Dicembre 31st, 2015 Riccardo Fucile
“LO HAI DETTO TU CHE HAI MENATO QUEL DROGATO”
C’è un nuovo tassello che si aggiunge al mosaico che la Procura di Roma sta cercando di costruire per mostrare e stabilire, finalmente, come e perchè morì Stefano Cucchi.
È un audio ed è una lite al telefono finita agli atti della nuova inchiesta.
A parlare con toni sempre più concitati sono due ex coniugi, ad ascoltarli e registrarli gli investigatori della Squadra Mobile di Roma.
L’uomo è Raffaele D’Alessandro uno dei carabinieri indagati per il pestaggio che subì, secondo gli inquirenti, il geometra trentunenne arrestato il 15 ottobre 2009 e morto dopo una settimana all’ospedale Pertini.
La donna è l’ex moglie Anna Carino, che già a verbale con i pm aveva raccontato che il militare le aveva riferito delle violenze subite dal geometra romano fermato per possesso di sostanze stupefacenti.
L’audio tra un carabiniere indagato e l’ex moglie
“… Lo hai raccontato tu della perquisizione, hai raccontato di quanto vi eravate divertiti a picchiare quel drogato di merda. Ma lo sai a quante persone lo hai raccontato? Sei tu che lo raccontavi” afferma la donna interrotta più volte dall’ex come si sente nell’audio pubblicato dal sito del Corriere della Sera.
È il 26 settembre. La conversazione si fa sempre più accesa fino a quanto la donna pronuncia la frase che fa perdere completamente il controllo al militare.
I due avevano già litigato, via sms, per il mantenimento dei figli. Poi la telefonata e le urla: “Prima o poi dovrai cacciare la tua parte…cosa che fino ad adesso sta a provvede qualcun’altro! Poi ti lamenti che non li vedi per via della partita la domenica e il catechismo!!ma sii contento che fanno ste cose e so felici.. preoccupati di piu se non li vedi se t’arrestano!!”.
L’uomo non ci sta e dice che non ha fatto nulla per essere arrestato, ma la donna insiste e dice come era stato lui a raccontare a tutti “di quanto vi eravate divertiti a picchiare quel drogato di merda“.
L’avvocato della famiglia Cucchi: “Intercettazione agghiacciante”
D’Alessandro consapevole di essere intercettato aveva poi chiamato altre persone per raccontare la lite e sostenere che l’ex moglie diceva “alcune cose solo per istigarlo e per ottenere più soldi”.
La donna, interrogata dagli inquirenti, ha confermato che l’ex marito le parlò ripetutamente dell’arresto di Cucchi e delle violenze ai suoi danni: “Mi disse che, la notte dell’arresto, Stefano Cucchi era stato pestato da lui e da altri colleghi della Stazione di Appia di cui non mi ha mai fatto il nome”.
“Un’intercettazione agghiacciante, la prova inoppugnabile del pestaggio. Un quadro probatorio non scalfibile — commenta l’avvocato della famiglia di Stefano Cucchi, Fabio Anselmo – Sono passati sei anni, è ora che tutti parlino. Sospettiamo ci siano altri filoni di indagine aperti”.
La nuova inchiesta e la sentenza della Cassazione
L’inchiesta bis sulla morte del geometra romano è nata dopo un esposto presentato dalla famiglia e alla luce di quanto scritto nelle motivazioni della sentenza dai giudici d’appello.
L’attenzione degli investigatori è stata indirizzata su quanto accaduto dal momento dell’arresto e fino all’arrivo nelle celle del tribunale: i giudici d’appello avevano, infatti, sostenuto che il giovane “fu sottoposto ad una azione di percosse e “non può essere definita una ‘astratta congettura’ l’ipotesi prospettata in primo grado, secondo cui l’azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che lo hanno avuto in custodia nella fase successiva alla perquisizione domiciliare”.
Nel nuovo fascicolo sono state poi depositate le testimonianze — raccolte dall’avvocato dei Cucchi di due carabinieri che dopo le assoluzioni hanno deciso di collaborare con la procura. Oltre a una nuova perizia firmata dal professore Carlo Masciocchi, presidente della Società Italiana di Radiologia, che confermerebbe che il ragazzo venne picchiato.
I nomi di quattro carabinieri, dopo una prima iscrizione, sono stati iscritti nel registro degli indagati nell’ottobre scorso: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro appunto, Francesco Tedesco e Vincenzo Nicolardi.
Per la prima volta si è ipotizzato il reato di lesioni aggravate per i primi tre militari, che parteciparono alla perquisizione in casa Cucchi e al suo trasferimento nella caserma Appia.
Nicolardi è accusato di falsa testimonianza. Stessa ipotesi di reato per la quale è iscritto da tempo l’allora vice comandante della stazione di Tor Sapienza, Roberto Mandolini.
Solo il 15 dicembre scorso la Cassazione aveva stabilito un nuovo appello per cinque medici e l’assoluzione definitiva per gli agenti della polizia Penitenziaria.
Ora questo nuovo colpo di scena e la prospettiva di un nuovo processo con altri imputati. Al momento sono cinque gli indagati nella nuova inchiesta, per la prima volta tutti appartenenti all’Arma.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Giustizia | Commenta »
Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile
MARIA FALCICCHIA, DIRIGENTE DI PUNTA DELLA MOBILE, METTEVA A DISPOSIZIONE DELLA VOTINO UN AGENTE PER I LAVORETTI DI CASA
Quanto tempo è passato dall’ottobre del 1996.
Allora Bobo Maroni resisteva alla Polizia e mordeva ai polpacci gli agenti che osavano perquisire il suo ufficio in via Bellerio.
Oggi una importante dirigente della Polizia vola con i punti Millemiglia di Maroni.
Non solo: chiede ai colleghi di votare per lui e mette a disposizione della sua portavoce un agente per i lavoretti a casa.
La dirigente della Polizia si chiama Maria Josè Falcicchia: prima donna a dirigere una squadra anticrimine e papabile prima ‘capa’ di una squadra mobile.
Il 22 dicembre 2012, in piena campagna elettorale, parla con la sua amica Isabella Votino, portavoce di Roberto Maroni, candidato alla guida della Regione e le racconta che ha fatto una riunione con i suoi colleghi dicendo che devono votare Maroni.
Il 5 marzo 2013, chiede alla Votino di poter ritirare un televisore che si trova a casa sua. Invece di pagare un facchino, le due donne sfruttano Angelo S., un agente che dipende dalla dottoressa Falcicchia.
Dovrebbe passare il tempo a cacciare i delinquenti, ma nella primavera del 2013 invece della pistola impugna il trapano e monta un televisore su richiesta del suo dirigente.
Il 25 luglio Votino richiama la Falcicchia: è arrivato un documento per la madre in portineria. A casa sua quando non c’è nessuno, è la Polizia a intervenire: Maria Josè le dice che manderà il solito Angelo.
Il 28 giugno 2013 Votino chiama Maroni: “Lo sai che Maria Josè è stata promossa? Sì, questa notte ha dormito da me e, questa mattina presto, le hanno dato la buona notizia, (…) le ho detto ‘se me lo dicevi prima glielo facevamo sapere ad Angelino’ (Alfano, ndr) però comunque tanto ormai era arrivata… perchè già l’anno scorso in realtà con Antonio (Manganelli, ndr), non riuscimmo…”.
Isa e Maria Josè sono legate al cerchio magico del segretario della Lega.
Un mese dopo, entrambe trascorrono un weekend in Calabria ospiti dell’avvocato di Maroni e della Lega, Domenico Aiello.
Il biglietto aereo (escluse le tasse) è pagato con le miglia accumulate da Maroni, frequent flyer anche grazie ai viaggi a spese del contribuente.
È un meccanismo criticato ma lecito. In Germania, invece, i parlamentari devono restituire i premi delle compagnie aeree al Bundestag che li usa per ragioni istituzionali. Nel 2002 il politico di sinistra Gregor Gysi fu costretto a dimettersi per aver tenuto i premi per sè.
In Italia tutti usano i biglietti premio per viaggi privati senza pensarci su tanto. In questo caso la stranezza è che a beneficiare del benefit di Maroni è una poliziotta.
Il 23 luglio 2013, dopo aver fatto prenotare un biglietto a nome Falcicchia con le miglia di Maroni, Votino è in imbarazzo perchè potrebbe venire anche la sua amica Paola Patti. L’imbarazzo non discende dal fatto che il padre, Carmelo Patti, ex patron della Valtur originario di Castelvetrano, è sospettato di legami con il boss Matteo Messina Denaro e per questo i magistrati vorrebbero sequestrare il patrimonio.
Il problema sono le miglia di Maroni che sono finite.
Votino: Anche perchè per venire giù, non sto scherzando… non credo che con le miglia ci siano più posti… sai quanto costa il volo? Andata e ritorno, 500 e rotti euro!
Falcicchia: Come andare a New York.
V: È scandaloso, non c’è più neanche la tariffa…
F: Ma questo anche per me, Isa? Devo pagare 500 euro?
V: No, io per te ho già fatto con le miglia… ho fatto 40.000 miglia più 80 euro-90 euro… noi ce la siamo cavata con le miglia ma adesso non ce ne saranno anche più
Paola Patti poi non andrà . I biglietti per Votino e Falcicchia sul volo AZ7105, da Linate a Lamezia del 26 luglio 2013 e del ritorno, il 29 luglio, sono invece comprati con i punti della tessera mille miglia intestata a Maroni.
Solo le tasse per un importo di 89 euro sono pagate da Votino.
Un anno prima di essere ospite di Aiello, Falcicchia, nella sua veste di capo della sezione anti criminalità organizzata, l’8 agosto 2012 ha ricevuto in copia le carte delle intercettazioni di Bruno Mafrici, un sedicente avvocato che — secondo gli inquirenti — potrebbe essere legato alla ‘ndrangheta reggina.
In quel mazzo di intercettazioni ci sono anche i colloqui di Mafrici con l’avvocato Aiello (non indagato) ma forse lei non lo sa e villeggia serenamente a casa sua con la Votino. Quando sono in Calabria insieme, Isabella riceve una chiamata da Maroni che vuole domandare a Maria Josè un parere sul nuovo Questore di Varese.
Maroni: Volevo solo chiedere un parere alla Josè perchè mi è stato consigliato da un po’ di persone Francesco Messina, che era capo della Mobile di Milano.
Votino: Tu lo conosci Ciccio Messina? Aspetta che te la passo…
Falcicchia: Ehi, Bobo, ciao, buongiorno!
M: Ciao, buongiorno.
F: Guarda, lui è stato il mio dirigente nella Mobile, è uno un po’ col culto di se stesso… e tanto che aveva esagerato, che andava sempre in televisione così, eh, che alla fine, un po’ la Procura e un po’ anche il Capo, all’epoca, non lo hanno voluto… lo mandarono via da noi! Ma non è uno stupido… è un ipertelevisivo, diciamo.
M: Eh, si! È un incontinente come Calderoli, insomma!
Anche il Questore di Milano Luigi Savina il 28 dicembre chiama Votino e le dice che lei può permettersi di chiedergli tutto perchè è amica della Falcicchia e per lui, “è come se fosse una sorella”.
Isa pronta chiede un aiuto per un suo amico, che dovrebbe recarsi con lei a New York, al quale hanno rubato il passaporto. Savina le dice che, lunedì, deve farlo presentare a Milano in piazza Cordusio e gli farà avere il passaporto.
Il 28 marzo 2013, Falcicchia partecipa a una cena a casa di Aiello con Paola Patti, il capo segreteria di Maroni Giacomo Ciriello, e poi Maroni e Votino.
Il 28 giugno 2013 sia Aiello sia Isabella fanno gli auguri a Maria Josè per la promozione a Dirigente e tra loro commentano.
Aiello: “Una buona notizia”. Votino dice che sarà il prossimo capo della Mobile di Milano: “La prima donna in Italia… questo è l’obiettivo… vediamo… intanto è stata promossa”.
Aiello dice a Isabella che deve parlare con Maroni perchè lui vuole organizzare a luglio una cena per sei persone selezionate: Aiello e moglie; Maroni e Isabella; Paola (Patti), Besozzi, Gibelli (Andrea allora segretario generale del presidente Maroni, ora presidente Fnm, ndr) con la ragazza e Giacomo (Ciriello, ndr).
La cena a casa Aiello poi ci sarà il 24 luglio 2013 con Maroni, Ciriello, Votino e ovviamente Maria Josè Falcicchia.
Marco Lillo
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Maroni | Commenta »
Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile
LUI REPLICA: “CON ME IL MOVIMENTO E’ STATO LATITANTE, IO RIMANGO AL SERVIZIO DEI CITTADINI CHE MI HANNO ELETTO”
L’espulsione era nell’aria da giorni, ma per formalizzarla c’è voluto un comunicato del gruppo regionale del Movimento 5 Stelle.
Una ventina di righe per spiegare che il sindaco di Gela Domenico Messinese non fa più parte del Movimento di Beppe Grillo.
“È venuto meno agli obblighi assunti con l’accettazione della candidatura e si è dimostrato totalmente fuori asse rispetto ai principi di comportamento degli eletti nel Movimento 5 Stelle e anche alle politiche ambientali energetiche e occupazionali più accreditate in ambito europeo. Pertanto si pone fuori dal Movimento, di cui, da oggi, non fa più parte”, scrivono i grillini nella nota che ammaina la bandiera pentastellata sul comune di Gela.
Da settimane nella città in provincia di Caltanissetta va in onda una feroce guerra intestina tutta interna ai 5 Stelle.
Da una parte c’era Messinese, con il fido vicesindaco Simone Siciliano, dall’altra i consiglieri comunali e gli assessori indicati dalla base: una spaccatura che aveva portato alla creazione di due diversi meetup.
Probabilmente il prologo dello scontro è da ricercare nell’ormai celebre istantanea scattata addirittura prima del ballottaggio: ritraeva Messinese in compagnia di Lucio Greco, candidato di una lista vicina ad Angelino Alfano, nell’ottobre scorso nominato legale del comune per un paio di cause pagate con 11 mila euro.
Una leggerezza che era costata al sindaco l’accusa di clientelismo.
Il punto più alto dello scontro però è arrivato quattro giorni fa, quando Messinese ha deciso di silurare dalla sua giunta tre assessori in un colpo solo: si tratta di Pietro Lorefice, Ketty Damante e Nuccio Di Paola, rispettivamente responsabili dei trasporti, dell’istruzione e della programmazione.
Sono tutti militanti storici, indicati direttamente dalla base ed è per questo motivo che 24 ore dopo i consiglieri comunali grillini avevano sfiduciato pubblicamente Messinese, chiedendo che gli fosse inibito l’uso del simbolo.
Una richiesta avallata dai dirigenti regionali pentastellati, che adesso spiegano di aver espulso Messinese perchè “non ha provveduto al taglio del proprio stipendio”.
La defenestrazione al sindaco è da ricollegare anche ai rapporti con l’Eni, che da oltre mezzo secolo gestisce il petrolchimico di Gela.
“Messinese — continua la nota — ha avallato il protocollo di intesa tra Eni, Ministero dello Sviluppo economico e Regione Siciliana. Un accordo che il gruppo parlamentare all’Ars del M5S ha osteggiato con tutte le sue forze non solo perchè in aperto contrasto con i sui principi, ma anche perchè contrario alle più accreditate politiche di tutela ambientale, energetiche, occupazionali e di economia turistica”.
Come dire che, a più di 50 anni dalla costruzione dal petrolchimico, l’azienda del cane a sei zampe gioca ancora un ruolo fondamentale nelle dinamiche politiche gelesi: anche quando sono targate 5 Stelle.
Messinese aveva già spiegato di non avere intenzione di dimettersi. “Io rimango al servizio dei cittadini che mi hanno eletto. Se ho sentito i big nazionali? Assolutamente no. Casaleggio avrebbe dovuto rispondere quando gli sottoponevo i problemi del territorio e invece non l’ha fatto: questa è una città dove si muore di tumore, dove il lavoro non esiste più. Noto invece che è più importante discutere di simboli”.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Grillo | Commenta »
Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile
LA POTENTE FAMIGLIA TOSCANA SOTTO PROCESSO PER VENDITA DI PRODOTTI CONTRAFFATTI HA PARTECIPATO ALL’AFFARE THE MALL CON IL PADRE DEL PREMIER
Per loro la moda è una passione antica. E nasce ben prima che la potente famiglia aretina dei Moretti si mettesse a progettare gli outlet The Mall con l’ex presidente della Popolare dell’Etruria e del Lazio, Lorenzo Rosi, la costruttrice Ilaria Niccolai e la consulenza del suo socio, Tiziano Renzi.
Nasce e si consolida grazie al connubio con i Lebole, altra illustre famiglia aretina che ha vestito la borghesia italiana degli anni Sessanta e che è nota alle cronache per i rapporti d’affari con Licio Gelli al quale vendette, tra il resto, villa Wanda.
In tempi più recenti, poi, i Moretti hanno stretto alleanze con altri nomi noti del settore, come quello del patron di Prada, Patrizio Bertelli.
Insomma, il loro legame con la moda è caratterizzato da molte luci, ma anche da ombre.
Lo dimostra quello che è accaduto ad Arezzo, nelle stesse ore in cui, il 16 dicembre 2015, veniva allestita la camera ardente di Gelli.
Quella mattina in tribunale si è aperto, e in pratica chiuso, un curioso processo a carico del capostipite della famiglia di industriali locali del tessile e del vino.
Assente in aula l’imputato, Antonio Moretti, che invece, secondo il Corriere della Sera, era tra i pochissimi volti noti che hanno reso omaggio alla salma del venerabile. Presente una mezza dozzina di ex dipendenti della Confitalia, già colonna portante del polo della moda dei Moretti fallita nel 2013 sotto il peso di 27 milioni di debiti.
Tutti pronti a testimoniare sulle accuse di commercio di prodotti contraffatti delle quali è chiamato a rispondere il solo capofamiglia in quanto rappresentante legale della società di cui, all’epoca dei fatti contestati, era amministratore delegato il figlio Andrea, che oggi, insieme alla madre è tra i protagonisti dell’affare The Mall.
In pratica, stando all’impianto accusatorio, lo stesso uomo che oggi muove le fila di uno dei più importanti snodi della moda in Italia, ha guidato un’azienda che tra il 2009 e l’inizio del 2010 ha immesso sul mercato capi cinesi camuffati da italiani.
A risponderne, però, è stato chiamato suo padre che rappresentava la società e, visti i tempi del procedimento che è iniziato ben cinque anni dopo i primi esposti, se il processo andrà avanti potrebbe cavarsela con la prescrizione che maturerà nel 2017. Ma il procedimento potrebbe arrivare su un binario morto ben prima, visto come è andata la seconda udienza che si è chiusa con l’invalidazione della seconda testimonianza.
“Ho lavorato due anni per Confitalia, spesso a nero”, ha dichiarato una ex dipendente. Di cosa si occupava? “Ero un jolly, ho stirato, selezionato i capi, messo i cartellini, un po’ di tutto”.
E alla domanda del pm sulla provenienza dei capi ha risposto che “a quanto ne so io dalla Cina”. Ma ha mai visto dei capi di abbigliamento con l’etichetta Made in China? “Come no? Le cambiavo anche: si toglieva quella Made in China e si metteva quella con scritto Made in Italy … Lo facevano tutti”.
Di fatto una confessione di concorso in reato, come hanno subito intuito i legali di Moretti che, invocando l’articolo 63 del codice, hanno chiesto che le parole della teste venissero utilizzate contro di lei o, in alternativa, dichiarate inutilizzabili.
Il giudice propende per la seconda ipotesi e decide di sospendere l’udienza perchè tutti gli altri testimoni di giornata non avrebbero fatto altro che raccontare fatto analoghi (“Di notte arrivavano i container dalla Cina, li scaricavano, venivano chiusi dentro e preparavano tutti i cartoni così la mattina dopo era tutto pronto per la partenza per i negozi”, dicono per esempio), mettendosi nella stessa posizione dell’ex collega. L’intoppo, come confermato al Fatto Quotidiano dal giudice, dipende da un vizio di forma: il pubblico ministero Alessandra Falcone, titolare del fascicolo, aveva chiesto di interrogare i testimoni con le dovute garanzie, ma non è stato fatto.
Risultato: tutto rinviato a fine aprile 2016, quando alla prescrizione mancherà meno di un anno.
Fuori dall’aula la soddisfazione dei legali di Moretti è evidente, come quella dell’unico teste della difesa, che non ha dovuto neanche rispondere alle domande dell’accusa.
Si tratta del ragionier Marcello Innocenti, da sempre uomo di fiducia dei Moretti nonchè all’epoca dei fatti direttore amministrativo di Confitalia, che conferma sia i rapporti intensi tra la famiglia e Banca Etruria sia le attività di Andrea a Cipro nell’ambito del progetto The Mall di Leccio Reggello.
“Sì, è vero. Ho avuto alcune procure dai Moretti e lavoro per loro. A Cipro hanno dei soci stranieri. E’ tutto alla luce del sole, nei registri delle imprese. I Moretti sono clienti e soci di Banca Etruria? Chi ad Arezzo, tranne me, non lo è: a chiunque prendeva un prestito di regola gli chiedevano di sottoscrivere delle azioni dell’istituto”.
In caso di condanna, si aprirebbe più di un’ombra sulla storia imprenditoriale di Antonio Moretti, che nel frattempo ha lasciato il tessile, dove è stato anche socio di Patrizio Bertelli, mister Prada, per dedicarsi ai vini prodotti dalle uve della sua tenuta di Castiglion Fibocchi, nella campagna aretina, a poche centinaia di metri dalla Giole e a qualche chilometro da villa Wanda. Solo suggestioni.
Diverso, invece, quello che risulta dagli atti della commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia P2.
Dove Alberto Moretti, il padre di Antonio, viene citato in quanto uno dei tre titolari della società immobiliare Belvedere d’Arezzo. Gli altri due soci erano i fratelli Giovanni e Mario Lebole, quest’ultimo presente direttamente nella lista degli adepti del venerabile scoperta negli uffici della Giole.
Tra i documenti sequestrati dall’autorità giudiziaria nel 1981, c’è anche una domanda di iscrizione alla loggia avanzata da Antonio Moretti: è datata 21 novembre 1977 e — scrivevano i relatori — “pare fosse rimasta in sospeso”. Non in sospeso, invece, il rapporto tra i Moretti e la moda.
A portare avanti il nome della famiglia nel settore, infatti, ci hanno pensato sia i figli di Antonio (Alberto e Andrea) che la moglie Luciana Lo Franco.
Andrea, tra le mille cose si è occupato del marchio Pull Love, maglieria e accessori, brand giovane che a fine 2014 dava lavoro a 300 dipendenti e contava su oltre 100 punti vendita, molti dei quali nei centri commerciali.
Ed è proprio negli outlet che si è sviluppata negli anni un’altra attività di rilievo della famiglia, con Moretti junior e sua madre che risultano tra i protagonisti dell’ampliamento del The Mall di Leccio Reggello.
Raggiunta telefonicamente, la signora Lo Franco preferisce invece non rispondere alle domande del Fatto Quotidiano: “Mi disturbate”, dice prima di chiudere la conversazione.
Impossibile, invece, parlare con Andrea Moretti: il suo cellulare squilla a vuoto. “E’ a Londra, vive lì”, racconta il suo avvocato e conferma Innocenti.
Anche se qualche ora dopo Andrea è segnalato al The Mall di Leccio Reggello. Potenza dei moderni mezzi di trasporto?
Possibile e lo stesso si può dire per il padre, che secondo i legali si trovava a New York ma in serata era già alla camera ardente di Gelli ad Arezzo.
P.G. Cardone e G. Scacciavillani
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Costume | Commenta »
Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile
“BERLUSCONI HA TRADITO LA RIVOLUZIONE LIBERALE CHE AVREBBE DOVUTO RAPPRESENTARE, TRAMUTANDO IL PARTITO IN UNA CASERMA”
“Su una cosa ha perfettamente ragione Sandro Bondi: nel corso di questi vent’anni Berlusconi si è rivelato uno straordinario leader politico nella impostazione e nella direzione delle campagne elettorali e poi un presidente del Consiglio non sempre all’altezza del ruolo come hanno dimostrato le sconfitte del 1996, del 2006 e quella del 2013. Oggi questa drammatica discussione si svolge perchè Berlusconi e Forza Italia hanno perso non solo quasi tutto l’originario gruppo dirigente, ma ben 9 milioni di elettori”.
A scriverlo su Libero è Fabrizio Cicchitto, per molti anni fra i principali esponenti di Forza Italia e oggi in Ncd, commentando il dibattito aperto sulle sorti di Forza Italia e del centrodestra dall’intervista di Sandro Bondi a La Repubblica.
Per Cicchitto “tutto ciò vanifica una polemica politica fatta usando la categoria del tradimento. Quando a tradire sono 9 milioni di elettori e si sfascia tutto un gruppo dirigente, allora un leader politico dovrebbe operare una profonda riflessione anche autocritica”.
“Quanto al golpe del 2011, perchè rimuovere il fatto – prosegue Cicchitto – che allora certamente Sarkozy e la Merkel lavorarono in tutti i modi contro il governo Berlusconi, ma questo lavorio fu favorito sia dallo scontro apertosi all’interno del governo fra lo stesso Berlusconi, Tremonti, Brunetta e la Lega, sia – diciamocelo fuori dai denti – dagli errori comportamentali, chiamiamoli cosi, dello stesso Berlusconi. Infatti le cene eleganti che in quegli anni si svolgevano a ritmi ossessivi non avevano nulla di penalmente rilevante, ma furono dei tragici errori politici che contribuirono a togliere a Berlusconi credibilità a livello internazionale proprio nel momento in cui egli ne avrebbe avuto il massimo bisogno. Anzi, visto che si parla tanto di tradimenti, quello fu un autentico tradimento che Berlusconi fece innanzitutto nei confronti di se stesso e della propria storia politica, e poi anche rispetto alla sua classe dirigente, al suo partito e ai suoi elettori”.
In definitiva, secondo Cicchitto, “la drammatica intervista di Bondi è il segno di una crisi politica e personale acutissima e dovrebbe spingere lo stesso Berlusconi e i suoi amici a una riflessione seria e non a invettive che danno il senso di un’incapacità totale di misurarsi con lo stesso dramma politico in cui sono anch’essi coinvolti”.
Per il deputato, “una volta messo in piedi un partito del 30% dei voti con centinaia di parlamentari, migliaia fra consiglieri regionali e comunali il cui valore fondamentale era quello della Rivoluzione Liberale,come si poteva e si può pretendere di gestirlo quasi che si trattasse di una caserma o peggio – come sta avvenendo oggi – attraverso gli ordini di servizio di un grottesco cerchio magico?”.
(da “Huffingtonpost“)
argomento: Forza Italia | Commenta »
Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile
IN 14 ANNI IL SALARIO MEDIO DI UN DIPENDENTE PRIVATO HA PERSO 3 PUNTI PERCENTUALI, NELL’EUROZONA IN MEDIA NE HA GUADAGNATI 15
Com’era prevedibile Matteo Renzi si è affidato alla guerra dei decimali per cercare di dimostrare che in Italia spira aria di ripresa. Ma si tratta di uno striminzito 0,8% in più, persino meno di quanto era nelle previsioni del ministro dell’Economia
D’altro canto l’Istat aveva già segnalato ai primi di dicembre che la tendenza è quella al rallentamento dell’economia italiana. Quindi c’è da dubitare sul raggiungimento degli obiettivi già modesti di fine 2016.
Sarà per recuperare credibilità dopo gli scandali bancari tuttora in pieno svolgimento, sarà perchè ormai è evidente anche ai ciechi, nella conferenza stampa di fine anno il Presidente del Consiglio ha mostrato una certa aggressività verbale verso le politiche europee. «Di sola austerità il Continente muore» ha affermato, mentre l’Italia avrebbe puntato più sullo sviluppo, solo che le autorità europee non vogliono riconoscerle la flessibilità desiderata sui conti
Quando gli fa comodo Renzi è pronto a giocare la carta dell’europeista incompreso.
Ma è una coperta troppo corta. Sia perchè fin dal suo sorgere la renzeconomics si è dimostrata una semplice articolazione delle politiche europee; sia perchè l’attuale performance del nostro paese è nettamente inferiore a quella media dell’Eurozona; soprattutto perchè l’irresponsabilità di fronte alla gravità della situazione è totale. Tecnicamente la recessione finisce nel primo semestre del 2015, tuttavia la vantata ripresa è non solo lenta, ma inadeguata a colmare l’abisso che abbiamo alle spalle.
Alla fine del 2014 gli investimenti erano del 35% più bassi che nel 2007. Altro che sviluppo italiano.
Nel solo periodo 2012—2014 il Pil si è ridotto del 5%, più o meno come nel lontano 1929!
Certo, la crisi italiana viene da più lontano.
Tra il 1995 e il 2007 la nostra crescita media annua è stata del 1,6% contro il 2,4 della media dell’Eurozona.
Nello stesso periodo abbiamo accumulato uno svantaggio di 19,3 punti di Pil rispetto a quest’ultima. Anche quando l’occupazione è cresciuta è avvenuto in misura inferiore che negli altri paesi europei.
E i salari? Tra il 1990 e il 2014 il salario medio di un dipendente privato italiano ha perso tre punti percentuali al netto dell’inflazione, mentre nella media dell’Eurozona è cresciuto del 15%.
Proprio quest’ultimo dato spiega la bassissima crescita di produttività italiana messa al confronto con quella nella Ue.
Infatti sono gli aumenti salariali che trascinano in alto la produttività e non il contrario, come invece si vorrebbe condizionando gli aumenti dei primi all’innalzamento della seconda.
Solo la frusta salariale — ce lo ricordano i più attenti economisti – spinge anche il più pigro imprenditore all’innovazione, fattore decisivo per lo sviluppo della produttività di sistema.
Renzi sembra non avere alcuna consapevolezza di tutto ciò. Anzi spara cifre, come l’aumento di 300mila posti di lavoro, a seguito del Job Act, peraltro nello stesso giorno in cui l’organo della Confindustria ne stima 200mila.
In ogni caso nella attuale lunga crisi abbiamo perso un milione di posti di lavoro.
Se guardiamo al tasso di occupazione dovremmo crearne almeno 7 milioni per metterci al passo. I
n realtà da quando è stata introdotta la decontribuzione, cioè dal 1° gennaio i posti di lavoro, secondo Il Sole24Ore, sono cresciuti di 185mila unità fino al settembre 2015.
Se si confronta il periodo analogo del 2014, in assenza degli attuali incentivi, risultano solo 26mila posti in più, pagati a carissimo prezzo.
L’Istat ci dice che le assunzioni a termine hanno avuto una impennata proprio dopo l’entrata in vigore del cosiddetto contratto a tutele crescenti del Job Act, raggiungendo il loro massimo storico nel terzo trimestre del 2015: 2 milioni e 560mila.
Benchè sia stato cancellato l’Articolo 18 i padroni non si fidano.
A fronte delle incertezze della crisi economica, preferiscono il classico contratto a termine. Tanto più che grazie al precedente decreto del ministro Poletti possono stipularlo del tutto arbitrariamente, senza alcuna motivazione o causale.
Si ripete in sostanza quando già avvenne con la cosiddetta legge Biagi. Tra tutte le nuove forme di contratto precario previste — più di 40 – la preferita restava sempre quella del semplice contratto a termine. D’altro canto la fidelizzazione del dipendente non è necessaria quando la produttività è bassa, la qualità del lavoro scarsa, i settori in cui si assume sono quelli meno innovativi. E viceversa.
Questo dovrebbe suggerire a chi, dopo le recenti decisioni del direttivo Cgil e la prevista consultazione dei lavoratori, dovrà formulare i quesiti per un referendum abrogativo in materia di lavoro, di non dimenticare il decreto Poletti.
Non avrebbe senso ed efficacia cancellare le norme più odiose del Job Act e lasciare in piedi un contratto a termine a totale discrezionalità imprenditoriale.
Alfonso Gianni
argomento: Lavoro | Commenta »
Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile
BOOM DI CAUSE, DA GENNAIO UN FONDO STATALE
“Da sei mesi mio marito non ci versa più l’assegno di mantenimento. E i miei figli, Giada e Pietro, sono diventati bambini poveri. Cosa vuol dire povero? Vuol dire che abbiamo tagliato la piscina, il calcetto, la mensa a scuola, eliminato i vestiti nuovi, i libri sono un lusso già da un pezzo, e ad ogni festa di compleanno non so come comprare il regalo… Mi vergogno, ma riesco a garantire soltanto la sopravvivenza. Il mio ex scappa, fugge, dice che non ha soldi, ma intanto si è costruito una nuova famiglia…”.
Adachiara, maestra d’infanzia e giovane mamma separata di Udine dice che non appena il nuovo “Fondo di solidarietà per il coniuge in stato di bisogno” diventerà effettivo, sarà tra le prime a presentare la domanda.
Perchè d’ora in poi, come prevede la legge di Stabilità , sarà lo Stato a versare i soldi dell’assegno di mantenimento a famiglie come quella di Adachiara, rivalendosi poi sul padre inadempiente.
Un passo di civiltà , spiegano gli avvocati matrimonialisti, ma anche la testimonianza di un’emergenza non più legata alla crisi ma diventata endemica, la povertà cioè che segue la fine di un amore, e dunque le separazioni e i divorzi.
I dati sono impressionanti: secondo le stime dell’Ami, Associazione matrimonialisti italiani, i processi penali per il “mancato pagamento dell’assegno ai figli” sono aumentati del 20 per cento negli ultimi cinque anni, trecento in sei mesi i casi solo al tribunale di Trento.
Lasciarsi, ormai è assodato, è sempre più un lusso per coppie con doppio reddito, o per chi ha soldi, per tutti gli altri la rottura di un matrimonio può diventare l’anticamera della povertà .
Eppure in Italia le nozze durano sempre meno, dal 1995 a oggi sono triplicati gli addii dopo dieci anni vita in comune, e le separazioni cresciute del 70 per cento.
Ma nello stesso tempo il 12 per cento degli “utenti” delle mense della Caritas sono proprio i separati e i divorziati, anzi le divorziate, visto che l’8,5 per cento sono donne con figli minori a carico.
Spiega Gian Ettore Gassani, fondatore dell’Ami e grande sostenitore del Fondo varato dal Governo: “Sono anni che lo chiedevamo, anni in cui abbiamo visto la tragedia di famiglie ridotte sul lastrico dopo una separazione, e quasi sempre a pagarne il prezzo più alto sono le donne e i bambini. Nella maggioranza dei casi infatti a non pagare l’assegno di mantenimento sono i padri, in parte perchè non possono, in parte perchè ne approfittano. Ma il dato sociale è durissimo. Si può fare addirittura un calcolo matematico: in una coppia con due figli, un mutuo e due redditi da 1500 euro, dopo la separazione uno dei due coniugi diventerà povero…”.
Racconta Adachiara: “Ci siamo separati perchè lui aveva un’altra storia, ma abbiamo entrambi sofferto per la fine di un matrimonio in cui avevamo creduto. All’inizio è stato presente, affettuoso con i bambini, puntuale nei pagamenti. Poi la sua “altra” famiglia è diventata più importante, ha iniziato a trascurarci, e da quando è diventato padre di nuovo è come se ci avesse dimenticati. Il mio ex è un libero professionista, io guadagno meno di mille euro al mese. Eravamo una famiglia normale, oggi i miei bambini sono poveri, ed esposti ad una doppia sofferenza, il suo abbandono e le privazioni”.
Aggiunge Gassani, che di tutto ciò parla nel suo libro “Vi dichiaro divorziati”: “Il Fondo servirà in situazioni come queste, ma ci vuole una stretta vigilanza: temo infatti che i padri inadempienti possano approfittarne per abdicare ancora di più dalla proprie responsabilità “.
Mitiga Timberio Timperi, giornalista e esponente dei padri separati, protagonista di una lunga vicenda giudiziaria con la ex moglie.
“È una misura giusta, ma è anche una toppa sulle inefficienze della giustizia, dove ancora troppo spesso i giudici privilegiano d’ufficio il collocamento dei figli con le madri, e impongono ai padri assegni di mantenimento impossibili da onorare, fino a ridurli im miseria. Oltre ai soldi serve un cambio culturale nei tribunali”.
Per Alessandro Sartori, presidente dell’Aiaf, associazione italiana avvocati della famiglia, il vero problema è però l’impunità : “I processi aumentano, ma la realtà è che quasi mai gli “inadempienti” finiscono in carcere. E per le vittime l’unica strada è quella della battaglia legale…”.
Maria Novella De Luca
(da “La Repubblica”)
argomento: Giustizia | Commenta »
Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile
RITA CARRAVETTA DI MSF RACCONTA LE STORIE DI ISMAEL E FATIMA, GIUNTI DALLA LIBIA CON TRAUMI FISICI E PSICOLOGICI
Rita Carravetta è uno dei medici di Medici senza frontiere, organizzazione umanitaria che da mesi opera nel centro di accoglienza di Pozzallo e che oggi ha annunciato che lascerà la struttura per le difficoltà a collaborare.
“È stato un privilegio essere qui in questa zona di frontiera, sul molo della banchina di Pozzallo ad accogliere e soccorrere tutte le persone che affrontano il deserto del Sahara e il Mar Mediterraneo, alla ricerca di qualcosa di migliore – dice -. Nelle mie giornate di lavoro, c’è la bellezza dell’incontro con l’altro ma, a volte, anche la frustrazione di non trovare le risposte adeguate. Perchè accogliere non è solo dare un posto dove poter dormire e mangiare, è prima di tutto prendersi cura. E’ dare dignità a queste persone. In questi mesi, ho incontrato prima di tutto persone che scappavano. Una donna mi ha sussurrato: “Andate a vedere cosa c’è in Libia, così capirete perchè veniamo qui”.
“Negli ultimi mesi abbiamo notato un aumento dei traumi e delle ferite riportate, come le fratture in seguito a percosse e aggressioni subite in Libia, o violenze soprattutto sulle donne. Quest’anno sono arrivati anche tanti minori non accompagnati, troppo numerosi per una ricollocazione rapida in strutture adeguate, ci hanno detto le istituzioni. Mi ricordo di Ismael, 16 anni, capelli ricci e occhi grandi. Si è presentato in ambulatorio con un’escoriazione alla gamba, gli ho chiesto se parlava inglese. Mi ha risposto con sguardo fiero e deciso “Parlo inglese, arabo, tigrigno e amarigna”. Gli ho chiesto cosa c’era che non andava. Mi ha fatto vedere il piede fasciato, sotta la benda una piccola escoriazione. Un pretesto per venire in ambulatorio. Ismael, insieme ad un gruppo di minori, dopo essere rimasti a lungo nel centro avevano cercato di scappare. Gli ho chiesto il perchè.
“Che cosa succede al tuo cervello se vedi davanti ai tuoi occhi uccidere tuo padre, tuo zio, tuo nonno e la tua famiglia. Io sono scappato da un paese in guerra, l’Eritrea. Sono andato in Etiopia e poi in Libia. La Libia è veramente un brutto paese. Mi hanno picchiato, guarda sulla mia testa le cicartrici. Adesso sono qui in Italia e il governo italiano che cosa fa, mi tiene chiuso qui a mangiare e dormire. Ma io voglio uscire, voglio andare a scuola per studiare, per leggere, imparare e conoscere”.
In questi mesi ci siamo confrontati spesso con un sistema di accoglienza dove i limiti strutturali, o organizzativi, come la mancanza di posti soprattutto in strutture protette ha avuto conseguenze dirette sulla salute dei nostri pazienti. Ultimamente, il caso più emblematico è stato quello di Fatima. È arrivata in una notte fredda e buia insieme ad altre 700 persone, portate dalla Bourbon Argos il 6 novembre a Pozzallo. È uscita dalla nave tra gli ultimi, aveva il capo coperto e un lungo vestito. L’abbiamo accompagnata in ambulatorio. Era sola. Ci siamo subito resi conto della gravità . Abbiamo capito che aveva subito violenze ripetute durante il suo viaggio nel deserto. Inoltre, aveva subito anche una mutilazione genitale. L’abbiamo segnalata agli organi di competenza per l’inserimento in una struttura adeguata e protetta. Fatima all’inizio ha accettato di restare nel centro di prima accoglienza, poi ha visto che tutti i suoi connazionali venivano trasferiti, e col passare dei giorni si è destabilizzata. La lunga permanenza e la situazione di sovraffollamento del centro ha aggravato il suo precario stato di salute mentale e reso necessario il ricovero obbligatorio in una clinica psichiatrica. Pochi giorni fa, dopo svariate segnalazioni, è finalmente arrivata la comunicazione ufficiale che Fatima verrà trasferita in una struttura di accoglienza protetta. Fatima ha rappresentato una sconfitta e un fallimento, abbiamo fatto un lavoro di team per evidenziare la necessità di un ricovero immediato, ma le risposte delle istituzioni sono state tardive e questo ha avuto una ripercussione negativa anche sulla sua salute mentale”.
(da “La Repubblica”)
argomento: denuncia | Commenta »
Dicembre 30th, 2015 Riccardo Fucile
LE ACCUSE ALLO STATO: “CONDIZIONI PRECARIE E POCO DIGNITOSE IN CUI SONO ACCOLTI I RIFUGIATI: SOVRAFFOLLAMENTO, SCARSA INFORMAZIONE LEGALE E TUTELA DEI DIRITTI”
L’organizzazione medico-umanitaria Medici Senza Frontiere annuncia l’uscita dal Centro di prima accoglienza e soccorso di Pozzallo e la chiusura del progetto di supporto psicologico nei Centri di Accoglienza Straordinaria della Provincia di Ragusa.
“Non ci sono le garanzie minime per una collaborazione efficace” sottolinea Msf in una nota rinnovando “il proprio appello alle autorità italiane affinchè sviluppino risposte concrete e di lungo termine: i bisogni delle persone più vulnerabili devono essere la priorità “.
“Nonostante le nostre richieste, le condizioni precarie e poco dignitose in cui vengono accolti migranti e rifugiati appena sbarcati – quali sovraffollamento, scarsa informazione legale e tutela dei diritti – rischiano di rimanere la realtà del futuro”, dichiara Stefano di Carlo, capo missione dei ‘Medici senza frontiere’ in Italia.
“In queste condizioni, la nostra capacità di offrire una risposta efficace ai bisogni medici e psicologici delle persone vulnerabili, come le donne gravide, i minori e le vittime di tortura, accolte nel centro di Pozzallo e nei centri di accoglienza di Ragusa è estremamente limitata”, sottolinea inoltre di Carlo.
Nell’ultimo anno, informa la nota dei medici umanitari, oltre 150.000 persone sono arrivate in Italia via mare, di cui circa 15.000 sono sbarcate nel porto di Pozzallo, dove l’equipe medica di MSF – composta da medici, infermieri, psicologi e mediatori culturali – ha supportato l’Azienda Sanitaria Provinciale di Ragusa per attività di screening sanitario al momento dell’arrivo degli ospiti e servizio medico 24h/24h all’interno del Centro di prima accoglienza e soccorso di Pozzallo.
Dal mese di febbraio 2015, sono state effettuate oltre 3.000 consultazioni mediche. Inoltre, nei Centri di Accoglienza Straordinaria della provincia di Ragusa, ‘Msf’ ha fornito oltre 800 consultazioni di supporto psicologico e assistenza a vittime di eventi traumatici.
“Sempre meno attenzione viene data alla protezione delle persone più vulnerabili che arrivano provate dal lungo viaggio. Durante lo sbarco e la prima accoglienza l’aspetto medico-umanitario deve avere la priorità e il benessere psico-fisico delle persone deve essere assicurato”, sottolinea Federica Zamatto, responsabile medico per ‘Msf’ dei programmi sulla migrazione.
“Proprio mentre il centro di Pozzallo si appresta a diventare un hotspot, siamo estremamente preoccupati che si trasformi nel modello della prima accoglienza in Italia, un modello che riteniamo del tutto inadeguato”, conclude la dottoressa.
‘Msf’ continuerà le sue attività di supporto a rifugiati e migranti in Italia in vari progetti a Trapani, Catania, Roma e Gorizia, e insiste nel chiedere il rispetto di condizioni adeguate di accoglienza e per l’adozione di un modello che presti maggiore attenzione alle esigenze dei soggetti più vulnerabili.
A partire dallo scorso maggio, ‘Msf’ ha avviato per la prima volta attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Fino ad oggi le navi di ‘Msf’ hanno assistito e soccorso più di 23.000 persone.
Inoltre una nuova èquipe di primo soccorso psicologico d’emergenza – composta da uno psicologo e da mediatori culturali – è intervenuta in 14 occasioni in 8 porti italiani prendendosi cura di circa 2500 persone, fornendo assistenza ai sopravvissuti di eventi traumatici durante il viaggio in mare.
(da “La Repubblica“)
argomento: denuncia | Commenta »