Destra di Popolo.net

SALVINI CONQUISTATO DALLE CANDIDATE DEL M5S: “ALTRO CHE BERTOLASO”

Marzo 5th, 2016 Riccardo Fucile

BASE DISORIENTATA DAI CONTINUI MUTAMENTI DI POSIZIONE DI SALVINI… LEGA IN CONFUSIONE, UN DIRIGENTE: “NON CI STO CAPENDO PIU’ NULLA”

Nella convulsione che ha preso il centrodestra sulla questione romana, Matteo Salvini è stato messo all’angolo dalla determinazione di Silvio Berlusconi (e di Giorgia Meloni) nel sostenere la candidatura al Campidoglio di Guido Bertolaso.
Dovrà  farsene una ragione e allinearsi o sfasciare la coalizione e mettere tutto in discussione anche nelle altre città  dove si vota in primavera o rinunciare a presentare la lista.
Ma il giovane Matteo stravede per un altro candidato, anzi una candidata che con il centrodestra non c’entra un fico secco: Virginia Raggi.
«Non possiamo sostenerla, è ovvio, ma a Roma ci vorrebbe una come lei. Sarebbe perfetta». Salvini ha perso la testa (politicamente, si intende) per l’avvocato a 5 Stelle. «Buco lo schermo e poi l’avete visto cosa ha detto sui Rom. Altro che Bertolaso che li considera una “categoria vessata”».
Insomma, ci vuole la ruspa. Virginia non ha detto che vuole usare lo stesso mezzo pesante, ma ci è andata molto vicino.
Del resto su rom e immigrazione Lega e M5S hanno sempre espresso posizioni simili. Un populismo radicale che li accomuna pure su altri temi come l’anti-europeismo. Matteo non può nascondere di provare una certa fascinazione per Virginia che l’altro giorno ha debuttato a Porta a Porta con un look sexy e total black. L’ha sentita parlare in diversi programmi tv, l’ha sentita alla conferenza con la stampa estera e si è morso le mani: «Quella sì che sarebbe la candidata giusta».
E non è finita qui, perchè Salvini considera bravissima anche l’altra candidata a 5 Stelle di Torino, Chiara Appendino. «Anche lei è brava e va forte, mentre Berlusconi vuole farci correre con Osvaldo Napoli, ma per favore…».
Ma alla fine il capo leghista non può permettersi di far esplodere il centrodestra. C’è un pezzo del suo partito, Roberto Maroni e Luca Zaia in testa, che non possono permetterselo.
E stanno facendo di tutto per convincere il loro segretario a scendere a più miti consigli, trovando l’intesa con Berlusconi. Il quale ieri   è venuto apposta a Roma per mettere il sigillo definitivo sul Bertolaso.
Tra i due c’è stata una telefonata di fuoco. Con Matteo che continuava a proporre le primarie tra Bertolaso, Storace e Pivetti, escludendo Marchini perchè Meloni non lo vuole vedere nemmeno a cannonate. E con Silvio che gli ricordava che sotto la candidatura dell’ex capo della protezione civile c’era la firma dei tre leader del centrodestra: «C’era anche la tua di firma. Ora, caro Matteo, mi sono rotto…»
Di fronte a quello che appare come un mezzo passo indietro del leader padano, lo stato maggiore leghista si mostra disorientato.
Nessuno commenta, tutt’al più qualcuno, chiedendo l’anonimato, allarga le braccia e sconfortato dice: «Non ci sto capendo più nulla…».
La consultazione che si terrà  con cento gazebo tra due settimane oltre che sul gradimento per Bertolaso verterà  sulle priorità  che il nuovo sindaco dovrebbe affrontare nei primi cento giorni.
Ai seggi dovrebbe essere presente un rappresentante per ogni partito: giusto per confermare la mancanza di fiducia e il clima tutt’altro che idilliaco tra gli alleati.
Al punto che sono in tanti, sia in Forza Italia che nella Lega, a temere che l’intesa raggiunta ieri possa nuovamente scricchiolare nei prossimi giorni.
Specie se su Salvini continueranno a concentrarsi le spinte di chi, non solo nel suo partito, non accetta la candidatura di Bertolaso e continua a credere che solo una coalizione unita dietro Marchini possa puntare al ballottaggio.
Anche per questo non è ancora il momento di escludere alcuno scenario.

(da “La Stampa”)

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MARCHINI, PIVETTI, STORACE, AVANTI TUTTA: LE MINE VAGANTI CHE AFFOSSERANNO IL CENTRODESTRA ROMANO

Marzo 5th, 2016 Riccardo Fucile

OGGI MARCHINI APRE LA CAMPAGNA ELETTORALE ALL’AUDITORIUM, DOMANI TOCCA A STORACE AL QUIRINO, LA PIVETTI SCALPITA

Nel magmatico centrodestra prosegue, ai piani alti, uno stallo che alla base sfugge. Ognuno ha una ragion di partito che, secondo i propri calcoli spesso cervellotici, ha la priorità  e c’è la sensazione che Roma sia un altare su cui sacrificare una battaglia per vincere la futura e più importante guerra.
Le elezioni amministrative hanno storicamente un elettorato fluido, disposto anche a «tradire» il proprio partito in nome della ragion di città .
Se si candidasse un taumaturgo, i cittadini romani lo voterebbero a prescindere dal colore politico e dall’appartenenza.
Non essendoci taumaturghi in vista nessuno ha il nome adatto a fare la tanto sospirata ed invocata sintesi.
Berlusconi e Meloni continuano a blindare Guido Bertolaso, Matteo Salvini a disarcionarlo sognando sempre l’alleanza con Marchini. Fratelli d’Italia, invece, continua a porre il veto sul suo nome con un’ostinazione che sembra più personale che politica.
L’ingegnere, si sa, non ama molto la liturgia dei partiti, figurarsi le beghe e oggi aprirà  ufficialmente la sua campagna elettorale all’Auditorium di via della Conciliazione. Con lui la sua lista civica, che tre anni fa ottenne un risultato onorevole e il Nuovo Centrodestra.
È quello che potrebbe pescare preferenze in tutti gli schieramenti, strizza l’occhio a destra assumendo una posizione decisa sui campi nomadi ma proviene da sinistra e ha anche un bel profilo civico, che in questa tornata sembra essere una panacea.
In rampa di lancio anche Francesco Storace con la sua Destra.
L’ex governatore è un animale da campagna elettorale, naviga tra polemiche, dichiarazioni al vetriolo e botta e risposta come Rambo nella giungla vietnamita. Come Totti non vuole staccarsi dal campo e questa candidatura lo sta quasi ringiovanendo dandogli nuova linfa.
Non solo non pensa minimamente a ritirarsi: «Questa partita la faccio per vincere. Se si alza l’affluenza e quindi sballano i sondaggi, io vinco le elezioni. Perchè è un voto partecipato».
Anche lui è pronto a partire ufficialmente domani al teatro Quirino, dove presenterà  il programma elettorale e i comitati che lo sosterranno nella corsa al Campidoglio.
Galvanizzata dalla medaglia d’argento alle consultazioni salviniane, ci ha preso gusto anche Irene Pivetti.
Da tempo non ha più il broncio di quando sedeva sullo scranno più alto della Camera dei Deputati come il presidente più giovane della storia. Alcuni amori non si sopiscono mai; nonostante anni di lontananza con il Carroccio c’è ancora molto feeling e al segretario non dispiacerebbe «portarla».
Lei non è ancora arrivata al punto di organizzare un’apertura di campagna elettorale ma le idee le ha chiare: «Sarebbe bello se il prossimo sindaco fosse donna. Ruspe nei campi rom? Il problema va risolto, sono d’accordo col principio ma non col metodo».

Manuel Fondato
(da “Il Tempo”)

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IN UN ANNO APERTI SOLO 2 CANTIERI SU 33

Marzo 5th, 2016 Riccardo Fucile

DISPONIBILI 800 MILIONI PER LE OPERE SUI FIUMI, MA DUE TERZI SONO IN RITARDO

Avviare le prime opere del nuovo piano contro il dissesto idrogeologico si sta rivelando una fatica di Sisifo.
Quattro mesi fa «La Stampa» aveva documentato il «labirinto burocratico» (diciassette uffici coinvolti, cinque passaggi solo alla Corte dei Conti) che impediva di distribuire ai presidenti delle Regioni i quasi 800 milioni racimolati dal governo per le prime 33 opere nelle aree a rischio.
Superati gli ostacoli a livello centrale, accreditati i quattrini sui conti correnti delle Regioni, spuntano nuovi ritardi.
E si scopre che su 33 cantieri solo 2 sono stati aperti e 21 sono in ritardo; che diverse Regioni non erano pronte, benchè il governo avesse imposto di scegliere opere «immediatamente cantierabili»; che talvolta mancano passaggi burocratici essenziali, per opere di cui si parla dagli Anni 70.
L’obiettivo di Palazzo Chigi era aprire tutti i 33 cantieri entro la fine del 2016. Se va bene, ne saranno aperti per 400-450 milioni, la metà  del budget.
Ciò ha provocato una certa «delusione» a Palazzo Chigi, dove Renzi ha installato due anni fa la task force ItaliaSicura per sbloccare le opere necessarie a evitare (o almeno a mitigare) i rischi nelle zone soggette a frane e alluvioni.
La struttura ha aperto 874 piccoli cantieri (a cui serviva un colpo di acceleratore) e poi si è dedicata ai più problematici interventi nelle città  in cui si concentrano i maggiori rischi: 132 opere per un valore di 1,3 miliardi.
Non essendoci soldi per tutto, ne sono stati selezionati 33 (per un valore di circa 800 milioni) considerati prioritari sulla base dei criteri suggeriti dall’Unione Europea: popolazione a rischio e cantierabilità .
Attenti a questo secondo criterio: significa che tutto l’iter burocratico è compiuto, si tratta solo di aprire il cantiere. Così dovrebbe essere.
La geografia
La lista delle 33 opere è un catalogo di antiche emergenze nazionali. Nomi che evocano lutti e devastazioni: dal Bisagno cantato da Fabrizio De Andrè («tonnara di passanti») al Seveso che periodicamente si ribella inondando la parte Nord di Milano. Per arrivare all’apertura dei cantieri, la task force governativa ha utilizzato uno schema semplificato: poteri accentrati al commissario-governatore, accordi con i sindacati per allungare i turni, riduzione dei contenziosi amministrativi, monitoraggio periodico e «fiato sul collo delle Regioni».
Il primo monitoraggio ha prodotto un dossier che fa il punto della situazione su ciascuna opera, mettendo in fila previsioni delle Regioni ed effettiva realizzazione di bandi di gara, contratti con le imprese vincitrici, apertura dei cantieri.
Si scopre pertanto che il record di efficienza spetta all’Abruzzo, per gli interventi da 54,8 milioni sul fiume Pescara (area a noto rischio alluvionale devastata dalla speculazione edilizia).
Il governatore Luciano D’Alfonso usa i poteri commissariali con mano ferma e la struttura burocratica sotto di lui si adegua.
Risultato: tre mesi di anticipo sulla tabella di marcia. Anche a Genova le cose vanno bene. Dopo decenni di inerzia, i cantieri sui torrenti Bisagno e Fereggiano (150 milioni di euro di valore) procedono con due mesi di anticipo rispetto alle previsioni.
Le complicazioni
Ma altrove l’accelerazione non c’è stata. «Il primo monitoraggio evidenzia un andamento un po’ più lento del previsto – spiega Mauro Grassi, a capo della task force di Palazzo Chigi -. Questo dimostra che l’immediata cantierabilità  non significa che il giorno dopo aprono i cantieri. Le situazioni più critiche sono sul Seveso in Lombardia e sul Lusore in Veneto».
Nel primo caso, in due Comuni le aree di laminazione del fiume (zone di espansione controllata e raccolta delle acque in caso di esondazione) sono state accorpate, ma ciò comporta un nuovo iter che si concluderà  nel 2018.
Nei prossimi mesi la task force valuterà  se aspettare, tenendo fermi i soldi o dirottarli su altre opere, queste sì cantierabili.
Ogni opera ha una sua storia. L’Emilia Romagna è in ritardo sugli espropri dei terreni intorno al torrente Ghironda. La Lombardia ha bisogno di otto mesi in più per varare i progetti definitivi. La Toscana è in ritardo («leggero») su tutte le sue 10 opere «per ulteriori attività  amministrative».
Il timore è che altri ritardi si accumulino nei prossimi mesi e poi dopo l’avvio dei lavori. Insomma che si ricominci all’italiana.
Dice Grassi: «Le aspettative sono alte, tutti devono essere all’altezza. Le Regioni devono capire che ogni scadenza non rispettata, ogni mese di ritardo è un rischio in più per i cittadini, perchè non possiamo sapere quando arriverà  l’alluvione».

Giuseppe Salvaggiulo
(da “La Stampa”)

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FRATELLI MATTEI, ALLA FINE PAGA LA SORELLA

Marzo 5th, 2016 Riccardo Fucile

STRAGE DI PRIMAVALLE: LOLLO CONDANNATO A RIMBORSARE 900.000 EURO CHE NON DARA’ MAI… LA SORELLA DELLE GIOVANI VITTIME DOVRA’ COPRIRE LE SPESE LEGALI PER OLTRE 200.000 EURO

«La mia è una vittoria monca, però era mio dovere arrivare fin qui. Un dovere di sorella, per come sono stati ammazzati Virgilio e Stefano, e di figlia, per la battaglia legale che ha combattuto mia madre fino alla sua morte».
Antonella Mattei ha ancora negli occhi il riflesso delle fiamme che la notte del 16 aprile 1973 divorarono la sua casa e le vite di due dei suoi fratelli.
Ora, dopo 43 anni dal rogo di Primavalle, il Tribunale civile di Roma ha condannato Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo, tre esponenti dell’organizzazione Potere Operaio, a risarcirle in solido 923.000 euro per i danni subiti dalla perdita di Virgilio e Stefano, rispettivamente di 22 e 8 anni.
Antonella non riavrà  gli affetti che ha perso quella notte nè la serenità  della sua infanzia, ma molto probabilmente non otterrà  nemmeno il risarcimento riconosciuto dal giudice.
Clavo, infatti, è deceduto, e Grillo, dopo aver trascorso diversi anni all’estero, è tuttora irreperibile. Resta soltanto Lollo su cui rivalersi, sempre che sia solvibile.
Nel frattempo, l’unica certezza, è che il Tribunale ha condannato la donna a rifondere le spese legali sostenute dagli altri 10 soggetti che aveva citato in giudizio.
Sono 18 mila euro a testa, più una somma aggiuntiva di 25 mila euro che il giudice ha riconosciuto agli eredi dell’avvocato Mancini, in passato legale di Lollo, come responsabilità  aggravata per avergli fatto causa.
In totale la signora Mattei dovrà  sborsare 205.000 euro e difficilmente recupererà  i 923 mila euro che dovrebbe avere come risarcimento danni.
All’epoca Antonella era una bambina di 9 anni e abitava in una palazzina in via Bernardo da Bibbiena insieme ai cinque fratelli, alla madre, Anna Maria Macconi, e al padre, Mario Mattei, segretario della sezione «Giarabub» di Primavalle del Movimento sociale italiano.
Alcuni aderenti all’organizzazione extraparlamentare di estrema sinistra Potere Operaio versarono della benzina sotto la porta dell’abitazione.
Divampò un incendio che distrusse rapidamente l’intero appartamento.
La madre riuscì a mettere in salvo Antonella e il figlio Giampaolo di soli 3 anni, scappando dalla porta principale.
Lucia, di 15 anni, aiutata dal padre si calò nel balconcino del secondo piano, mentre Silvia, 19 anni, si gettò dalla veranda.
Per Virgilio e il fratellino Stefano, invece, non riuscirono a gettarsi dalla finestra e morirono carbonizzati.
«Io sono rimasta ferma a nove anni — si sfoga Antonella tra le lacrime — Non è un fatto politico, hanno devastato un’intera famiglia e non ho mai ricevuto delle scuse».
Il processo di primo grado iniziò il 24 febbraio 1975, con Achille Lollo in stato di detenzione, Manlio Grillo e Marino Clavo latitanti.
Si concluse con l’assoluzione per insufficienza di prove.
In secondo grado, invece, i tre imputati furono condannati a 18 anni di carcere per incendio doloso e duplice omicidio colposo, ma tutti e tre risultarono latitanti.
Solo dopo che, nel 2005, la pena è stata dichiarata estinta per intervenuta prescrizione, Lollo ha ammesso alcune delle responsabilità  sue e di altri compagni. Tali ammissioni sono servite alla famiglia (che non si era costituita parte parte civile nel processo d’appello) per chiedere il risarcimento danni.
Proprio «alla luce della sentenza della Corte d’assise d’appello di Roma del 1986, passata in giudicato», il Tribunale civile lo scorso 23 febbraio ha riconosciuto ad Antonella Mattei il danno da perdita parenterale per la morte di Virgilio e Stefano e un quarto della somma riconosciuta alla madre (ora deceduta) per la perdita del figlio. Nella sentenza il giudice ha dichiarato estinta la domanda degli altri tre fratelli, considerato che, pur avendo inziato nel 2006 la causa insieme alla madre, a differenza di Antonella, hanno abbandonato il giudizio.
Nel corso di questi 10 anni, il procedimento si è interrotto più volte: prima quando Diana Perrone, militante di Potere Operaio coinvolta successivamente nelle indagini penali, è stata prima interdetta per incapacità  di intendere e di volere e poi quando a maggio del 2013 è deceduta.
Nello stesso anno è morta anche la signora Macconi.
«Sarebbe giusto se al pagamento delle spese legali a cui è stata condannata la signora ci pensasse lo Stato — commenta l’avvocato Marco Brannetti, legale della Mattei — Dal momento in cui è stato assente prima, quando c’era una condanna penale da far scontare, potrebbe mostrare ora di essere presente».

Valeria Di Corrado
(da “il Tempo”)

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CASALEGGIO TI OSSERVA: COME FUNZIONA IL CONTROLLO SUI PARLAMENTARI M5S

Marzo 5th, 2016 Riccardo Fucile

UNA EMAIL SCOVATA DAL FOGLIO DIMOSTRA IL CONTROLLO DELLA CASALEGGIO ASSOCIATI

C’è un sistema di controllo della Casaleggio Associati sui parlamentari a 5 Stelle.
A scriverlo oggi è il Foglio, che ospita il racconto di Tancredi Turco, ex deputato M5S uscito a gennaio 2015.
“A un certo punto, a settembre 2014, venimmo a sapere che la Casaleggio Associati non solo aveva avuto informazioni sui nostri server di posta elettronica, ma capimmo pure che qualcuno da lì aveva potenzialmente accesso al nostro sistema di archiviazione e comunicazione interno, dove si depositano documenti. Ne discutemmo anche in assemblea, di questo fatto. Io, come altri, non feci una denuncia solo per il bene del Movimento. Ma la cosa diede fastidio, si fa per dire, a tanti”
Il quotidiano diretto da Claudio Cerasa ricorda che appena un anno prima, a fine 2013, qualcuno aveva violato la posta elettronica di Giulia Sarti, giovane deputata emiliana, diffondendo foto private, stralci di conversazioni, sfoghi, giudizi, umori.
Parla a tal proposito colui che svolgeva il ruolo di addetto stampa della Sarti, Lorenzo Andreghetti.
“Giulia Sarti si era messa contro lo staff della comunicazione. Alla fine, chissà  come, mentre Giulia si lamentava dello staff, sono state diffuse le sue mail, accompagnate dalla minaccia anonima di rivelarne altre, e di altri parlamentari. A quel punto stavano tutti zitti. C’è sempre stata una tensione che si tagliava con il coltello. Una paura incredibile di essere abbandonati ai cani, di essere in qualche modo esposti alla gogna del web, di essere sputtanati, e di essere anche spiati”.
Il Foglio prosegue raccontando che a settembre 2014 M5S incaricò la Wr Network, azienda torinese fornitrice di servizi per la Casaleggio Associati, di controllare la sicurezza del sistema “parlamentari5stelle.it”, un sistema che oltre alle mail personali dei deputati conteneva ovviamente anche altri dati riservati. Per questo all’ingegnere della ditta non venne dato il pieno accesso alla piattaforma. tuttavia il 30 settembre, su indicazione della Casaleggio Associati e senza informare il responsabile legale del gruppo parlamentare, la capogruppo Paola Carinelli e il capo della comunicazione Ilaria Loquenzi consegnarono alla ditta la password del sistema. E la Wr Network in tempi brevi modifica tutti gli accessi al sistema informatico. Lo smantella, lo rende inaccessibile e non funzionante.
Dinanzi alle preoccupazioni e alle proteste dei parlamentari, risponde la Casaleggio Associati. Una lettera, via mail, datata 3 ottobre e firmata “lo staff di Beppe Grillo”, nella quale si dice espressamente che il sistema non è ripristinabile, va cambiato. La mail contiene un dettaglio che sembra rivelare che lo staff aveva molte informazioni sulla piattaforma: “ad ora risultano meno di 30 persone che stanno utilizzando in modo continuo o la posta o il calendario”.

(da “Huffingtonpost”)

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“NON C’E SICUREZZA PER I TECNICI”: IL LEGALE DI FAILLA CONTRO LA BONATTI

Marzo 5th, 2016 Riccardo Fucile

OLTRE IL DOLORE ANCHE LA RABBIA: “PIU’ TUTELA PER I TRASFERTISTI”

Fra la gioia per gli ostaggi liberati e il dolore per quelli uccisi si inserisce anche il sentimento di rabbia.
E’ quella – in questi giorni di silenzio da parte dell’azienda – nei confronti della ditta Bonatti esternata da parte del legale di Salvatore Failla e dei sindacati.
Failla è morto insieme al collega Fausto Piano nello scontro fra miliziani e rapitori due giorni fa: insieme a Piano era stato separato dagli altri due colleghi, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, che sono riusciti oggi a liberarsi da soli e presto rientreranno dalle loro famiglie in Italia.
A piangere Failla invece ci sono i suoi famigliari, amici, e l’avvocato Francesco Caroleo Grimaldi, che punta il dito contro l’azienda parmigiana che operava per conto di Eni in Libia, ditta con più di 6000 dipendenti.
“E’ necessario accertare eventuali responsabilità  della società  Bonatti sulla mancata sicurezza per i quattro tecnici che non avevano nessuna protezione – attacca il legale -è un dato di fatto che i quattro abbiano dovuto compiere il trasferimento da Tunisi al compound dove avrebbero dovuto lavorare senza alcuna scorta armata e senza alcuna protezione”.
“Fino ad adesso abbiamo mantenuto un riserbo perchè eravamo consapevoli della delicatezza della situazione ma da oggi in poi parleremo perchè vogliamo risposte e chiarezza” continua Grimaldi.
Il tema della sicurezza dei tecnici e non solo – anche in vista di possibili impegni italiani in Libia – era stato toccato ieri in attesa di conferme sulla morte di Failla e Piano anche dalla Uil di Parma che conta una ventina di iscritti all’interno della Bonatti.
Il segretario Cuppone lamentava la mancanza di “confronto sul tema della sicurezza”.
Sullo stesso tema oggi si sbilancia anche la Cgil. “Il paradosso di questa storia è questa: felicità  per la liberazione di questi due colleghi ma il tutto a meno di un giorno dalla tristezza e il dolore per la sorte di altre due persone” dice Antonino Leone, segretario Fillea Cgil di Parma che ha seguito da vicino il rapimento dei quattro. ”Sicurezza garantita? La Bonatti sicuramente provvede per questi lavoratori trasfertisti – ha risposto Leone – La ditta si occupa degli alloggi, dei trasferimenti, delle coperture assicurative, di tutto. Resta però la questione aperta dei territori dove operano realtà  terroristiche o nelle zone di guerra. Forse in Libia c’è stata una eccessiva fiducia nelle proprie capacità , nei propri mezzi, nelle proprie conoscenze del territorio considerando che cosa è successo dopo la caduta di Gheddafi”.

(da “Huffingtonpost”)

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SALTA L’ACCORDO FARSA TRA BERLUSCONI E SALVINI SULLE PRIMARIE TAROCCO CON SOLO BERTOLASO CANDIDATO

Marzo 5th, 2016 Riccardo Fucile

L’EROE PADANO, TAGLIATO DAI PROGRAMMI MEDIASET, AVEVA ACCETTATO LA VERGOGNOSA RITIRATA, LA MELONI ERA D’ACCORDO… POI SILVIO DECIDE IN SERATA CHE NON SONO NECESSARIE NEANCHE COSI’… ORA SALVINI RESTA COL CERINO IN MANO: FARSI CONTARE O RITIRARE LA LISTA COME ABBIAMO SEMPRE SOSTENUTO

L’ennesimo attacco di convulsioni del centrodestra su Roma (e non solo) si manifesta quando, attorno alle 20, Silvio Berlusconi ha appena finito di parlare all’Ergife.
A modo suo: “Le primarie non si faranno. Sarà  il sindaco di Roma”.
Il tutto ovviamente condito dai classici di uno stanco repertorio: dalla promessa che attuerà  un programma law and order di Giuliani a New York alla solita autocelebrazione sull’Aquila: “Io e Guido a L’Aquila veniamo portati in giro come la Madonna e il Bambin Gesù”.
Peccato che ormai i giornali locali siano pieni di foto di balconi che cadono e di case fatiscenti (quelle appunto di Berlusconi-Bertolaso) a soli 7 anni dal sisma.
A un certo punto l’ex premier annuncia 100 gazebo — il 19 e 20 marzo – per aprire la campagna elettorale a Roma, dove “chiedere ai cittadini romani quali siano le cose le preoccupano di più e quali ritengono siano gli interventi più urgenti da fare nella città ”. E conclude: “Ho convinto Salvini”.
Pochi minuti dopo, le agenzie battono la risposta di Salvini: “Bertolaso non è il mio candidato a meno che non me lo impongano i cittadini ai gazebo”.
Una risposta pubblica preceduta, nel giro di telefonate coi suoi, da uno sfogo. Che suona così: Silvio ha detto l’opposto di quello su cui ci eravamo accordati; ma ci fa o ci è?
Per capire l’accordo, parolone che in questa storia è l’eccezione tra una convulsione e l’altra, occorre riavvolgere la pellicola del film alla mattina.
Quando i due si telefonano, dopo una lunga preparazione tra i pontieri. Va così. Berlusconi è intransigente su Bertolaso e sul no alle primarie, perchè rappresentano un precedente. E Salvini cede.
Però, per come si sono messe le cose, ha bisogno di un modo per tornare indietro senza che sembri una sconfessione. Rinuncia a primarie vere, ma almeno chiede consultazioni finte.
Alla fine l’accordo suona così: “Salvini dice sì a Bertolaso, ma Berlusconi accetta delle finte primarie. Dice cioè che ai gazebo i cittadini potranno dire sì o no a Bertolaso”.
Insomma, una scheda con “Bertolaso sì o Bertolaso no”, non primarie vere.
È un compromesso che, comunque, consente di andare avanti dando a Salvini la possibilità  di dire che comunque si vota per poi sostenere (o far finta di sostenere) Bertolaso.
Un compromesso che Giorgia Meloni benedice, pure lei contattata a telefono: “Se serve una supercazzola per finirla con questo asilo, va bene. Basta che ci mettiamo a fare campagna elettorale”.
Il problema è che, alla fine, Berlusconi tira dritto. E non accenna alla possibilità  di dire Bertolaso sì Bertolaso no. Il candidato non si vota.
E ripartono le convulsioni.
La verità  — spiegano quelli attorno al Cavaliere — che qualcosa tra il vecchio leader e l’alleato si è rotto. Psicologicamente.
Uno che ha retto le rotture politiche con Fini, Alfano, da ultimo con Fitto, in nome della non contendibilità  della leadership, considera Salvini una specie di ragazzetto rozzo, privo di educazione e logica, e per di più lo considera politicamente uno che pensa solo al suo orticello: prima Salvini chiese a Bertolaso di candidarsi, poi ha fatto le primarie, poi torna indietro.
E per Berlusconi un ragazzino così si educa con la forza: “Dite di cancellarlo da Mediaset, così vediamo” ha ordinato un paio di giorni fa.
E, in fondo, le maniere forti hanno sortito un certo effetto, perchè Salvini è passato dal “Bertolaso mai” al Bertolaso a certe condizioni.
Ora le certe condizioni sono saltate. E la convulsione continua.

(da “Huffingtonpost“)

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