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LA UE BOCCIA LA LEGGE DI STABILITA’: VA MODIFICATA, DEBITO TROPPO ELEVATO

Novembre 15th, 2013 Riccardo Fucile

GOVERNO NEI GUAI, SALTANO LE COPERTURE PER TRE MILIARDI

L’Italia non potrà  chiedere alla Commissione Ue di fare uso della “clausola sugli investimenti” del patto di Stabilità , perchè non rispetta la condizione del debito pubblico in discesa a un ritmo soddisfacente.
Lo afferma la Commissione europea nella sua analisi, pubblicata oggi a Bruxelles, sulla bozza di bilancio presentata dal governo per il 2014.
Un colpo durissimo per l’esecutivo, che si vede sfilare via la bellezza di tre miliardi di euro.
Soldi su cui Letta e Saccomanni contavano e la cui sparizione costringe ora il governo a fronteggiare una voragine enorme.
Il ministero del Tesoro risponde dicendo che “la Commissione Ue non tiene conto di importanti provvedimenti annunciati dal governo, anche se non formalmente inseriti nella legge di Stabilità , e già  in fase di attuazione”.
“Nessuna bocciatura”, si affretta a precisare il ministero. “I rischi segnalati dalla Commissione erano già  considerati nell’azione del Governo. E sono già  state messe in campo misure per contrastare eventuali rischi su disavanzo e debito 2014”.
La sostanza, però, è un’altra. Con il giudizio di Olli Rehn, l’Italia perde così a sorpresa i tre miliardi previsti dalla “clausola di investimento”, regola attraverso la quale l’Europa si riserva di concedere ai paesi virtuosi più respiro nella gestione dei suoi conti, un fatto che il governo dava per acquisito.
“Siamo arrivati alla conclusione che non si possa profittare di questo vantaggio – avverte Bruxelles – perchè, sulla base delle previsioni economiche dell’autunno 2013, non sarà  ottenuto l’aggiustamento minimo strutturale richiesto per portare il rapporto fra debito e Pil su un cammino di sufficiente riduzione”.
La clausola prevede che, a certe precise condizioni, i paesi con il deficit sotto il 3% del Pil (“fase preventiva” del patto di Stabilità ) possano deviare dall’obbligo di ridurre ulteriormente il deficit/Pil verso l’obiettivo di medio termine (0,5%), pur restando sempre sotto il 3%, per fare investimenti favorevoli alla crescita, limitati al cofinanziamento dei programmi strutturali dei fondi di coesione comunitari e a quelli delle infrastrutture di interesse europeo.
Una boccata d’ossigeno a cui l’Europa ha detto di no. Aprendo ora un nuovo fronte di sfide per il governo Letta: trovare le coperture necessarie per far fronte alla “sottrazione” di questi tre miliardi.
Secondo Bruxelles, gli impegni dell’Italia sui versanti di riduzione di deficit e debito, consolidamento fiscale e riforme strutturali non bastano: “Nel 2014 l’Italia non compirà  progressi sufficienti per il rispetto dei criteri di debito per via di aggiustamenti strutturali insufficienti”, peraltro “rilevati dalla Commissione europea nelle previsioni economiche autunnali”.
In base alle stime Ue, il debito vale il 133% del Pil quest’anno e salirà  al 134 l’anno prossimo. Non si vede miglioramento, come invece accade sul fronte del deficit e come era richiesto.
Anzi: “C’è il rischio che la legge di Stabilità  (italiana) per il 2014 non sia in regola con il patto di Stabilità ; in particolare l’obiettivo di riduzione del debito per il 2014 non è rispettato»
“Progressi limitati” e “azioni limitate”.
È tutto in questo aggettivo – “limitato” – il giudizio che la Commissione europea dà  della bozza della legge di Stabilità . La Legge di Stabilità  dell’Italia “evidenzia progressi limitati” sulle raccomandazioni sulle riforme strutturali fatte dal Consiglio a maggio scorso, si legge nell’analisi della Commissione Ue.
La Commissione invita dunque “le autorità  italiane a prendere le misure necessarie, all’interno del processo per il bilancio nazionale, per assicurare che il budget 2014 rispetti pienamente il patto di Crescita e Stabilità “.

(da “Huffingtonpost“)

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PDL, FALLISCE L’ULTIMA MEDIAZIONE

Novembre 15th, 2013 Riccardo Fucile

RESPINTE LE RICHIESTE DELL’ALA VICINA AD ALFANO CHE ORA E’ PRONTA A DISERTARE IL CONSIGLIO NAZIONALE

Restano poche ore al Cavaliere per decidere la propria sorte.
O si scrolla di dosso i «falchi», i «falchetti», i «lealisti» e tutti gli ultrà  che vietano qualunque concessione, sia pure minuscola, ad Alfano; oppure domani, anzichè il battesimo di Forza Italia, Berlusconi celebrerà  un funerale politico: la triste, rancorosa e un po’ squallida scissione del suo movimento.
Senza precise garanzie, i «governativi» facenti capo al vice-premier non intendono metter piede all’Eur, dove è convocato il Consiglio nazionale del Pdl.
Ma in pochi credono ormai ai colpi di scena, dopo che pure l’ultima mediazione è andata in fumo nella giornata di ieri, incominciata tra voci di patti praticamente sottoscritti e precipitata poi nella solita convulsa rissa tra le fazioni.
In sintesi, ecco la cronaca degli ultimi accadimenti: l’altra notte, a Palazzo Grazioli, Silvio e Angelino s’erano lasciati con una stretta di mano.
«Allora siamo d’accordo…», «si sì procediamo in questo modo».
Cioè, in pratica, come avrebbe voluto Alfano: convocazione immediata dell’ufficio di presidenza, correzione del documento che venne approvato due settimane fa con un blitz, impegno a mandare avanti il governo Letta, ma soprattutto nomina di due coordinatori nazionali, uno per conto dei ribelli-ministeriali e l’altro dei falchi-lealisti, in modo da non potersi combinare scherzetti a vicenda.
Alfano ne ha dato notizia ai suoi e si è messo pazientemente in attesa.
Ma passa un’ora, passa l’altra, la convocazione dell’ufficio di Presidenza non è mai arrivata.
Anzi, verso sera si è saputo che Berlusconi aveva ricominciato con le telefonate «strappacore» ai senatori dissidenti per supplicarli di tornare all’ovile: segno inequivocabile che la mediazione è fallita e si torna alla casella del via (con tanti auguri).
Come mai il voltafaccia? Perchè come furie si sono precipitati dal Capo prima Verdini, poi Ghedini, a sera Fitto.
Gli hanno gridato che giammai si poteva cedere al ricatto di Alfano, che Angelino è solo chiacchiere e distintivo, che solo loro gli vogliono bene.
Berlusconi, spalleggiato da Gianni Letta, ha tentato sulle prime di resistere. Lui spera (a questo punto, meglio, sperava) di scansare l’onta della scissione e, soprattutto, dell’espulsione dal Parlamento, già  fissata per il 27 novembre.
Contava in un rinvio del voto sulla decadenza al Senato perchè attende in ansia l’arrivo di non meglio precisate carte dagli Usa, un dossier che (stando alle sue privatissime confidenze) gli permetterebbe di chiedere la revisione del processo Mediaset e magari addirittura di rimettere in forse la condanna…
Per rinviare la decadenza, o perlomeno tentare ancora, un partito unito gli avrebbe fatto comodo assai. Ma poi è giunta notizia da Palazzo Madama che il rinvio della decadenza è un miraggio, a spostare la data il Pd non ci pensa neppure lontanamente. Eventuali ritardi della legge di stabilità  non avranno alcun effetto sul calendario dell’«esecuzione».
Strattonato dai suoi scudieri, quasi costretto a indossare l’armatura per guidarli nell’ultima battaglia, il Cavaliere viene descritto da persone estranee all’una e all’altra parrocchia come un uomo turbato, quasi sconvolto, per la prima volta in preda allo sgomento.
Riunione serale a Largo Chigi dei governativi, rassegnati all’addio. Quagliariello, padrone di casa: «Non si entra in Forza Italia per guastare la festa», tanto vale tenersi alla larga dall’Eur.
Clima da caccia alle streghe tra i «lealisti», al punto che perfino una strettissima collaboratrice del Cav, la senatrice Rossi, è finita nel vortice delle maldicenze, per aver osato pronunciare pubblicamente la parola più vietata: «Unità ».

Ugo Magri
(da “La Stampa”)

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RESTA LA TASSA SULLA PRIMA CASA MA AUMENTANO LE DETRAZIONI

Novembre 15th, 2013 Riccardo Fucile

ESONERATI CIRCA L’80% DEI PROPRIETARI… CUNEO FISCALE PER LE FASCE PIU’ DEBOLI

Avanti tutta con la service tax ma esonerando un buon 80% dei proprietari di prima casa facendo leva sulle detrazioni.
Sgravi fiscali per i lavoratori concentrati entro i 30mila euro di reddito.
Un pacchetto sviluppo articolato, con un fondo di garanzia statale per far ripartire il credito delle banche alle imprese, un altro fondo per gli investimenti finanziato con bond statali, sgravi sull’Irap e innalzamento della soglia di deducibilità  dell’Imu sui capannoni.
Magari dando il via libera alla mini-sanatoria sulle cartelle esattoriali.
Purchè il colpo di spugna si limiti a sanzioni e interessi, senza decurtare del 20% i tributi da versare, come prevede un emendamento del Pdl.
Dopo un vertice tra governo e relatori di maggioranza e voli di pacieri del Pd in soccorso delle “colombe” del Pdl, la manovra si avvia ad essere riscritta. Se non da capo a piedi poco ci manca.
Il Parlamento avrebbe mano libera con gli emendamenti (ieri un terzo dei tremila presentati in commissione bilancio è stato dichiarato inammissibile), lasciando a una decina di modifiche a firma del Governo il compito di riscrivere il resto e magari di introdurre un antipasto di spending review.
Casa
Seppellito il Tuc, al di là  delle difese di facciata anche l’ala governativa del Pdl sembra aver accettato di ripartire dalla Trise contenuta nella legge di stabilità .
Che per la componente Tasi sui servizi indivisibili, quella che di fatto sostituisce l’Imu, cambierebbe però pelle, grazie al ritorno delle detrazioni fiscali, che alla fine dovrebbero esentare larga parte dei proprietari di prima casa.
Si parla di 50 euro di detrazione per ogni punto di aliquota, il che vorrebbe dire prevedere una soglia di esenzione da 50 appunto, fino a 125 euro con l’aliquota massima al 2,5 per mille. «Che alla fine potrebbe però essere anche ridotta, trovando le giuste compensazioni per i Comuni», rivela uno dei relatori, il Pd Giorgio Santini. Altri 12 euro e 50 di detrazioni potrebbero arrivare per ciascun figlio a carico, fino a 4.
Cuneo fiscale
Si conferma l’idea di concentrare gli sgravi per i lavoratori dipendenti entro la soglia dei 30mila euro, erogando il taglio Irpef tutto in una tranche, in media da 200 euro. Per accontentare le colombe del Pdl il fondo di produttività  verrebbe innalzato da 600 a 8-900 milioni, così come richiesto da Sacconi.
Imprese e sviluppo
La novità  dell’ultima ora è quella di un Fondo per favorire gli investimenti da parte della Cassa depositi e prestiti.
L’operazione verrebbe finanziata con l’emissione di titoli di Stato, «con la garanzia di un rendimento minimo», spiega Santini.
Lo stesso relatore conferma che si va verso un aumento della deducibilità  fiscale dell’Imu sui beni strumentali delle imprese. La soglia oggi è del 20% domani potrebbe salite al 30.
Quasi certo è anche l’innalzamento della franchigia (la soglia sotto la quale non si paga) sull’Irap, che oggi è di 10.500 euro.
Si stanno facendo i conti perchè la misura va compensata riducendo la sgravio dei contributi Inail per le imprese. Altro piatto forte è l’allentamento del credit crunch. «Siamo d’accordo con il Pdl per introdurre nella legge di stabilità  un fondo di garanzia statale che faccia ripartire la concessione di crediti da parte delle banche», assicura la vice capogruppo Pd alla Camera, Paola De Micheli. Il sistema sarebbe più o meno questo: le banche fanno prestiti e lo Stato garantisce per la quota a rischio di insolvenza. E’ poi in arrivo il rifinanziamento del fondo di garanzia per le imprese e dei Confidi, «per una cifra superiore ai 700 milioni richiesti dalle categorie», promette l’altro relatore in quota Pdl, Antonio D’Ali.
Regioni e Sanit�
Sempre D’Alì firma l’emendamento che aprirebbe la strada alle macro-regioni sanitarie, «con una massa critica da 6 a 13 milioni di abitanti» per avere maggiori «economie di scala». Il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, dal canto suo dichiara di aver avuto garanzie sul fatto che non ci sarà  più il taglio dei fondi per i trasporti e la non autosufficienza, che verrà  allentato il Patto di stabilità  interno e che il Governo farà  il decreto sull’Iva, che dovrebbe far transitare un po’ di beni da un’aliquota all’altra.
Sui farmaci si profilano aste di acquisto regionali per risparmiare 300 milioni da reinvestire nell’assistenza domiciliare dei malati cronici più gravi.
Le aste avverrebbero per prodotti terapeuticamente equivalenti. Tipo: tra tutti gli anti infiammatori si acquista quello con il prezzo più basso. Ipotesi cha fa tremare i polsi agli industriali della pillola. Ma gli imprenditori sono ricchi dentro.

Paolo Russo

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LA GRILLINA GIULIA SARTI VUOLE DARE 5.000 EURO AL MESE A TUTTI I PENSIONATI, MA LA RIFORMA COSTA COME TUTTO IL PIL

Novembre 15th, 2013 Riccardo Fucile

LA GAFFE SU FACEBOOK, L’APPRENDISTA STREGONA SBAGLIA I CONTI E ALLA FINE E’ COSTRETTA A FAR SPARIRE IL SUO ESILARANTE POST

“Possiamo dire che siamo governati da un branco di ANALFABETI e FESSINI?”. Comincia così il post su Facebook della deputata M5s Giulia Sarti. Che ha proposto una riforma un po’ spericolata del sistema pensionistico.
“In Italia – scrive la Sarti – abbiamo 23.431.319 pensionati, i quali percepiscono complessivamente € 270.469.483.350. Se noi garantiamo – prosegue la Sarti – a tutti i pensionati 5000 euro al mese ci rimangono €153.312.888.350. Domanda: quanti redditi di cittadinanza possiamo garantire sapendo che la nostra proposta vale circa 30 miliardi?”
Calcolatrice alla mano, i conti non tornano.
Ed erogare 5000 euro al mese a tutti i pensionati – 60 mila euro all’anno – vorrebbe dire spendere la cifra record di 1.405.879.140 euro.
1400 miliardi: poco meno dei 1600 miliardi di euro dell’intero prodotto interno lordo nazionale.
Abbastanza, insomma, per mandare in bancarotta il Paese in tempi rapidissimi.
A trarre in inganno la deputata forse la confusione tra importo medio annuo (l’ultima voce in basso a destra della tabella pubblicata sotto) e mensile, come forse inizialmente ipotizzato.
Un’ora dopo la pubblicazione, la deputata ha quindi rimosso il proprio post.

(da “Huffingtonpost”)

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PDL, SALTA LA MEDIAZIONE: E’ COME PARLARE DI PACE SULLA STRISCIA DI GAZA, TRA LE RAFFICHE DI MITRA

Novembre 15th, 2013 Riccardo Fucile

NAUFRAGA OGNI SOLUZIONE DI COMPROMESSO, I FALCHI VOGLIONO IL PARTITO E BERLUSCONI SI SCOCCIA: “ALLORA DECIDO IO”

“Come sempre ascolto tutti, ma se non riescono a mettersi d’accordo, vuol dire che deciderò io”. È un referendum su di sè l’unica via per imporre una tregua.
Esausto, al termine di una giornata da incubo, Silvio Berlusconi tocca con mano che la mediazione è impossibile. È come parlare di “pace” sulla striscia di Gaza, nel mezzo delle raffiche.
Per la prima volta il Cavaliere è nel mezzo.
Per la prima volta è al tempo stesso unico mediatore ma anche bersaglio esposto al fuoco
È quando i mediatori messi in campo a metà  pomeriggio gli comunicano che l’accordo è “impossibile” che salta anche il “piano” immaginato nella notte per arrivare a una soluzione prima del consiglio nazionale. E alla sospensione delle ostilità .
Prevedeva una riscrittura del documento approvato all’ufficio di presidenza, quello in cui Alfano e i suoi non si presentarono, in modo da tenere assieme lealisti e colombe.
Per poi convocare un ufficio di presidenza nella giornata di venerdì, per approvarlo in modo unitario. Sono Paolo Romani e Maurizio Gasparri a farsi carico del ruolo di mediatori.
Sono loro a incontrare Quagliariello e Schifani e a sentire Fitto e Verdini. Un tentativo che naufraga nel giro di un paio d’ore.
È sul “governo” che salta tutto. E che pure la lingua italiana, ricca di sfumature, diventa insufficiente a mettere d’accordo le parti.
Perchè non c’è niente da fare: il governo o si sostiene o non si sostiene.
E il tentativo di trovare una formula per collegare la non caduta alla decadenza tenendo assieme le istanze di Alfano (deve andare avanti anche dopo la decadenza) e quelle di Fitto (in caso di decadenza si torna all’opposizione) è impossibile.
Così come si rivela altrettanto impossibile il tentativo di tenere assieme le richieste di Alfano sul partito (due coordinatori, uno in rappresentanza dei falchi, uno per le colombe) e quelle di Fitto (gli organigrammi devono tener conto degli equilibri reali espressi in consiglio nazionale, dove i falchi hanno due terzi).
È in questo clima Berlusconi non trova supporti alla sua volontà  di imporre la “pace”, evitando la scissione e portando il partito compatto alla prova della decadenza.
E si abbandona allo sfogo coi suoi: “Se non riescono a mettersi d’accordo decido io”.
A 24 ore dal Consiglio nazionale, per la prima volta Berlusconi si trova a giocare una partita nuova e insolita. Diversamente dai tempi di Fini non c’è un “nemico” da combattere, uno solo contro cui scaricare la tutta forza col supporto del grosso delle truppe.
Perchè il Cavaliere vorrebbe recuperare Alfano senza perdere gli altri. Ma al tempo stesso vuole piegare Alfano facendo leva sugli altri. E la conta è iniziata dopo che, in fondo, l’ex premier ha legittimato sia gli uni che gli altri.
Avvisa Alfano che può fare la fine di Fini ma poi lo riceve, ne ascolta le richieste e prova a mediare con gli altri.
È grato a Fitto per la battaglia ingaggiata ma non è disposto a dare tutto il potere a Verdini. Gioca stando al governo con l’uno (mandando messaggi a Letta e Napolitano) e all’opposizione con l’altro (minacciandone la caduta).
L’errore capitale di Angelino, che anche Romani e Gasparri hanno provato a spiegare, è porre la questione del sostegno al governo come una sfida: “Sbaglia chi crede che Berlusconi — è il loro ragionamento — voglia tirar giù il governo. Ma non può dirlo adesso.
Deve tenere alta la tensione in vista della decadenza. Solo sarà  lui e solo lui a fare un gesto da statista”. E invece Alfano così rischia di uccidere due volte Berlusconi, imponendogli il sostegno al governo con la forza. E pretendendo che accetti da subito la decadenza.
Proprio attorno al dossier che al Cavaliere sta più a cuore si materializza un alone di sospetto tra il Capo e l’ex delfino: “Perchè — è la domanda che rimbalza a palazzo Grazioli — Alfano ci ha assicurato che la decadenza sarebbe slittata e invece D’Alì dichiara che i lavori sulla legge di stabilità  vanno secondo i tempi previsti e quindi entro il primo novembre il Cavaliere sarà  decaduto?”.
Chissà . L’accordo non c’è. E quando Fitto entra a palazzo Grazioli è lui a bollare come “inaccettabili” le richieste di Alfano.
Di fatto, spiega, Angelino vuole partito e governo senza avere i numeri. E bara anche promettendo sulla decadenza un rinvio che non c’è.
Il Cavaliere gli dà  ragione e prende appunti. Rassicura. La mediazione non c’è.
Ultime 24 ore. Le più lunghe.
C’è una sola regola d’ingaggio: “Decido io”.

(da “Huffingtonpost“)

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