Settembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
INCARNA IL TEDESCO INTEGRO PERCHE’ IN LEI L’ABITO FA IL MONACO
«Stick with Mutti», stai con la mamma, aveva esortato perfino l’Economist, sull’ultimo numero in cui tifava esplicitamente per Merkel.
E i tedeschi così hanno fatto, regalando alla cancelliera uscente, e dopo due mandati, un plebiscito che la porta alla soglia della maggiornaza assoluta.
Nel 2009 il suo partito, l’unione Cdu/Csu, aveva preso il 33,8% dei voti. Oggi secondo gli exit poll, arriva al 42,3%.
Quasi dieci punti in più, e il merito è tutto suo.
Merkel incarna il tedesco integro, il tedesco delle piccole virtù: lealtà , sobrietà , modestia, laboriosità , preparazione, serietà .
In lei, l’abito fa il monaco.
Come la Regina Elisabetta, è immediatamente riconoscibile. Non tentenna nel look come Hillary Clinton. Quando è stata eletta la prima volta, ha affrontato il problema in modo scientifico.
Ha chiamato tre stiliste e con loro ha concordato una divisa, poi declinata secondo le ore del giorno e le occasioni.
La base è sempre la stessa: pantaloni scuri, giacca, girocollo in pietre dure. Scarpe larghe con tacco basso. Niente di costoso.
Ha avuto poi la fortuna di sposare l’uomo giusto non solo per lei come donna, ma pure per lei come politica.
Un uomo che non le crea nessun conflitto di interessi – è uno stimatissimo professore di chimica quantica – ed è sufficientemente sicuro di sè da reggere una moglie così importante e seguire il programma delle signore nei vertici internazionali.
Questa è l’immagine che la Merkel dà di sè, e che corrisponde ai fatti.
Non usa il potere per apparire, ma per fare ciò che ritiene giusto. Questo è ciò che di lei piace. D’altronde, la Germania sta benissimo di salute. Perchè avrebbe dovuto rischiare un cambiamento?
Molti accusano Merkel di non avere ideologie, di navigare a vista, di pescare opportunisticamente nei programmi degli altri partiti, “derubandoli” del loro elettorato.
Certo, l’inversione a U sulle centrali atomiche dopo il disastro di Fukushima – da una legge per prolungare la durata delle centrali a una per uscire dall’atomo entro gli Anni 2020 – ha prosciugato i Verdi.
E ci sono tanti altri esempi.
Ma è anche vero che lei, da scienziata qual è, ha un approccio totalmente diverso dai politici tradizionali.
Lei guarda un problema e cerca la soluzione più ragionevole, analizzando e scartando tutte le possibili opzioni.
Così ha fatto con l’euro e con gli aiuti ai Paesi del sud Europa in difficoltà . La Germania ha guadagnato moltissimo dalle crisi altrui, e i tedeschi l’hanno capito, tant’è che il partito euroscettico, l’outsider AfD,non entra in Parlamento.
La Germania si conferma europeista, non mette in discussione nè la moneta nè il soccorso ai più deboli.
Certo, Merkel ha detto in campagna elettorale che non accetterà mai gli eurobond, e così farà .
E non accetterà neanche un indebolimento del rigore da parte di chi chiede, perchè per lei – come per i tedeschi che non dimentichiamolo, sono in maggiornaza luterani – la responsabilità perrsonale è un valore non negoziabile.
E chi chiede deve anche dare.
Non dovremo aspettare molto per sapere come sarà il prossimo governo.
Ci aiuterà , a patto che ci “tedeschizziamo” almeno un pochino.
Marina Verna
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Settembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
COSTI DELLA POLITICA: NO AL RINNOVO FINO AL 2036 PER GLI UFFICI DEI PARLAMENTARI
Finito il tempo delle vacche grasse e degli affitti d’oro a beneficio di un singolo imprenditore, la Camera dei deputati rinuncia alla prassi secondo cui l’amministrazione di Montecitorio mette a disposizione un ufficio per ogni deputato. Per il futuro (a regime dal 2018) ciascun onorevole dovrà scegliere tra due strade: stringersi negli spazi che i questori stanno via via recuperando all’interno degli immobili di proprietà della Camera (e non sono pochi) oppure prendere in locazione una stanza pagandola però di tasca propria.
O, meglio, utilizzando le voci dell’indennità che già contemplano le spese per il funzionamento dell’ufficio di un deputato.
La svolta è arrivata alla riunione del comitato dei Questori del 15 settembre quando è stato deciso di non rinnovare i contratti d’affitto stipulati dalla Camera negli anni 90, e ora in scadenza, per 122 postazioni esterne a Montecitorio.
Uffici, segreterie, sale riunioni, saloni per le conferenze che nel periodo 2018-2036 sarebbero costati al contribuente ben 600 milioni di euro.
La nuova policy la spiega così il questore Stefano Dambruoso (Scelta civica): «Abbiamo ritenuto che non fosse più sopportabile questo tipo di spesa che sarebbe ricaduta sulle tasche del contribuente nella misura di 600 milioni di euro».
I tagli riguardano il cosiddetto quadrilatero di palazzo Marini (largo San Claudio-via del Tritone-via Poli-via del Pozzetto): quattro immobili di pregio di proprietà della società «Milano 90» dell’imprenditore romano Sergio Scarpellini, che assicurano un rifugio, un computer, una poltrona e i servizi di segreteria ai deputati di seconda linea, quelli che non hanno incarichi istituzionali, di governo e di partito.
Il primo taglio, Marini 1, c’è stato nel 2012. Dal 2016, poi, Marini 2 tornerà nella disponibilità dei suoi proprietari e negli anni successivi, 2017 e 2018 , la stessa sorte avranno Marini 3 e Marini 4.
Ma Sergio Scarpellini ora si ritrova sfitti anche gli immobili di via delle Vergini (Consiglio di Stato) e di via Poli (Regione Lazio).
Una valanga di disdette che è già costata 350 posti di lavoro.
La storia di questi palazzi (deserti dal giovedì pomeriggio al martedì mattina successivo) viene da lontano.
Nel ’97, presidenza Violante, scatta il primo contratto d’affitto con «Milano 90» che oltre all’immobile offre la mobilia e i servizi.
Seguono a ruota gli affitti degli altri tre immobili che nel 2010, dopo 13 anni, portano il conto pagato dalla Camera a Scarpellini a quota 586 milioni.
Come dire, con quella cifra gli immobili in questione si potevano acquistare.
Ma il 2010 è anche l’anno in cui inizia la martellante battaglia dell’ex deputata radicale Rita Bernardini.
In solitudine, la Bernardini produce documenti, cifre, denuncia l’assenza di gare e alla fine la spunta: il 1° gennaio del 2012, la Camera (presidenza Fini) disdetta prima della scadenza il contratto di Marini 1 e vince pure al Consiglio di Stato contro il ricorso presentato da Scarpellini.
Il quale torna alla carica l’estate del 2013 con una lettera dai toni perentori: «Cara Camera se rinnovi fino al 2036 i tre contratti ancora in vigore, io ti do gratis il palazzo Marini 1 e così potrai risparmiare 8,8 milioni all’anno».
Peccato però, calcolano gli uffici, che la Camera sarebbe arrivata a versare alla «Milano 90» un miliardo e 250 milioni di euro (fino al 2036).
E poi, la spesa non considera il fatto che prima o poi potrebbe essere approvata la riduzione del numero dei parlamentari con i deputati che passerebbero da 630 a 450.
Davanti a queste cifre i questori – oltre a Dambruoso (SC), ci sono Paolo Fontanelli (Pd) e Gregorio Fontana (Pdl) – hanno detto «No, grazie».
Spiega Dambruoso: «In questa decisione ci siamo sentiti forti anche del fatto che i vicepresidenti e i questori hanno rinunciato all’uso degli alloggi di servizio. Che via via stiamo trasformando in uffici, il primo dei quali è stato consegnato all’Ispettorato della polizia».
In 5 mesi i questori hanno recuperato cento nuove postazioni all’interno di palazzi di proprietà della Camera (che sono ben 5) e molto c’è ancora da lavorare su questo fronte.
Un esempio per tutti: le stanze restituite dall’associazione degli ex parlamentari che per anni ha contato su una sede di 5 vani.
Rita Bernardini ora se la ride dal bunker sotterraneo di via Gregorio VII dove sta preparando per la Cassazione i pacchi con le firme per i referendum radicali: «Scarpellini dice che mi vuole querelare? In realtà sono io che l’ho querelato perchè in tv ha detto che ha dato contributi a tutti i partiti. Poi quando gli hanno chiesto “Tutti, tutti?”, lui ha risposto che nella lista c’eravamo anche noi radicali. Per questo l’ho portato in giudizio».
(da “il Corriere della Sera”)
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Settembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
UN CAVILLO PDL PER DARE IL 2×1000 ALLA CREATURA DI BERLUSCONI… IL DDL SUL FINANZIAMENTO PUBBLICO È IN ALTO MARE: E LETTA PENSA AL DECRETO
È ormai una corsa contro il tempo per impedire che la tagliola di un decreto, minacciato più volte da Enrico Letta, piombi sul lavoro parlamentare mandando in aria gli accordi sottili — e non sempre chiari — tra Pd e Pdl per rendere meno traumatica possibile la “rinuncia” al finanziamento pubblico dei partiti.
Il ddl, rientrato in commissione Affari costituzionali dieci giorni fa dopo che si era riscontrata in aula alla Camera, l’impossibilità di trovare una quadra, passerà lunedì per l’ultimo tentativo di mediazione in commissione.
“Partiremo alle tre del pomeriggio e andremo anche in notturna — spiega Sergio Boccadutri, capogruppo di Sel in Affari costituzionali — se servirà ci prenderemo anche martedì mattina pur di mandare il aula il ddl entro il pomeriggio per l’inizio della discussione; ormai siamo fuori tempo massimo, ma su alcuni punti prevedo che l’accordo sarà difficile da trovare”.
Uno di questi punti, su cui il Pd e Sel stanno facendo muro (ma chissà quanto sia solido) è l’emendamento presentato da Maurizio Bianconi del Pdl (firmatari anche Francesco Saverio Romano, Elena Centemero e Laura Ravetto), ribattezzato per necessità di sintesi “salva Forza Italia”.
Nel testo si prevede che il finanziamento derivante dalla donazione privata del 2à—1000 possa andare anche a quei partiti politici non presenti nella legislatura precedente all’approvazione della legge se certificata la loro esistenza dalla “metà più uno dei candidati eletti sotto il medesimo simbolo (nel caso il Pdl, ndr) alle più recenti elezioni”.
In pratica, se la metà più uno degli attuali parlamentari del Pdl diranno che esiste Forza Italia, il finanziamento potrà andare tranquillamente anche alla rinata creatura berlusconiana, ma non ai partiti nuovi di zecca.
Una discriminazione, dunque. E, soprattutto, un favore grosso come una casa a Berlusconi. Ma non solo.
C’è un altro punto che desta vere ondate di piena in commissione.
Si tratta del tetto per le donazioni private, che il Pd vorrebbe al massimo a 100 mila euro e che il Pdl, invece, vuole fissare a un milione.
Chiara la finalità , “ma se mettiamo un milione — sostiene sempre Boccadutri — è come se non mettessimo nessun tetto, e questo non può passare”.
Nodi da sciogliere che, in questi due primi casi, forse potranno trovare una mediazione all’ultimo tuffo.
Resterà invece lo scontro sull’emendamento di Sel, firmato proprio da Boccadutri, che impedisce le donazioni a chi è condannato in via definitiva per corruzione o frode fiscale (un vero emendamento contro Berlusconi) e sull’altro, il 5.50, dove si riformulano le modalità di applicazione del reato di finanziamento illecito ai partiti, che non sarà comunque applicabile in via retroattiva (come qualcuno del Pdl voleva) ma provoca parecchi mal di pancia.
C’è poi un ultimo dato.
Nella fretta di presentare alle Camere il ddl, il governo ha cancellato alcuni passaggi della precedente legge che riguardavano i controlli sulle donazioni e dunque in commissione sono stati ripristinati, nell’articolo 7, alcuni di questi paletti, creando ulteriori frizioni.
Tra chi sta lavorando al ddl per cercare di portare a casa un risultato “più onorevole possibile, laddove possibile” si digeriscono male le minacce di Letta: “Francamente — commenta Boccadutri — stanno diventando un po’ patetiche. Un decreto impedirebbe il miglioramento del testo con diversi emendamenti, alcuni già approvati e altri, come quello presentato da Sel, che non trovano ancora l’accordo nella maggioranza”.
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
ECCO I DODICI BLOCCHI ANTI GIOVANI
In altri Paesi, come la Germania, è la via principale per l’ingresso di 1,5 milioni di giovani nel mondo del lavoro.
In Italia, invece, il contratto di apprendistato non funziona.
Il motivo è semplice, secondo la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa (Cna): troppi adempimenti burocratici scoraggiano gli imprenditori che devono spendere 3.500 euro in più l’anno per far fronte all’eccesso di regole.
Per sostenere questa tesi gli artigiani hanno steso un j’accuse elencando tutti i passaggi necessari per prendere un apprendista.
La Via Crucis descritta dalla Cna si compone di 12 stazioni ed è solo la media perchè il percorso varia da regione a regione.
Stiamo parlando del contratto di apprendistato professionalizzante istituito con il decreto legislativo 276/2003 (riforma Biagi), un contratto «a causa mista» perchè costituito da lavoro più formazione.
Il dipendente privo di un’esperienza professionale la consegue frequentando corsi di formazione, interni all’azienda o esterni a cura della Regione.
Con la qualifica di apprendista possono essere assunti i giovani tra 17 e 29 anni e per l’artigianato la durata del contratto va da sei mesi a un massimo di 5 anni.
Ma veniamo alle accuse della Cna.
La stazione numero 1 della Via Crucis prevede che l’azienda invii telematicamente la comunicazione di assunzione al Centro provinciale per l’Impiego.
In alcune regioni però, stazione numero 2, la comunicazione telematica deve essere inviata per raccomandata con ricevuta di ritorno insieme a un documento del datore di lavoro firmato in originale.
Al numero 3 troviamo la creazione della figura del referente aziendale per la formazione.
In alcune regioni basta l’autocertificazione attestante la capacità di formare apprendisti, in altre le competenze devono essere vagliate da un test d’esame.
Le stazioni numero 4 e numero 5 prevedono il rilascio della dichiarazione di assunzione e del contratto di lavoro dell’apprendistato seguiti dalla visita medica.
Non siamo nemmeno alla metà del percorso perchè l’azienda deve passare attraverso una nuova registrazione telematica nel cosiddetto Libro Unico del Lavoro.
La stazione numero 7 prescrive che entro 30 giorni dall’assunzione debba essere definito e sottoscritto tra impresa e apprendista il Piano formativo individuale, preludio all’adempimento numero 8.
In cosa consiste? L’azienda artigiana se vorrà fare la formazione all’interno dovrà dimostrare di avere capacità formativa e autocertificarla.
Alla stazione numero 9 c’è la registrazione dell’avvenuta formazione aziendale nel Libretto Formativo del Cittadino e alla successiva ne è prevista la certificazione e l’attribuzione della qualifica finale.
Siamo arrivati alla stazione numero 11: a fronte di un’offerta formativa della Regione l’apprendista è tenuto a frequentare corsi esterni per un totale di 120 ore in tre anni.
Ma in cambio di questi adempimenti quali sono i vantaggi?
In via sperimentale fino al 2016 se l’artigiano ha un massimo di 9 dipendenti può beneficiare dello sgravio totale dei contributi previdenziali che viene concesso alle imprese che non hanno avuto aiuti di Stato superiori a 200 mila euro nell’arco di tre esercizi.
In questo caso il nostro artigiano deve inviare all’Inps – stazione numero 12 – una dichiarazione attestante che nell’anno di stipula del contratto di apprendistato e nei due esercizi precedenti non ha percepito sussidi di alcun tipo, dal livello nazionale al locale, oppure la quantificazione degli incentivi incassati.
ommenta Sergio Silvestrini, segretario generale della Cna: «È inutile girarci attorno: è arrivato il momento di dare piena dignità alla formazione che si fa dentro le imprese che va riconosciuta da tutti. Ma sono soprattutto i dodici adempimenti che pesano, bisogna semplificare, semplificare, semplificare. I documenti che sono già in possesso della Pubblica amministrazione vanno messi a disposizione in automatico, gli imprenditori non possono trasformarsi in fattorini dei burocrati».
Non la pensa allo stesso modo però Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro.
I costi che gli artigiani devono sostenere sono ampiamente risarciti dalla defiscalizzazione totale.
«E poi la formazione è un aspetto qualificante, non va banalizzata. È un investimento che l’azienda fa, non un purgatorio. I Piccoli devono operare questo salto culturale e comunque metà degli adempimenti elencati dalla Cna sono necessari in un Paese civile. Vogliono forse che salti la visita medica?»
Secondo Giuliano Cazzola (Scelta civica) il merito della Cna «è quello di contribuire a chiarire perchè nonostante gli omaggi rituali che tutti rivolgono all’apprendistato» la norma non decolli.
Anzi, gli artigiani si sono soffermati sui disincentivi burocratici per l’apprendistato professionalizzante «dimenticando i vincoli normativi, compreso l’obbligo di assumere una quota della precedente tornata di giovani».
Per non parlare infine, conclude Cazzola,della confusione creata dalle diverse discipline regionali originate «da quell’autentico disastro che è stata la riforma del titolo V» della Costituzione.
Dario Di Vico
(da “il Corriere della Sera“)
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Settembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
TRA I PEGGIORI ANCHE PER GLI SCATTI DI CARRIERA… IL TOP IN LUSSEMBURGO, DATO PEGGIORE IN BULGARIA
La vita dei professori, anche finanziariamente parlando, non è la stessa in ogni Paese.
L’Europa presenta al suo interno differenze incredibili di stipendi per il corpo docente che vanno decisamente al di là dei divari del livello economico e dello stesso Pil pro capite.
E rispecchiano la differente considerazione in cui è tenuta la professione — e più in generale il mondo della scuola — in ogni Stato.
Si passa da una media per il secondario di 4.780 euro annui in Bulgaria, da sottolineare lordi, che sono una miseria pure in quel Paese, per arrivare ai massimi del Lussemburgo, dove un prof del liceo viaggia su una media di 104.049 euro, che sono tanti anche per il ricco Granducato. L’Italia si posiziona nella fascia bassa, caratterizzata tra l’altro, rispetto alla stragrande maggioranza degli altri Paesi europei, da un aumento molto ridotto e lentissimo dello stipendio durante la carriera.
I dati più affidabili nel settore provengono da uno studio di Eurydice, organismo che dipende dalla Commissione europea, che ha pubblicato nei mesi scorsi un rapporto comparativo per le remunerazioni dei docenti.
I dati sono ritornati a galla negli ultimi giorni in Francia: lì i media si stanno scatenando sul livello troppo basso degli stipendi nel Paese, addirittura più bassi, si sottolinea, rispetto all’Italia.
Lo studio di Eurydice sottolinea come in tanti Stati europei, a partire dall’anno scolastico 2009-2010, i salari nelle scuole siano stati congelati o addirittura ridotti, a causa della crisi.
Ma prima di passare in rassegna i diversi livelli di stipendio, alcune avvertenze: si tratta di dati relativi all’anno scolastico 2011-2012.
Sono cifre lorde: vanno tolte le imposte, equivalenti alla nostra Irpef, che variano da Paese a Paese.
Si tratta di statistiche espresse in Spa, lo standard di potere d’acquisto.
Quindi, filtrate rispetto al costo della vita: così si spiegano anche alcune sorprese, come il sorpasso dell’Italia rispetto alla Francia, dove il costo della vita è superiore.
Infine, si prendono in considerazione i docenti di ruolo e non quelli precari, che rappresentano un grosso problema (ma non solo) in Italia. E un vero e proprio esercito…
Ebbene, nel nostro Paese, secondo le indicazioni di Eurydice, il salario medio annuo della secondaria (superiore, alle medie si scende lievemente) si posiziona a quota 30.431 euro, ma si segnala che il livello massimo raggiunto è di 34.867 (partendo da un minimo di 23.048).
Ma i massimi di stipendio sono toccati solo dopo 34 anni di anzianità .
Per quanto riguarda la Francia, il livello minimo della secondaria è di 28.666, ma si può arrivare a 47.610 per il secondario superiore.
Anche in questo caso ci vuole tempo per raggiungere gli stipendi più alti, tra i 20 e i 30 anni, meglio comunque dell’Italia.
I Paesi europei dove ci vogliono almeno 34 anni di anzianità per raggiungere lo stipendio più alto sono, oltre all’Italia, Spagna, Ungheria, Austria, Portogallo e Romania, mentre ce ne vogliono appena dieci in Danimarca, Regno Unito ed Estonia.
Come abbiamo visto, gli insegnanti più poveri si ritrovano in Bulgaria, appena 4.780 euro annui lordi in media per il secondario.
Bassi i salari dello stesso ciclo di studi anche in altri Paesi dell’Europa centro-orientale: Romania (5.078), Lettonia (9.216), Ungheria (9.448), Estonia (9.520) e Slovacchia (9.605).
Niente rispetto ai 104.049 del Lussemburgo…
A seguire, nei primi posti, ci sono la la Danimarca (70.097) e l’Austria (57.779).
E poi la Finlandia (49.200), che per il parametro Pisa, che a livello dei Paesi Ocse, i più industrializzati, misura la qualità formativa degli studenti, figura sempre al primo posto a livello mondiale.
Seguono: Belgio (48.955), Regno Unito (44.937), Svezia (35.948).
Tutti meglio dell’Italia. Due casi a parte sono la Germania e la Spagna, dove gli stipendi, oltre che per l’anzianità , differiscono molto anche secondo la regione.
In Germania, ad esempio, i salari sono ancora decisamente più bassi nell’Est e a Berlino rispetto all’Ovest.
A livello nazionale per il liceo si passa da un minimo a inizio carriera di 45.400 euro fino ad arrivare a 64.000.
In Spagna, invece, si passa da 33.000 a 46.000, comunque decisamente al di sopra dell’Italia. Pur trattandosi di un Paese i generale con un Pil pro capite e stipendi in media inferiori ai nostri. E afflitto (pure lui) da una crisi terribile.
Leonardo Martinelli
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Settembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
LA SITUAZIONE PEGGIORE NEL CENTRO ITALIA (+112%)… PER IL 16,6% DEI CITTADINI DIVENTA DIFFICILE PROCURARSI UN PASTO ADEGUATO
Dall’inizio della crisi sono praticamente raddoppiati (+99%) gli italiani che si trovano in una condizione di povertà assoluta ed oggi sono 4,81 milioni quelli che non hanno una disponibilità economica sufficiente neanche ad acquistare beni e servizi essenziali per vivere.
E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti che fotografa la realtà del Paese, in base dei dati Istat relativi agli ultimi 5 anni segnati dalla crisi.
La situazione si è aggravata di più nel Nord Italia dove l’aumento dal 2007 – sottolinea la Coldiretti – è stato addirittura del 105% rispetto al Mezzogiorno (+90%) anche se il peggioramento più marcato è stato registrato nel Centro Italia (+112%).
In valori assoluti tuttavia – precisa la Coldiretti – si contano 2,35 milioni di cittadini in grave difficoltà nel Mezzogiorno, 1,78 milioni nel Nord e 684mila nel Centro Italia. Ad essere entrati in una condizione di povertà assoluta negli ultimi cinque anni di crisi sono stati ulteriori 3,4 milioni di persone ed oggi sul territorio nazionale più di un italiano su dieci (11.3%) si trova in questa situazione.
L’effetto principale è stato un crollo storico dei consumi di beni essenziali come il cibo poichè ben il 16,6 per cento degli italiani non può neanche permettersi una pasto con un contenuto proteico adeguato almeno una volta ogni due giorni.
La spesa alimentare delle famiglie è tornata indietro di venti anni.
Nel 2012 i consumi delle famiglie italiane per alimentari e bevande a valori concatenati sono stati pari – sottolinea Coldiretti – a 117 miliardi, di mezzo miliardo inferiori a quelli del 1992.
La crisi – precisa la Coldiretti – ha fatto retrocedere il valore della spesa alimentare, che era sempre stato tendenzialmente in crescita dal dopoguerra, fino a raggiungere l’importo massimo di 129,5 miliardi nel 2007, per poi crollare oggi al minimo di ben quattro lustri fa.
La situazione – conclude la Coldiretti – si è aggravata nel 2013 con le famiglie italiane che hanno tagliato gli acquisti per l’alimentazione, dall’olio di oliva extravergine (-10 per cento) al pesce (-13 per cento), dalla pasta (-10 per cento) al latte (-7 per cento), dall’ortofrutta (-3 per cento) alla carne (-2 per cento), sulla base delle elaborazioni su dati Ismea-Gfk Eurisko relativi al primo semestre dell’anno che fanno registrare complessivamente un taglio del 4 per cento nella spesa alimentare delle famiglie italiane.
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Settembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
L’ASSENZA DI 500 DELEGATI E LA LITE SULLE REGOLE TRA LE CORRENTI PARALIZZANO L’ASSEMBLEA NAZIONALE DEL PD
“Altro che primarie dell’Immacolata. Qua serve il miracolo dell’Immacolata per riuscire a farle”. La sintesi migliore dell’ennesima giornata di follia collettiva del Pd la fa Beppe Fioroni.
Assemblea finita, certezze nessuna, battaglia rimandata a venerdì, in direzione.
“Sono state ritirate le modifiche statutarie. Il congresso sarà l’8 dicembre e la direzione deciderà come procedere”.
Guglielmo Epifani sale sul palco che sono le due passate per dire che di 4 mesi di discussione non se n’è fatto ancora (quasi) niente.
Si conclude così una mattinata surreale.
I fatti: l’Assemblea vota un documento che stabilisce la data delle primarie all’8 dicembre; ma non vota le modifiche statutarie che dovevano velocizzare e snellire il percorso, per rendere possibile quella data, nonchè sancire la separazione tra segretario e candidato premier.
Lo Statuto adesso è immodificabile: se Renzi viene eletto segretario, sarà l’unico candidato premier del Pd. E Letta è fuorigioco.
Così un minuto dopo la chiusura iniziano le interpretazioni.
Tra chi, come Francesco Sanna (consigliere del premier) commenta: “Ma vale di più lo Statuto o un voto dell’Assemblea? ”.
Gli fa eco Marco Meloni, altro lettiano: “Abbiamo votato l’8 dicembre, mica abbiamo detto di quale anno”.
Una battuta, che scopre la volontà di far slittare il congresso.
D’altra parte, i bersaniani andavano dicendo da giorni, Nico Stumpo in testa: “Se non ci sono i numeri, allora si va con lo Statuto attuale e il congresso slitta a primavera”. Sull’altro fronte, il renziano Gentiloni – mentre avverte che l’8 dicembre non si tocca – commenta: “È un grande pasticcio: a furia di cercare cavilli per frenare qualcuno e per la paura che qualcuno diventi segretario, hanno reso la situazione ingovernabile”.
Per capire cosa è successo, proviamo a riavvolgere il nastro di una mattinata che sembrava andare in una direzione e poi finisce contro il muro.
L’Assemblea si riunisce di prima mattina.
La Commissione regole, dopo gli ultimi 2 giorni di conclave permanente, è arrivata a un accordo, che prevede data, congressi regionali dopo quello nazionale e separazione tra segretario e premier.
Lo illustra Gualtieri. Interviene la Bindi in persona: “I risultati della Commissione non sono consensuali e unitari: voterò contro la modifica del-l’articolo 3” (ovvero quello che stabilisce la distinzione tra segretario premier e candidato, in maniera permanente).
Spiega che non si cambia la natura di un partito in un’Assemblea. Con lei i veltroniani.
Se si fossero limitati a confermare la norma transitoria (quella che permise in via eccezionale a Renzi di correre contro Bersani) l’avrebbero votata tutti, spiegano.
In sala si comincia a vociferare che il numero legale (476 delegati) non c’è.
Intanto, parlano i candidati. Si approva il documento, con 378 sì, 74 no e 24 astenuti. Numero legale sul filo. E niente maggioranza qualificata, quella che serve per lo Statuto.
I bindiani chiedono che si voti separatamente la modifica permanente e quella temporanea. La Sereni vuol mettere al voto anche questo, la Bindi si oppone, minaccia di chiedere la verifica dei numeri.
Dal palco il responsabile Organizzazione, Zoggia annuncia che la Commissione si riunisce e l’assemblea si riaggiorna alle 13 e 30.
Passanno i minuti. Chiacchiera Matteo Orfini: “C’è mezzo Pd che ha lavorato per far mancare il numero legale in assemblea, far slittare il congresso ed evitare pericoli per il governo. Sono quelli che hanno lavorato con Letta, Franceschini, Bersani. E anche Epifani: se convochi un’assemblea e poi non riesce, ci sono delle responsabilità … ”. Zoggia un paio di settimane fa aveva ammesso che bisognava considerare decaduti 200 o 300 membri dell’Assemblea. E poi non l’ha fatto.
I minuti passano lenti.
L’atmosfera è un po’ quella del Capranica: dall’ovazione per Prodi al tradimento.
Il capo ufficio stampa del Pd, Seghetti, spiega che sì, la data c’è, ma a norma di statuto in questa situazione le primarie nazionali vanno a marzo. La riunione si scioglie. Riparte il tutti contro tutti.
Bindi: “Senza congresso salta il governo e il partito”.
I bersaniani danno la colpa a renziani, civatiani e bindiani.
Renzi commenta che si è fatta una pessima figura, ma che la data c’è e le regole pure. Cuperlo anche spinge per l’8, senza se e senza ma.
Veltroni, Bindi, i Giovani Turchi, i dalemiani e i renziani in direzione riusciranno a contrastare lettiani, bersaniani e franceschiniani, se si arriva a uno scontro?
Stando ai numeri no.
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI ALESSANDRA GALLI, PRESIDENTE D’APPELLO NEL PROCESSO MEDIASET… VENERDàŒ NAPOLITANO AVEVA PARLATO DI “CONFLITTO POLITICA-GIUDICI”
L’ultima strigliata alle toghe del presidente Giorgio Napolitano ha provocato la fine dell’idillio con l’Associazione nazionale magistrati, che aveva voluto ingoiare in silenzio il rospo del ricevimento al Quirinale di una delegazione del Pdl, all’indomani della marcia sul Tribunale di Milano.
Ieri il consiglio direttivo all’unanimità (un solo astenuto) ha approvato un documento in cui si chiede rispetto per i magistrati e si ribadisce che non hanno condotto una battaglia contro la politica.
Durante il dibattito la dura risposta al Capo dello Stato di Alessandra Galli, presidente del collegio d’appello del processo Mediaset-Berlusconi: “C’hanno lasciati soli. Ci vogliono imbavagliati”.
Secondo Galli, non si dice invece “cosa debbano fare gli altri” che si contrappongono ai “principi di diritto”.
Venerdì scorso Napolitano si era lamentato per “il perdurante conflitto magistratura-politica” e, invocando la riforma della giustizia, aveva esortato le toghe ad avere atteggiamenti “meno difensivi e più propositivi”.
Le critiche sono arrivate due giorni dopo il videomessaggio di Silvio Berlusconi che aveva parlato di “via giudiziaria al socialismo”.
“Chiediamo rispetto, a tutela dello Stato di diritto, per il ruolo e la collocazione della magistratura — si legge nel documento dell’Anm — La magistratura, nell’adempimento dei propri compiti istituzionali, non è, e non può essere impegnata in alcuna contrapposizione”.
Quanto all’appello di Napolitano a essere “sobri”, “equilibrati”, “assolutamente imparziali” e con il senso del “limite”, l’Associazione risponde, nella sostanza, che di fronte alle calunnie berlusconiane è stata fin troppo sobria: “L’Anm ha sempre reagito con forte senso di responsabilità , senza spunti polemici e sovraesposizioni personali, alla campagna organizzata di delegittimazione che colpisce la magistratura nel suo complesso e i magistrati impegnati nella trattazione di delicati processi, evocando una contrapposizione inaccettabile rispetto all’esercizio della giurisdizione”.
A proposito della supposta linea “difensiva” rispetto alle riforme della giustizia, ribatte: “L’Associazione ha sempre contribuito alla discussione sulle riforme con proposte e iniziative destinate a realizzare i principi costituzionali sulla giustizia e i magistrati hanno collaborato attivamente all’attuazione delle riforme già varate, con spirito di servizio e senso del dovere…”.
Il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli rileva i danni delle larghe intese con il condannato Berlusconi protagonista: “La situazione contingente continua a condizionare le riforme, dopo i danni prodotti dalla stagione delle leggi ad personam”.
La giudice Galli ha denunciato la solitudine delle toghe denigrate.
Lei stessa è stata dileggiata per la sua storia personale: è figlia di Guido Galli, il magistrato ucciso nel 1980 a Milano da Prima Linea.
“Non riesco ad accettare la costante denigrazione del lavoro di mio padre e ora mio”, aveva detto nel 2010 al Quirinale durante la giornata della Memoria. Gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo, nei mesi scorsi si sono spinti a scrivere nella richiesta di trasferimento del processo a Brescia (bocciata dalla Cassazione) che “i tragici fatti personali certamente inficiano la serenità di giudizio” di chi ha “pesantemente criticato l’operato di Berlusconi”.
Galli rivendica: “La magistratura ha tenuto un profilo del tutto corretto e anche fenomeni di sovraesposizione mediatica, che possono esserci stati, sono diminuiti. Ma non si può chiedere il silenzio assoluto. Di fronte ad attacchi che non trovano risposte in nessuna sede, si impone la necessità di spiegare. Bisogna rompere questo circolo vizioso. C’è chi manifesta le critiche prima che vengano depositate le sentenze e nel frattempo noi dobbiamo tacere e vedere descritta una situazione completamente diversa dalla realtà ”.
Poi, senza citarlo, risponde al capo dello Stato: “Ci chiedono di imbavagliarci, c’è una lesione forte del nostro diritto. Ci invitano a essere costruttivi per la pacificazione e non si dice invece cosa debbano fare gli altri che adottano comportamenti fuori dai principi di diritto”.
Antonella Mascali
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Settembre 22nd, 2013 Riccardo Fucile
IL 17 LUGLIO 2011, NEL PIENO DELLA VICENDA DEL PRESUNTO SCANDALO CHE “DOVEVA” VEDERE COINVOLTO FINI, LAVITOLA CHIAMA TRE VOLTE IL CAVALIERE E PARLA DI 300.000 EURO… QUALCHE TEMPO DOPO SPUNTA IL DOCUMENTO PATACCA DEL GOVERNO DI ST. LUCIA
Gianpy Tarantini? «Una comodità ». I soldi versati ogni mese? «Guadagnavo un milione e mezzo al giorno, avevo una ricchezza di 12 miliardi di euro, faccia il calcolo di cosa siano tremila, quattromila euro».
In settanta pagine di verbale, oltre tre ore davanti ai pubblici ministeri di Bari, Silvio Berlusconi tenta di respingere così l’accusa di aver pagato il silenzio dell’imprenditore barese sulle feste nelle sue residenze.
L’inchiesta è ormai terminata, i magistrati sarebbero in procinto di chiedere il rinvio a giudizio dell’ex premier per il reato di induzione del testimone a mentire.
Intanto gli atti istruttori sono stati messi a disposizione delle parti. La scelta di Berlusconi di presentarsi a Bari risale al 17 maggio scorso ed era stata interpretata come un gesto collaborativo nella speranza di poter così ottenere l’archiviazione del fascicolo. Ma nuovi dettagli sono emersi, compresa la prova dei contatti con Lavitola poco prima della campagna di stampa contro l’allora presidente della Camera Gianfranco Fini.
Le «pressioni intense»
L’interrogatorio di fronte al procuratore aggiunto Pasquale Drago riguarda naturalmente i 500 mila euro messi a disposizione di Tarantini attraverso il faccendiere Valter Lavitola, ma anche le dazioni mensili e il pagamento dei difensori. Berlusconi, come del resto aveva già fatto pubblicamente, nega di essere stato sotto ricatto e anzi sostiene di essere un benefattore. «Non avevo nessun motivo per dover mandare messaggi a Tarantini di essere attento a quello che diceva, era già stato detto tutto quanto. L’unica cosa per cui dopo io ho ceduto alle pressioni di Lavitola, intense devo dire, è stato proprio per il fatto che avevo conosciuto Tarantini in una situazione di benessere forte. Aveva affittato ville in Sardegna, viaggiava su aerei privati e francamente sentirlo precipitato…».
Il magistrato si mostra stupito della «amicizia con questo signore», Berlusconi risponde: «Non è che ho stretto una profonda amicizia, non è che ci parlavo di fatti miei. Devo dire che era piacevole avere, in mezzo a tante persone che ero costretto a invitare a cena, una persona che si faceva accompagnare da due belle ragazze… Era un fatto di comodità , nel senso che quando c’era una cena io non le invitavo neppure, era lui che ogni tanto telefonava per sapere “quando c’è una cena dal presidente?”». E ancora: «Su cento veline a cui rivolgi la domanda: andresti volentieri a cena da Berlusconi? 76 avevano risposto “subito” e le altre 24 erano già venute prima».
La nota spese
Il procuratore gli chiede se c’era bisogno di tanti soldi e Berlusconi è costretto ad ammettere che «sul conto non c’era soltanto la famiglia stretta, lui, moglie e due figlie, ma anche la madre e la famiglia del fratello. Mi ricordo che pagava un affitto esagerato, seimila euro al mese, e io dissi a Lavitola: “Ma che cambi residenza!”». In uno stralcio pubblicato dalla Gazzetta del Mezzogiorno rimarca quanti soldi extra fosse stato costretto a versare.
Poi ricorda l’incontro avvenuto ad Arcore nella primavera 2011 e il patto sui 500 mila euro.
Dichiara Berlusconi: «Durante l’incontro ad Arcore con Tarantini e la moglie, Lavitola confermò a Tarantini che io avevo provveduto al versamento a lui dei 500 mila euro e che lui aveva i 500 mila euro a disposizione di Tarantini. Successivamente a questo incontro cominciò a fare dei versamenti a Tarantini imputandoli ai 500 mila euro che aveva ricevuto da noi. Quando scoppiò la situazione giudiziaria di Tarantini lui mi disse che aveva dato a Tarantini più di 200 mila euro e mi portò una specie di contabilità su un foglio in cui praticamente la metà di quei 500 mila euro era stata versata».
Le chiamate e Montecarlo
Il magistrato gli chiede conto di alcune telefonate con Lavitola arrivate sull’utenza di Arcore delle quali aveva parlato nel suo interrogatorio proprio il faccendiere. Berlusconi precisa di non ricordare perchè riceve moltissime telefonate «l’altro ieri 72, non ho risposto a tutte naturalmente». In realtà , come viene contestato dal pubblico ministero durante l’interrogatorio, «si tratta dei contatti avvenuti mentre il faccendiere è in Argentina, nasce con la storia di Montecarlo» facendo evidente riferimento ai documenti sulla casa affittata nel Principato dal cognato dell’allora presidente Gianfranco Fini pubblicati da Il Giornale .
Berlusconi nega di aver parlato, sostiene che «evidentemente non mi è stato passato nessuno», invece gli viene contestato quanto emerge dai tabulati rintracciati dai carabinieri di Bari.
Si tratta di tre contatti che risalgono al 17 luglio 2011. Spiega il pubblico ministero: «La prima telefonata dura 2 minuti, la seconda dura un minuto e la terza 9 minuti. Quindi questa sarebbe una conversazione”.
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera“)
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