Settembre 17th, 2013 Riccardo Fucile
DUE LEGALI, SEDICENTI “SEMPLICI CITTADINI”, CERCANO DI STOPPARE LA DECADENZA, MA I FATTI ESPOSTI SONO UNA BUFALA… MALAN E ALFANO CAVALCANO IL RICORSO, MA DA PALAZZO GRAZIOLI ARRIVA LA SECCA SMENTITA: “RICORSO NON CONCORDATO E NON CONDIVISO”
Un ricorso al procuratore generale della Cassazione per chiedere la nullità della sentenza di condanna nei confronti di Silvio Berlusconi per un difetto di composizione del collegio giudicante.
Una sorta di inedito “quarto grado di giudizio“, insomma, dato che le sentenze di Cassazione sono per definizione inappellabili, salvo casi molto specifici di errori materiali o la richiesta di revisione del processo se emergono fondamentali fatti nuovi. Comunque sia, è l’ultimo colpo di teatro del fronte berlusconiano per fare fumo intorno alla decadenza da senatore in giunta a Palazzo Madama, dove il documento è stato depositato stamattina — con richiesta di stop dei lavori — da Maurizio Benedettini e Daniele Morelli, dello studio romano Morelli & Partners.
I due si sono definiti semplici “cittadini-elettori” mossi da intenti di giustizia, ma sono “coordinati dall’esponente del Pdl Micaela Biancofiore“, informano le agenzie di stampa.
Biancofiore è peraltro anche sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Letta.
Nel ricorso i “cittadini” sostengono che la sentenza definitiva di condanna a quattro anni di reclusione per frode fiscale inflitta a Silvio Berlusconi nel processo sui diritti Mediaset deve essere dichiarata nulla per violazione dell’articolo 67 dell’ordinamento giudiziario, perchè la composizione del collegio della sezione feriale viene ritenuta “promiscua”.
Il giudice Giuseppe De Marzo, secondo loro, apparteneva alla sezione civile e non poteva quindi far parte di un collegio penale.
In realtà De Marzo è consigliere della Quinta sezione penale della Corte, anche se, essendo di formazione un civilista, ha chiesto e ottenuto di partecipare occasionalmente a udienze civili, possibilità prevista dalle regole della Suprema corte.
I due ricorrenti hanno preso quindi una grossa cantonata.
I legali denunciano inoltre che le tabelle per la composizione della sezione feriale (la sezione mista che nel periodo estivo di ferie garantisce le udienze ai processi a rischio di prescrizione) andavano presentate tra il 20 aprile e il 10 maggio, mentre il presidente della Cassazione Santacroce le ha ultimate l’11 luglio, fuori tempo massimo.
Anche questa, fanno notare negli uffici del palazzo romano, è un’arma spuntata, dato che sono già numerose le eccezioni di nullità basate sui ritardi — ammesso che ci siano stati — nella compilazione delle tabelle che sono finiti in nulla.
Anche perchè i tempi non influiscono sulla composizione del collegio giudicante.
“Non siamo nè iscritti, nè dei miltanti del Pdl”, ha precisato Benedettini, salvo poi scoprire che la loro iniziativa partirebbe dalla Biancofiore.
Anche se il ricorso non troverà uno sbocco giudiziario, qualcuno nel Pdl ha subito provato a cavalcarlo: “La giunta ha ricevuto il ricorso”, comenta il senatore Lucio Malan, Pdl. “È sicuramente un fatto nuovo che andrà analizzato”.
E persino Angelino Alfano, che tra le altre cose è ministro dell’Interno e avvocato, lo ha preso per buono rilanciandolo a Porta a porta: “Il caso non è chiuso”, ha affermato.
Tanto zelo, però, si scontra con una nota arrivata da Palazzo Grazioli qualche ora dopo la notizia dell’iniziativa dei due legali-cittadini.
“Il ricorso presentato dagli avvocati Benedettini e Morelli non è stato in alcun modo autorizzato dal Presidente Berlusconi ed è evidentemente una iniziativa personale non concordata nè condivisa”.
Anzi, pare che l’iniziativa fomentata dalla pasionaria berlusconiana Biancofiore abbia irritato profondamente l’entourage berlusconiano.
Mario Portanova
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Settembre 17th, 2013 Riccardo Fucile
“QUANDO SI FANNO DELLE NORME SI CREDE A QUELLO CHE SI FA, LE ABBIAMO VARATE DOPO UN LUNGO E ACCURATO APPROFONDIMENTO”
L’ultimo a chiedere approfondimenti è stato un senatore del Psi che sul caso di Silvio Berlusconi e sulla legge Severino ha chiesto nella giunta per le elezioni un “comitato inquirente”.
Ma nello stesso giorno il senatore Lucio Malan ha parlato di legge cucita contro Berlusconi.
Nelle scorse settimane l’intero Pdl ha chiesto che sulla legge sull’incandidabilità serviva almeno la pronuncia della Corte Costituzionale.
E infine il relatore della giunta Andrea Augello (Pdl) che aveva chiesto di spedire la legge perfino alla Corte europea di giustizia del Lussemburgo.
Ora per la prima volta parla l’ex ministro che a quella legge — votata anche dal Pdl, insieme al Pd e ai centristi, meno di 10 mesi fa — ha dato il nome.
“Eravamo d’accordo” nel governo Monti, dice Paola Severino a margine di un convegno a Milano, “quando, dopo un lungo e accurato approfondimento abbiamo varato la legge: quando si fa una legge si crede a quello che si fa, adesso la sua applicazione spetta al parlamento”.
La Severino naturalmente è cauta nei giudizi: “Domani decide il Parlamento mi sembrerebbe estremamente inopportuno intervenire”.
Ma il concetto è chiaro: “Lo ha già detto il ministro Cancellieri, con cui sono completamente d’accordo. Eravamo d’accordo anche quando tutti insieme, con il presidente Monti, Cancellieri e Patroni Griffi (allora ministro per la Funzione pubblica e ora sottosegretario a Palazzo Chigi) dopo un lungo e accurato approfondimento, abbiamo varato la legge”.
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Settembre 17th, 2013 Riccardo Fucile
QUALCUNO HA PROPOSTO DI USARE UNA PALLINA DA INSERIRE PER BLOCCARE I SI’
Per il Pd è ormai un incubo. È il voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi. Incontrollabile. Adatto alle incursioni dei franchi tiratori.
Potenzialmente devastante.
Eppure, una semplice pallina di carta potrebbe inceppare il meccanismo, incrinare la segretezza e decidere la conta più significativa della Seconda Repubblica.
Condannando il Cavaliere all’esclusione.
Tutto ruota attorno a un piccolo, semplice foglio accartocciato. Inserito nell’urna, è capace di bloccare il pulsante sul “sì” alla decadenza e sconfiggere i franchi tiratori. Perchè un dito può cambiare direzione all’ultimo momento, mentre la pallina resta immobile sulla decisione.
«In linea teorica — ammette sconsolato Lucio Malan — è possibile usare la pallina o qualsiasi diavoleria di piccole dimensioni, facendo poi finta di votare».
Sono ore di studio, nel quartier generale democratico. E il terrore corre lungo un rettangolo di dieci centimetri per tre.
Lì, in quell’urna elettronica, il parlamentare poserà la mano dopo aver abilitato il voto con la scheda.
Ed è sempre lì, da sinistra a destra, che sono incastrati i tre pulsanti con la sequenza ‘A.Si.No.’ (astenuto, favorevole, contrario).
Per allontanare definitivamente il Cavaliere da Palazzo Madama, la maggioranza assoluta dei senatori deve esprimersi per il sì.
Per salvarlo, invece, in 43 devono disobbedire al gruppo.
Inimmaginabile controllare il voto, sostengono molti senatori.
«Totalmente impossibile — sostiene il dem Stefano Ceccanti perchè quando si mette la mano non si riesce a capire nulla».
E in effetti il dato di partenza, verificato, è che è impossibile controllare la scelta di un senatore che vota con tre dita.
La ‘buca’ elettronica è profonda e i movimenti così impercettibili da impedire al compagno di banco la verifica di un voto espresso.
Per stanare quindi i franchi tiratori ed evitare una catastrofica resa dei conti con la base, a largo del Nazareno le stanno studiando proprio tutte. Anche la pallina di carta.
Sempre dal vicino di scranno, comunque, bisogna partire.
Solo chi siede accanto può ‘controllare’ che la linea indicata dal gruppo venga rispettata. E attingendo a una prassi parlamentare parecchio elastica, la pallina si presta perfettamente allo scopo.
Si inserisce sotto gli occhi del vicino e si blocca il pulsante fino a votazione conclusa.
In passato, raccontano, c’è chi ha provato anche a utilizzare strumenti alternativi: una moneta da due euro o un legnetto di piccole dimensioni.
Una tecnica rodata nel tempo, sussurrano in Senato, utile ai parlamentari che in votazioni multiple scelgono di pigiare sempre lo stesso pulsante.
Un’altra misura alternativa per aggirare il segreto tombale passa dal voto con un solo dito. Va posizionato vistosamente sul pulsante centrale, poi si spinge sotto gli occhi del vicino di scranno.
Si vota con l’indice (meno lungo del dito medio), rendendo più faticosa — e soprattutto più visibile — un’eventuale incursione su bottoni diversi.
Resta però sempre un margine a disposizione dei franchi tiratori.
I parlamentari intenzionati a mantenere il riserbo possono sempre sfruttare alcune “falle” del sistema elettronico. Quando si pigia il pulsante, il voto è inserito e la mano può essere ritirata.
Se si preme però un altro tasto, il voto cambia.
Un cambio rapido potrebbe insomma ingannare il vicino di banco
La battaglia parlamentare si deciderà in pochi attimi. E un segretario d’Aula del Pdl come Lucio Barani è pronto a combattere: «Verificheremo la regolarità del voto. Passerò tra i banchi. La pallina? Non è regolare».
In linea teorica, spiega però Malan, si può utilizzare.
Ma il punto è la volontà del senatore: «Deve poter esprimere la propria idea. Se è il capogruppo a chiedere di filmare il voto o mettere la pallina… beh, il principio non è garantito».
Chi può infine rendere ancora più complicato il compito del Pd è il M5S.
Su Facebook Luigi Di Maio ha proposto ai grillini di abbandonare l’Aula al momento del voto, lasciando «Pd e Pdl soli a scannarsi».
Assottigliando, però, il margine dei fautori della decadenza. Di Maio ha successivamente rettificato «era solo un personale auspicio» — ma l’incognita agita i sonni dei democratici.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)
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Settembre 17th, 2013 Riccardo Fucile
TUTTI I PROCLAMI CHE NEGLI ANNI NON HANNO PORTATO BENE ALLA SINISTRA
“La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede bene”. Vecchia massima del sommo poeta (Roberto Freak Antoni) di cui tutti dovrebbero far tesoro e, in primis militanti, elettori e dirigenti del Pd.
Sì, perchè “tirarsela” ha più di un significato.
Da un lato vuol dire vantarsi (tranquilli che vinciamo), e dall’altro invece “tirarsela addosso”. La sfiga, appunto.
Ecco: è incredibile come da anni queste due accezioni sappiano perfettamente convivere, combinarsi, miscelarsi come micidiali polveri piriche ed esplodere al momento giusto, che di solito arriva quando si contano i voti alle elezioni.
Lo sanno anche i bambini che prima della partita non si dice “vinciamo”, e lo sapeva il grande Nereo Rocco che a quelle certezze granitiche e alla perniciosa overdose di autostima diede una mirabolante risposta: “Vinca il migliore? Speremo de no!”.
Del resto, il “Vincere, e vinceremo” di sfiga ne ha portata tanta, e la storia è lì che ce lo insegna.
Ma sia: se peccare è umano, perseverare è democratico.
Tutti ricordano la “Gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto: bastò inventare quello slogan e presentarsi in tivù vestito come un funzionario dell’Aeroflot degli anni Settanta per veder sorgere il sole berlusconiano e pagarla per i decenni a seguire.
Era una frase a effetto, d’accordo
Tre anni dopo (correva il 1997) fu Gianni Cuperlo, intellettuale e colto, a segnare il congresso del Pds con un bellissimo aforisma di Rilke: “Il futuro entra in noi prima che accada”.
A dirla tutta, il futuro (Silvio) era giù entrato alla grande. Ma quel congresso rifletteva anche molto sul welfare e su come difenderlo, e com’è finita lo sappiamo tutti: un altro tsunami di sfiga.
Poi venne Walterone nostro, quello della vocazione maggioritaria e del no copyright, che rubava a Obama il suo “Yes, we can”, tradotto in un “Se po’ fa” all’amatriciana.
Era fantasia, certo. E infatti la realtà la superò alla grande.
“Smacchiare il giaguaro” perfezionò quella tecnica antica, nota a sinistra, che si può chiamare “la zappa sui piedi”.
La battuta, tra l’altro, era di Maurizio Crozza.
Bersani la prese e la trasformò in slogan, ci fecero le magliette e la canzoncina, la urlarono ai comizi, la dissero in tivù.
Trasformarono insomma la battuta di un comico molto serio in una frase seria di un leader molto comico, rimanendo alla fine sotto le macerie.
L’uomo impara dall’esperienza. L’uomo sì, forse, ma Renzi no.
Quel “li asfaltiamo” detto l’altro giorno ha sicuramente messo un brivido nella schiena di tutti i democratici, aspiranti tali, simpatizzanti, tifosi, possibili elettori e italiani circonvicini.
Frase detta in tutta onestà , persino sincera, persino convinta. Che potremmo sentire ripetere infinite volte da qui all’asfaltatura, a patto che nella gadgettistica Pd comincino a comparire cornetti rossi e collane d’aglio, amuleti, ferri da toccare al momento giusto, dita incrociate e mani dove non si può dire: la prudenza non è mai troppa.
Alessandro Robecchi
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Settembre 17th, 2013 Riccardo Fucile
I RIVA E LA POLITICA CERCANO DI SCARICARE SULLA PROCURA LA RESPONSABILITà€ DELLO STOP DELLE FABBRICHE AL NORD CON 1400 POSTI A RISCHIO
Se i magistrati commentano i provvedimenti sono politicizzati.
Se tacciono, come la Gip Patrizia Todisco e il pool di Taranto titolare dell’inchiesta su “Ambiente svenduto”, vengono accusati di arrecare danni all’economia, all’occupazione e di generare tensioni sociali.
Insomma, parafrasando Antoine: “Se lavori ti tirano le pietre… non fai niente e ti tirano le pietre qualunque cosa fai sempre pietre prenderai”.
Al punto che il Procuratore capo Franco Sebastio, uomo pacato, è costretto a intervenire con un comunicato: “La continuità produttiva non è a rischio”.
La Procura, contrariamente a quanto sostiene il sindaco di Verona Flavio Tosi o l’ex ministro Mariastella Gelmini, non è la causa della “messa in libertà ” di 1400 operai delle 13 società del Nord Italia del Gruppo Riva Acciaio.
“I beni sequestrati (conti correnti e partecipazioni azionarie) verranno immediatamente affidati all’amministratore giudiziario” Mario Tagarelli, commercialista di Taranto, nominato a suo tempo dal giudice “proprio per garantirne la gestione e prevenire effetti negativi sulla prosecuzione dell’attività industriale”.
Nessun divieto d’uso, dunque, blocco di disponibilità finanziarie che saranno gestite dall’amministratore.
Ma il Gruppo Riva Acciaio afferma che “le banche hanno disposto il congelamento totale o la revoca dei fidi, e il blocco degli impianti e dei conti correnti impedisce alla società di svolgere la normale attività produttiva, operazioni come pagare le utenze o gli spedizionieri per la consegna dei materiali già venduti”.
Quello che ha tutta l’aria di un sequestro inaspettato, in realtà , spiega il Procuratore Sebastio, è “l’esecuzione del provvedimento di sequestropreventivofunzionalealla confisca del 22 maggio ai sensi del decreto legislativo 231/2001” (responsabilità amministrativa delle imprese).
Provvedimento “confermato dal Tribunale del Riesame” che riguardava Riva Fire spa, Riva Forni Elettrici spa e Ilva spa, e che “prevedeva la sua estensione anche a ulteriori società controllate, collegate o comunque sottoposte all’influenza dominante” delle stesse. In base alla legge 231 del 2012, tutela dellacontinuità produttivapereffettuare interventi di risanamento ambientale, come prescritto dall’Aia, l’Ilva di Taranto, di Genova e di Novi, affidate al commissario Enrico Bondi, sono escluse dal sequestro.
Inutile chiedere commenti alla gip Todisco, che entra in ufficio al mattino ed esce a notte fonda e a qualunque domanda con un sorriso risponde: “Mi scusi, debbo andare”.
Amici intimi raccontano che per evitare di vedere le foto del suo compleanno su qualche giornale lo ha festeggiato in un ristorante fuori Taranto.
Da ambienti della Procura apprendiamo che il sequestro è conseguenza della perizia dei consulenti da lei nominati: per il risanamento dell’Ilva e per la bonifica ambientale occorrono 8 miliardi di euro.
Che la famiglia Riva si guarda bene dal tirare fuori, nonostante anche per il segretario della Fiom, Maurizio Landini, abbia “precise responsabilità nell’incapacità dell’Ilva di produrre senza inquinare. L’attuale assetto proprietario dell’Ilva non è in grado di dare alcuna continuità occupazionale e produttiva. Se vogliamo salvare la siderurgia in Italia non possiamo escludere un intervento diretto dello Stato”.
Mentre Susanna Camusso, Cgil, chiede una norma per scongiurare la chiusura degli stabilimenti decisa dalla proprietà contro (e non a seguito) del sequestro dei beni disposto dall’autorità giudiziaria.
Secondo una ricerca della facoltà di Veterinaria dell’Università di Bari, pubblicata su una rivista americana, a Taranto anche cani e gatti sono gravemente contaminati dalla diossina.
Animali da compagnia che, non fumano — questa volta Bondi non potrà dare la colpa alle sigarette — ma che si cibano spesso delle stesse cose che mangiano i loro padroni e respirano la stessa aria.
Sandra Amurri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 17th, 2013 Riccardo Fucile
CONVOCATA PER VENERDàŒ, NESSUN ACCORDO SULLE REGOLE… I LETTIANI SEMPRE PIÙ NERI COL ROTTAMATORE
“Adesso!”: il congresso, Matteo Renzi lo vuole fare subito.
Il vocabolo chiave delle scorse primarie si potrebbe applicare all’ultima battaglia ingaggiata dal sindaco di Firenze.
E “adesso”, l’accordo non c’è, la trattativa è ancora in alto mare e all’assemblea di venerdì e sabato si rischia di arrivare al buio totale.
Intanto, Letta e i suoi sono sempre più irritati col sindaco di Firenze e il Pd epifanian-bersaniano lo accusa più o meno di tutti i mali politici del momento.
Primo tra tutti, voler accelerare sul congresso per far cadere il governo da segretario. Sono mesi che i Democratici discutono delle regole e della data del congresso e a tre giorni da un incontro già rinviato più volte, si brancola nel buio.
L’ultimo oggetto del contendere sono i congressi locali: “Si era arrivati a un punto d’accordo. Fare quelli provinciali prima dei congressi nazionali”, spiega Nico Stumpo, bersaniano.
E quelli regionali? “Noi vogliamo tenerli slegati da quelli nazionali”. Quindi, al limite anche dopo. Ora Renzi però chiede che i congressi regionali siano fatti insieme alle primarie per la segreteria.
Una scleta che lo avvantaggerebbe: la sua figura farebbe da traino per i “suoi” candidati alle segreterie della regione.
“Ma possiamo mediare sulla mediazione?”, si chiede ancora Stumpo.
E allora, ecco l’incubo della conta. Magari persino su un ordine del giorno imprevisto, per esempio sulle larghe intese.
O anche l’incubo del nulla di fatto. “Loro i congressi locali vogliono farli prima di quello nazionale per far slittare l’elezione del segretario”, attacca Lorenzo Guerini, renziano . Nel frattempo, Renzi, è partito all’attacco sugli iscritti. “Sostiene che dopo le primarie per il segretario farà il tesseramento? Strumentale”, dicono i bersaniani. Perchè in realtà vorrebbe solo affrettare i tempi, per far cadere il governo.
“Bersani è riuscito quasi a dimezzare gli iscritti, si sono persi 3,5 milioni di voti”, ha detto Renzi a Porta a Porta.
Nel 2009, quando Bersani diventò segretario gli iscritti erano 900mila, nel 2012 500mila, quest’anno siamo a 270mila.
Spiega Stumpo: “Tra le primarie, le elezioni e le feste democratiche siamo stati occupati a fare altro. Ma abbiamo ancora qualche mese davanti”.
Evidentemente, il Pd è stato talmente travolto dagli eventi che le tessere sono andate a picco. Tema politico, più che organizzativo. Epifani dovrebbe convocare la commissione sulle regole pre-Assemblea. Non l’ha ancora fatto.
Chi sta nel bunker del Nazareno ragiona più o meno così: “Ma mettiamo conto che c’è la crisi di governo: come si fa a fare un congresso in quelle condizioni? E poi, che congresso viene fuori?”.
Di certo, nessuno ha deciso ufficialmente che cosa accadrebbe se si andasse a elezioni.
E l’ex Rottamatore è sempre più nel mirino di Letta: non passa giorno che non ci sia un altolà , una reprimenda, raccontano gli uomini di Matteo.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 17th, 2013 Riccardo Fucile
PER LA CASSAZIONE “ANCHE BERLUSCONI E’ STATO RESPONSABILE DI CORRUZIONE”… DE BENEDETTI: “E’ STATO UNO SCIPPO”
Cinquecentoquarantuno milioni di euro: arriva dalla Cassazione l’ultima tegola di un periodo difficile per Silvio Berlusconi, che domani dovrà affrontare il voto della giunta per le elezioni sulla sua decadenza da senatore.
LA SENTENZA
La Cassazione ha respinto il ricorso della Fininvest contro la Cir per il risarcimento del Lodo Mondadori, che rimane confermato con un ritocco al ribasso, un taglio di circa 23 milioni di euro sulla cifra liquidata dai giudici e pari a 564,2 milioni di euro.
Le motivazioni sul Lodo Mondadori sono state depositate dalla Terza sezione civile della Cassazione.
Si tratta di un verdetto “monumentale” di circa 200 pagine.
“ANCHE BERLUSCONI RESPONSABILE DELLA CORRUZIONE”
In particolare, la Suprema Corte, nel verdetto appena depositato dalla terza sezione civile e relativa all’udienza svoltasi lo scorso giugno, ha accolto solo, e in parte, uno dei motivi della difesa Fininvest, il 13/o, inerente il reclamo per l’eccessiva valutazione delle azioni del gruppo L’Espresso.
Sul punto i supremi giudici hanno «cassato senza rinvio il capo della sentenza di appello contenente la liquidazione del danno in via equitativa, come stimata nella misura del 15% del danno patrimoniale già liquidato».
Nella sentenza la Cassazione scrive che «la valutazione complessiva» degli «elementi ed argomenti di prova, condotta ai soli fini civilistici, di ricondurre alla società Fininvest la responsabilità del fatto corruttivo imputabile anche al dott. Berlusconi», risulta «correttamente motivata».
LA REAZIONE
Dopo la sentenza, vola il titolo Cir a Piazza Affari. Carlo De Benedetti esulta: «Prendo atto con soddisfazione che dopo più di 20 anni viene definitivamente acclarata la gravità dello scippo che la CIR subì a seguito della accertata corruzione di un giudice da parte della Fininvest di Berlusconi, il quale, a quel tempo, era ancora ben lontano dall’impegnarsi in politica».
La spartizione del Gruppo Mondadori-Espresso – sottolinea – avvenne a condizioni per me molto sfavorevoli per un grave motivo che all’epoca nessuno conosceva. Ci sono voluti sei gradi di giudizio, tre penali e tre civili, per arrivare a questa inappellabile decisione».
«A me – conclude l’imprenditore – rimane la grande amarezza di essere stato impedito, attraverso la corruzione, di sviluppare quel grande gruppo editoriale che avevo progettato e realizzato. Avrò modo di ritornare sull’argomento».
(da “La Stampa“)
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Settembre 17th, 2013 Riccardo Fucile
I VIDEOMESSAGGI PRONTI ERANO DUE, MA E’ INDECISO SU QUALE DARE AI MEDIA
L’ultima versione è che c’è un motivo se l’atteso videomessaggio di Silvio Berlusconi non è stato trasmesso, e slitterebbe a domani, giorno del voto della giunta sulla relazione di Augello.
Ed è che di videomessaggi ce ne sarebbero due.
Uno per il lancio di Forza Italia, durissimo verso la magistratura, che annuncia la nuova crociata contro le toghe all’insegna dei vessilli del ’94. In questo video non ci sarebbero parole sul governo: nè rassicurazioni nè parole di sfiducia.
L’altro invece, ed è la discussione di queste ore, è incentrato sulla questione politica vera.
Ed è stato l’oggetto del lungo confronto con Giuliano Ferrara domenica. E riguarda il grande annuncio del passo indietro: le dimissioni da senatore, evitando quel voto d’Aula destinato a dividere la maggioranza e far traballare il governo.
È, appunto, l’ultima versione. Che confermano nello staff ristretto del Cavaliere.
È il ragionamento sui due video messaggi ad aver prodotto l’ennesimo cortocircuito nella war room di Arcore: mandarli entrambi; mandare prima quello contro i giudici e giovedì quello sulle dimissioni; mandare solo quello sulle dimissioni.
Alla fine, come accade sempre più spesso negli ultimi tempi, l’ex premier ha deciso di non mandarne nessuno e di prendere tempo.
La verità , raccontano fonti degne di questo nome, è che per la prima volta la confusione psicologica del Capo ha prodotto un default strategico.
Per cui ogni volta che arriva sul punto di una decisione torna indietro.
Bipolare nell’animo, oscillante tra voglia di rottura e desiderio di mollare tutto, il Cavaliere alle 11,00 di questa mattina stava registrando l’ultima versione del lancio di Forza Italia, perchè insoddisfatto di quella precedente.
Tra prove e cambiamenti di spartiti ormai ci sono una ventina di versioni.
Da quella in cui tira già Letta a quella in cui si dimette: “Ormai — dicono nella cerchia ristretta – si ragiona ad horas. Ancora non è deciso quello che manderà nelle prossime ore”.
E tutt’attorno è imbarazzo, paura.
Fabrizio Cicchitto ha appreso la notizia in diretta Sky. Alla Camera il volto pallido di Brunetta vale più di qualunque dichiarazioni.
A microfoni spenti i berlusconiani sussurrano ciò che solo Vittorio Feltri ha avuto il coraggio di dire in una intervista. E cioè che il Cavaliere è bollito, in stato confusionale, e non sa che fare.
E, attorno, la corte si è trasformata in un branco di sciacalli.
Non è un caso che negli ultimi giorni le tre donne che gli sono più vicine hanno costruito un cordone attorno per evitare visite di cortigiani interessati.
Maria Rosaria Rossi (la badante) Francesca Pascale (la fidanzata) e Marina (la figlia) hanno fornito un elenco per limitare gli accessi ad Arcore.
E pure il centralino passa molte meno telefonate.
(da “Huffingtonpost“)
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Settembre 17th, 2013 Riccardo Fucile
NEL 2003 L’EX COMICO DIEDE DEL “TANGENTISTA” A GIORGIO GALVAGNO, ALL’EPOCA PARLAMENTARE DI FORZA ITALIA
La Corte di Cassazione, con ordinanza della sesta sezione civile resa nota oggi, ha respinto il ricorso di Beppe Grillo contro la sentenza della Corte d’Appello di Torino che aveva confermato la condanna inflitta in primo grado all’ex comico per avere diffamato nel 2003 l’ex sindaco di Asti Giorgio Galvagno, all’epoca parlamentare di Forza Italia, dandogli del “tangentista” durante un affollato spettacolo al Teatro Alfieri di Asti.
“Le motivazioni saranno note nei prossimi giorni – ha dichiarato l’avv. Luigi Florio che ha difeso Galvagno in tutti e tre i gradi di giudizio – ma appare fin d’ora chiaro che la Suprema Corte non ha accolto la tesi difensiva che invocava per Grillo la discriminante del diritto di satira”.
“Le sentenze di primo e secondo grado – ha proseguito Florio – sono state assai precise nel puntualizzare che anche le espressioni offensive possono costituire satira purchè non siano, come è avvenuto in questo caso, oltre che inveritiere anche espressione di un comportamento meramente aggressivo”.
L’odierno leader del Movimento 5 Stelle è stato così condannato in via definitiva a versare a Galvagno 25.000,00 euro più interessi dal 2003 a titolo di risarcimento del danno, oltre le spese legali di tutti e tre i gradi di giudizio.
Laura Secci
(da “La Stampa”)
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