Destra di Popolo.net

RENZI VUOLE EVITARE IL REFERENDUM NO TRIVELLE

Dicembre 5th, 2015 Riccardo Fucile

MANDATO ALLA GUIDI PER RIVEDERE LO SBLOCCA ITALIA

Chissà  se l’impatto sarà  come quello suscitato dal dietrofront di Barack Obama sulla realizzazione dell’oleodotto Keystone XL, il ‘regalo’ portato dal presidente Usa alla conferenza Onu sul clima in corso a Parigi.
Per ora c’è che Matteo Renzi ha dato mandato al ministero dello Sviluppo Economico e al ministero dell’Ambiente di rivedere la normativa sui nuovi permessi di ricerca ed estrazione petroliera.
In sostanza, trattasi dello Sblocca Italia, il decreto finito nel mirino dei ‘no triv’ partiti alla carica con ben 6 quesiti referendari. Il governo vuole evitare il referendum. E sta studiando il modo per arrivare al risultato.
A Palazzo Chigi, apprende Huffpost da fonti di governo, l’allarme è scattato quando a novembre la Cassazione ha dato il suo ok ai sei quesiti referendari presentati dal comitato ‘No triv’, fronte largo composto da ben dieci amministrazioni regionali, aree cattoliche, associazioni ambientaliste, M5s, un pezzo di Lega, un pezzo di Pd, la sinistra parlamentare ed extraparlamentare.
Manca solo il timbro della Consulta — atteso per gennaio — e poi inizierebbe la campagna e la corsa al voto in data da fissare nel periodo che va da metà  aprile a metà  giugno, come prevede la Costituzione.
Un appuntamento che impensierisce Renzi. Il quale non a caso da mesi non fa visite al sud dove la ‘questione petrolio’ è maggiormente sofferta.
E allora via allo studio per rivedere la normativa nel senso richiesto dai referendari.
La pratica la stanno studiando al ministero dello Sviluppo Economico, guidato da Federica Guidi, coadiuvato dal ministero dell’Ambiente di Gian Luca Galletti.
Non a caso ieri il ministro Guidi ha incontrato il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, renziano di ferro ormai da tempo, uno dei governatori che non ha firmato la richiesta di referendum ma che soffre la pressione del territorio per le trivellazioni ‘off shore’ che interessano la sua regione.
La richiesta alla Guidi è stata di sollecitare “una riflessione del governo sul tema delle fonti energetiche attraverso una revisione delle norme attualmente in vigore che superi gli elementi di divisione e incomprensione, contemperando le esigenze relative alle strategie energetiche nazionali e la salvaguardia delle risorse ambientali”.
Bonaccini resta convinto che il referendum non sia “lo strumento idoneo perchè introdurrebbe fattori di incertezza di cui il paese non ha bisogno”.
E’ proprio questo il timore che spinge il governo a rivedere i termini della questione. Tanto che l’invito del governatore emiliano alla Guidi non è cascato nel vuoto.
Bensì su una macchina già  in movimento per riesaminare la normativa ed evitare la consultazione referendaria intorno alla quale davvero potrebbero ritrovarsi non solo le diverse opposizioni al governo, ma anche dieci governatori, relative regioni e soprattutto un sentire diffuso che non è in grado di organizzare manifestazioni di massa anti-trivelle ma che potrebbe rispondere al richiamo della consultazione popolare.
La soluzione tecnica dovrebbe essere annunciata a breve.
Al ministero dello Sviluppo economico non prevedono tempi lunghi. C’è tempo solo fino a gennaio, quando dirà  la sua la Consulta (che oggi ha fissato per il 13 gennaio l’udienza per l’esame dei quesiti referendari), quel terreno minato sul quale il Parlamento si è impantanato non riuscendo a eleggere i tre giudici mancanti.
E chissà  che non sia la questione petrolio a bloccare sul nascere un’intesa tra Pd e Movimento cinque stelle, unico schema utile per uscire dall’impasse eppure ancora schivato.
Più che l’Italicum, la legge elettorale migliore che il M5s possa sognare, sono le trivelle a dividere il partito del premier e il movimento di Grillo e Casaleggio.

(da “Huffingtonpost”)

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LIGURIA, SPESE PAZZE REGIONE, ARRIVA LA PRIMA STANGATA

Dicembre 5th, 2015 Riccardo Fucile

LA CORTE DEI CONTI CONDANNA ALLA RESTITUZIONE DI OLTRE 320.000 EURO UN PRIMO BLOCCO DI CONSIGLIERI

Il concerto di Baglioni a Roma, i taxi fantasma, i giornali mai acquistati, i biglietti dei parcheggi, i manifesti (per un’associazione culturale) mai stampati, le notti in alberghi a cinque stelle e i viaggi per andare a trovare i parenti.
E chi più ne ha più ne metta, l’importante è non pagare e farsi rimborsare le spese.
Non è il manuale del perfetto scroccone, ma la lista parziale delle “spese pazze” dei consiglieri regionali che, dopo speso senza risparmiare e aver ottenuto rimborsi farlocchi, ora sono finiti nelle grinfie della corte dei Conti che ha iniziato a tirare le somme (finora 320 mila euro più gli interessi e le spese) e a chiedere i soldi indietro a quattro ex consiglieri di due gruppi (Udeur-Sinistra indipendente, Unione a sinistra e Sinistra europea), e novità  nazionale, anche agli otto consiglieri che, come rappresentanti della commissione, avrebbero dovuto controllare, ma non lo hanno fatto, oppure hanno chiuso gli occhi.
Il bello, anzi il brutto della vicenda è che siamo soltanto all’inizio; il pubblico ministero Claudio Mori (sempre sostenuto in ogni sua iniziativa dal procuratore regionale Ermete Bogetti) ha presentato il conto a due gruppi consiliari della Regione su diciassette finiti sotto inchiesta per il 2008 (il terzo anno del primo mandato della giunta Burlando).
È ancora aperta l’indagine sugli altri anni in cui spiccano, per completare un quadro desolante, i rimborsi per l’abbigliamento intimo, i profumi e la parrucchiera per arrivare alle bottiglie di champagne e ai “gratta e vinci”.
Nella prima puntata della prima tranche il conto è stato presentato a Roberta Gasco, nuora di Clemente Mastella (eletta con l’Udeur e poi passata nella legislatura successiva a Forza Italia), a Lorenzo Castè (entrato con Rifondazione e poi passato a Sinistra Indipendente), a Franco Bonello (Unione a Sinistra) e all’ex presidente del consiglio regionale Giacomo Mino Ronzitti: ai primi due è stato chiesto di risarcire (in proporzioni diverse) oltre 136 mila euro, e oltre 69 mila euro al duo Bonello-Ronzitti.
Ma la stangata è arrivata anche agli otto rappresentanti delle due commissioni per più di 110 mila euro (più gli interessi) a Rosario Monteleone – già  figura centrale dell’inchiesta penale coordinata dal pm Massimo Terrile – Francesco Bruzzone, Giacomo Conti, Franco Rocca, Giancarlo Manti, Ezio Chiesa, Matteo Marcenaro e Alessio Saso.

Guido Filippi
(da “il Secolo XIX”)

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NAPOLI, UN POPOLO IN CAMMINO: IN DUEMILA AL CORTEO ANTICAMORRA

Dicembre 5th, 2015 Riccardo Fucile

LA MANIFESTAZIONE PROMOSSA DAI PARROCI CON L’ADESIONE DI ASSOCIAZIONI, AUTORITA’ E ARTISTI

Partito poco dopo le 10.30 da piazza Dante il corteo dei parroci e delle associazioni contro violenza e degrado. Duemila i manifestanti.
Il corteo è aperto dallo striscione “Un popolo in cammino per la giustizia sociale comntro la camorra”.
Su un altro striscione si legge: “Verità  e giustizia per Genny e per tutte le vittime innocenti”. Tantissimi anche gli studenti. In prima fila, dietro lo striscione che apre il corteo,   i parroci dei così detti quartieri difficile di Napoli.
C’è anche, Giovanni Catenna il 29enne ferirto per errore in piazza Sanità  durante un agguato di camorra il 14 novembre.
Sarà  lui a consegnare al prefetto Gerarda Pantalone il documento con le richieste che i sacerdoti hanno preparato in questi giorni.
Tre i punti: scuola, sicurezza e giustizia sociale. C’è anche Antonio Cesarano, il padre di Genny, il minore ucciso errore da un proierttile vagante in piazza Sanità  all’alba del 6 settembe scorso.
Aderiscono anche molti rappresentanti politici e delle istituzoni: il sindaco Luigi de Magistris, il vicesindaco   Raffaele Del Giudice e altri componenti della giunta comunale. Tra gli artisti presenti il fotografo Mimmo Jodice, che fin dall’inizio ha dato il suo appoggio ll’iniziativa.
“Il fatto nuovo di questa manifestazione è l’amicizia sociale che si è creata tra realtà  diverse”. Così il parroco del Rione Sanità , don Antonio Loffredo, valuta l’iniziativa contro la camorra ‘Un popolo in cammino’ a Napoli.
“Il corteo non riguarda specificamente la vicenda di Genny Cesarano, il ragazzo ucciso nel Rione il 5 settembre scorso – aggiunge il sacerdote – anche se, naturalmente, si attende che i responsabili siano assicurati alla giustizia ma è sintetizzata dalle richieste che rivolgiamo al governo sul lavoro e sulla sicurezza”
Alla domanda di un giornalista che gli ha chiesto come mai la Regione Campania ed il Comune di Napoli non siano tra gli interlocutori dei manifestanti, don Loffredo ha risposto: “Sulle nostre proposte in tema di lavoro serviranno tavoli di approfondimento ma per intervenire su questi problemi occorre l’impegno del governo”.

Antonio Di Costanzo
(da La Repubblica”)

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LA LETTERA A BABBO NATALE RITROVATA DOPO QUASI 80 ANNI

Dicembre 5th, 2015 Riccardo Fucile

“CI ACCONTENTAVAMO DI COSE SEMPLICI, IL MATERIALISMO CI STA DISTRUGGENDO”

Curiosando tra le letterine inviate a Babbo Natale dai bambini di oggi probabilmente sarà  facile imbattersi in richieste di smartphone, Xbox e giocattoli ultramoderni.
Che il mondo sia cambiato da 80 anni a questa parte non è una notizia nuova, ma come l’agiatezza si sia trasformata in materialismo risulta più chiaro leggendo la missiva diretta al Polo Nord inviata nel 1938da una bambina di 5 anni.
Christine oggi di anni ne ha 82 e tra le sue mani, tremanti più per l’emozione che per la vecchiaia, ha potuto stringere la sua lista di richieste natalizie spediti su per il camino molti anni fa.
La lettera era rimasta incastrata nella canna fumaria ed è stata ritrovata dai nuovi proprietari della casa dove lei abitava, che hanno rintracciato la donna per farla rientrare in possesso di quel prezioso ricordo.
Tra le richieste oggetti semplici, dei pastelli, una bambolina e un libro di spartiti di inni religiosi, forse il regalo più ambito per una bimba che non passava il tempo con radio e televisione, ma a cinque anni imparava a suonare il pianoforte per trascorrere le sue giornate.
“Volevamo cose molto semplici. La vita era semplice. Mio fratello ottenne delle costruzioni in legno e un puzzle e io i miei pastelli. I calzini di mio padre erano stati messi a nuovo e decorati da mia madre e sono stati utilizzati per nasconderci i doni. Ogni anno dentro trovavamo anche un mandarino e due scellini”.
La donna nel rileggere quella lettere non può fare a meno di stupirsi di come le cose siano cambiate da allora, di come ora che si ha di più paradossalmente sia meno semplice accontentarsi: “Sono assolutamente stupefatta di quanto siamo diventati materialisti, soprattutto a Natale. Vogliamo di più, sempre di più, fino a distruggere noi stessi e il mondo. I bambini non apprezzano le cose, perchè hanno più di quello che riescono a utilizzare”.
Ora che di natali Christine ne ha tanti sulle spalle, la sua mente viaggia tra i ricordi, chiari e vividi anche a distanza di anni: “Erano giorni speciali. Non c’era mai permesso di andare in salotto fino al giorno di Natale, dove l’albero veniva decorato il giorno della vigilia. Se ci comportavamo bene potevamo contribuire, utilizzando decorazioni che avevamo realizzato noi stessi”.
Nel ritrovare la lettera l’attuale proprietaria della casa si è commossa.
E ascoltando le parole di Christine non si potrebbe fare altrimenti.

(da “Huffingtonpost”)

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“IL FRONT NATIONAL NON E’ PIU’ DI DESTRA, PER QUESTO PUO’ VINCERE”: INTERVISTA A MARCO TARCHI

Dicembre 5th, 2015 Riccardo Fucile

IL POLITOLOGO: “IL BACINO ELETTORALE DEI POPULISTI SONO I PERDENTI DELLA GLOBALIZZAZIONE: OPERAI, DISOCCUPATI, PICCOLI COMMERCIANTI”

Domenica si vota in Francia, per le elezioni regionali, a poche settimane dai fatti del tragico Tredici Novembre.
Nei sondaggi svettano le due Le Pen, Marine e la nipote Marion.
Linkiesta ne parla con il politologo Marco Tarchi, studioso di populismo, appena rientrato dalla Francia per alcune ricerche sul campo.
Professore, il parricidio politico di Jean Marie dunque non porta via consensi al FN, che potrebbe vincere in quattro regioni?
A quanto pare, no. La lite familiare — che in realtà  ha un sottofondo politico/ideologico consistente — ha sottratto al Front national un certo numero di quadri intermedi e militanti, proseguendo ed ampliando una diaspora che si era aperta al momento della successione alla presidenza della figlia al padre nel 2011. Molti, fra i vecchi dirigenti (ora quasi tutti fuoriusciti e confluiti in un piccolo partito testimoniale, il Parti de la France, che ha scarse ambizioni elettorali ed è più che altro un contenitore amicale), temevano infatti già  allora che Marine, dotata di ottime doti comunicative ma del tutto indifferenti alle questioni di cultura politica, avrebbe progressivamente abbandonato alcuni dei fondamenti ideologici del partito, spostandolo decisamente dal retroterra di destra radicale con connotati populisti ad un populismo puro e dichiarato. Così è avvenuto, dispiacendo ciò che resta (ed è poco) dell’opinione pubblica cattolico-tradizionalista o nostalgica di Vichy e dell’Algèrie Franà§aise ma attraendo le fasce dell’elettorato che ormai sono ovunque, in Europa, il bacino di consensi delle formazioni populiste: operai, disoccupati, piccoli commercianti, artigiani e altri gruppi sociali che vengono dipinti come i ‘perdenti della globalizzazione’. Costoro sono molto più numerosi e sono fortemente attratti dal discorso di un partito che, unico, si oppone da sempre ai flussi migratori di massa dai paesi extraeuropei e contesta le politiche dell’Unione europea, accusando quest’ultima di essere strutturalmente succube della volontà  dei circoli finanziari e tecnocratici.
Quanto possono influire sul voto gli attacchi terroristici del 13 novembre?
Stando ai sondaggi, non molto (il FN era già  molto in alto nelle rilevazioni demoscopiche), ma abbastanza per consentire, forse, al partito di Marine Le Pen di aggiudicarsi il governo di un paio di regioni e di fare da ago della bilancia in un altro paio, costringendo fra l’altro i sarkozysti — che non mi sembra il caso di continuare a chiamare gollisti, perchè da un pezzo si sono distaccati, nei fatti, da molte delle idee dell’uomo cui continuano formalmente ad ispirarsi — e i socialisti ad innaturali (ma probabili) alleanze, desistenze incrociate o addirittura fusioni di lista fra il primo e il secondo turno nelle regioni in cui si troveranno dietro le liste frontiste. Ciò non potrà  che portare acqua al mulino della propaganda del Front national, che da anni denuncia la connivenza nell’Umps (cioè Ump, nome precedente degli attuali Rèpublicains, e Ps) di un ceto politico autoreferenziale, pronto a tutto pur di mantenere il potere e i connessi vantaggi. Questa critica tipicamente populista a ‘quelli che stanno in alto’ in nome di ‘quelli che stanno in basso’ sta trovando riscontri importanti nella pubblica opinione. Tornando all’effetto degli attentati, era inevitabile che favorissero una forza politica che da sempre si è distinta per i suoi accenti allarmistici sui temi dell’insicurezza e del pericolo costituito dalla crescita dell’estremismo islamico all’interno delle comunità  di immigrati.
La Francia sta diventando di destra, condividendo gli ideali del FN, o è colpa di Hollande, apprezzato dai francesi per come ha gestito la fase post-attentati ma non per il suo governo?
Se accettiamo convenzionalmente la distinzione sinistra/destra e si colloca il Front national sul secondo versante (operazione oggi più che mai discutibile, perchè Marine Le Pen ha accentuato l’autodefinizione ‘ni droite ni gauche’ del partito di cui è a capo), si può dire che da un pezzo la Francia è spostata verso destra. Già  negli anni Ottanta, se si fossero sommati i voti del FN a quelli delle liste golliste, giscardiane e dei cosidetti ‘divers droite’, non ci sarebbe stata partita con socialisti, comunisti, trotzkysti e via dicendo. Il rapporto sarebbe stato — ed era, anche se i voti non erano cumulabili, per le differenze reciproche e per la demonizzazione del Front da parte degli altri partiti — 60 a 40, come minimo. Non credo che quel rapporto sia sostanzialmente cambiato. Anzi: i guadagni del FN oggi sono più ascrivibili alla netta virata a sinistra del suo programma e del suo discorso pubblico sui temi economico-sociali (ma anche di politica estera ed internazionali) che a una diretta concorrenza ai Rèpublicains sui temi tipicamente conservatori. Certo, l’insuccesso della presidenza Hollande ha giovato al Front, ma anche i suoi avversari: al di là  dello scatto d’orgoglio del post-13 novembre, la sua azione e/o inazione di questi tre abbondanti anni ha scontentato gran parte dei francesi, facendogli toccare quote di impopolarità  record per un presidente.
Che cosa significherebbe la vittoria del FN a queste regionali? E vede in Marion Le Pen il futuro di quel partito in Francia?
Sarebbe un fatto molto importante, perchè indurrebbe i suoi attuali sostenitori, ma anche altri potenziali simpatizzanti sin qui timorosi di abbandonare le vecchie scelte nell’urna, a non considerare più persa in partenza la competizione uninominale a doppio turno al momento delle elezioni legislative. Sin qui il Front national, pur riscuotendo a livello nazionale una percentuale di voti attorno al 15%, non è quasi mai riuscito ad inviare in Parlamento propri deputati (attualmente ne ha solo due, fra cui Marion), perchè la formula voluta dal generale de Gaulle lo schiacciava tra due poli, di sinistra e di destra, in grado di sopravanzare i suoi candidati. Se le elezioni regionali lo consacrassero primo partito di Francia e lo portassero attorno al 30%, questa barriera psicologica si frantumerebbe e la stessa Marine Le Pen acquisterebbe una maggiore caratura di presidenziabile (anche se continuo a credere che sarà  ben difficile, per lei, farcela nel 2017). Quanto a Marion Marèchal-Le Pen, i dati anagrafici — ha 21 anni meno della zia — e le qualità  personali, sia di comunicazione che di preparazione — paiono giocare a suo favore. È considerata più a destra di Marine e non disdegna di vezzeggiare l’elettorato cattolico-conservatore, ma fin qui ha evitato di farsi strumentalizzare da chi vorrebbe contrapporla frontalmente all’attuale leader del partito. Se diventerà  presidente della regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra, ampliata dal recente ridisegno amministrativo voluto da Hollande, la sua visibilità  crescerà  ancora. Già  ora ha aperture di credito da altri esponenti della destra tradizionale (di recente Philippe de Villiers, che alcuni vorrebbero mettere sulla strada di Marine nelle prossime presidenziali, per rosicchiarle un importante 2-3%, ha dichiarato che, se fosse un elettore della sua circoscrizione, voterebbe volentieri per lei) su cui la zia non può contare. Bisogna vedere se saprà  tenere a freno le sue ambizioni per il tempo necessario a renderle credibili.
In Spagna, invece, a breve ci saranno le elezioni politiche. La stella di Podemos sembra essersi appannata. Troppo populismo logora chi ce l’ha?
Forse sì, soprattutto se è un populismo incompiuto o ambiguo. Sebbene Pablo Iglesias, assurto a figura mediatica di riferimento di Podemos, abbia dichiarato ripetutamente che oggi il vero spartiacque politico non è tra sinistra e destra ma tra chi sta in basso e chi sta in alto, il suo partito non si è sbarazzato di quell’immagine di sbilanciamento a sinistra che gli deriva dal retroterra di quasi tutti i suoi esponenti (perlopiù comunisti o transfughi da Izquierda Unida) e dal richiamo al movimento degli Indignados. E, per questo, non si è inserito in quello che il politologo francese Dominique Reyniè (fra l’altro candidato a una presidenza di regione per Les Rèpublicains e fervido avversario del Front national) ha descritto come il filone vincente del populismo europeo, definendolo ‘populismo patrimoniale’. Quel modello esige di accoppiare la difesa del livello di vita economico-sociale della popolazione alla difesa del suo modo di vita, ovvero delle sue tradizioni e dei suoi connotati etno-culturali. Non potendo nè volendo scendere su questo terreno, perchè la formazione dei suoi dirigenti gli rende impossibile scendere sul terreno della polemica anti-immigrati e del richiamo identitario, Podemos si è tagliato fuori da una platea importante di potenziali sostenitori, che è poi quella in cui attinge consensi il suo contraltare ‘di destra’, ovvero Ciudadanos.
A proposito di populismo. Secondo lei sarà  questa la chiave di lettura dello scontro politico italiano dei prossimi mesi, fino alle elezioni politiche (quando ci saranno), cioè un duello permanente fra lo stile populista di Renzi e il populismo tout-court di Beppe Grillo?
Finchè la classe politica italiana farà  di tutti per continuare a meritarsi gli strali di ampi strati della pubblica opinione, non vedo alternative, anche se la Lega è un notevole terzo incomodo in questa gara a chi sfrutta meglio le risorse, oggi molto apprezzate, del populismo. Il centrodestra, per il momento, non mi pare si possa reinserire nel gioco, aggrappato com’è alla stella quantomai calante di Berlusconi e nell’incapacità  di produrre proposte e programmi che non siano una rimasticatura di ritornelli del passato, ormai logori. Senza una nuova classe dirigente, una nuova immagine e contenuti più chiari e convincenti, l’aggregato alquanto eterogeneo che i sondaggisti suppongono possa coagularsi in un listone ad uso dell’Italicum avrebbe poche chances di successo. Per non parlare di Sinistra italiana e simili, che pagano l’incapacità  di opporsi efficacemente a Renzi da due anni a questa parte e rischiano di trasformarsi nell’ennesimo partitino-simulacro a vocazione poco più che testimoniale. Infine, non va trascurata la trasmutazione del Movimento Cinque Stelle, che sta liberandosi dell’identificazione con il ‘grillismo’ ma deve ancora trovare una rotta di azione politica univoca. Ci riuscirà ? E che strada prenderà ? Emanciparsi dal discorso politico di Grillo può piacere ad un elettorato progressista ormai deluso dal Pd e dai suoi sfidanti di sinistra, ma comporta il rischio di deludere l’elettorato che nel discorso puramente e pienamente populista del fondatore e portavoce del movimento si rispecchiava volentieri. Staremo a vedere come questo non facile processo evolverà .

David Allegranti
(da “Linkiesta”)

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