Destra di Popolo.net

LE SOLDATESSE CURDE IN BATTAGLIA: “GLI UOMINI DEL CALIFFO SCAPPANO QUANDO CI VEDONO”

Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile

“DOPPIAMENTE DANNATI SE UCCISI DA UNA DONNA”… NEL MITO DI ARIN, LA COMBATTENTE VENTENNE CHE SI FECE   ESPLODERE PIUTTOSTO CHE CADERE NELLE MANI DELL’ISIS”

Non esiste sfera privata, se non quella della condivisione tra compagne delle poche cose che ci stanno in uno zaino: un pettine, il sapone, lo shampoo, un ricambio di vestiti.
«Abbiamo scelto di essere soldatesse. Nessuna differenza con i commilitoni uomini. Facciamo i turni di guardia come loro, andiamo in pattuglia di notte come loro, rischiamo allo stesso modo. Siamo donne combattenti», raccontano le volontarie dello Jpj (Unità  femminili di Autodifesa), quasi la metà  della forza combattente dei curdi arroccati nella loro enclave indipendente nelle zone nordorientali della Siria.
Sono circa 10.000 donne: «Il nostro numero è cresciuto dopo il l’estate 2014, quando vennero alla luce i crimini dell’Isis contro le donne yazide, violentate, ridotte a schiave sessuali, usate e uccise»
Le abbiamo incontrate ovunque. Anche in prima linea nella zona a nord di Raqqa, capitale del Califfato.
Nella cittadina di Aaloua, deserta e sconvolta dalla guerra, vivono in gruppi di 5-6 tra le casupole utilizzate come basi.
Sui muri i ritratti di compagne e compagni morti.
Spicca quello di Arin Mirkan, la ragazza poco più che ventenne assurta a leggenda quando durante la battaglia per Kobane decise di farsi saltare in aria pur di non venire catturata. «Arin aveva finito i proiettili. Gli uomini di Isis l’avevano circondata. E fece la scelta giusta: altrimenti sarebbe stata violentata, schiavizzata e alla fine uccisa nel peggiore dei modi. Noi nelle sue condizioni faremmo come lei. Non avremmo alternative», spiegano due ventenni, Ani Zerin e Ani Sihaian.
«Le donne come noi che decidono di indossare la divisa non possono essere sposate, nè avere figli. Proibiti anche gli amori con i compagni (chi viene beccato è processato ed espulso). Ma da quando siamo soldatesse non abbiamo sentito di alcun caso del genere. Non possiamo perchè perderemmo la concentrazione necessaria a combattere».
Ammettono che vogliono anche vendicare le vittime femminili dei jihadisti. Con un’arma in più. «I nostri nemici sono convinti che se verranno uccisi da una donna non avranno la dignità  di martiri meritevoli il paradiso. Dunque quando ci vedono scappano, ci evitano. Una buona ragione per noi di stare al fronte».
La sera intensificano le guardie. Con il buio aumentano i tentativi di attacchi da parte del nemico nascosto una decina di km più a sud.
Il villaggio senza energia elettrica è avvolto dall’oscurità .
Le donne lubrificano i fucili e ci ordinano di tornare alle retrovie. Le strade di collegamento possono essere minate.

Lorenzo Cremonesi
(da “il Corriere della Sera”)

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SEZIONI STORICHE PD IN VENDITA, REGGIO EMILIA: “TROPPO GRANDI E SEMPRE MENO ISCRITTI”

Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile

“MA LA COLPA NON E’ SOLO DI RENZI”

Dalle notti tutti insieme a presidiare le sedi del partito, alla vendita perchè l’affitto costa troppo.
William Orlandini, animatore del circolo Pd di via Marsala a Reggio Emilia, aveva 16 anni quando insieme ai compagni dormiva in sezione. Ora ne ha 61 e sa che tra pochi giorni quello stesso locale sarà  venduto perchè inutilmente grande.
“Ero quasi un bambino”, spiega a ilfattoquotidiano.it, “ma ricordo in quelle notti del 1970,   ai tempi del tentato golpe Borghese, che le tante sedi reggiane del Pci furono illuminate a giorno e il presidio fu continuo. Anche se la mattina dopo si andava a lavorare, si stava a dormire in sezione”.
Il partito perde i pezzi anche nell’Emilia un tempo rossa e i militanti storici si ritrovano a   fare i conti con una struttura che si attiva solo vicino alle elezioni e che non ha più bisogno di sale grosse ed economicamente difficili da mantenere.
Ma non per questo William scarica tutte le colpe sul segretario presidente del Consiglio: “Gli iscritti si sono iniziati a perdere ben prima dell’avvento di Renzi”.   Se a livello nazionale gli iscritti sono passati da 831mila nel 2009 a 366mila e 641 nel 2014, in provincia di Reggio Emilia nel 2013 erano 9mila e nel giro di due anni sono diventati 5mila.
A diminuire sul territorio sono state di conseguenza anche le sezioni: nella città  emiliana le decine di sedi degli anni ’70 si sono ridotte a 8 e di queste ad esempio, la zona di via De Gasperi che contava circa 2500 tessere annue, ora ne registra poco più di 300.
In Emilia, come in tutta Italia, a piangere sono le casse e per questo la Fondazione Tricolore, che ha in proprietà  i beni che furono della federazione comunista provinciale, ha messo   sul mercato diversi edifici che ospitano i circoli Pd. Che fanno fatica a stare dietro agli affitti (peraltro bassi) da pagare e così trovare locali più piccoli con costi inferiori è diventato un imperativo.
La sezione di via Marsala è certamente una delle più importanti tra quelle messe in vendita, perchè custodisce un pezzo di storia della sinistra reggiana.
William indica il simbolo della falce e martello intarsiato sul pavimento. È qui dal 1944, quando da queste parti c’era ancora l’occupazione nazifascista.
“Le nuove generazioni non vengono più in sede a farsi dettare la linea politica. Con i nuovi mezzi di comunicazione la gente si informa a casa”.
E così la dismissione dei locali non è una sorpresa: “La sede è sovradimensionata rispetto al numero degli iscritti. Facciamo fatica a tenerla aperta tutti i giorni. E i militanti si fanno vedere soprattutto quando ci sono le elezioni. Questo Partito democratico si avvicina sempre più a un comitato elettorale piuttosto che a un partito strutturato”.
Per ora a frenare la vendita dell’immobile sembra essere stata solo la crisi immobiliare che tiene a distanza possibili acquirenti. Ma di questo passo è solo questione di tempo.
Gianni Prati, prima tessera Pci nel 1966, è tra i dirigenti del circolo al numero 5 di via De Gasperi, anche questo dato in affitto dalla Fondazione Tricolore.
“Paghiamo 1800 euro l’anno e mi sembra un affitto basso. Se tutte le sezioni pagassero quanto devono, forse la Fondazione non avrebbe problemi”.
Gianni non vuole fare un dramma della crisi della militanza ai tempi delrenzismo. Del resto quella dove ci accoglie, nella zona sud della città , è una sede piccola, affittata pochi anni fa, e non è tra quelle che rischiano di essere vendute.
È piccola e funzionale a un partito dove i volontari sono ormai decimati. “In questa zona avevamo cinque sezioni con 2500 iscritti, oggi siamo in 300, forse 400”.
Il calo degli iscritti è legato anche a una questione strettamente anagrafica: “Negli ultimi anni sono venute a mancare persone che andavano casa per casa a fare tessere”.
Il tema non è nuovo e arriva da lontano. Già  anni fa molti circoli furono accorpati e dalle decine degli anni Settanta si è passati agli ottoattuali in tutta Reggio.
“Il problema non è ridimensionarli per motivi organizzativi. L’importante è che questi spazi rimangano e che le persone continuino a frequentarli”, spiegaRoberta Pavarini, consigliera comunale Pd con 25 anni di militanza.
Oggi è responsabile del coordinamento dei circoli per la federazione di Reggio Emilia.   Il   suo circolo non è in vendita, ma solo perchè non è di proprietà  della Fondazione.
Si trova in via Candelù dove c’è anche un palazzo che una volta veniva chiamato “Cremlino”. E la famiglia di Roberta aveva l’appartamento proprio là  dentro: “Quando avevo 12 anni i nostri genitori d’estate ci mandavano in colonia nella Ddr, la Germania orientale comunista . Eravamo in tanti, persino l’attuale sindaco Pd Luca Vecchi c’era stato”.
Il circolo è di proprietà  di una cooperativa di abitazione nata oltre 100 anni fa per dare una casa agli operai delle officine Reggiane che dopo la guerra erano ancora migliaia.
Nella grande sala riunioni c’è un quadro del pittore Nello Leonardi che li celebra: hanno fatto la storia di Reggio e di tutta la sinistra italiana. Lavoravano alle Reggiane i nove massacrati all’indomani del 25 luglio 1943, pochi giorni dopo la caduta del fascismo. E lavoravano alle Reggiane i morti del 1960 uccisi dalla polizia ai tempi del governo Tambroni. In ogni circolo c’è almeno una loro foto in bianco e nero ingiallita dal tempo.
Erano operai delle Reggiane anche quelli che edificarono il circolo di via Marsala e che incassarono quella falce e martello sul pavimento. William la guarda quasi con un po’ di commozione: “Se questi locali saranno venduti voglio che la falce e martello venga incorniciata e portata nella nuova sede che sarà ”.
Nonostante la sua fedeltà  al Pd, lui dice di non poter essere un renziano e che in questo partito non si sente “esattamente a suo agio”.
E che il clima non sembra essere dei migliori per chi non è allineato: “Indubbiamente anche all’interno del Pci c’erano le mozioni, non è un problema. Come non è un problema stare in minoranza. L’importante è che ci sia una agibilità  politica nel partito. Eppure — ammette William — Oggi qualche elemento di disagio c’è”.
Gianni Prati non ha voglia di lamentarsi. Piuttosto fa un appello a Renzi: “Se vuole ancora che ci sia un partito deve coinvolgere di più la base”.
Non è molto diversa la richiesta di Roberta Pavarini: “Ci sono persone che mostrano segni di disaffezione e non si sentono a casa loro: questo allarme deve arrivare dritto al cuore del nostro segretario”.

David Marceddu
(da “il Fatto Quotidiano“)

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RENZI HA DAVANTI DUE STRADE

Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile

MA ALLA FINE C’E’ SEMPRE IL MURO

Per alcuni mesi abbiamo coltivato un dubbio: ma Renzi ha capito? Eravamo stati ottimisti: no, non ha capito.
Come certi animali, peroÌ€, laddove non soccorre la razionalitaÌ€, eÌ€ l’istinto che gli fa percepire il pericolo: ora sente che Merkel e i brussellesi lo considerano ospite poco gradito, quasi un Berlusconi meno imbarazzante.
Un altro tipo di saggezza popolare quella per cui la verità, se non in testa, trova comunque un pertugio per entrare si è preoccupata di spiegargli poi che il modo in cui gli piace governare (bonus e clientele che comprano il consenso) è impossibile vigendo le regole Ue sui bilanci.
La lettura dei sondaggi, infine, gli ha chiarito che se l’economia non migliora gli italiani si sbarazzeranno comunque di lui: gli serve piuÌ€ Pil.
Allora s’eÌ€ fatto spiegare un po’ di cose e ha capito quel che poteva: dall’export c’eÌ€ poco da sperare, investimenti mah, politica espansiva europea manco a parlarne.
Che resta? Questo: “L’Italia ha bisogno di stimolare la fiducia del paese: se non riparte il mercato interno, l’economia italiana non va”.
Ecco, vedete che non ha capito?
Se ripartono i consumi interni e l’Eurozona resta questa ritorneremo nella crisi di debito estero che nel 2011 ci ha regalato Monti e al prossimo giro ci daraÌ€ la Troika.
Se Renzi fa l’unica politica razionale in una unione monetaria disfunzionale cioeÌ€ tenere giuÌ€ i salari (deflazione) alla fine lo mandano via gli elettori.
Matteo eÌ€ a un bivio, ma #stiasereno : tanto in fondo c’eÌ€ comunque un muro.

Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)

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TRIBUNALI CIVILI PEGGIORI: TRA LORO ROMA, NAPOLI E MILANO

Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile

LA TRISTE CLASSIFICA STILATA DAL MINISTERO   DELLA GIUSTIZIA CONTINUA CON FOGGIA, BARI, SALERNO, CATANIA, SANTA MARIA CAPUA VETERE, LECCE E PALERMO: TUTTI HANNO DECINE DI MIGLIAIA DI PROCESSI IN ARRETRATO

Nel 2016 si apre la grande partita dei tribunali civili.
Le analisi del ministero della Giustizia evidenziano che ci sono in Italia 10 tribunali in grande difficoltà , tutti al Sud, di dimensioni piccole o medio-piccole, che da soli «producono» un terzo di tutto l’arretrato civile e che appesantiscono le statistiche nazionali.
Qui si concentra la «zavorra» del sistema giudiziario e su questi tribunali si è appuntata l’attenzione del governo: oltre Roma (204.913 pendenze), Napoli (175.248) e Milano (125.512) dalle statistiche risultano in affanno Foggia (113.456) Bari (110.686), Salerno (84.805), Catania (81.256), Santa Maria Capua Vetere (80.490), Lecce (63.592) e Palermo (63.235).
Seguono altri tribunali piccoli con grandi arretrati.
Se questi tribunali si rimettessero in carreggiata, d’improvviso l’Italia non sarebbe più il brutto anatroccolo della giustizia in Europa.
Il ministro Andrea Orlando ha iniziato un tour per vedere di persona che cosa accade a Nola, Vallo di Lucania, Vibo Valentia e Lamezia Terme.
Nel corso del tour ha promesso rinforzi, supporto informatico, disponibilità  a intervenire con altro personale per lo smaltimento dell’arretrato, forse anche qualche modifica legislativa che permetta di avere più stabilità  di magistrati: essendo sedi disagiate, vi finiscono essenzialmente magistrati di prima nomina che subito chiedono il trasferimento e allo scoccare dei 24 mesi se ne vanno.
È possibile che i tempi di permanenza minima possano essere allungati.
In cambio, però, Orlando si aspetta che si possano registrare miglioramenti significativi già  dai prossimi mesi.
Si attende, soprattutto, che venga adottata la dottrina Barbuto (dal nome del direttore generale Mario Barbuto, ex presidente del tribunale di Torino, ndr) che ha rivoluzionato un metodo di lavoro: anzichè trattare prima i fascicoli più recenti, rinviando a tempi migliori le cause più datate e forse anche più complicate, ora si chiede ai tribunali di trattare prima i fascicoli più antichi, in modo da evitare cause troppo lunghe, in specie quelle che superano i 3 anni di vita e mettono lo Stato a rischio di dover pagare risarcimenti per lungaggine del processo.
Orlando ha anche scritto al Consiglio superiore della magistratura perchè provveda quanto prima alla nomina dei dirigenti di quei tribunali, «perchè se una sede è già  in difficoltà , e rimane a lungo senza guida, rischia di precipitare in una situazione irrecuperabile».
Il ministro ha quindi chiesto al Csm che, nelle molte nomine che verranno nel 2016, si sia priorità  a queste situazioni più disgraziate: è una questione strategica per l’Italia intera.

Francesco Grignetti
(da “La Stampa”)

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DI MAIO SORPASSA RENZI NELLA FIDUCIA DEGLI ITALIANI

Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile

SONDAGGIO PIEPOLI: IL 61% NON SI FIDA DEL GOVERNO…PD 32%, M5S 28.5%, LEGA 15%, FORZA ITALIA 9,5%, SINISTRA ITALIANA 4%, FDI 3,5%, NCD 2%

Sorpasso. Luigi Di Maio sorpassa Matteo Renzi nella fiducia degli italiani.
Lo riporta un sondaggio dell’Istituto Piepoli pubblicato per il quotidiano La Stampa. Non solo: il governo di Matteo Renzi deve fare i conti anche con un calo della fiducia: il 61% degli intervistati non si fida dell’attuale esecutivo.
Un crollo che coincide con le ultime due settimane del 2015.
Scrive la Stampa:
Tra i leader spopola il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel quale ripone la fiducia il 61 per cento.
Dietro di lui, ma a distanza, si pone il vicepresidente della Camera pentastellato Luigi Di Maio si impone su Renzi di un punto percentuale: 40 a 39.
Quarti staccati Matteo Salvini, Beppe Grillo e poi Silvio Berlusconi, che ancora si porta a casa la fiducia del 16 per cento degli italiani.
Le intenzioni di voto premiato il Pd (32%) davanti al M5S (28,5%), Lega (15%), Forza Italia (9,5%), Sinistra Italiana (4%), Fratelli d’Italia (3,5%), Ncd (2%)
Ma il calo della fiducia nel governo Renzi, già  registrato da altri istituti demoscopici, trova conferme anche nel report di Istituto Piepoli:
La fotografia mostra un certo ottimismo per il futuro (per altro confermando le percentuali dello scorso anno), ma al contempo evidenzia come il 61 per cento degli italiani non abbia fiducia nel governo Renzi: il crollo è coinciso con le ultime settimane del 2015.

(da agenzie)

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M5S PREPARA LA PURGA ANCHE AL SINDACO DI GELA

Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile

ESPULSIONE IN VISTA PER DONATO MESSINESE, ACCUSATO DI ESSERE FILO-ENI E DI SPENDERE TROPPO… GUAI IN VISTA ANCHE PER LE GIUNTE DI QUARTO E VENARIA REALE

Dopo la cacciata della senatrice Serenella Fucksia, in casa Cinque Stelle sembra prossima un’altra espulsione. Questa volta nel mirino di Beppe Grillo in versione epurator c’è Domenico Messinese, sindaco M5S di Gela, comune strappato lo scorso giugno al Pd di Rosario Crocetta.
Nei confronti di Messinese, i vertici del movimento potrebbero decidere di avviare le procedure di espulsione già  nelle prossime ore.
Repubblica passa in rassegna le presunte ‘colpe’ del sindaco sotto accusa.
Messinese, ingegnere di 50 anni, lunedì aveva licenziato in tronco tre assessori: tutti attivisti di un movimento che, in gran parte, a Gela è ostile al primo cittadino.
Quattro dei cinque consiglieri comunali M5S hanno preso ufficialmente le distanze dal sindaco, chiedendo che gli venga sottratto l’uso del simbolo. Messinese è rimasto con una maggioranza (si fa per dire) che può vantare un solo consigliere su trenta.
La principale accusa rivolta a Messinese è di aver tenuto una linea filo-Eni.
“Messinese — ha spiegato la presidente della Commissione Ambiente Virginia Farruggia — ha tenuto una linea contraria ai principi del movimento che non prevede alcuna trattativa: l’azienda deve garantire il futuro dei lavoratori dopo aver devastato questo territorio”. Ma non è tutto.
Il sindaco di Gela è sul banco degli imputati anche per le 27 deleghe assegnate al suo vice, Simone Siciliano, esterno alla galassia M5S, e per non essersi ridotto l’indennità .
I suoi detrattori gli contestano anche le cento missioni istituzionali compiute in soli cinque mesi di mandato.
Il diretto interessato si mostra sereno, pur pronunciando un’eresia per il codice del movimento. “Gela è in una situazione disperata ed è per questo che parlerò con tutti”, ha affermato, citato dal Corriere della Sera.
“Ho chiesto al sottosegretario Davide Faraone di incontrare Matteo Renzi, che mente quando dice che a Gela i problemi sono risolti, perchè ho una responsabilità  come sindaco e siamo in una situazione in cui la fame si tocca con le mani”.
Per ora nessuno, dal movimento, si è fatto vivo.
Gela, però, non è l’unico comune in cui i Cinque Stelle scricchiolano. A Quarto, in provincia di Napoli, la giunta rischia la fine anticipata per mafia. Il sindaco M5S Rosa Capuozzo rischia di cadere sotto il peso dell’inchiesta che vede l’ormai ex consigliere Giovanni De Robbio accusato di voto di scambio aggravato dalla finalità  mafiosa e tentata estorsione ai danni della stessa Capuozzo.
Guai in vista anche a Venaria Reale, cittadina alla porte di Torino, dove tra i grillini si sta consumando un’autentica crisi del settimo mese.
La situazione è precipitata l’addio della consigliera Viviana Andreotti, ora approdata a un gruppo civico.
La Andreotti, fino a poco tempo fa considerata una dura-e-pura del movimento, se n’è andata sbattendo la porta.
“Non sanno amministrare la città ”, ha affermato, citata da Italia Oggi. “Nel momento in cui non mi sono allineata sono stata isolata dal gruppo, dove non c’è mai stato dialogo e tutto viene in posto”.
Si teme ora un effetto a catena, con altri consiglieri pronti a seguirla.

(da “Huffingtonpost”)

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APPLE PAGA IL FISCO ITALIANO: SANA UN’EVASIONE DA 880 MILIONI PAGANDONE 318

Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile

L’INTESA TROVATA PER RISOLVERE CINQUE ANNI DI CONTENZIOSO

Un assegno da 318 milioni di euro per sanare un’evasione quinquennale superiore al miliardo.
Questa l’intesa trovata fra Apple Italia e il fisco italiano dopo mesi di trattative. Così la divisione italiana del colosso americano di Cupertino ha risolto il contenzioso con l’Erario, scrive La Repubblica, al termine di un lavoro estenuante condotto dalla Agenzia delle Entrate e da un pool di legali che difende l’azienda (in sede penale patrocinata dall’ex ministro della Giustizia Paola Severino).
Nel marzo scorso, il procuratore aggiunto Francesco Greco e il pm Adriano Scudieri avevano consegnato informazioni di garanzia all’amministratore delegato di Apple Italia, Enzo Biagini, al direttore finanziario, Mauro Cardaio e al numero uno della società  irlandese, Apple Sales International, Micheal O’Sullivan.
L’accusa riguardava la “omessa dichiarazione dei redditi” dal 2008 fino alla dichiarazione dei redditi 2013.
Circa 880 milioni di euro in tutto di Ires (l’imposta sui redditi delle società ) evasa — sostengono i magistrati — tra il 2008 e il 2013.
La cifra versata è esattamente quanto richiesto nei verbali di accertamento.
La società  ha quindi accettato tutti i rilievi delle ispezioni che ha visto impegnati l’Anti-frode, l’Ufficio grandi contribuenti e il ruling delle Entrate.
E la formalizzazione dell’accordo crea un precedente importante, visto che proprio Apple ha altre pendenze in Paesi Ue.
In Italia, come però anche nel resto d’Europa, Apple fa riferimento alla società  irlandese, che ha una fiscalità  più favorevole rispetto alla nostra.
Gli inquirenti, nell’avviso di garanzia, definiscono Apple Italia come “una struttura svincolata rispetto alle attività  ausiliare svolte dalla società  residente, che svolge una vera e propria attività  di vendita sul territorio per conto di Apple Sales International”. In soldoni, il fatturato di quanto venduto in Italia, viene messo a bilancio in Irlanda per pagare meno tasse.
Da qui, il calcolo degli 880 milioni di Ires evasa. Per i tre manager Apple indagati, l’accordo con il fisco non cancella la posizione processuale.
Scudieri, tre mesi fa ha chiuso l’inchiesta ed è possibile che, dopo la ratifica dell’accordo, formalizzi anche la richiesta del rinvio a giudizio, ma con la chiusura della pendenza fiscale, la posizione dovrebbe alleggerirsi.
Il meccanismo della cosiddetta “esterovestizione” non è nuovo agli stessi magistrati milanesi, che contestano a un’altra multinazionale americana del calibro di Google, una presunta maxievasione da quasi un miliardo.
Anche in questo caso, l’Agenzia delle Entrate sta trattando con i vertici italiani del numero uno al mondo dei motori di ricerca, per trovare un accordo.
La cifra su cui si cerca di chiudere la pendenza si aggirerebbe sui 150 milioni di euro.

(da “Huffingtonpost”)

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SPORTING LOCRI, IL PRESIDENTE RIFIUTA I SOLDI DI FEDERCALCIO: “PER RIAPRIRE VOGLIAMO I NOMI DI CHI CI MINACCIA, NON I SOLDI”

Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile

“NON SERVONO AIUTI ECONOMICI, OCCORRE RIPRISTINARE LA LEGALITA'”

I soldi della Federcalcio? No, grazie. Non servono e tanto meno sono stati o saranno richiesti alla Figc come ad altri soggetti.
Al presidente dello Sporting Locri, Ferdinando Armeni, serve ben altro per ritornare sui propri passi dopo che le minacce e le intimidazioni ricevute lo hanno portato a manifestare la volontà  di ritirare la propria squadra dal campionato di serie A di calcio a 5 femminile.
“La Figc, nella persona del presidente Tavecchio, ci ha detto che ci aiuterà  e che ci sosterrà  economicamente, che ci daranno dei soldi, ma a noi quei soldi non servono”, spiega Domenica Bumbaca, moglie di Armeni e portavoce della squadra, all’Huffington Post.
“Noi – aggiunge – non chiediamo e non vogliamo soldi: ci serve serenità  e poi è facile dire ‘aiutiamo lo Sporting Locri’, ma chi, eventualmente, prenderà  in cura la società  dovrà  essere in grado di offrire le giuste garanzie”.
Se le risorse che la Figc è pronta a mettere in campo vengono di fatto rispedite al mittente e bollate come non sufficienti, c’è al momento un elemento, il solo, che porterebbe Armeni a rivedere la sua scelta ed è sempre la moglie a spiegarlo: il nome o i nomi dei colpevoli.
“Il nome di chi si è reso autore di quei gesti che hanno destabilizzato una comunità  intera, anzi un Paese intero, deve venire fuori: ora siamo noi le vittime, la società  è stata vittima di uno sgarro, e potremmo cambiare idea solo acquisendo serenità  e conoscendo chi è stato”.
Per ora la linea è chiara: al momento non ci sono le condizioni per andare avanti e quindi si è disposti a cedere il gruppo a costo zero e senza debiti.
I coniugi Armeni vogliono la verità  e cioè conoscere chi si nasconde dietro quei messaggi anonimi e soprattutto dietro quel bigliettino fatto trovare in pieno giorno sul parabrezza dell’automobile della macchina del presidente, che fa riferimento alla figlia di 3 anni e mezzo. “Noi siamo a completa disposizione degli inquirenti, si trovi quel nome, la situazione deve venire fuori”, sottolinea Bumbaca.
Ore tese e convulse per la dirigenza della compagine calcistica calabrese. Il presidente auspica che le sue ragazze possano giocare in condizioni serene a Locri, il prossimo 10 gennaio, nella sfida contro la Lazio, ma la sua presenza al loro fianco è tutt’altro che confermata.
“Stiamo valutando se andarci, di sicuro il presidente ci sarà  con il cuore, ma non è affatto sereno: per questo per ora ci mettiamo da parte”, racconta la moglie.
La mobilitazione della politica e dei vertici del mondo del calcio affinchè l’avventura dello Sporting Locri vada avanti, intanto, non si arresta.
Il Governo, tramite le parole del viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico, si dice “certo che le atlete giocheranno” il 10 gennaio perchè non occorre cedere alle intimidazioni e assicura che tramite il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica sono state adottate “tutte le misure per garantire la libertà  di movimento e la tranquillità  delle giocatrici e degli amministratori”.
Sul fronte delle indagini, che sono in corso, si è aggiunto il filone della giustizia sportiva: il procuratore federale della Figc, Stefano Palazzi, ha aperto un fascicolo per fare luce su quanto è accaduto.
Una mobilitazione che, al momento, non basta per far cambiare idea al presidente dello Sporting Locri.
Per ora si chiude.

(da “Huffingtonpost”)

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RENZI SI IMPOSSESSA DI “IDENTITA’ E VALORI”: STRAPPO CULTURALE O INVASIONE DI CAMPO PER CATTURARE VOTI A DESTRA?

Dicembre 29th, 2015 Riccardo Fucile

NELLA CONFERENZA DI FINE ANNO IL PREMIER GIOCA LA CARTA DELLA SCALTREZZA PER METTERE ALL’ANGOLO LA DESTRA CHE GIOCA SULLA PAURA

“Valori e identità  contro il nichilismo imperante”, dice Matteo Renzi, ed è lì, nel passaggio della conferenza di fine anno dedicato all’emergenza terrorismo, che si compie lo strappo culturale più interessante della giornata.
Perchè mai, da sinistra e soprattutto dal Pd, si era sentito un ragionamento imperniato sulle parole “valori” e “identità ”, pane quotidiano della destra.
E mai la categoria nicciana del nichilismo era stata usata con tanta disinvoltura ai tavoli degli eredi del Pci.
La domanda a cui Renzi ha risposto riguardava l’atteggiamento dell’Italia riguardo alla crisi nord-africana e mediorientale. Il premier poteva cavarsela con una risposta di routine ed ha voluto invece sottolineare la necessità , anche “come segretario pro tempore del partito più grande della sinistra europea”, di rettificare l’antica linea del progressismo e abbandonare la tradizionale analisi sociologica che lega il terrorismo all’emarginazione e l’emarginazione a dati di tipo economico. Si deve cambiare, ha detto. Approdare a un’interpretazione di tipo culturale.
“Per anni abbiamo sostenuto che l’identità  era una parolaccia” e l’abbiamo giudicata come “il contrario dell’integrazione” — ha spiegato Renzi — mentre è vero l’esatto contrario, “l’identità  è la condizione dell’integrazione”.
Sono parole che pesano perchè conducono a lidi molto distanti dalla tradizione del Pd.
In Italia come in Francia, in Gran Bretagna e in gran parte d’Europa, il linguaggio dell’identità  è quello delle destre vecchie e nuove, ideologicamente agli antipodi dell’internazionalismo e dell’universalismo, patrimonio della tradizione socialista.
Ora sorprende che ne adotti il linguaggio di riferimento in una circostanza così importante, e che lo faccia (come ha specificato) da “segretario del Pd” più che da presidente del Consiglio. «Identità  è una parola pericolosissima», avverte Sofia Ventura, docente di Scienze Politiche a Bologna, «perchè è in qualche modo ambigua. Qual è l’identità  italiana a cui ci si riferisce? Un’identità  dinamica fondata sui diritti universali? O un recinto simile a quello che immaginano le destre reazionarie?».
Per Alessandro Campi, politologo, un altro che le dinamiche delle destre le conosce bene, non è ancora chiaro se Renzi “stia furbescamente appropriandosi di temi funzionali al progetto di Partito della Nazione”, oppure stia operando “un progetto di revisione profonda della tradizione culturale della sinistra”.
Ma alla fine l’una cosa potrebbe determinare l’altra, perchè non è raro nella storia che un’idea scaltra partorita per vedere l’effetto che fa abbia successo, produca consenso, e diventi strategia di lungo periodo.
Certo è che Renzi sembra aver annusato la tendenza e fatto tesoro dei risultati delle ultime tornate elettorali europee, con la loro richiesta emotiva di certezze fondata proprio su quella vecchia parolaccia, “identità “.
Se riuscirà  ad appropriarsi pure quella, oltre all’immaginabile sconcerto di una parte dei suoi, c’è da mettere nel conto pure qualche guaio per la destra italiana.
Già  scavalcata sul terreno delle riforme del lavoro, dei rapporti con la piccola impresa, della rappresentanza del mondo economico, dell’abolizione della tassa sulla casa, si era ritirata nella nicchia dei “valori italiani” immaginando che almeno lì non avrebbe avuto nè concorrenti nè fastidi.
Da quell’ultima trincea aveva lanciato la sua strategia della paura – emergenza sbarchi, emergenza invasione, emergenza burqa, emergenza crocifissi, emergenza canti natalizi a scuola — e ricostruito percentuali di consenso accettabili.
Ora corre il rischio di ritrovarsi il nemico in casa pure lì, e potrebbe essere un bel guaio.

Flavia Perina
(da “Huffingtonpost”)

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