale per il doppio annuncio, sul passaggio delle consegne Pdl-Forza Italia e sulla crisi che non si farà più.
Ma dopo averla più volte minacciata salvo cambiare idea, difficilmente in futuro qualcuno ci cascherà , certo non Letta, non il Pd.
Cosicchè la delegazione «azzurra» al governo si troverà inerme, perennemente sotto schiaffo, mai più nella condizione di poter alzare la voce.
E quando prima o poi tornerà al partito, troverà le stanze tutte occupate…
Ugo Magri
(da “La Stampa“)
argomento: PdL | Commenta »
Settembre 16th, 2013 Riccardo Fucile
NEL SONDAGGIO DEMOS I CINQUESTELLE SOPRA IL 20%
Il sondaggio di Demos, condotto nei giorni scorsi, riproduce in modo fedele questo Stato di emergenza. Dove le “larghe intese” sono divenute la regola.
L’unica soluzione possibile per comporre un elettorato diviso in tre grandi minoranze.
Fra loro incoerenti e poco compatibili.
Le stime delle intenzioni di voto, oggi, d’altronde, riproducono fedelmente gli orientamenti emersi alle elezioni politiche di febbraio.
Il Pd, con il 28%, circa, supera di poco il Pdl (26%). Segue il M5S, intorno al 21%. L’equilibrio tra i partiti appare, di nuovo, rilevante. E inquietante.
Nulla che faccia presagire, in caso di voto anticipato, la vittoria chiara di uno schieramento. D’altronde, oggi sarebbe difficile immaginare anche quali coalizioni si confronterebbero. L’esperienza delle grandi intese (obbligate) ha inciso sulle preferenze degli elettori.
Metà dei quali è soddisfatto dell’attuale governo. (E quasi il 60%, secondo l’Ipsos, valuta positivamente Enrico Letta, come leader.)
Ma il sostegno al governo cresce sensibilmente fra gli elettori dei partiti della maggioranza.
Sale al 60%, nella base elettorale del Pdl, al 74% (cioè 3 elettori su 4) nella base del Pd e all’80% in quella dei partiti di Centro.
Peraltro, il governo piace anche a gran parte degli elettori della Lega.
Per cui, le uniche componenti insoddisfatte sono costituite da Sel e la Sinistra. (Il cui distacco dal Pd è, quindi, cresciuto.)
E, soprattutto, dagli elettori del M5S. L’80% dei quali esprime un giudizio negativo sul governo. Il M5S, d’altronde, appare tutt’altro che finito. Alle amministrative ha pagato il limitato grado di radicamento e di presenza sul territorio. Ma su base nazionale sembra ancora capace di canalizzare la protesta dei cittadini. Che resta ampia.
Come dimostrano, oltre al peso elettorale del partito guidato da Grillo, anche l’incidenza dell’astensione e dell’incertezza. Superiore a un terzo degli elettori
Enrico Letta, dunque, guida una maggioranza divisa, più che condivisa.
Animata da spirito di necessità più che da reciproca fiducia. La decadenza di Berlusconi, su cui si esprimerà la Giunta del Senato mercoledì prossimo, non a caso, è ritenuta conseguenza automatica di una legge, dagli elettori del Pd, del Centro, ma anche di Sel e del M5S.
Mentre è considerata il “tentativo di eliminare un avversario politico” dalla quasi totalità degli elettori del Pdl — e della Lega.
Tuttavia, anche se Berlusconi venisse sanzionato, la maggioranza degli elettori sia del Pd che del Pdl vorrebbe proseguire nell’alleanza.
Nonostante tutto.
Anche se, dal sondaggio di Demos, emerge una larga disponibilità a cercare l’intesa fra Pd e M5S, fra gli elettori dei due partiti.
Per formare una nuova e diversa maggioranza. Soprattutto nel caso che il governo cadesse e, come chiede la maggioranza degli italiani, si dovesse procedere a nuove elezioni.
Tuttavia, in questo caso, cambierebbe poco, visti gli orientamenti di voto, simili a quelli emersi alle elezioni dello scorso febbraio.
Anche se, ovviamente, potrebbero cambiare, in futuro. In seguito al destino di Silvio Berlusconi. E, ancor più, dopo le primarie e la scelta del segretario del Pd
In questo momento, comunque, il governo, secondo gli italiani, appare destinato a durare. Sicuramente, fino a fine anno (57%). Ma, probabilmente, anche di più. Oltre 6 mesi o perfino un anno (40% circa)
La forza di Enrico Letta, dunque, sembra dipendere, soprattutto, dalla debolezza degli altri soggetti politici.
I partiti della maggioranza — compreso il Pd, di cui egli fa parte. Ma anche quelli dell’opposizione. Lo stesso M5S.
Abbastanza forte da esercitare pressione fuori e dentro il Parlamento. Ma non al punto di proporre un’alternativa. Anche perchè al suo “portavoce”, Beppe Grillo, non interessa.
Non intende promuovere — o partecipare ad – alleanze diverse.
Mentre i suoi elettori, in maggioranza (40%), pensano che il successo del M5S dipenda principalmente dalla protesta contro tutti i partiti.
Dunque, meglio lasciare ad altri il compito di affrontare i rischi e i costi dell’impopolarità , che derivano dall’impegno di governare.
Per questo Enrico Letta può proseguire la sua opera fra molte difficoltà , ma anche con molte possibilità di resistere.
Perchè le elezioni non sembrano dietro l’angolo.
Nessuno, degli alleati, pare disposto ad affrontare le conseguenze di una crisi di governo. In piena emergenza economica. In uno scenario internazionale attraversato da venti di guerra.
L’unico che potrebbe avere interesse a voltare pagina, in effetti, è Matteo Renzi. Compagno (si fa per dire…) di partito di Letta.
Un terzo degli elettori, infatti, lo vorrebbe futuro premier.
Primo, fra i candidati proposti dal sondaggio agli intervistati. Supera di molto Enrico Letta (17%, al secondo posto, per numero di preferenze).
A maggior ragione gli altri.
Tuttavia, essere indicato da un terzo degli italiani costituisce un risultato significativo, ma non un plebiscito.
Anche perchè Renzi è largamente superato da Berlusconi (ma anche da Alfano), fra gli elettori del Pdl. E da Monti, fra quelli del Centro.
Mentre è nettamente primo, con circa metà delle preferenze, nella base del Pd (dove, tuttavia, Letta ottiene quasi il 29%). Ma anche fra gli elettori del M5S. Con oltre il 40% delle indicazioni. Quasi il doppio rispetto a Beppe Grillo.
Il quale, evidentemente, appare, ai più, un interprete straordinario della protesta contro i partiti e le istituzioni rappresentative.
Ma pochi, perfino fra i suoi elettori, si azzarderebbero ad affidargli la guida del Paese. Del “nostro” Paese eccezionale.
Che, ormai da anni, è governato da tecnici o da maggioranze divise, a cui partecipano partiti, fra loro, alternativi.
“Costretti” a stare insieme per emergenza, ma non per volontà . Da ciò un sospetto. Un dubbio. Che, contrariamente a quanto recita la retorica antipolitica del nostro tempo, i partiti e il Parlamento, non rappresentino il “peggio”, ma un riassunto attendibile del Paese. Siano, cioè, lo specchio fedele degli italiani.
Di questo Paese indeciso a tutto. E su tutto.
Ilvo Diamanti
(da “La Repubblica”)
argomento: elezioni | Commenta »
Settembre 16th, 2013 Riccardo Fucile
QUATTRO ELETTORI SU DIECI CONVINTI CHE IL GOVERNO DURERA’ ALMENO SEI MESI
Disorientati di fronte a uno scenario politico indecifrabile, incerti sulle possibili alternative all’attuale governo: il sondaggio condotto, nei giorni scorsi, dall’Atlante Politico fotografa una Paese diviso su tutto.
Secondo linee di frattura che, almeno in parte, prescindono dalle preferenze di partito
Ormai a ridosso del verdetto sulla decadenza da senatore di Silvio Berlusconi, sono ancora in molti a scommettere sulla possibile permanenza di Enrico Letta a Palazzo Chigi.
Più di una persona su quattro ritiene che l’esecutivo possa “resistere” ancora più di un anno (26%).
Il 40%, complessivamente, che possa superare i sei mesi.
Una quota del tutto analoga, tuttavia, considera probabile una chiusura più ravvicinata dell’attuale esperienza di governo, anche se meno di un intervistato su dieci immagina un epilogo immediato, nell’arco dei prossimi trenta giorni.
Mentre il rimanente 20% non se la sente proprio di azzardare una previsione
I dati più interessanti riguardano, però, la soluzione preferita in caso di effettiva disgregazione delle larghe intese tra Pd, Pdl e il centro montiano.
Anche a questo proposito, infatti, il campione interpellato da Demos suggerisce la presenza di opinioni fortemente discordanti.
Se il 50% spinge per tornare alle urne, ben il 41% chiede di “fare di tutto” per trovare una maggioranza alternativa in Parlamento.
Tale spaccatura attraversa i principali elettorati, a loro volta divisi sulla conformazione di un (eventuale) nuovo patto di governo.
E si ripropone, peraltro, sia tra chi boccia l’attuale esecutivo, sia tra chi formula un giudizio positivo sul lavoro della squadra guidata da Letta.
La quota di chi invoca il “voto subito” è ampiamente maggioritaria tra gli elettori di centro-destra e, soprattutto, del M5S.
Ciò nondimeno, anche tra chi destina il proprio voto al partito di Grillo o a quello di Berlusconi, una frazione consistente — rispettivamente il 25 e il 30% – preferirebbe (contrariamente al parere del leader) trovare una alternativa allo scioglimento anticipato delle Camere.
Del resto, sei persone su dieci, presso entrambi gli elettorati, vedono di buon occhio una alleanza con il Pd.
A sostenere la necessità di prolungare la legislatura sono in particolare gli elettori di Sel, Udc e Fli (61%), forti della convinzione che il proprio partito possa comunque giocare un ruolo da protagonista, in virtù della posizione di baricentro dello spazio politico.
La maggiore eterogeneità interna si registra, per converso, nel caso dei partiti di centro-sinistra e dello stesso Pd.
Tra gli elettori democratici, il 43% propende per il voto, ma la maggioranza assoluta (54%) preferirebbe un nuovo esecutivo e una nuova maggioranza (che sicuramente includerebbe il Pd).
(da “La Repubblica”)
argomento: governo | Commenta »