Settembre 12th, 2013 Riccardo Fucile
IL REGOLAMENTO DE SENATO IMPORREBBE A TUTTI I PARTITI DI PUBBLICARE I LORO CONTI SU INTERNET
Trasparenza? No grazie.
Nonostante scandali e proteste sui costi della politica, i partiti ancora non si sono messi in regola con le nuove norme approvate mesi fa che impongono la pubblicazione on line delle spese dei gruppi parlamentari.
Lo rivela un’inchiesta del settimanale ‘l’Espresso’ nel numero in edicola venerdì 13 settembre.
Mancano all’appello i conti del Pdl e della Lega. Compito in bianco anche per Scelta Civica.
E perfino i Cinquestelle, sbarcati in parlamento cavalcando le campagne anticasta, si sono adeguati all’andazzo generale: i conti restano nei cassetti .
Come rivela ‘l’Espresso’, solo il Pd e il gruppo dei partiti autonomisti (altoatesini, valdostani e altri minori) hanno messo in rete sul loro sito internet il dettaglio delle spese dei primi quattro mesi della legislatura, da marzo a luglio.
Questo, infatti, è quanto prevede il nuovo regolamento approvato dal Senato, il 16 gennaio, in piena campagna elettorale.
Ogni quadrimestre, recita la norma, ciascun gruppo deve pubblicare in rete “gli estremi dei mandati di pagamento, assegni e bonifici bancari”.
Le disposizioni del Senato sono molto più stringenti (chissà perchè) rispetto a quelle sulla stessa materia varate dalla Camera solo un paio di mesi prima (novembre 2012). A Montecitorio è sufficiente presentare un resoconto annuale della gestione del gruppo, accompagnato dall’ok formale di una società di revisione.
Non è invece richiesta la pubblicazione online dei giustificativi di spesa, obbligatoria al Senato.
Queste regole sono però rimaste in buona parte lettera morta, visto che la maggioranza dei partiti ha pensato bene di far finta di niente.
E così, alla voce trasparenza del sito “PdlSenato” non c’è niente che faccia riferimento al rendiconto di entrate e uscite.
Idem per quanto riguarda Scelta Civica.
E il gruppo Grandi Autonomie e Libertà , meglio noto come Grande Sud, alla voce amministrazione ha messo in rete una pagina vuota.
Dai numeri del rendiconto si scopre invece che il gruppo dei senatori Pd ha speso un milione e 350 mila euro alla voce stipendi e contributi dei 46 dipendenti (più sette collaboratori) del gruppo.
Poi ci sono le spese varie. Alla voce “auto presidente” sono associate uscite per oltre 2 mila euro tra metà marzo e fine luglio.
Per presidente si intende con ogni probabilità il capogruppo Luigi Zanda.
Vittorio Malagutti e Andrea Palladino
(da “l’Espresso“)
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Settembre 12th, 2013 Riccardo Fucile
RIUNIONE CON AVVOCATI E FIGLI: TEME IL SEQUESTRO DELLE AZIONI
Altri sette giorni di fibrillazione, nell’attesa che la Giunta si decida a decidere. Ancora una settimana appesa agli umori del «pregiudicato che tiene tutti in ostaggio», come nella spietatissima barzelletta propalata dal web.
Fino a mercoledì chissà quante altre volte la fine del mondo sarà annunciata e poi rimangiata…
Gli amici del Cavaliere ci scherzano bonariamente («Oggi l’hai visto su? Lo troveremo giù?»).
Sugli alti e bassi di Berlusconi, Vespa regola il suo barometro serale.
Ma alla gente, quella che l’indomani deve pagare le bollette, che è in ansia per una possibile guerra alle porte di casa, che dalla politica cerca soluzione ai propri guai, da tutto questo sta ricavando noia.
Non risulta ci siano sondaggi in grado di quantificare al Cavaliere questo fastidio collettivo per i suoi tentennamenti.
Ma tra i più saggi intorno a lui, il pericolo dell’assuefazione è ben colto. Come nella favola di Esopo, evocare tutti i santi giorni la crisi senza poi mai metterla in atto determina alla lunga l’«effetto sbadiglio», la sensazione che neppure nelle minacce Silvio vada preso sul serio.
Solita riunione con gli avvocati Coppi e Ghedini, consueta partecipazione dei figli al dibattito mille volte ripetuto se convenga domandare la grazia.
I rampolli del Cavaliere pare abbiano sottoposto al padre una richiesta di clemenza già scritta e solo da firmare. Lui, per il momento, si sarebbe rifiutato.
Corre voce che la vera segretissima ragione di questi ripetuti summit consista in una sistemazione patrimoniale avviata da Berlusconi a favore dei figli, una corsa contro il tempo per evitare contraccolpi giudiziari della condanna (sequestri di pacchetti azionari e provvedimenti simili) sui vasti interessi dell’azienda di famiglia. Sarà una coincidenza, ma ieri il titolo Mediaset è passato parecchio di mano con un aumento in Borsa di oltre il 3 per cento.
Sebbene il relatore Augello sia riuscito a rinviare il voto fino a metà della prossima settimana, compiendo quasi un miracolo, per il Cav è troppo poco, bisogna tergiversare all’infinito. La Santanchè gli sussurra all’ orecchio: «Fai cadere il governo, così si tornerà alle urne e il Senato non farà in tempo a votare la tua decadenza».
Su questo lei e Quagliariello giorni fa si erano già amabilmente confrontati, poichè il ministro delle Riforme è certissimo che le elezioni anticipate esistano solo nella mente dei «falchi», Napolitano non le concederà mai, e comunque si voterebbe troppo in là per scongiurare la decadenza…
Spiega uno dei rari saggi rimasti nel Pdl: «Tutti stanno recitando una commedia per far contento l’impresario, cioè Berlusconi. Ma si capisce che già pensano alla prossima scrittura…».
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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Settembre 12th, 2013 Riccardo Fucile
I PM APRONO UN’INCHIESTA SUI RAPPORTI TRA BANCA E POLITICA
Una spartizione tra Pd e Pdl dove la sinistra ha sempre prevalso e poi è scesa a patti.
Accordi su nomine e affari che venivano discussi a livello locale e avallati dai vertici nazionali del partiti, passando per la presidenza del Consiglio.
Nell’inchiesta sulla gestione del Monte dei Paschi di Siena, si apre il capitolo di indagine più delicato.
È quello che porta direttamente nelle stanze della politica romana.
Sono le deposizioni degli amministratori locali, di coloro che per statuto devono indicare i nomi da sottoporre alla scelta per la composizione dei consigli di amministrazione, a delineare quanto è accaduto negli ultimi anni.
Svelando come alla fine ci fosse sempre la necessità di trovare un’intesa che potesse garantire le varie parti.
Spesso ignorando quali fossero le reali esigenze finanziarie e soprattutto le garanzie per gli azionisti.
La maggior parte dei verbali sono stati depositati all’inizio di agosto scorso, quando i pubblici ministeri Antonio Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso hanno chiuso la prima istruttoria sull’acquisizione della banca Antonveneta avvenuta alla fine del 2007 per 9,3 miliardi di euro, con una plusvalenza calcolata in almeno tre miliardi di euro rispetto a quanto era stata pagata tre mesi prima dalla banca Santander.
«Le anime dei Ds»
Era stato il presidente della Fondazione Gabriello Mancini il più incisivo nel delineare i meccanismi di designazione in un interrogatorio del 31 gennaio 2013: «Era il presidente Giuseppe Mussari che decideva le nomine e mi informava. Il suo riferimento era Franco Ceccuzzi, di area dalemiana. Posso dire che aveva un cordiale rapporto anche con Walter Veltroni quando divenne segretario del Pd. Il punto di riferimento nel Pdl era l’onorevole Denis Verdini. Altra persona con cui aveva rapporti era Gianni Letta. Ricordo che Letta affermava che Mussari era il suo riferimento in banca, mentre io ero il suo riferimento in Fondazione».
Altri importanti dettagli li ha forniti ai magistrati Maurizio Cenni, sindaco di Siena dal 2001 al 2011.
Viene ascoltato come testimone il 4 ottobre 2012 e dichiara: «Devo dire che le diverse anime dei Ds erano fortemente interessate alla gestione di Banca Mps. È sufficiente leggere i giornali dell’epoca per ricordare ciò che l’onorevole Vincenzo Visco o l’onorevole Massimo D’Alema, ad esempio, pensavano della banca. Affermavano che era antistorico che una realtà di soli 60 mila abitanti potesse gestire, attraverso gli enti locali, un gruppo bancario importante comne Mps. Affermavano che la banca doveva crescere, doveva acquisire altri gruppi bancari, essere più presente sul mercato italiano e internazionale. L’acquisizione di Antonveneta avviene anche in ragione della pressione psicologica che vi era sulla banca».
I cinque componenti
In uno stralcio di verbale reso noto qualche settimana fa, Fabio Ceccherini il presidente della Provincia di Siena dal 1999 al 2009, chiarisce che nel 2006, per le nomine di Mancini a presidente della Fondazione e Mussari a presidente della banca, di averne parlato «con Cenni, Ceccuzzi e con Franco Bassanini che era stato eletto nella circoscrizione di Siena e assieme all’onorevole Giuliano Amato erano quelli maggiormente attenti al territorio e alla banca. Ebbi colloqui anche con D’Alema che esprimeva perplessità sulla governance»
Altri dettagli sono stati aggiunti dal politico nel corso di quell’interrogatorio del 4 ottobre 2012. In particolare Ceccherini specifica che «il presidente nomina cinque componenti della deputazione» e sostiene di aver cercato sempre «di privilegiare il territorio per la nomina degli stessi». Secondo lui «c’era interesse, ma non ingerenza da parte dei responsabili nazionali dei Ds in ordine alle scelte riguardanti la banca». Ma specifica come proprio D’Alema «riteneva il sistema di nomine medievale perchè troppo legato agli enti locali e auspicava un’apertura, un suo maggior radicamento sul territorio nazionale e una politica industriale che fosse più attenta alle esigenze del mercato»
L’accordo con il Pdl
Agli atti dell’inchiesta c’è la bozza di un patto siglato tra Ceccuzzi e Verdini predisposto il 12 novembre 2008 per la spartizione delle nomine. In calce ci sono i nomi, ma non le firme ed entrambi hanno dichiarato che «si tratta di una bufala».
In realtà le «regole» fissate in quel documento sono le stesse poi ripetute a verbale da numerosi protagonisti come il senatore del centrodestra Paolo Amato che ai magistrati, parlando della nomina di Alberto Pisaneschi nel Cda di Mps in quota Pdl, aveva dichiarato: «Pisaneschi non è stato nominato da Verdini, ma è stato il frutto del “groviglio armonioso” senese. Poi Verdini lo ha gestito».
Una linea confermata da Mancini secondo il quale «per questa scelta è stato necessario l’avallo di Gianni Letta e il via libera finale di Silvio Berlusconi».
Non solo. Chiarisce Mancini: «Dopo l’acquisizione, la presidenza di Antonveneta venne affidata a Pisaneschi su indicazione di Mussari. Egli motivava questa sua indicazione con opportunità politica poichè Antonveneta aveva i suoi maggiori interessi in Veneto, regione a forte connotazione politica di centrodestra e dunque era opportuno che il presidente fosse della medesima area politica. Mussari mi disse di aver informato il presidente della Regione Giancarlo Galan dell’acquisizione di Antonveneta».
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera“)
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Settembre 12th, 2013 Riccardo Fucile
GOVERNO ALLA RICERCA DEI FONDI PER ABOLIRE L’IMU ED EVITARE AUMENTI SU IVA E TICKET
Confindustria e sindacati fanno pressing per il taglio del cuneo fiscale, il ministro per lo Sviluppo economico Zanonato ricorda che è una questione complicata, sottolinea la necessità di una «compatibilità » con i conti pubblici e mette sul piatto anche la necessità di scongiurare l’aumento dell’Iva.
A circa un mese dalla data ultima per il varo delle legge di Stabilità (entro il 15 ottobre deve essere presentata al Parlamento e a Bruxelles), mentre il paese è appeso all’affaire Berlusconi, la questione dei conti pubblici torna in primo piano.
Molte le spese: dagli interventi per rilanciare l’economia a quelli per evitare l’aumento delle tasse. Gli uni più cari al Pd, gli altri più in sintonia con il Pdl.
I primi conteggi dei tecnici (tornati ormai tutti al lavoro dopo le brevi vacanze estive) parlano di una cifra boom: al governo servono circa 25 miliardi (di cui 3,8 per il solo 2013).
Risorse sono infatti necessarie per accantonare definitivamente l’ingorgo fiscale del 2013 ed evitare di riproporlo nel 2014; per scongiurare l’aumento dei ticket sugli esami specialistici dal 1° gennaio del 2014; per intervenire sul cuneo fiscale (per imprese e lavoratori), la cassa in deroga e dare corso alle spese obbligatorie.
Un menù molto pesante, anche in vista della possibile ripresa, da giocare entro in vincoli europei.
Una conferma delle intenzione dell’esecutivo è giunta ieri dal premier Enrico Letta: ieri ha detto in Senato che il taglio del costo del lavoro è «il cuore delle politiche di crescita».
Sul lato del «dare» i conti sono presto fatti: ci vogliono 4,6 miliardi per l’Imu prima casa (2,3 per chiudere la partita 2013 e altrettanti per il prossimo anno in attesa dell’introduzione della nuova tassa sui servizi).
Senza considerare che occorrono anche 600 milioni per alleggerire l’Imu sui capannoni industriali come chiedono con forza le associazioni imprenditoriali.
La partita tasse, eredità del 2013, si completa con l’Iva: 950 milioni per quest’anno e 3,8 per il prossimo.
Senza dimenticare i 2 miliardi per evitare l’aumento dei ticket nell’ambito della ridefinizione del «patto per la salute» per il triennio 2014-2016.
Inoltre ci sono le solite spese obbligatorie: dalle missioni militari internazionali, alla cassa integrazione in deroga (300 milioni per quest’anno e 2 miliardi per il 2014)
A queste somme, già ingenti, vanno aggiunti i 4-5 miliardi per l’operazione cuneo fiscale agendo semplicemente sull’Irap delle imprese e, naturalmente, altri 4-5 miliardi per rimpinguare le buste-paga di lavoratori e pensionati attraverso un aumento delle detrazioni Irpef
Si arriva così i 20,7 miliardi per il 2014 e si raggiungono i 3,8 per l’anno in corso.
Non significa che la manovra 2014 peserà tanto, perchè molto si potrà giocare sul piano delle risorse: nuova spending review, cessione patrimonio immobiliare e soprattutto risparmio della spesa per interessi dovuta allo spread notevolmente raffreddato quest’anno.
Sperando anche nell’aiuto della possibile ripresa che porterebbe un maggior gettito nelle casse dello Stato.
Roberto Petrini
(da “La Repubblica“)
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Settembre 12th, 2013 Riccardo Fucile
A FRASCATI, ALLA SCUOLA DELLA FONDAZIONE MAGNA CHARTA: MINISTRI ED ESPONENTI DEL PD E DEL PDL CELEBRANO LE LARGHE INTESE
Sono loro i nuovi padri costituenti, almeno così dicono di sentirsi: “Se tornassero in vita benedirebbero ciò che stiamo facendo: rendere la Costituzione più snella, più moderna, al passo con i tempi”.
Quattro le voci del dibattito della Fondazione Magna Charta, “Le riforme per una Carta sempre giovane”: Dario Franceschini e Luciano Violante del Pd, Gaetano Quagliariello e Renato Schifani del Pdl. Un solo afflato: “Cambiare la Costituzione è la madre di tutte le battaglie”.
Ma per vincerla Violante non smette di invocare la pacificazione: “Fare politica è sforzarsi di capire le ragioni degli altri. Occorre superare le divisibilità , recuperare il valore positivo dell’eresia perchè l’affermazione di un principio diverso da quello che si combatte non è sintomo di subalternità , dobbiamo fare lo sforzo di capire cosa pensa l’altro. Questo Governo che molti elettori del Pd e del Pdl considerano una sciagura è la sola occasione per uscire dall’immobilismo e mettere in campo una grande riforma”.
E prima di terminare, riferendosi alle firme raccolte dal Fatto, si toglie un sassolino dalla scarpa: “Chi ha firmato contro, anche intellettuali di tutto rispetto, lo ha fatto per mettersi in mostra”.
E aggiunge: “Da molti anni le legislature durano in media non piu di 18 mesi ed è una sciagura”. Raccoglie Quagliariello che assicura con una battuta: “Noi dureremo fino alla fine”. Applauso corale dei laureandi, dottorandi della Summer school della fondazione — costo 300 euro per 4 giorni vitto, alloggio al Grand Hotel Villa Tuscolana, claque compresa.
Per Violante, “i partiti vivono un rapporto difficile con la società mentre all’interno ci sono persone che hanno coraggio, capacità e respiro nazionale. Occorre liberarsi del fantasma del tradimento: se parlo con Renato (Schifani, ndr) sono un traditore e viceversa, invece con l’avversario si parla perchè chi mi impedisce di farlo è debole, non ha la forza di sostenere la propria idea”.
E Violante per Quagliariello “è un uomo con idee forti e principi profondi, diversi dai miei che rispetto ed è anche un amico personale”.
Tant’è che i due prima del dibattito si concedono una passeggiata solitaria nel parco. “Ho appena deciso con l’amico Gaetano (Quagliariello, ndr)”, rivela a chiusura del suo intervento Violante, che “sul frontespizio del testo di riforma della Costituzione scriveremo una frase di Machiavelli: ‘In ogni nostra deliberazione si debba considerare dove sono meno inconvenienti e pigliare quello per miglior partito perchè tutto netto, tutto senza sospetto non si trova mai’”.
Ecco il manifesto delle larghe intese: secondo Dario Franceschini “è l’amore per il Paese a tenere insieme. Usciremo con più cicatrici che medaglie — prosegue — ognuno delle due parti pagherà i suoi prezzi con il proprio elettorato ma alla fine la missione (tiene a sottolineare Schifani: “Ci è stata affidata da Napolitano sceso in campo a richiamare tutti all’equilibrio”) sarà compiuta”.
“Questa che molti lettori del Pd e del Pdl vedono come una sciagura è un’occasione da non perdere. C’è grande rispetto tra noi” dice Schifani. E quando gli chiediamo di commentare le parole di Mara Carfagna intervenuta nel dibattito precedente, che ha definito Massimo D’Alema e Rosy Bindi “due vecchi tromboni”, risponde: “Ma queste sono solo parole”, dice, come a sottintendere che invece i fatti li vedono uniti: cambiare la Costituzione, seppure “l’attuale struttura dei partiti non sia la situazione migliore” ammette Violante perchè “c’è un partito carismatico (il Pdl) in crisi e un altro (il Pd) confuso per motivi interni ed esterni e il M5S a sfasciare il telaio”. Grillini che la Carfagna definisce “mediocri” mentre sbirciando da un foglietto declama Einstein: “I grandi spiriti hanno sempre incontrato l’opposizione dei mediocri”.
Sandra Amurri
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Settembre 12th, 2013 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEL PAPA SUI CONVENTI DI LUSSO …”IL BUCARDO” GESTISCE DELLE STANZE A 5 STELLE IN SETTE PALAZZI DEL CENTRO DI ROMA… A CAPO DELLA SOCIETA’ UN IMPRENDITORE FINITO IN MANETTE AD APRILE
Un pizzico di generosità c’è comunque, basta coglierla.
Volete scoprire, vivere, dormire, svegliarvi in alcuni dei più lussuosi e affascinanti palazzi di Roma, dentro stanze storiche?
Non c’è problema, ci pensa Propaganda Fide, e per lei l’agenzia che ha ricevuto il mandato per affittare le suite in sette strutture, tutte centrali, appena ristrutturate, belle e infiocchettate e soprattutto a prezzi fuori-mercato: per due notti, a metà settembre, la richiesta è di appena 350 euro complessivi, quando in zona, per un pari livello, la cifra può anche quadruplicare, quintuplicare e salire ancora. Miracolo della Fide
Ma la generosità non si esaurisce solo nell’offerta al pubblico, tocca anche la gestione degli immobili, affidata a “il Burcardo srl”, società fondata nel 2008, con amministratore tal Maurizio Stornelli, fratello di Sabatino, ex dirigente di Finmeccanica, ed ex amministratore delegato della Selex Service Management.
I due, nell’aprile scorso, sono stati coinvolti nell’inchiesta napoletana riguardo l’appalto Sistri, la tracciabilità dei rifiuti e “la violazione della normativa sui contratti pubblici”.
Il bilancio: 22 arresti, tra i quali i fratelli Stornelli, nati ad Avezzano, paese celebre per aver dato i natali a Gianni Letta, ma è un dettaglio.
Non lo è l’ultimo contratto stipulato da Propaganda Fide con il Burcardo, datato 28 aprile, quindi successivo allo scandalo, all’arresto e dopo l’insediamento di papa Francesco e il nuovo corso imposto in Vaticano.
Sobrietà , solidarietà , niente sfarzi, accoglienza ai poveri sono concetti lontani dalle stanze proposte, resta solo il concetto di “disponibilità ”, a secondo dei giorni.
“Mi dispiace, siamo pieni”. È sicura? “Sì, tutto occupato fino al mese prossimo”. Ma neanche una stanza libera? Non importa in quale delle sette strutture. “Forse ne abbiamo una e per sole due notti”. È bella? È all’altezza di quelle pubblicate sul sito? “Guardi, le nostre suite sono una meraviglia, una più bella dell’altra”.
Così pare. Affreschi, letti a baldacchino, frutta fresca, drappi, quadri, storia dai Borgia ai più romanzati cardinali della città santa: “Sarete in una dimora secentesca di grande fascino ed eleganza affacciata su una piccola corte dove, secondo cronache vaticane, sembra che Caravaggio abbia ucciso Ranuccio Tommasoni”, recita la pubblicità .
Il Burcardo non ha conosciuto fermate o flessione. Anno dopo anno, nonostante i cambi ai vertici di Propaganda Fide: ora c’è il cardinale pugliese Fernando Filoni, Maurizio Stornelli ha ricevuto in gestione questi vantaggi antichi che godono di agevolazioni fiscali come se fossero un convento di suore di clausura.
E quindi pazienza per le parole di papa Francesco rispetto Chiesa troppo terrena: “Non trasformate i conventi in alberghi, dateli ai rifugiati”.
Propaganda Fide è il dicastero che coordina le attività missionarie, incluso un patrimonio immobiliare che invade l’intera capitale, in gran parte ricevuti come donazioni.
Le residenze gestite dal Burcardo sono state donate negli anni Trenta.
A Roma, molti palazzi di questo tipo venivano affittati ai ristoratori dei Castelli con canoni di cortesia e carità o ai più poveri del quartiere.
Negli ultimi vent’anni, soprattutto con il mandato del cardinale Sepe, si sono ripetuti gli sfratti e le conversioni in albergo o camere di pregio.
Altro che missionari. Con scandali su scandali, smentite e nuove rivelazioni
In attesa di un seguito alle parole di papa Francesco, chi vuole fare una passeggiata dentro la storia romana sa dove andare.
Sempre se ha la fortuna di trovare una stanza libera.
Alessandro Ferrucci e Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 12th, 2013 Riccardo Fucile
I CINQUESTELLE CAMBIANO LA STRATEGIA MEDIATICA, LA TV NON E’ PIU’ IL NEMICO: DIPENDE DA CHI CI VA
Qualche sera fa se ne erano accorti solo i nottambuli.
Nella nuova striscia notturna de La 7 -Nightline — il capogruppo al Senato Nicola Morra sedeva e discuteva accanto al pdl Lucio Malan.
Ma come? Niente intervento esterno? Niente angolino separato?
Ebbene no, indietro tutta.
La strategia comunicativa del Movimento è cambiata. La tv era il nemico, un tempo (una scusa buona per cacciare Favia, Salsi, Mastrangeli).
Adesso la tv serve, eccome.
Così, scesi dal tetto sabato scorso, i 12 deputati in difesa della Costituzione, sebbene accolti da appena cento persone in piazza, ripetevano: «È stato un successo, siamo andati su tutti i tg».
E ieri l’argine è definitivamente franato nel momento incui Luigi Di Maio dibatteva con Debora Serracchiani a 8 e 1/2 a suon di «però se non mi fa parlare».
Precedendo di poco le performance di Nicola Morra a Virus e Vito Crimi a La gabbia.
Non c’è niente di casuale, in questa invasione di 5 stelle sul piccolo schermo. «Evitiamo i pollai e il plasticume di certe trasmissioni — dice il consulente della Comunicazione Claudio Messora all’Adnkronos — ma non rifuggiamo il confronto». Poi rivela: «Anche Grillo e Casaleggio incontreranno presto i giornalisti. Tra due settimane ci sarà la prima conferenza stampa a Milano. Ne prevediamo due al mese».
Nel frattempo, domani, i parlamentari già prescelti andranno al terzo “corso di comunicazione” alla Casaleggio Associati.
Sono 12, numero apostolico che da quelle parti sembra piacere.
In teoria dovrebbero turnare, ma non si è ben capito quando, nè per scelta di chi.
E che importa se il regolamento dice: «Evitare i talk show», e se sul suo altare si sia consumata più di una espulsione.
Se lo decidono Grillo e Casaleggio, le deroghe sono ammesse, salvo poi brandire le “tavole della legge” davanti ai pericolosi “dissidenti”.
Anche ieri, alla Camera, mentre in aula Paolo Bernini rammentava — ahinoi al mondo che «sull’11 settembre non ci sono prove», e che fu «un lavoro interno » agli Stati Uniti, uno scorato Tancredi Turco attaccava Casaleggio: «Noi non possiamo confonderci col Pd e lui può confondersi con Cernobbio?».
Poi la tesi, ormai diffusa: «Quel che serve è un governo di scopo su legge elettorale e di stabilità . A decidere dev’essere la Rete».
Il “guru” è furioso, con chi lo attacca.
«Li voglio fuori», è la frase risuonata nel quartier generale dopo le critiche degli ultimi giorni. Intanto, però, gioca una sua strana partita.
E in una pausa dei lavori di Cernobbio posa senza cravatta, in esclusiva per il settimanale della famiglia Berlusconi Chi.
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica“)
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Settembre 12th, 2013 Riccardo Fucile
CINQUE TALK SHOW UN UNA SERA, ROBA DA MASOCHISTI
“Non se ne può più di sentire questa gente!» sbotta Daniela Santanchè quando la mezzanotte è scoccata già da un pezzo, interpretando senza saperlo il sentimento dell’eroico telespettatore che voleva capire cosa sta succedendo.
E dunque s’è pazientemente sorbito uno dopo l’altro tutti i talk show che hanno riaperto i battenti, ovvero – in ordine di apparizione – Otto e mezzo, Quinta Colonna, Ballarò, Porta a Porta e Matrix.
A quell’ora, proprio quella che Marzullo presidiava per avvertirci che «un giorno è appena finito e un nuovo giorno è appena iniziato», davvero nessuno ne può più di sentire la solita compagnia di giro – a cominciare proprio dalla Santanchè – che ci ripete sempre le stesse argomentazioni, sull’ineluttabile necessità di far decadere Berlusconi «perchè la legge è uguale per tutti» o sull’insopprimibile suo diritto di restare al suo posto «perchè la legge Severino è incostituzionale»
D’accordo, è il fatto del giorno, il caso della settimana e forse anche l’avvenimento dell’anno, ma il non-processo a Berlusconi davanti alla giunta delle Immunità – organo di cui il telespettatore medio sconosceva finora l’esistenza – ha investito le scalette dei talk-show come un tornado caraibico, risucchiandoli tutti contemporaneamente in un triangolo delle Bermude che ha come angoli vivi l’aula della giunta, la villa di Arcore e il palazzaccio della Cassazione.
E certo il sogno di tutti i conduttori sarebbe stato quello di portare in studio il Caimano ferito, ma devono purtroppo accontentarsi dei suoi portavoce in servizio permanente effettivo e dei suoi avvocati di complemento.
Guidati per l’appunto dalla “pitonessa” Santanchè, che una sera veste di rosa e la sera dopo passa al rosso, ma dalla borsetta tira fuori sempre le stesse argomentazioni, aguzze e roventi ma ormai così prevedibili che le conosciamo a memoria, parabole di iperboli che arrivano tutte nello stesso punto: «Quella condanna non è valida perchè quei giudici appartengono tutti a una setta segreta che vuole lo scalpo di Berlusconi».
Due talk show sulla Rai – Ballarò su RaiTre e Porta a porta su RaiUno – altri due sulle reti del Cavaliere – Quinta Colonna su Rete4 e Matrix su Canale 5 – più Otto e mezzo su La7, e fare zapping era inutile perchè ci si imbatteva sempre in Berlusconi (o meglio: nel suo non-processo al Senato), con i suoi difensori d’ufficio sparpagliati qua e là , Sallusti dalla Gruber, Capezzone e Feltri da Del Debbio, Nunzia De Girolamo da Floris, Brunetta da Vespa e addirittura una coppia (Cicchitto e Santanchè) a Matrix, forse per rispettare la par condicio tra falchi e colombe di Palazzo Grazioli.
Nemmeno il nuovo conduttore di Matrix – l’esordiente Luca Telese con i suoi baffetti alla Peppino – è riuscito a sottrarsi al menu di giornata, e dopo averci promesso di consegnarci a ogni puntata «un dubbio in più e una cosa che non abbiamo visto prima » è atterrato sul terreno morbido di un’intervista senza pepe a Guglielmo Epifani («Alla Cgil lo chiamavano Harrison Ford»), ha tirato fuori solo all’una di notte, sprecandolo, un servizio sulle pensioni d’oro e quando è approdato all’immancabile dibattito pro e contro Berlusconi s’è beccato persino una ramanzina dalla solita Santanchè, che ovviamente lì si sente a casa sua: «Non le venga l’idea di fare a Mediaset peggio di quello che fate sulle altre reti!».
Non avendo il ritmo e la grinta di Mentana, ma neppure la prontezza di riflessi di Alessio Vinci, Telese è bravo ad accendere lo scontro in studio ma purtroppo non altrettanto a dominarlo, e dunque bisogna amare la caciara per goderselo.
Tranquillizzante, come al solito, Paolo Del Debbio, che con la sua aria da buon padre di famiglia ha spiegato ai suoi telespettatori di cosa sta discutendo il Senato: «Se oggi fanno una legge che vieta di portare i baffi, possono condannarmi perchè li portavo dieci anni fa?».
Ci vuol poco a farsi capire, basta aggiustare un po’ la realt�
A Ballarò, Floris è riuscito a non partire con Berlusconi intervistando in diretta Domenico Quirico, finalmente senza la Bonino, dopodichè ha scelto di evitare la rissa invitando sul casus belli due contendenti senza la bava alla bocca (Nunzia De Girolamo e Gianni Cuperlo).
Illuminante, in compenso, la battuta di un Crozza in gran forma: «Se non si può condannare chi ha preso dieci milioni di voti, io che ho 300 mila “mi piace” su Facebook ho diritto all’abbuono delle multe? ».
Chiudeva Vespa, sempre uguale a se stesso, con un Brunetta caricato a molla e disposto persino a negare che la legge Severino sia una vera legge («No, è una legge delega!»), e il candido capogruppo del Pd Roberto Speranza, senza scrivanie di ciliegio e senza plastici del luogo del delitto.
Al loro posto, solo un barometro che Vespa – prudentemente – aveva messo su “pioggia”. Divisi su tutto, Brunetta e Speranza gli hanno intimato all’unisono di spostare la lancetta: «Lo metta su tempesta».
E questa previsione è stata l’unica vera notizia della serata.
Sebastiano Messina
(da “La Repubblica“)
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Settembre 12th, 2013 Riccardo Fucile
PER DIFENDERE UN CONDANNATO SI ARRIVA A SMINUIRE LA PIAGA DEL FEMMINICIDIO E DELLE VIOLENZE SESSUALI… IL COORDINATORE PDL: “LO HANNO AFFISSO LE DONNE, NON LO TOGLIEREMO”, COME SE FOSSE UNA GIUSTIFICAZIONE AL CATTIVO GUSTO
“La giustizia è più stuprata delle donne e il suo stupro il più impunito dei delitti”: questo il cartello che si vede nella sede del Pdl provinciale, e ripreso da Giovanni Paglia (Sel) che parla di un fatto che “lascia senza parole”.
Secondo il deputato, si tratta di un “farneticante manifesto” in un Paese che “vive ogni giorno la tragedia del femminicidio, che non riesce a trovare le risorse per finanziare provvedimenti a favore delle donne vittime di violenza, che è ricattato quotidianamente da un pregiudicato per frode fiscale, Silvio Berlusconi. Quel manifesto va rimosso immediatamente, ma soprattutto va rimosso dal paese il delirio di un partito che quotidianamente ne avvelena la vita pubblica. Vergognatevi signori del Pdl, ammesso che ne siate ancora capaci”.
Nel coordinamento provinciale del partito berlusconiano, tuttavia, non ci si scompone: “Quel manifesto – spiega Alberto Ancarani, coordinatore del Pdl – lo hanno attaccato le nostre donne, volontarie. Non ne ho la paternità , ma non mi dissocio nemmeno. E sicuramente non lo toglieremo perchè ce lo dice Paglia, anzi”.
Il responsabile azzurro avrebbe sicuramente acquistato più consensi e credibilità se si fosse limitato a scusarsi, ma l’intelligenza e la sensibilità non sono notoriamente merce che si acquista a peso.
A quando la difesa dei violentatori e dei corruttori di minorenni?
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