Settembre 16th, 2013 Riccardo Fucile
“ELIMINIAMO I LACCI TRA LA GENTE E IL CAVALIERE”… CICCHITTO ACCUSA: “POLEMICA SBAGLIATA”
Lo scontro tra due paradigmi. O, più semplicemente, falchi contro colombe. Falco contro colomba.
Pitonessa contro Angelino.
L’affondo è di quelli duri, che fanno male, e che dimostrano come la “pax” tra le diverse anime del Pdl, nei giorni caldi della decadenza e dei dubbi sulle larghe intese, resta un miraggio.
L’occasione per sganciare un siluro contro il segretario è il ritorno a Forza Italia. Nuovo partito, nuova storia. Una storia nella quale, secondo la Santanchè, non c’è spazio per Alfano.
“Quando è stato eletto segretario – spiega in un’intervista al Tempo – ha detto che voleva una testa una sedia. E quindi siamo andati nella direzione che lui stesso ha indicato”.
Ora, però, si passa a Forza Italia, che “sarà un partito presidenziale, con a capo Berlusconi e senza segretario. Così elimineremo tutti quei lacci e lacciuoli tra la gente e il presidente”.
Niente segretario, insomma. Niente spazio per Alfano in un partito che, secondo le ultime indiscrezioni di stampa, vedrà nella stanza dei bottoni soltanto i “duri e puri”
L’irriducibile Daniela non perdona ad Angelino i tentativi di mediazione con il Pd, l’altra metà di quella maggioranza che ne ha fatto il suo vicepremier.
Santanchè usa toni duri contro i democratici. E, ancora, contro il segretario. “La strategia che il Pdl ha usato fino a oggi è stata una rovina assoluta, abbiamo solo perso tempo senza ottenere nulla”.
Un altro proiettile che sembra avere Alfano come bersaglio. ”
Le larghe intese, dunque, devono essere archiviate? Pochi dubbi, per la pitonessa: “Se fossi un ministro, il giorno dopo il voto in Giunta non potrei stare un minuto in più allo stesso tavolo con i carnefici di Berlusconi”.
Lo sgambetto ad Alfano, invece, è materia più complessa e spinosa.
Così Fabrizio Cicchitto, che da politico paludato si muove tra l’ala radicale del partito e quella moderata, prende carta e penna ed esprime il suo disagio in una nota: “Francamente sono molto sorpreso per la polemica di Daniela Santanchè nei confronti di Angelino Alfano. Una polemica sbagliata nei contenuti e nel momento scelto, visto che oggi lo scontro politico è concentrato sul ruolo e il futuro di Berlusconiù
“Questo – prosegue Cicchitto – dovrebbe essere il momento dell’unità e non della divisione. Per di più – aggiusta la mira – la Santanchè non deve mai dimenticare che è responsabile dell’organizzazione del partito e che quindi dovrebbe svolgere un ruolo di garanzia e mediazione nei confronti di tutti, e non di divisione”.
Cicchitto conclude poi con un elogio di Angelino, che “ha sempre svolto un ruolo di equilibrio e deve esserci in un gruppo dirigente pluralista e rappresentativo”.
Lo scontro continua, in attesa della prossima puntata
Andrea Tempestini
(da “Libero“)
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Settembre 16th, 2013 Riccardo Fucile
RAGGIUNTA DA UN AVVISO DI GARANZIA COME PRESIDENTE DELLA ITALFER: AI DOMICILIARI CON L’ACCUSA DI CORRUZIONE, ASSOCIAZIONE A DELINQUERE E ABUSO D’UFFICIO…SAREBBERO STATI UTLIZZATI MATERIALI SCADENTI, L’OMBRA DELLA CAMORRA E DELLE COOP ROSSE
Un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari è stata notificata all’ex governatrice della Regione Umbria Maria Rita Lorenzetti nell’ambito dell’inchiesta sul nodo fiorentino dell’alta velocità .
Il suo legale Luciano Ghirga, nel confermare la notizia precisa che commenterà solo dopo aver letto la corposa ordinanza di circa 400 pagine notificata stamani alla Lorenzetti, nella sua casa di Foligno.
Provvedimenti cautelari sono stati recapitati ad altre sei persone.
L’ex governatrice aveva già ricevuto un avviso di garanzia, nella sua veste di presidente dell’Italferr, con le ipotesi di corruzione, associazione a delinquere e abuso d’ufficio.
L’inchiesta è coordinata dal procuratore capo di Firenze, Giuseppe Quattrocchi e dai pm Giulio Monferini e Gianni Tei.
Nell’ordinanza viene ipotizzato il rischio di reiterazione del reato. Lorenzetti, Pd, che ha sempre sostenuto la correttezza del proprio operato, ha guidato la Regione Umbria per due mandati, fino alla scorsa legislatura.
Secondo i magistrati fiorentini, nella tratta toscana della Tav sarebbero stati utilizzati materiali scadenti per la costruzione della galleria e ci sarebbe l’ombra della camorra sullo smaltimento dei rifiuti di cantiere, oltre al sospetto di favori negli appalti alle Coop rosse.
La Procura ha inscritto nel registro degli indagati 36 persone, tra cui dirigenti del ministero delle Infrastrutture e delle Ferrovie.
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Settembre 16th, 2013 Riccardo Fucile
LA FAMIGLIA STA PENSANDO DI CHIEDERE LA GRAZIA, QUAGLIARELLO DICE CHE I MINISTRI POTREBBERO NON DIMETTERSI
Tutto il Pdl sembra ormai sulla stessa linea: quando la giunta per le elezioni del Senato voterà la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore, per il governo Letta il trauma sarà ridotto al minimo. Purchè il Pd e il Quirinale diano qualche segnale distensivo.
Renato Schifani, capogruppo del Pdl al Senato, lo spiega a In Mezz’Ora di Lucia Annunziata su Rai3: “à‰ chiaro che Silvio Berlusconi non potrà tornare in Parlamento ma questo non significa non possa continuare a far politica. Nessuno è preoccupato dell’agibilità politica di Berlusconi nè, conoscendolo, ci preoccupiamo di un passo indietro”.
Accettare di guidare il partito lontano dal Parlamento è il primo passo per auspicare poi una grazia dal capo dello Stato. Il Cavaliere, spiega Schifani, su questo “sta riflettendo giustamente nell’ambito della propria famiglia”.
Meno di un mese fa Schifani era l’emissario di Berlusconi che si era precipitato al meeting di Comunione e liberazione per ridimensionare la certezza di Letta di sopravvivere alla condanna di Berlusconi.
Ora molto sta cambiando: il ministro per le Riforme, Gaetano Quagliariello, lato moderato del Pdl, dice ad Avvenire che il Cavaliere si comporterà “da statista” e che i ministri del Pdl “non hanno lettere” di dimissioni pronte.
E quindi mercoledì potrebbero non offrire al premier neppure dimissioni simboliche, pronte per essere respinte.
Dietro la mansuetudine pidiellina (almeno ieri, oggi chissà ) ci sono due valutazioni.
La prima: la partita in giunta è considerata persa, meglio concentrarsi sul successivo voto in Aula al Senato. Il Movimento 5 Stelle chiede il voto palese (per Beppe Grillo quello segreto è “un abominio”), ma il Pdl non tollera eccezioni. Grillo attacca: “I pdmenoellini hanno fucilato Prodi dietro a una tendina e sono pronti a ripetere le gesta in ogni momento per salvare il loro caro leader Berlusconi”.
C’è anche chi è arrivato a ipotizzare che nel segreto dell’urna i Cinque stelle potrebbero salvare Berlusconi per scaricare poi la colpa sul Pd, facendolo implodere.
Secondo elemento dietro la linea morbida Pdl: c’è grande fermento al centro, dalle parti di Pier Ferdinando Casini e Mario Monti, reduci dalle rispettive feste di partito Udc e Scelta civica. Casini annuncia (per l’ennesima volta) di voler costruire un “Partito popolare italiano”, anche in vista delle europee di primavera 2014, con “con Scelta Civica e parti del Pdl”.
Monti, insofferente al rapporto con Casini, ricorda a Letta che serve “un patto di coalizione come condizione per la nostra permanenza nella maggioranza”.
Insomma: dal centro si cerca di trattenere un pezzo del Pdl nella maggioranza, qualunque cosa succeda a Berlusconi.
Tocca a Renato Brunetta, capogruppo pidiellino alla Camera, fissare il prezzo della tregua: “A giorni ci sarà un decreto di non aumento dell’Iva con relativa copertura. Ve lo dico, è una garanzia”.
Una richiesta, più che una profezia, visto che di quel decreto non si ha notizia alcuna e che la linea di palazzo Chigi è di rimandare tutti gli interventi di politica economica alla legge di Stabilità , a ottobre.
Il Pd è molto preso dalle dinamiche congressuali, il segretario Guglielmo Epifani si limita a un anodino commento: “Se il centrodestra dovesse staccare la spina non stacca la spina al governo ma al Paese”.
Ma ormai è stato scavalcato da Schifani, secondo cui le elezioni “porterebbero il Paese al baratro”.
Stefano Feltri
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Settembre 16th, 2013 Riccardo Fucile
LE ALTERNATIVE SONO DELLA VEDOVA, LO MORO E GIARRUSSO
Stefà no in pole, ma anche Della Vedova, Lo Moro, Giarrusso. Ma soprattutto Stefà no.
Lui, Dario Stefà no di Sel, il presidente della giunta per le elezioni e le immunità del Senato, che finora ha navigato in un mare pieno di scogli a pelo d’acqua senza affondare la nave, potrebbe essere il nuovo relatore sull’affaire Berlusconi.
Un incarico che avrebbe un valore puramente istituzionale, proprio per schiarire un clima che, già così, non potrebbe essere più avvelenato.
A tre giorni dal voto su Berlusconi in giunta, di questo si parla.
L’esito della consultazione appare ormai scontato. Il relatore pidiellino uscente Andrea Augello bocciato.
Com’è prevedibile che cosa succederà dopo, il calendario che tra giunta e aula porterà alla definitiva decadenza del Cavaliere.
Ma proprio su questo percorso, che comincerà giovedì mattina, ha un peso la figura del relatore, colui che non solo farà materialmente la proposta di decadenza, ma che gestirà anche il “processo” in giunta – “processo” pubblico che Stefà no vorrebbe anche mettere sul web per un’immediata fruibilità mediatica e per garantire altrettanta trasparenza – e poi la difficile fase dell’aula.
Saranno giorni pesanti, i prossimi.
Giorni su cui incombe l’aggressività del Pdl, pronto a cogliere ogni slabbratura.
In giunta il cammino è già scritto. Oggi riunione alle 15. Domattina alle 9,anche se Nitto Palma, il presidente della commissione Giustizia, continua a fissare in contemporanea appuntamenti della sua commissione, pur sapendo che ci sono vari membri della giunta impegnati a Sant’Ivo alla Sapienza.
Dopodomani, ancora alle 9, con la replica di Augello, a sera le dichiarazioni di voto, per 10 minuti ciascuno, e il voto.
Otto gruppi, fa 80 minuti. Entro le 22 si saprà chi è per la decadenza di Berlusconi.
A quel punto, ecco il problema del nuovo relatore, scelta che il regolamento affida allo stesso presidente.
Questione di cui ovviamente di sta discutendo. Un dibattito all’interno della giunta e tra i partiti, che si può compendiare nei termini che seguono.
Allora. Pareva certo che il compito dovesse assumerlo un esponente del Pd. Il nome più accreditato era quello di Doris Lo Moro, ex giudice prima in Calabria e poi a Roma, ex sindaco di Lamezia Terme, ex assessore regionale della Calabria.
Autrice, nella scorsa legislatura, proprio di una proposta sulle regole per garantire liste pulite (fuori anche i condannati in primo grado).
Poi il clima politico si arroventa ogni giorno di più, e la decadenza di Berlusconi diventa un affare del governo, una questione su cui può cadere Letta, oggetto di uno scontro durissimo tra Pd e Pdl.
A quel punto, nel Pd, si stanno facendo due conti per capire se davvero conviene che un loro esponente faccia il relatore, il che equivarrebbe a un’ulteriore sovraesposizione.
Il ragionamento in casa dem è questo: noi stiamo applicando la legge, la legge si applica a Berlusconi, quindi votiamo per la sua decadenza.
Politicamente, però, un passo indietro potrebbe essere utile.
Per questo si ipotizza che a svolgere quel ruolo possa essere chiamato Benedetto Della Vedova, l’uomo di Monti in giunta, autore giusto la settimana scorsa di un piccolo “lodo” per uscire dal gap delle pregiudiziali poste da Augello.
Ma anche Sc è in maggioranza. Escluso lui, restano due alternative, scegliere l’M5S oppure l’auto incarico di Stefano.
L’ipotesi Giarrusso – Mario Michele Giarrusso, l’avvocato catanese che è capogruppo dei 5 stelle – rischia però di esasperare ulteriormente il clima.
Rimane Stefà no che affiderebbe a se stesso il mandato.
Nessuna anomalia, basti pensare che è prassi consolidata quella per cui nelle commissioni parlamentari il presidente sceglie di quali disegni di legge essere relatore.
E Stefà no che ne dice? Non dice. A domanda sul relatore risponde: “Non ci ho ancora pensato”.
Evidentemente è già entrato nella parte.
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Settembre 16th, 2013 Riccardo Fucile
IERI PRANZO CON VERONICA… “PREPARANO BLITZ SUGLI SPOT MEDIASET”
Il videomessaggio è stato limato nelle ultime ore ad Arcore, pronto per la messa in onda a metà settimana.
Un ritocco e un aggiornamento, raccontano, rispetto a quello che era stato registrato una settimana fa.
Silvio Berlusconi usa toni aspri, parla di «persecuzione », dando per scontato il primo voto per la sua decadenza in giunta, ma non si sbilancia fino all’apertura immediata della crisi, spiega chi a quel messaggio sta lavorando.
Piuttosto, il ritorno in pubblico, comunque in tv, dopo l’inabissamento di oltre un mese servirà a segnare il lancio ufficiale di Forza Italia.
Rigenerata, rispolverata, pronta per l’uso.
Lascia Villa San Martino, il Cavaliere, lo fa in via eccezionale per un’occasione altrettanto eccezionale: un pranzo domenicale non distante da casa, con la ex moglie Veronica e i figli di seconde nozze a Villa Macherio.
Ci sono ancora trattative aperte sul più oneroso dei divorzi italiani.
Ma diventa l’occasione per parlare anche con la “ex” del suo destino, ora che i rapporti tra i due sono meno gelidi.
L’umore di Berlusconi tuttavia resta nero per quanto sta avvenendo a Roma. «Vogliono farmi fuori, stavolta ci stanno riuscendo, ma se pensano che incasso così, si sbagliano », è lo sfogo a caldo ripetuto ai parlamentari più fidati sentiti poi nel pomeriggio.
Voglia di fallo di reazione, di spaccare tutto, di mandare all’aria il governo, poi i propositi bellicosi rientrano. Il leader per adesso accelera sul partito, costretto com’è a congelare qualsiasi strappo su Letta.
L’attacco frontale e brutale di ieri di Renzi è risuonato come un campanello d’allarme.
«La battaglia congressuale nel Pd potrebbe far saltare tutto, sono loro ad avere voglia di elezioni, ma noi siamo pronti» è stato il commento a caldo col quale Berlusconi ha preannunciato ai suoi il ritorno a Roma dopo quasi un mese di assenza.
Lo farà mercoledì.
Quel giorno è intenzionato a convocare lo stato maggiore, stavolta nella nuova sede di San Lorenzo in Lucina. Verdini tra gli altri ha messo in allerta tutti.
Il lancio di Forza Italia da lì a breve peserà come un segnale di guerra: pronti al voto anticipato, noi ci siamo.
Lungo i 3.800 metri quadrati al primo piano della piazza nel centro di Roma campeggiano simboli e bandiere di Forza Italia ovunque.
Le resistenze degli ex An e le pastoie burocratiche legate al Pdl che hanno frenato finora l’annuncio, sembrano superate e si parte.
Ma i falchi del partito continuano a insistere sulla necessità di aprire una crisi, accettare fin da mercoledì le dimissioni dei ministri.
«Quelli del Pd sono fuori rotta, la Corte europea è una sorta di quarto grado di giudizio, assurdo accelerare in giunta» ripete tra gli altri il sottosegretario Michaela Biancofiore.
Berlusconi morde il freno e l’ultimo argomento tirato fuori mette a tacere tanti: «Se faccio saltare tutto, per ritorsione è già pronto un blitz per colpire le mie aziende».
E fa riferimento a un decreto in cantiere al ministero dello Sviluppo economico, competente alle Comunicazioni.
«Hanno fissato un tetto a ribasso per le pubblicità sulle emittenti tv per mettere in ginocchio Mediaset» è la rivelazione.
Fa capo al democratico Zanonato, quel dicastero, che però annovera Antonio Catricalà viceministro e la fedelissima Simona Vicari sottosegretario.
Abbandonare il governo e le sue pedine strategiche resta, dal suo punto di vista, la più dannosa delle mosse.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Settembre 16th, 2013 Riccardo Fucile
LA POLVERE SOTTO IL TAPPETO DEI CONTI: QUESTA SETTIMANA LETTA PRESENTERà€ LE MISURE DA APPROVARE PER RISPETTARE I VINCOLI EUROPEI DI BILANCIO
La linea di palazzo Chigi è netta e politicamente esplicita: “Non sarà questo governo a portare l’Italia fuori dal tetto del 3 per cento del deficit sul Pil”.
D’altra parte il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni avverte che sul deficit 2013, oggi stimato al 2,9 per cento, ci saranno “scostamenti dal 3 per cento minimi e gestibili”.
Se oggi siamo sopra il 3 per cento e se il governo vuole rimanere comunque sotto il 3, la conclusione è una sola: proporrà al Parlamento interventi per raggiungere l’obiettivo.
Tagli o tasse. E allora si vedrà se qualcuno osa votare contro, se è disposto ad assumersi la patente di irresponsabile che vuole condannare l’Italia alla gogna del ritorno sotto procedura d’infrazione europea.
Ecco quello che bisogna sapere per capire cosa sta succedendo.
Perchè all’improvviso c’è grande allarmismo sulla tenuta dei conti pubblici?
A Roma e Bruxelles c’è interesse a creare un clima che favorisca la stabilità del governo. Ma i numeri sono davvero impietosi. Lo ha ricordato giovedì la Banca centrale europea nel suo bollettino mensile: “C’è un aumento del rischio che l’Italia non raggiunga l’obiettivo del governo sul deficit 2013 (2,9 per cento del Pil)”.
Siamo già sopra il 3 per cento?
Secondo le stime informali che circolano siamo almeno a 3,4-3,5 per cento. Due indizi fanno una prova: l’effetto della recessione è peggiore di quanto scritto nei documenti del governo: il Pil scenderà di almeno 1,7 punti, se non di più. Invece che 1,3, come previsto dai documenti del governo. Secondo indizio: il fabbisogno (la misura di quanto debito serve mese per mese per finanziare le uscite del Tesoro) è molto elevato, ad agosto 60,1 miliardi contro i 33,5 del 2012. In gran parte responsabilità del pagamento dei debiti arretrati della pubblica amministrazione.
Cosa è andato storto?
Quando Mario Monti si è congedato, aveva lasciato i conti in ordine almeno per quanto riguarda il 2013. Ma aveva già spinto al limite la flessibilità ottenuta grazie ai sacrifici degli anni passati: per pagare 20 miliardi di euro di debiti arretrati della Pubblica amministrazione, il deficit di quest’anno sarebbe passato da 2,4 a 2,9.
Poi è arrivato Letta. E, come riassume la Bce, non ha completato le riforme strutturali e ha introdotto nuove incognite, cancellando la prima rata dell’Imu con coperture ballerine e promettendo di eliminare la seconda, senza indicare con precisione risorse alternative. Morale: per quanto creativa, la contabilità pubblica si fonda sull’aritmetica. Se riduci le entrate senza tagliare le spese, il conto finale sballa.
Ma Letta non aveva annunciato più volte, dopo i summit a Bruxelles, che avevamo ottenuto deroghe, flessibilità , 10-15 miliardi per gli investimenti e 2 per il mercato del lavoro?
Quasi tutta propaganda. È un po’ più semplice usare fondi (già stanziati) per infrastrutture e per combattere la disoccupazione giovanile, ma sui saldi di bilancio finali non c’è mai stata alcuna concessione.
Perchè il parametro del deficit è così importante per l’Italia?
Siamo un Paese con un debito altissimo (2.072 miliardi, oltre il 130 per cento del Pil) e con una crescita bassissima da anni. L’unico modo per dimostrare ai nostri creditori che siamo in grado di sostenere l’enorme montagna dell’indebitamento è avere un deficit basso. Perchè il deficit misura la differenza tra entrate e uscite nell’anno in corso (noi siamo in avanzo primario, cioè il Tesoro incassa più tasse di quante spese finanzia, ma al conto poi deve aggiungere circa 85 miliardi di euro di interessi sul debito).
L’Italia rischia di tornare sotto procedura d’infrazione per deficit eccessivo?
Purtroppo sì. La Commissione europea il 29 maggio scorso ha spostato l’Italia nella lista dei Paesi virtuosi, chiudendo la procedura d’infrazione per deficit eccessivo aperta nel 2009. Quella decisione si basava però sui conti del 2012 e sulle promesse di Letta per il 2013. Ora rischiamo di finire come Malta, che dopo soli sei mesi dalla riabilitazione è tornata nella lista nera dei Paesi con deficit fuori controllo. Le conseguenze di una procedura sono di due tipi: minore credibilità sui mercati (quindi sale il tasso di interesse da pagare sul debito) e limitazioni all’uso dei fondi comunitari. Se il problema persiste, arrivano multe.
Perchè ci hanno raccontato per tanto tempo che il problema della finanza pubblica era risolto?
Esigenze della politica. Letta doveva vendersi qualche successo europeo e illudere il Pdl che ci fossero soldi da spendere, Berlusconi e i suoi avevano promesse da mantenere (soprattutto sull’Imu), il Pd non aveva intenzione di confermare la sua fama di partito delle tasse e dei sacrifici, ogni problema sollevato da Mario Monti sarebbe stato percepito come un’ammissione di fallimento del suo esecutivo tecnico.
Cosa succederà adesso?
Entro il 20 settembre, cioè venerdì prossimo, il governo dovrà presentare la nota di aggiornamento al Def, il documento di economia e finanza. E adatterà le previsioni di crescita del Pil da -1,3 a -1,7. Confermerà il rispetto del tetto al 3 per cento ma promettendo un intervento correttivo. Entro il 15 ottobre Letta e Saccomanni dovranno mandare a Bruxelles una sorta di bozza della legge di Stabilità in cui sono tenuti a spiegare come intendono mantenere gli impegni presi. Poi a novembre arriveranno le previsioni economiche d’autunno della Commissione europea: se Bruxelles non dovesse avere abbastanza elementi per considerare credibili le promesse italiane e dovesse certificare un deficit sopra il 3 per cento, sarebbe il primo passo di una nuova procedura d’infrazione. Con immediata perdita di credibilità del-l’Italia sui mercati finanziari.
Quali sono i piani di Letta?
Il governo conta di spendere il tesoretto lasciato da Monti. Secondo i documenti ufficiali, nel 2013 l’Italia pagherà in tutto 90 miliardi di interessi sul debito, nel 2014 95 e nel 2015 100. Ma se lo spread resta basso, queste cifre si possono rivedere al ribasso di molto. E la differenza si può spendere per trovare copertura a interventi come la riduzione del cuneo fiscale. È chiaro che è una scommessa: se poi il costo del debito dovesse tornare a salire, saremmo completamente senza cuscinetti protettivi.
Stefano Feltri
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