Destra di Popolo.net

DOPO SETTE ANNI ARRIVA LA ROGATORIA CHE FA PAURA A BERLUSCONI

Settembre 25th, 2013 Riccardo Fucile

DEPOSITATI IN TRIBUNALE I DOCUMENTI SU MEDIATRADE E AGRAMA RICHIESTI A HONG KONG DAL PM DE PASQUALE NELL’OTTOBRE 2006…. DE GREGORIO DICE: “FUI IO A STOPPARLI”

Ci sono voluti sette anni per ottenere da Hong Kong documenti per un’indagine su Silvio Berlusconi.
La rogatoria del pm milanese Fabio De Pasquale è stata recapitata al Consolato generale di Hong Kong il 4 ottobre 2006 e solo ieri le carte, finalmente arrivate prima dell’estate, sono state depositate alla cancelleria del tribunale di Milano, a disposizione dei difensori del processo Mediatrade .
Sono 62 fascicoli, 3 dvd e 8 floppy disk arrivati dalla Cina dentro grandi buste gialle sigillate con vistosi bolli di ceralacca rossa.
Riguardano società  di Frank Agrama, che la sentenza di condanna definitiva del processo Mediaset definisce “socio occulto” di Berlusconi.
La spiegazione del clamoroso ritardo con cui i documenti sono arrivati in Italia la offre l’ex senatore Sergio De Gregorio, interrogato il 10 settembre dai pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, nel verbale depositato ieri insieme alle carte cinesi.
“Mi sono dato da fare per bloccare la rogatoria a Hong Kong”, dice De Gregorio, confermando quanto già  dichiarato ai pm di Napoli e raccontato anche in una intervista al Fatto.
Tutto parte da una missione a Hong Kong compiuta da De Gregorio nell’aprile 2007 come presidente della commissione Difesa del Senato.
Incontra il console italiano Alessandro De Pedys: “Mentre mi trovavo nei locali del Consolato generale, De Pedys mi chiamò in disparte nella sua stanza, chiuse la porta e cominciò a parlare del fatto che era stata mandata una rogatoria a Hong Kong nel quadro delle indagini su Mediaset”, detta a verbale De Gregorio.
“De Pedys mi disse che sarebbe stato il caso che io informassi Berlusconi”. In una seconda missione a Hong Kong, nel settembre 2006, il console gli consegna addirittura la fotocopia di un suo rapporto al ministero degli Esteri.
È una concisa ma precisa relazione (anche questa ora depositata agli atti del processo Mediatrade) sulle indagini di De Pasquale.
Si legge: “Agrama, cittadino americano residente negli Stati Uniti, ha acquistato da Paramount grandi quantità  di prodotti (diritti di trasmissione) che ha poi rivenduto a prezzi gonfiati alle società  estere di Berlusconi (Principal Network Ldt e International Media Services-Malta).
Queste ultime avrebbero rivenduto i diritti con un rilevante sovrapprezzo alle società  del gruppo Mediaset, attuando in tal modo una truffa ai danni degli azionisti (…)
La Procura ritiene che Berlusconi abbia diretto e utilizzato l’attività  di Agrama allo scopo di sottrarre denaro alle società  italiane (Fininvest e Mediaset) e allocarlo su conti bancari esteri”.
Tornato in Italia, De Gregorio porta l’appunto del console a Berlusconi, il quale chiede all’avvocato Niccolò Ghedini “se fosse informato della vicenda di Hong Kong”. Lui “rispose di no”.
Parte allora la manovra per bloccare la rogatoria. De Gregorio incontra a Roma l’ambasciatore cinese, Dong Jinyi, che “si mostrò molto contrariato e preoccupato per le doglianze di Berlusconi (…) Mi disse che sarebbe intervenuto sul suo governo per sollecitare Hong Kong a rivedere il via libera alla rogatoria”.
Poi anche Berlusconi incontra l’ambasciatore, mentre De Gregorio nel 2008 contatta Duncan Pescod, rappresentante di Hong Kong presso l’Unione europea.
Anche Pescod gli assicura, a voce e per lettera, che “si era dato da fare nel senso da me richiesto”.
In cambio, De Gregorio promette di impegnarsi per far uscire Hong Kong dai paesi inseriti nella black list e per procurare un incontro con il papa al suo primo ministro.
Alla fine, “la questione sembrava risolta”. Invece non solo Berlusconi viene comunque condannato per frode fiscale nel processo Mediaset, anche senza le carte cinesi, ma ora queste arrivano in Italia nel processo Mediatrade, in cui sono giudicate le presunte frodi fiscali proseguite dopo il 2003.
Quei documenti riguardano le società  di Agrama a Hong Kong (Melchers, Meadowview Overseas, Harmony Gold, Wiltshire Trading, Olympus Trading, Renata Investments, Melchers Robotech, Harmony Gold Toys, Byram Enterprises, Gold Company and Supreme Well International, Professional Corporate Services). Potranno portare ulteriori elementi a carico di Agrama.
Quanto a Berlusconi, uscito dal processo Mediatrade con un proscioglimento confermato dalla Cassazione, se dovessero contenere nuovi elementi, scatterebbe l’articolo 434 del codice: in presenza di nuove fonti di prova, il giudice dispone la revoca del proscioglimento e fa rientrare il prosciolto nel processo.
Alla procura di Roma spetterà  invece stabilire se il racconto di De Gregorio sulle pressioni per bloccare la rogatoria meriti l’apertura di una nuova inchiesta su Berlusconi e su chi insieme a lui potrebbe aver tentato di azzoppare le indagini milanesi.

Gianni Barbacetto
(da “il Fatto Quotidiano“)

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A DICEMBRE TORNA L’IMU MASCHERATA: SI PAGHERA L’ACCONTO SULLA SERVICE-TAX

Settembre 25th, 2013 Riccardo Fucile

ALLARME PER LA TENUTA DELLA FINANZIARIA

Scatta la mossa del governo sull’Imu, che torna a dicembre in forma mascherata, come acconto della “service tax”.
Il Tesoro è a caccia di 3 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva previsto a ottobre ma l’operazione-maquillage della tassa sulla casa dovrebbe arrivare a novembre.
E al Quirinale adesso scatta l’allarme. A rischio la tenuta sulla legge finanziaria. Consultazioni del presidente Napolitano con i segretari Alfano ed Epifani mentre il Pdl minaccia di nuovo una crisi.
Al Quirinale l’allarme è massimo.
La barca del governo sta sbandando pericolosamente sotto i colpi del Pdl e del Pd.
Tanto che Napolitano, in vista dell’appuntamento di venerdì con il Consiglio dei ministri, chiamato a varare un maxi decreto da oltre tre miliardi di euro, ha deciso di intervenire in prima persona. Prima che salti tutto.
Anche perchè, come se non bastasse la questione Iva a terremotare il quadro politico, anche la partita dell’Imu è di nuovo tutta aperta.
Con ripercussioni imprevedibili sul governo
«Sarà  la prima legge di stabilità , dopo anni, scritta in Italia e non a Bruxelles. Tutti – ha predicato Enrico Letta in una riunione con i ministri prima di partire per New York – dovrebbero averne consapevolezza».
I prossimi giorni saranno decisivi per capire se sarà  possibile ricucire un minimo di intesa fra le forze politiche. A questo appunto si è applicato Napolitano.
Con l’appello pubblico di due giorni fa. E con le consultazioni informali organizzate ieri, quando ha chiamato al Quirinale prima Angelino Alfano, poi Dario Franceschini e infine Guglielmo Epifani.
Un giro d’orizzonte per stringere i bulloni della maggioranza e avere assicurazioni sul cammino non accidentato del decreto con la correzione dei conti pubblici.
Non a caso, dopo il colloquio con Alfano, dal Colle filtra che l’oggetto del faccia a faccia è stato «l’impegno delle forze politiche per la continuità  dell’attività  di governo». Evidentemente non più scontata.
Un impegno che tuttavia il segretario del Pdl ha potuto prendere solo in parte
Berlusconi – è stato il ragionamento del vicepremier – non intende far cadere il governo. «Ma nessuno è in grado di dire quanto regge». In ogni caso, dopo l’udienza al Quirinale, Alfano è andato subito a riferire al Cavaliere l’invocazione di Napolitano a favore della stabilità . Trovandolo però più impermeabile del solito. Anzi, ai piani alti del Pdl si ricomincia di nuovo a parlare di elezioni, con una data possibile individuata nel 9 di marzo
Fibrillazioni che non aiutano palazzo Chigi, alle prese con un decreto monstre da oltre tre miliardi di euro: 1 per congelare l’aumento dell’Iva, 1,6 per rientrare sotto il 3% del rapporto deficit/ Pil e un altro mezzo miliardo per rifinanziare le missioni militari all’estero.
I tecnici di Saccomanni hanno lavorato tutto il week-end e finalmente lunedì le coperture sono state trovate ed esaminate in una lunga riunione con alcuni ministri di Pd e Pdl. Ma ancora manca l’accordo politico.
Epifani avrebbe chiesto al capo dello Stato che si apra un tavolo per mettere in chiaro tutte le cose da fare, dall’Iva alla seconda rata dell’Imu, alla Cig, perchè «i soldi si sa sono pochi, e i tagli stavolta vanno fatti con equità ». Insomma, tutt’altro che un sostegno incondizionato al governo
Tirato da una parte e dall’altra, con la scadenza fatidica della decadenza di Berlusconi che si avvicina, il premier stavolta è consapevole di giocarsi il tutto per tutto.
Raccontano che avrebbe in mente di giocarsi la carta di un documento politico da far sottoscrivere a tutti i partiti della sua maggioranza strana.
Per rendere ancora più pesante la responsabilità  degli “azionisti” del governo, Letta ha messo alla frusta i suoi ministri.
Il progetto è quello di affiancare alla legge di Stabilità  un pacchetto di mischia di 8-10 disegni di legge «collegati».
Un vero e proprio «nuovo programma di governo», centrato sulla crescita economica, per la fase due che dovrebbe aprirsi a gennaio 2014, se l’esecutivo riuscirà  a svalicare l’anno. I «collegati » infatti godono di una corsia preferenziale in Parlamento, sono una via di mezzo tra un decreto e un normale (e incerto) disegno di legge.
I parlamentari devono sottostare a regole più rigide per gli emendamenti e comunque la sessione di Bilancio garantisce che vengano esaminati e approvati celermente. Entro la fine dell’anno. Se questa è la scommessa di Letta, le premesse perchè vada a buon fine non sono tuttavia incoraggianti.
Nonostante il sostegno decisivo di Napolitano, la maggioranza infatti ormai è allo sbando. Pd e Pdl si comportano in Parlamento come nemici.
Ieri alla Camera è saltato l’accordo sul finanziamento pubblico dei partiti mentre al Senato sono volate parole grosse nel vertice tra Schifani e Brunetta da una parte e i capigruppo di Pd e Scelta Civica dall’altra. Oggetto del contendere: la presidenza della commissione antimafia. Scintille anche sul decreto cultura, con Sandro Bondi che ha dichiarato il suo voto contrario, seppur a titolo personale.
Un antipasto di opposizione.

Francesco Bei
(da “La Repubblica“)

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CAPITANI DI SVENTURA

Settembre 25th, 2013 Riccardo Fucile

TELECOM, UNA STORIA ITALIANA: UN’AZIENDA DIVORATA DAI DEBITI CONTRATTI DA CHI L’HA SCALATA SENZA SOLDI, PRIVATA DELLA POSSIBILITA’ DI CRESCERE E INVESTIRE

Abbiamo perso anche Telecom Italia.
Gli spagnoli di Telefà³nica comprano il controllo su una delle più importanti aziende italiane, che in Borsa vale 7,7 miliardi di euro, per qualche spicciolo, 300 milioni.
Non è un’acquisizione come quella del marchio Loro Piana di qualche mese fa: allora i francesi di Lvmh strapagarono per 2 miliardi l’eccellenza italiana nella moda.
Nel caso di Telecom, il sedicente “salotto buono” della finanza regala agli spagnoli i resti di un’azienda che negli anni è stata “spolpata”, come ha detto il presidente Franco Bernabè.
È una “storia italiana”, per citare lo slogan di un’altra azienda simbolo di questo nostro capitalismo, il Monte dei Paschi.
Nella cronaca della distruzione di Telecom ci sono tutti: da Gianni Agnelli a Roberto Colaninno a Marco Tronchetti Provera e Corrado Passera. Da Intesa San-paolo a Mediobanca, Generali e Benetton.
Poco importa ripartire i millesimi della responsabilità .
È il risultato che conta: un’azienda divorata dai debiti contratti da chi l’ha scalata senza soldi, privata della possibilità  di investire e crescere.
I capitani di sventura che hanno distrutto Telecom sono gli stessi che governavano il grosso del capitalismo italiano di relazione: comandano su Rcs-Corriere della Sera, a un passo dal portare i libri in tribunale, hanno “salvato” l’Alitalia, che domani sarà  consegnata ad Air France, con tante scuse; hanno creato mostri finanziari come Romain Zaleski e Salvatore Ligresti, capaci da soli di destabilizzare i bilanci delle grandi banche. E hanno ridotto la Pirelli e la Fiat come sappiamo.
I nostri capitalisti all’impresa hanno preferito la rendita, compiacendosi nelle articolesse encomiastiche che ottenevano sui giornali di cui erano proprietari.
Questa classe dirigente è stata definita come una “èlite estrattiva”: ha svuotato il Paese che le era stato affidato e, una volta consumato il bottino, ne consegna i rimasugli al primo straniero che passa.

Stefano Feltri

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ANCHE ALITALIA A UN PASSO DALLA SVENDITA. FLOP DEL PIANO BERLUSCONI-PASSERA COSTATO 6 MILIARDI

Settembre 25th, 2013 Riccardo Fucile

I FRANCESI POTREBBERO PAGARLA SOLTANTO 150 MILIONI

La vicenda della nuova Alitalia è il capitolo che possono aggiungere alla prossima edizione.
Avrebbe molti protagonisti notevoli per ciò che hanno fatto o che hanno omesso: l’allora presidente dell’Antitrust e oggi viceministro dello Sviluppo Antonio Catricalà , l’altro ex presidente dell’Autorità  della concorrenza Giuseppe Tesauro, quello attuale Giovanni Pitruzzella, il vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani, oltre al regista industriale dell’operazione Corrado Passera e all’ex premier Silvio Berlusconi.
Non senza il supporto, involontario ma prezioso, della Cgil.
Il tutto per un costo di circa sei miliardi a carico dei contribuenti e vasto anche per i consumatori.
Non era destino che dovesse finire così.
Quando il 19 marzo del 2008 atterra a Roma Jean-Cyrille Spinetta, allora numero uno di Air France, per Alitalia si presentano buone notizie.
La compagnia è alle soglie del fallimento, disertata dalla clientela, ma Spinetta rilancia: Air France è disposta a comprare Alitalia dal Tesoro per una somma fra 2,5 e 3 miliardi di euro, in più si accolla i tre miliardi di euro dei suoi debiti e si impegna a investirne altri sei in dieci anni.
Un’operazione da circa sei miliardi a beneficio delle casse dello Stato (circa le manovre Iva più Imu di un anno), più altri sei in sviluppo futuro.
Non se ne farà  di niente. La Cgil in Alitalia osteggia la fusione e Berlusconi sposta l’ago della bilancia puntando la campagna elettorale di allora sull’«italianità  » della compagnia.
Oggi tutti i protagonisti di allora sono costretti a sperare che la stessa Air France prenda il controllo di Alitalia con appena 150 milioni
Ma questa èsolo una parte della beffa, poi arrivano gli altri oneri.
Il più immediato ricade ancora una volta sui contribuenti.
Nell’estate 2008 infatti il governo Berlusconi favorisce una cordata di investitori privati italiani nella compagnia, spostando i tre miliardi di debiti di Alitalia su una nuova bad company sotto il controllo del Tesoro.
Cioè a carico dei cittadini.
Inoltre, ottomila dipendenti vengono messi in mobilità , ancora una volta a carico dello Stato, e undicimila restano.
Lacordata italiana — guidata da Passera con banca Intesa Sanpaolo, e con dentro la Immsi di Roberto Colaninno, e nomi noti come i Riva, i Benetton, Marco Tronchetti Provera, i Marcegaglia, Acqua Marcia di Bellavista Caltagirone, i Ligresti o i Marcegaglia — potrà  dunque spendere circa un miliardo (un terzo di quanto offriva Air France) per raccogliere un’azienda ristrutturata e senza debiti.
Qui sorge il primo problema perchè, accollando ai cittadini i debiti della vecchia Alitalia, di fatto il governo concede alla cordata italiana un aiuto di Stato.
Una violazione della parità  di condizioni fra concorrenti. Meridiana e Ryanair presentano ricorso alla Commissione europea, ma sono sfortunati: il responsabile dei Trasporti all’epoca è Antonio Tajani, ex portavoce di Berlusconi, cioè del padre dell’operazione nuova Alitalia.
«A Bruxelles ci presero a pesci in faccia », ricorda ora l’esperto di Antitrust e all’epoca consulente di Meridiana Roberto Pardolesi.
Non sarà  la sola volta in cui la nuova Alitalia sfugge alle regole di un mercato uguale per tutti.
L’operazione italiana infatti si fa attraverso la fusione della prima e della secondo compagnia del paese, Alitalia e AirOne.
In Grecia una fusione tra la numero uno e la numero due fu vietata da Bruxelles, ma questa volta l’Antitrust europeo ignora la questione.
Alitalia e AirOne così conquistano il monopolio sulla tratta più redditizia d’Europa, Linate-Fiumicino, e una posizione dominante su molti voli da Linate verso Napoli, Catania e Palermo.
Una violazione impossibile da ignorare, se non venisse in soccorso una legge ad hoc: il decreto legge 134 dell’autunno 2008 che chirurgicamente sospende per tre anni le norme di concorrenza per le «aziende di servizi pubblici essenziali» nate da fusioni «entro il 30 giugno 2009».
Manca solo che indichino la statura dell’ammini-stratore delegato. Catricalà , allora presidente dell’Antitrust, poi sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Mario Monti, non applica neanche i calmieri ai prezzi che pure potrebbe ancora imporre.
La Linate-Fiumicino diventa la tratta più costosa d’Europa, seguita a ruota dalle rotte per il Mezzogiorno.
I contribuenti avevano già  pagato prima, i consumatori pagano ora, ma i concorrenti di Alitalia non si arrendono: parte un ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio contro quell’esenzione dalle norme di libera concorrenza e il Tar del Lazio lo rimanda alla Corte costituzionale.
Qui relatore sulla questione è Giuseppe Tesauro, ex capo dell’Antitrust in Italia. Si tratta di un’altra circostanza sfortunata, per via di un incrocio di carriere: all’Antitrust per anni Tesauro ha tenuto come capo di gabinetto Rita Ciccone, oggi numero tre della nuova Alitalia.
Ma Tesauro non rinuncia a trattare il caso e emette una sentenza che conferma l’esenzione di Alitalia dalle regole di concorrenza in nome dell’«interesse pubblico». Anche Pitruzzella, capo attuale dell’Antitrust, scaduti i tre anni di esenzione farà  giusto il minimo per scalfire il monopolio: nessuna nuova misura sulle tratte Linate-meridione.
Forse non ha capito neanche lui cosa sia questo «interesse pubblico» di cui parla la Consulta.

Federico Fubini

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IL FRATELLO DI ANGELINO E QUEL GIRO DI AUTO SPORTIVE ALLA CAMERA DI COMMERCIO

Settembre 25th, 2013 Riccardo Fucile

LA STORIA DI UNO STRANO AFFARE: SUV REGISTRATI COME AUTOCARRI E PORSCHE COMPRATE A 1.335 EURO E RIVENDUTE A 20.000

Alessandro Alfano e Pino Pace condividono la passione per le auto.
Dalla Land Rover comprata con i soldi della Camera di Commercio. All’affare privato della Porsche, comprata a prezzo stracciato dal fratello del vicepremier, e rivenduta maggiorata al Presidente della Camera di Commercio.
Ecco la storia di uno strano affare.
Alessandro Alfano non torna alla Camera di Commercio di Trapani: il fratello minore del vicepremier Angelino ha trovato subito un’alternativa.
E’ stato nominato infatti dirigente della Postecom, la società  che gestisce i servizi internet di Poste Italiane. La nomina ai vertici dell’azienda di proprietà  del Tesoro arriva dopo il flop della richiesta di reintegro come segretario generale dell’ente camerale.
Alfano a fine 2011 ha dato le sue dimissioni a seguito delle polemiche per l’inchiesta avviata dalla Procura di Palermo sulla sua nomina a Trapani.
Qualche tempo prima di essere stato incaricato, una lettera anonima avvisava che a vincere il concorso sarebbe stato proprio il rampollo di Agrigento.
Poi una serie di sospetti sul suo curriculum vitae, il dubbio che qualche voce fosse falsa, che le competenze non fossero necessarie. La procura ha cercato di capire cosa ci fosse dietro. Poi ha archiviato il caso.
Tutto nasceva anche da quell’inchiesta sugli esami truccati all’università  di Palermo in cui restarono coinvolti studenti e funzionari per una serie di materie “comprate” a mille euro ciascuna, taroccando i database dell’ateneo.
Nel calderone ci finì pure Alfano jr. che però venne scagionato dopo aver presentato gli statini. “Ho realmente sostenuto quegli esami — aveva detto Alfano — ricordo persino le domande che mi fecero”. Alfano si è laureato nel 2009 a Palermo, a 34 anni. Non proprio uno che brucia le tappe, come si legge nel suo curriculum: “dotato di una ”personalità  eclettica, che tende a bruciare le tappe grazie ad un’intelligenza vivace e una forte capacità  relazionale”.
O forse sì visto che l’anno prima, da studente, ha avuto il tempo di tenere un laboratorio all’università  La Sapienza di Roma.
Nel frattempo Alessandro Alfano fa tutta una carriera nell’universo della Camera di Commercio e sempre accanto ad un berlusconiano della prima ora: Giuseppe Pace, di Marsala, che della Camera di Commercio di Trapani è il presidente dal 2001.
Nel 2006 Alfano diventa segretario di Unioncamere in Sicilia. E trova, casualmente, nel board Pino Pace. Come lo trova anche nei vertici di Retecamere, sempre nel macrocosmo delle Camere di Commercio.
Ha una passione per le auto Alfano, ed alla Camera di Commercio di Trapani lo ricordano per l’acquisto di un Suv da 35 mila euro.
Una Range Rover Evoque, blu scura, tutto a quanto pare a spese della Camera di Commercio. E’ una cosa bizzarra. Anche perchè l’auto è registrata come autocarro, pur senza le opportune modifiche. Ma perchè la Camera di Commercio ha bisogno di un Suv, e soprattutto, dov’è ora?
Non ci sono soltanto i Suv. Ad Alfano piacciono anche le auto sportive.
Le Porsche ad esempio, chi non ne vorrebbe una. Una Boxster Cabriolet ad esempio. Grigia, tettuccio scappottabile, due posti, cerchi in lega. 2700 di cilindrata per 200 cavalli di potenza. Da 0 a 100 in 6 secondi.
Un bolide che Alfano riesce a comprare a prezzo stracciato. L’auto è del 2006, e nel 2008 riesce a comprarla da un tale di Palermo a soli 1.355 euro quando il suo valore sfiorava i 30 mila euro. La Boxster qualche anno fa andava molto.
C’era una concorrenza spietata con la Bmw Z4, ma un Porsche è una Porsche.
Piace sempre. E’ piaciuta anche a Pino Pace. Alfano gliela rivende nel 2010 con una super maggiorazione rispetto al prezzo d’acquisto: 20 mila euro.
La cessione avviene a maggio 2010 pochi giorni prima del cinquantesimo compleanno del presidente della Camera di Commercio.
Alfano e Pace si incontrano spesso all’Unioncamere Sicilia, hanno l’ufficio accanto. E di lì a qualche mese si incontreranno pure a Trapani.
Perchè a novembre Alfano viene designato, dopo aver vinto quel concorso sospetto, segretario generale. Chissà , magari andavano a lavoro assieme Pace e Alfano. Auto sportiva, due posti, scappottavano, e via. Di lusso.
Proprio su un giro di auto di lusso in quel di Trapani gli investigatori vogliono vederci chiaro e hanno monitorato queste compravendite strane, come ha scritto qualche giorno fa l’Espresso. Con Alfano che comprava a quattro soldi e rivendeva a prezzi maggiorati.

(da “Marsala.it“)

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