Marzo 8th, 2016 Riccardo Fucile
“COSI’ NON SONO PIU’ PRIMARIE, MA UN IMBROGLIO”
Vincenzo Cuomo, senatore pd, presidente del seggio di San Giovanni a Teduccio: irregolarità durante
il voto ne ha viste?
«Solo in un caso, ma sono intervenuto subito».
Cos’è accaduto?
«Ho sospeso tutto perchè ne seggio c’erano persone che fermavano gli elettori e gli dicevano per chi votare».
E lei?
«Li ho allontanati. Sono un senatore della Repubblica. Avevo fatto firmare a tutti un verbale in cui fissavo le regole: da me si poteva votare solo con la tessera elettorale».
Non dappertutto è andata così. Ha visto il video di Fanpage?
«Aspetti, lo guardo».
( Trascorrono 2 minuti e 59 secondi, in sottofondo si sente Enzo Cuomo che borbotta più d’una volta : «Mamma mia che personaggio». «Nooo». «Questi so’ soldi, è ‘na pazzia»).
Senatore, allora?
«Se fossi stato il presidente di uno di quei seggi e mi fossi accorto di ciò che accadeva avrei chiamato immediatamente la polizia».
Addirittura?
«Si vedono persone che commettono reati. Quelle dazioni di denaro sono inaccettabili».
Il suo partito per la verità tende a minimizzare.
«Io ragiono con la mia testa, e quel che vedo è eloquente».
Le primarie restano credibili?
«No. Quando vedi dare soldi davanti ai seggi significa che non sono più primarie, ma un imbroglio»
Non è che fa la questione più grave di quel che è?
«Il filmato è chiaro qualcuno ha organizzato un mercato del voto indecente».
Detta così suona da codice penale .
«E infatti in quei video si vede commettere almeno un reato».
Quale?
«Induzione al voto in cambio di denaro».
Gianluca Abate
(da “Il Corriere della Sera”)
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Marzo 8th, 2016 Riccardo Fucile
UNA LUNGA LISTA DI DENUNCE E POLEMICHE FINO DAL 2005
Il caso dell’euro consegnato ai votanti per le primarie a Napoli è solo l’ultimo di una lunga lista di polemiche che sembrano aver attraversato tutte le primarie del centrosinistra, fin dal loro esordio. Una maledizione che non pare avere fine.
Anno 2005, gli albori
Era ancora il 2005 quando, appena il giorno dopo il varo del regolamento con lo stop alla candidatura di Sgarbi, un agguerrito Mastella tuonava: «Le regole sono state taroccate». L’allora leader dell’Udeur se la prendeva con Ds e Margherita che, a suo dire, avevano raddoppiato il numero di seggi da attribuire, da 4mila a 9mila, senza concordarlo all’unanimità con tutti i partiti dell’alleanza. In quella tornata scoppierà anche il caso Messina, con la Margherita che chiedeva l’annullamento delle votazioni nei due seggi allestiti.
Anno 2006, polemiche e ironie
Il sindaco di Milano Gabriele Albertini, centrodestra, dichiara di voler votare per Dario Fo alle primarie del centrosinistra.
Anno 2007, il tesoro degli elenchi
Scoppia il caso degli elenchi dei votanti. Enrico Letta lancia l’allarme: qualcuno ai vertici dei Ds avrebbe i nomi di chi aveva votato nel 2005, ma li metterebbe a disposizione solo di alcuni candidati e non di altri.
Anno 2009, candidati e imbarazzi
Alle primarie del Pd si candida per la mozione Bersani-Mazzoli il sindaco di Montalto di Castro, Salvatore Carai. Il primo cittadino si era già dovuto ritirare nel 2007 per aver usato i soldi del Comune per anticipare le spese legali di otto minorenni accusati di aver stuprato una ragazza in una pineta.
Il franceschiniano Franco Laratta denuncia: «In Calabria qualcuno fa il gioco sporco e sta facendo centinaia di telefonate nelle quali si sostiene che Bersani è già segretario e che domenica si deve solo confermare l’esito della Convenzione. Cercano di capire la buona fede della gente ingannandola con delle bassezze».
Anno 2011, lo scandalo di Napoli
Accuse di brogli nelle primarie di Napoli dove vince il 48enne bassoliniano Andrea Cozzolino grazie ai voti racimolati dai capibastone “Tommi Tommi” e “Michel di Prisco”. Si sfiora l’aggressione fisica quando i garanti annullano le votazioni in tre seggi della periferia a nord di Napoli. La Dda aprirà un fascicolo.
Anno 2012, guerre fratricide
Il candidato alle primarie del Pd in Sicilia, Davide Faraone, accusa il tesoriere nazionale Antonio Misiani di aver dato 40.000 euro per la campagna elettorale della rivale Rita Borsellino.
Scoppia la polemica sulle nuove regole criticate da Renzi. La preregistrazione, il ritiro dei certificati in un luogo diverso da quello in cui si vota e il divieto di votare al ballottaggio se non si è votato al primo turno vengono viste come una corsa a ostacoli che limita la partecipazione.
L’ex tesoriere dei Ds attacca Renzi sui fondi: fin’ora ha speso 2 milioni e 800 mila euro per le primarie.
Anno 2013, i soldi e la comunità rom
Il candidato 5 Stelle per Roma Marcello De Vito pubblica un volantino con una donna rom al voto con la scritta «10 euro ai rom per votare alle primarie». Al volantino si affianca la dirigente del Pd del Lazio, Cristiana Alicata, poi costretta a dimettersi dopo l’annunciata querela da parte della comunità rom di via Candoni.
Anno 2014, i soldi e la comunità filippina
Questa volta tocca a Modena dove le primarie per il sindaco vengono vinte da Gian Carlo Muzzarelli. Sei associazioni filippine, però, denunciano il pagamento di connazionali filippini da parte di supporter di Muzzarelli.
Anno 2015, i soldi e la comunità cinese
Divorzio doloroso quello di Sergio Cofferati che, candidato alle primarie di Genova, poi vinte dalla rivale Raffaella Paita, denuncia la presenza ai seggi di cinesi, marocchini e «riconosciuti esponenti del centrodestra» che avrebbero inquinato il voto. Alla fine verranno annullati 4000 voti, ma la Paita vincerà comunque la competizione. Ancora caos a Napoli dove nelle liste compaiono personaggi legati a Forza Italia. Una presenza che farà dimettere l’europarlamentare Massimo Paolucci in polemica con le scelte della direzione nazionale. Le primarie verranno vinte da De Luca con il 52% dei voti.
Raphaà«l Zanotti
(da “La Stampa“)
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Marzo 8th, 2016 Riccardo Fucile
LO STUDIO SULLA ZONA ISOLA-NIGUARDA
L’8,4% dei commercianti della Zona 9 di Milano dichiara di pagare, o aver pagato, il pizzo. E il 18,7%
afferma di conoscere almeno una vittima di estorsione.
Parliamo di una fetta importante della città , che va dal quartiere periferico di Affori-Bruzzano (storico feudo del clan di ‘ndrangheta dei Flachi) ai grattacieli e ai locali notturni di Isola-Garibaldi-Repubblica (nella foto), passando per lo storico quartiere dei Niguarda-Prato Centenaro.
E’ il risultato di una ricerca presentata a Milano. Al tavolo, fra gli altri, Nicola Gratteri, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria autore di diversi libri sulla ‘ndrangheta.
La ricerca “Criminalità organizzata, contesto di legalità e sicurezza urbana” è sata coordinata da Rocco Sciarrone, sociologo da anni impegnato in studi sull’espansione mafiosa fuori dalle aree tradizionali, e realizzata dai ricercatori Joselle Dagnes e Luca Storti del Dipartimento di culture, politica e società dell’Università di Torino.
In collaborazione con l’associazione Civitas Virtus, lo studio ha raccolto 467 questionari compilati da commercianti, ristoratori e artigiani della zona 9.
Il dato sul “pizzo” è fra i più interessanti, perchè sebbne la presenza di tutte le organizzazioni mafiose a Milano e in Lombardia sia assodata da decenni, non si ricordano inchieste giudiziarie da cui sia stato svelato il sistematico taglieggiamento di negozi e locali da parte delle cosche trapiantate nel capoluogo lombardo.
Più diffusa, invece, l’imposizione di aziende mafiose in lavori e forniture.
Dalla ricerca emerge invece che il 65% dei rispondenti lo ritiene”un problema rilevante”, e che appunto nella zona 9 quasi uno su dieci lo ha sperimentato sulla propria pelle.
E il pizzo di cui si parla è proprio quello tradizionale, cioè la richiesta di denaro, secondo il 59,9% dei rispondenti, mentre “meno diffuse sono ritenute forme quali l’imposizione di forniture o personale”.
Ilda Boccassini e gli altri magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Milano denunciano spesso l’omertà alla milanese incontrata durante indagini in cui le vittime dei clan non denunciano mai spontaneamente.
Nella ricerca del gruppo di Sciarrone, il 39,7% dichiara che si rivolgerebbe alle forze dell’ordine e oltre il 28,6% si dichiara disposto a chiudere la propria attività o a trasferirla altrove piuttosto che accettare la richiesta.
Il 14,3% che si rivolgerebbe a un’associazione antiracket, ma l’11,7% cercherebbe invece “l’intervento di un intermediario per evitare di pagare”.
L’83% dei rispondenti, però, non è a conoscenza della tutela e i dei benefici economici che la legge riserva a chi denuncia una tentata estorsione.
“Un deficit”, sottolineano i sociologi dell’Università di Torino, “che depotenzia la discreta propensione a denunciare un’eventuale tentata estorsione”.
Le estorsioni sembrano andare di pari passo con l’usura, reato che invece compare regolarmente nelle principali inchieste sulla ‘ndrangheta in Lombardia, con storie drammatiche e diffuse di minacce, pestaggi e soprusi.
L’8,4% afferma di esserne stato vittima, il 17,4% dichiara di aver conosciuto persone sottoposte a prestiti a strozzo e il 77,6% del campione considera il fenomeno “abbastanza o molto diffuso a Milano”. “Anche in questo caso è scarsissima la conoscenza dei benefici di legge dedicati a chi denuncia l’attività usuraia: meno del 18% ne ha un’idea”, osservano i ricercatori.
Lo studio tocca diversi fronti dell’illegalità percepita (e sperimentata) in questa zona di Milano, dalla microcriminalita alla mafia alla corruzione.
“Gli operatori economici interpellati hanno una visione articolata delle condizioni di legalità e della presenza di fenomeni criminali nel contesto cittadino”, spiegano i ricercatori.
“Non negano, nè sottovalutano, l’esistenza di tali fenomeni, senza tuttavia assecondare letture sensazionalistiche o allarmanti”.
E sono consapevoli del rischio mafioso — per decenni negato dalle massime autorità cittadine — “soprattutto per quanto riguarda l’infiltrazione nell’economia locale”. Ma ancora più preoccupanti dell’abbraccio soffocante dei clan sono considerati i “fenomeni legati alla corruzione politica ed economica”.
Cosa che mina la fiducia nelle istituzioni. E di conseguenza, concludono i ricercatori, la disponibilità a rivolgersi allo Stato per denunciare.
Mario Portanova
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 8th, 2016 Riccardo Fucile
CONDANNATI AL 416 BIS MA SONO NEGLI ELENCHI DEI 25.000 ADDETTI ALLA FORESTAZIONE CHIAMATI IN SERVIZIO DA PALAZZO D’ORLEANS
La mafia a libro paga di Palazzo d’Orleans.
Per anni, anzi per decenni, senza alcun controllo, senza alcuna verifica da parte dell’amministrazione, diversi “picciotti” sono stati pagati dalla Regione.
Sono almeno cinquanta i condannati per associazione mafiosa che compaiono negli elenchi degli stagionali della forestale, la gran parte tra Palermo, Agrigento ed Enna. A scoprirlo, per la prima volta, è la stessa amministrazione che nei giorni scorsi ha concluso un monitoraggio tra i 25 mila addetti alla forestazione che da trent’anni e più lavorano nei boschi e nella campagne siciliane.
Ponendo agli Uffici del lavoro due semplici domande: queste persone che lavorano con fondi pubblici che tipo di reati hanno alle spalle?
Possono avere rapporti di lavoro con l’amministrazione?
Il calderone dei condannati per mafia pagati dalla Regione s’inizia a scoprire alla fine del 2014, quando il governatore Rosario Crocetta chiede di verificare i carichi pendenti e il casellario giudiziario di tutti gli addetti forestali.
Trascorre un anno e lo scorso novembre l’ex dirigente generale del Lavoro, Anna Rosa Corsello, consegna un primo dossier sul tavolo del presidente della Regione dal quale risulta che tra i forestali ad avere condanne penali sono in oltre 3.500: di questi circa mille hanno sentenze per reati contro il patrimonio, alcuni per incendio doloso, 200 hanno reati contro la pubblica amministrazione, 600 contro la persona, altre centinaia condanne per reati che hanno a che fare con l’amministrazione della giustizia.
Adesso si scopre che sono almeno cinquanta i condannati per 416 bis mai cancellati dagli elenchi e, una volta scontata la condanna, richiamati tranquillamente al lavoro.
Antonio Fraschilla
(da “La Repubblica”)
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Marzo 8th, 2016 Riccardo Fucile
“GONFIO DI COCAINA MI HA DETTO CHE LO AVEVANO AMMAZZATO”… IL FIGLIO DELLA ROMA BENE
Quei bravi ragazzi. Come suonano vuote, stonate queste parole adesso, quando l’impossibile è
avvenuto.
Quando a uccidere senza pietà , per gioco, sono stati due ragazzi nati con tutte le carte giuste in mano.
Soprattutto Marco Prato, figlio della Roma bene, quella vera solida, che affonda le radici nella cultura e non solo nei soldi.
Suo padre è Ledo Prato, un nome di spicco nell’ambiente culturale, segretario generale dell’Associazione Mecenate 90 presieduta da Giuseppe De Rita, docente in diverse Università nei corsi di specializzazione in marketing dei beni e delle attività culturali.
Ieri era attonito, chiuso in un silenzio doloroso nella sua casa vicino a piazza Bologna, poche centinaia di metri dall’albergo dove suo figlio ha tentato di togliersi la vita. «Dove ho sbagliato?» la domanda che rimbomba nell’anima e nel cuore. Non è possibile essere vittima quando hai un figlio che ha trucidato un ragazzo. Ma lo sei. «Tre famiglie rovinate», dice una signora e davanti al palazzo dove abita il «dottor Ledo». «Non sa niente, non ha potuto vedere il figlio».
IL COMING OUT
La famiglia di Marco non aveva mai condiviso la scelta del figlio di lavorare negli «eventi» dopo la laurea in scienze politiche alla Luiss e il master in marketing a Parigi. «Ma non potevano fare niente, Marco era deciso».
Deciso, come lo era stato quando aveva fatto coming out per vivere la sua omosessualità , come racconta una amica.
«Era un ragazzo timido, complessato per il suo fisico. Era grassottello, piccolo. Poi quando ha smesso di fingere di essere eterosessuale si è trasformato, è diventato un fico. Flavia Vento? Una fidanzata di copertura, niente più». Nessuno riesce a immaginare quello che ha fatto.
I DUE PADRI DISTRUTTI
Due padri che condividono lo stesso destino, Ledo Prato e Valter Foffo, il padre di Manuel, anche ieri, nonostante tutto, alla sua scrivania alla S.i.S, società che si occupa di infortunistica stradale.
È lui che ha raccolto la confessione del figlio e ha chiamato i carabinieri sabato sera. «Papà ti prego aiutami». «Certo che c’è?» Ma niente poteva prepararlo a quel racconto. «Avete ucciso? Chi avete ammazzato?».
Solo guardando suo figlio negli occhi ha capito che diceva sul serio. «Era gonfio di cocaina – racconta a Porta a Porta – era ancora sotto effetto, aveva gli occhi di fuori. Non si capiva, gli ho detto: che significa? Spiegami bene».
Davanti a lui il film di questi 30 anni. Manuel bambino timido, Manuel che tardava a laurearsi, Manuel con compagnie che spesso non piacevano in famiglia. Ma era un bravo ragazzo. Verbo all’imperfetto. Passato remoto.
I tempi si succedono veloci in questa storia dove il futuro non ha colori. «Valter è stato un buon padre in questa occasione, come lo è stato sempre», racconta un amico che frequenta il ristorante di Pietralata «Dar Bottarolo», un’altra delle attività dei Foffo.
«Non ha pensato nemmeno per un attimo di cercare di aiutare il figlio a sottrarsi alle sue responsabilità . Sapeva che non era giusto». Un confronto devastante sabato pomeriggio tra Manuel e suo padre.
«Perchè?». Una domanda ripetuta tante volte, come un mantra, capace di scacciare la realtà . «Chiamiamo i carabinieri».
IL RAPPORTO CON LA MADRE
La voce esce come una lama che taglia in due un destino, una famiglia. Quando un vicino di casa incontra l’uomo nell’androne della casa di via Igino Giordani, vede un volto stravolto, la mano nei capelli. «Cosa è successo?». «Una cosa molto grave».
La risposta rimbomba e il suono sembra salire fino al decimo piano dove i carabinieri trovano il cadavere di Luca Varani.
Accanto al padre c’è l’altro figlio, Roberto, che cerca di fare forza a tutti e due.
Il pensiero alla mamma che soffre di depressione e che da quando il marito se ne è andato non riesce a riprendersi.
Per lei quel figlio che abitava al piano di sopra era tutto. La andava a trovare, le portava la spesa. I vicini erano ammirati da queste attenzioni. E tolleravano quella musica ascoltata «a palla» che attraversava le pareti.
Come quella maledetta sera.
Maria Corbi
(da “La Stampa”)
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Marzo 8th, 2016 Riccardo Fucile
COSI’ AMIU FACEVA SALIRE LE NOSTRE BOLLETTE: TARIFFE AUMENTATE DEL 20%
Alle prime ore del giorno, operazione dei carabinieri del Noe del capoluogo ligure e di Alessandria in seguito a un’indagine della Procura su traffico di rifiuti e costi “gonfiati” per la loro gestione: nel mirino, la municipalizzata Amiu e alcune ditte collegate.
L’operazione ha portato all’arresto di 7 persone (messe ai domiciliari) nel capoluogo ligure e a una serie di perquisizioni e sequestri di beni a carico di dirigenti e dipendenti di Amiu e della collegata Switch 1988 Spa, che in città ha il subappalto per la raccolta differenziata.
Chi sono gli arrestati
Arrestati, con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati contro la Pubblica Amministrazione e al traffico illecito di rifiuti
– Maurizio Dufour, socio e presidente del consiglio di amministrazione della Switch;
– Roberto Curati e Stefano Ionadi, socio e dipendente della stessa società ;
– Massimo Bizzi, dirigente di Amiu;
– Roberta Malatesta, Tonito Magnasco e Claudio Angelosanto, dipendenti di Amiu.
In totale sono 30 le persone coinvolte e indagate a vario titolo nel corso delle indagini.
Secondo quanto spiegato dai militari, questa operazione «rappresenta la prosecuzione dell’attività che il 13 novembre 2014 aveva portato all’arresto dei fratelli Mamone e della famiglia Raschellà , insieme con l’allora dirigente dell’Ufficio acquisti di Amiu, Corrado Grondona, oggi tra i denunciati in stato di libertà ».
Le ripercussioni sulle bollette
I carabinieri hanno spiegato che «sono stati accertati innumerevoli episodi di gestione illecita della raccolta differenziata operata da Switch 1988 Spa relativamente a plastica, carta, cartone, rifiuti ingombranti e pericolosi, che hanno generato un considerevole traffico illecito di rifiuti con i conseguenti profitti fraudolenti per la società , a danno delle aziende “sane” operanti nel settore, e la truffa nei confronti dei cittadini, sotto forma di maggiori oneri tariffari, e del Comune di Genova, il tutto con la compiacenza e la collaborazione di numerosi dirigenti e dipendenti di Amiu».
I “trucchi” per ottenere i rimborsi
Questo il “meccanismo” scoperto dai militari: «I vari appalti, in alcuni casi vinti da Switch 1988 Spa perfino quando la stessa società non era in possesso dei requisiti richiesti dal bando di gara, venivano aggiudicati con ribassi vertiginosi e assolutamente fuori mercato, salvo poi attuare successive modifiche per rendere comunque profittevoli le attività svolte dalla società appaltatrice facente capo a Dufour».
Per esempio, «si procedeva a simulare centinaia di ritiri di rifiuti ingombranti a domicilio in realtà inesistenti, falsificando la relativa documentazione e richiedendo, di conseguenza, i relativi rimborsi ad Amiu»; in altre circostanze, «venivano decuplicati i quantitativi di rifiuti smaltiti per conto del Comune» e addirittura «si è arrivati a effettuare smaltimenti di rifiuti gratuiti nei confronti di vari enti pubblici facendo poi figurare tali rifiuti come se fossero stati trovati abbandonati sul territorio comunale, incassando indebitamente il previsto addendum contrattuale per “bonifica straordinaria del territorio”».
Nel corso dell’operazione, i militari hanno sequestrato vari beni per un ammontare complessivo di un milione di euro.
Matteo Indice
(da “il Secolo XIX”)
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Marzo 8th, 2016 Riccardo Fucile
SE DESTRA E’ SOVRANITA’ E LEGALITA’, CHE ASPETTANO I CANDIDATI ROMANI DEL CENTRODESTRA A DARE UN SEGNALE PER TUTELARE LA DIGNITA’ DELL’ITALIA DI FRONTE ALL’ASSASSINIO DI GIULIO REGENI E ALLE MENZOGNE CHE CI PROPINA IL REGIME MILITARE DI AL SISI?… BERTOLASO, STORACE, MELONI, SALVINI: FUORI GLI ATTRIBUTI O TACETE PER SEMPRE
La “non notizia” è di poche ore fa: “sono incompleti e insufficienti” gli atti fin qui trasmessi
dall’autorità giudiziaria egiziana a quella italiana che indaga sull’omicidio di Giulio Regeni, il 28enne ricercatore di origine friulana, scomparso al Cairo in circostanze misteriose il 25 gennaio scorso e trovato morto dopo otto giorni.
E così la procura di Roma ha rinnovato agli inquirenti egiziani la richiesta di atti e documenti sul caso, dopo la rogatoria partita qualche settimana fa.
Tra le altre cose mancano ancora sia i verbali di alcune testimonianze, sia i dati delle celle telefoniche e i video delle telecamere di sorveglianza di metropolitane e negozi del quartiere nel quale Regeni viveva e dal quale è sparito il 25 gennaio scorso.
Tutti documenti dei quali la procura capitolina aveva fatto esplicita richiesta.
A fronte di una vicenda che è stata viziata da omertà , depistaggi e criminali connivenze, il governo italiano non ha ancora ritenuto di fare un passo ufficiale nei confronti di un regime militare che ha fatto “scomparire” oltre 1.400 persone negli ultimi mesi, come denunciato da tutte le organizzazioni umanitarie.
Il 35% degli italiani, in un recente sondaggio, chiedeva la rottura delle relazioni diplomatiche con l’Egitto, ma Renzi tergiversa, prende tempo, forse nella speranza che il caso venga “dimenticato”.
Siamo uno dei pochi siti web di area (sicuramente il primo) che ha denunciato il “silenzio” della destra italiana di fronte a un caso evidente di violazione della nostra sovranità e della dignità del nostro Paese.
E’ inammissibile tacere di fronte al sequestro, alle sevizie e all’assassinio di un nostro connazionale da parte di apparati di uno Stato straniero.
Ci chiediamo: dov’è quella destra che parla di sovranità e legalità solo quando gli fa elettoralmente comodo?
Forti coi deboli e deboli coi forti: è questa la destra che si richiama ai “valori” e che si propone di governare l’Italia?
Cosa aspettano i leader nazionali e i candidati romani del centrodestra a dare un segnale forte, recuperando il ruolo che persino un Renzi è riuscito a a sottrarre loro?
Non esistono vittime di serie A e di serie B, esistono Italiani.
E chi vuole governare l’Italia deve dimostrare di averne capacità e determinazione.
Ai vari Berlusconi, Salvini, Meloni, Bertolaso e Storace diciamo: fuori gli attributi o tacete per sempre.
Per una volta fate una cosa di destra: occupate simbolicamente l’ambasciata egiziana a Roma.
Per la memoria di Giulio che chiede giustizia e per la dignità del nostro Paese.
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