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LOTTE, DIGIUNI E SIGARETTE, UNA VITA DA RADICALE: MARCO NON C’E’ PIU’

Maggio 19th, 2016 Riccardo Fucile

PANNELLA E’ MORTO A 86 ANNI, LA STORIA DI UN LOTTATORE CHE HA COMBATTUTO CON L’ANIMA E CON IL CORPO

Tra i suoi infiniti scioperi della fame e della sete, una quarantina dicono gli esperti, il più lungo è quello del 2011, a 81 anni suonati, per chiedere un provvedimento di amnistia per svuotare le carceri sovraffollate: tre mesi in cui perse 30 chili, la bocca impastata, il “petto da uccellino come quando ero ragazzo”.
Lo dovettero ricoverare in una clinica (gestita da suore che subito si “innamorarono” di lui), si mobilitarono tutti i vertici istituzionali, da Napolitano in giù, per correre al capezzale di questo vecchio corpo da lottatore, quasi indistruttibile.
E lui a usare bollettini medici e immagini dal letto d’ospedale, ancora una volta, come strumento di propaganda radicale.
Giacinto Pannella detto Marco, nato in Abruzzo nel 1930, ha passato quasi tutta la vita fregandosene degli avvertimenti dei medici, digiuno dopo digiuno, sigaretta dopo sigaretta, e in fondo è persino giusto che abbia potuto chiudere la sua partita terrena nella sua casa sotto al Quirinale, lontano dai camici bianchi, fumando fino a quando ha avuto un filo d’aria nei polmoni.
Gli 86 anni li ha compiuti il 2 maggio. Di questi, oltre una sessantina li ha dedicati alla politica, con tutta l’anima e anche con tutto il corpo, fin dagli anni Cinquanta, quando da una costola di sinistra dei liberali fondò il Partito radicale insieme a Sergio Stanzani e ad un gruppo di politici e intellettuali laici che girava intorno al Mondo di Mario Pannunzio.
Carismatico, logorroico, eretico, gentilissimo e al tempo stesso fumantino, Pannella entra alla Camera nel 1976 e ci resta fino al 1992, ma tra i protagonisti della Prima repubblica è l’unico a transitare sereno nella Seconda e persino nella Terza.
Un “sopravvissuto” della politica, che ha saputo costruire la propria longevità  a colpi di referendum, satyagraha, marce non violente, alleanze a geometria variabile, prima con Berlusconi e poi nel 2008 con il nascente Pd di Veltroni, quando una pattuglia di 9 radicali tornò in Parlamento dopo una lunga astinenza.
Una capacità  di dialogo bipartisan che talvolta è pura strategia, anche opportunistica, ma rivela l’attitudine di un uomo che non cerca quasi mai lo scontro, piuttosto il confronto: fu uno dei primi da sinistra a discutere in pubblico con Almirante; a un congresso del Pci propose di portare fiori sulle tombe delle vittime di via Rasella, causando uno shock nei vertici comunisti.
Nelle ultime settimane al suo capezzale sono arrivati personaggi antropologicamente incompatibili come Berlusconi e Furio Colombo, accomunati solo dalla stima e dall’affetto per Pannella.
Gli anni Settanta rappresentano il fulcro dei suoi successi politici.
Nell’Italia delle due Chiese, cattolica e comunista, i radicali sono vere e proprie mine vaganti: laici, genuinamente liberali in economia e paladini dei diritti civili, guardano alla politica d’oltreoceano, ne imitano alcuni tratti, che Pannella e Bonino riescono a fare propri terremotando la quieta noia delle tribune politiche: bavagli, cartelli, parole d’ordine che sconvolgono e modernizzano la comunicazione politica.
Mitica rimane l’irruzione del 1981 nello studio del Tg2: Pannella con due compagni radicali entra durante la diretta vestito da uomo sandwich e comincia a gridare “ladri di notizie” e “furto di informazione”.
Da metà  degli anni Sessanta i radicali si battono per il divorzio, una battaglia condotta con successo fino al 1974, anno del referendum.
Pannella intreccia l’attività  di leader politico a quella di giornalista, in quegli anni nascono fogli divorzisti che arrivano a vendere fino a 150mila copie.
Nel 1975 l’arresto per uno spinello, e l’inizio della battaglia antiproibizionista che non è mai finita. Una battaglia non certo pro domo sua, visto che quello dell’arresto è stato il terzo e ultimo spinello nella vita di Pannella.
“E me lo sono persino acceso dalla parte del filtro!”, ha raccontato a Filippo Ceccarelli in un’intervista del 2010. E del resto, queste battaglie di libertà  per lui vanno oltre il merito della singola questione.
L’obiettivo è quello di eliminare una ad una le leggi considerate “liberticide”, e questo arriva fino al diritto dell’eutanasia.
Ed è qui la vera differenza, secondo lui, con i cugini liberali: “Loro difendono le libertà  di tutti dall’alto di una condizione borghese”, spiegava ai suoi fedelissimi. “Noi radicali invece siamo stati i tossici, i froci, le prostitute. Siamo gente da marciapiede che sa sporcarsi le mani…”.
Negli stessi anni la lotta contro la legislazione d’emergenza sul terrorismo, il no ai governi del compromesso storico e alla linea della fermezza di Dc e Pci sul sequestro Moro, sostenendo l’autenticità  delle lettere dello statista dal carcere delle Br.
La legge sull’aborto, sempre nel 1978, viene considerata insieme al successivo referendum uno dei massimi successi della politica radicale: e tuttavia la pattuglia di parlamentari guidati da Pannella non si considerò soddisfatta del testo finale della legge 194, considerato troppo poco liberale.
Nel corso della sua lunga attività  politica, porta in Parlamento personaggi delle più diverse estrazioni, da Toni Negri a Leonardo Sciascia, Enzo Tortora, Ilona Staller “Cicciolina” e Domenico Modugno.
Nelle varie associazioni che gravitano attorno ai radicali spuntano ex terroristi rossi come Sergio D’Elia e i neri Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, colpevoli della strage alla stazione di Bologna del 1980.
Dagli anni Ottanta Pannella si concentra su alcuni temi che segneranno la sua carriera politica fino alla fine: le condizioni di vita nelle carceri, il no alla pena di morte, l’impegno internazionale dalla ex Jugoslavia all’Iraq, dalla Cecenia alla Siria a Israele fino ai più remoti angoli del mondo; la lotta contro la partitocrazia e il finanziamento pubblico dei partiti.
Battaglie che si incrociano con la fine della Prima repubblica e i referendum Segni per il maggioritario, sostenuti dai radicali, da tempo ispiratori di un sistema politico all’americana e tuttavia un po’ naufraghi nel bipolarismo all’italiana post Tangentopoli.
Negli anni dell’esordio politico di Berlusconi, Pannella stringe un patto con lui: chiede di essere ministro degli Esteri, poi ripiega sulla nomina di Emma Bonino a Commissario europeo.
La rivoluzione liberale di Forza Italia si rivela ben presto un’illusione e così Pannella e Bonino decidono di correre in proprio, con il clamoroso successo alle europee del 1999 della Lista Bonino, che ottiene l’8,5% e in quel momento è la terza forza politica in Italia dopo Forza Italia e Ds.
Nel 2006 i radicali spostano lo sguardo verso il centrosinistra, danno vita insieme ai socialisti alla Rosa nel pugno, si schierano con la coalizione guidata da Romano Prodi e la Bonino diventa ministro per le Politiche comunitarie.
Pannella, candidato al Senato, non viene eletto perchè la Rnp non raggiunge la soglia di sbarramento.
Nel 2008, dopo una trattativa condotta con Goffredo Bettini, i radicali entrano come indipendenti nelle liste del neonato Pd di Veltroni: 6 i deputati eletti e 3 i senatori, tra cui la Bonino.
In questo caso Pannella non entra neppure in lista. “Un veto su di me”, protesta lui. I democratici replicano imbarazzati: “Hai già  fatto troppe legislature”.
E del resto, già  nel 2007 era stata respinta la sua candidatura alle primarie fondative del partito, quelle vinte da Veltroni contro Rosy Bindi ed Enrico Letta.
Pannella resta comunque europarlamentare, carica che ricopre a più riprese dal 1979 al 2009.
Negli anni Duemila, accanto alla storica battaglia sulle carceri, che resta sempre in cima all’agenda di Pannella, i radicali lanciano una battaglia referendaria insieme all’Associazione Luca Coscioni contro la legge sulla fecondazione assistita. Nonostante l’appoggio di altri partiti come i Ds, alla fine il referendum del 2005 non raggiunge il quorum, grazie alla forte campagna astensionista condotta dalla Cei di Camillo Ruini: alle urne si presenta alle urne solo il 25% degli aventi diritto.
Due anni dopo, storico successo quando l’Assemblea generale dell’Onu ratifica la moratoria universale sulla pena di morte, una storica battaglia condotta dall’associazione “Nessuno tocchi Caino” e dal partito radicale transnazionale.
Ultima in ordine cronologico, la battaglia sempre all’Onu per il diritto alla conoscenza come “diritto umano”, una campagna in cui Pannella torna ai capisaldi del pensiero liberale di Einaudi.
L’impegno internazionale è di antica data.
Pannella sviluppa un intenso dialogo con Aldo Capitini sul significato e le forme della nonviolenza, uno dei capisaldi della sua lotta politica.
Nel 1968 era stato imprigionato a Sofia per aver protestato contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia.
Nel 1972 contribuisce a ottenere, anche con uno sciopero della fame, la legalizzazione dell’obiezione di coscienza. Un impegno, quella pacifista, che si manifesta anche nel 2003 con la proposta di esilio per Saddam Hussein per scongiurare l’intervento americano in Iraq.
Proposta approvata dal Parlamento e dal governo italiano, ma che poi non ebbe attuazione.
L’amicizia col Dalai Lama viene suggellata da un incontro molto commovente a Roma nel 2014, tra lacrime, battute e abbracci. “C’è un detto popolare in Italia, ma anche in Tibet: l’erba cattiva non muore mai”, dice Marco.
“Allora anche io sono un’erba cattiva” — risponde il Dalai Lama-.
“Noi due abbiamo questa connessione speciale, perchè siamo tutti e due erbe cattive”. Pannella invece si schiera in favore degli interventi militari in Kosovo (1999) e Afghanistan (2001): in quell’occasione alcuni gruppi pacifisti gli intimano di non usare più l’immagine del Mahatma Gandhi e lui replica: “Io sono non violento, non mi sono mai definito pacifista a oltranza”.
Gli ultimi anni, nonostante Bonino diventi ministro degli Esteri nel governo Letta nel 2013, sono segnati da un certo appannamento delle battaglie radicali: la raccolta firme per 12 nuovi referendum (dal reato di clandestinità  all’Otto per mille, dal no al carcere le droghe leggere all’abolizione dei rimborsi elettorali ai partiti) non arriva alla soglia minima di 500mila.
Nel 2014 i radicali non raccolgono le firme necessarie per presentarsi alle europee. Sono anni in cui tornano ad acuirsi i dissidi interni, e Marco nel 2015 entra in rotta di collisione con la sua amica e alleata di sempre, Emma Bonino.
“Lei non è più radicale, lavora molto ma mai con noi”, dice l’anziano leader nella consueta intervista su Radio radicale con Massimo Bordin.
“Il suo problema è continuare a far parte del jet-set internazionale”. Lei replica addolorata: “Mi fa male, io non sono di legno…”. Due vite parallele che a un certo punto si sono allontanate.
Lei ministro, lui sempre al partito e alla radio nella storica sede di Torre Argentina, la coda di cavallo ingiallita dal fumo e dagli anni, la forza e la voglia di parlare ancora e sempre di politica.
Ma anche negli ultimi giorni, “Emma”, pur da lontano, ha continuano a seguire e ad informarsi sulle condizioni di “Marco”. Con discrezione.
I segretari dei radicali si alternano, da Rita Bernardini a Marco Staderini. Un altro figlioccio prediletto come Daniele Capezzone nel frattempo se n’è andato sbattendo la porta per correre da Berlusconi, senza riuscire a uccidere il “padre”.
E del resto, non è un caso che il partito radicale nei decenni sia stato ribattezzato “partito viscerale”, per via di quell’aria da famigliona litigiosa, dove ci si ama, ci si sposa e ci si separa.
E al centro c’è sempre lui, Marco, capace di grandi slanci di generosità  verso i tanti figli e fratelli ma anche di ruvidissime scomuniche.
Pannella come “Crono”, il padre che divora i figli, l’hanno raccontato. Ma anche come figlio ribelle, fratello indisciplinato, puer aeternus della politica e della vita.
Un ragazzone che negli ultimi anni ha deciso di ritornare a fare il capellone, nonostante i ripetuti inviti a lasciar perdere della compagna e della Bonino.
Un capellone con la coda, come quando da giovane girava vestito da Amleto, con il dolcevita nero e un pendaglio con la scritta “Make love not war”.
Un capellone con la barba però sempre tagliata alla perfezione, una sua “fissa”. “Bisogna curare la barba, è come il giardino per gli inglesi, è un modo per porti verso il mondo in modo rispettoso”, ripeteva ai suoi giovani collaboratori.
In qualche intervista recente, si è divertito a raccontare le tante definizioni che questo look aveva provocato: Pirata, Capo Indiano, gentiluomo del Settecento.
O più semplicemente “Zio Marco”, perchè di fatto nonno non ci si è mai sentito.
Accanto a lui, anche nelle ultime settimane, nell’appartamento di via della Panetteria, i fedelissimi di sempre, a partire dalla compagna, la ginecologa Mirella Parachini, che gli sta accanto dalla metà  degli anni Settanta, Rita Bernardini e una coppia di ragazzi, Matteo e Laura, lui è stato l’ultimo collaboratore a Bruxelles.
A loro il compito di accudirlo, e filtrare l’agenda dei tanti che, a partire da Renzi e Berlusconi, negli ultimi giorni hanno chiesto di vederlo.
“Ce la faremo, non dovete essere tristi”, ha sussurrato dal letto a loro, e ai tanti altri ragazzi che sono andati a trovarlo. “Ce la faremo anche per tutti quelli che rischiano di essere aggrediti dalla tristezza”. Mentre parlava, il dito indicava un cerchio, come spesso usava fare. Un cerchio che sta a indicare “tutti insieme”.
Così come in politica, anche nel privato Pannella non si è dato limiti nè confini.
Ha confessato di aver amato alcuni uomini, e di aver avuto un figlio molti anni fa da una donna sposata di cui non ha più avuto notizie.
Dopo aver giocato con “sorella morte” durante i tanti digiuni, e in particolare quello, lunghissimo, da aprile a luglio 2011, nel 2014 viene colpito da un aneurisma dell’aorta addominale.
Viene operato e salvato e poche ore dopo ricomincia a fumare nella stanza d’ospedale. Decide di riprendere lo sciopero della sete, ma si ferma dopo una telefonata di Papa Francesco.
Da quel momento, lontano dai riflettori, i due tumori che lo perseguitano da tempo si fanno strada dentro il suo fisico da combattente.
Lui reagisce “alla Pannella”, fino all’ultimo respiro, una Marlboro dopo l’altra.
E del resto, quel corpo slanciato e imponente, smagrito fino a mostrare solo l’azzurro intenso degli occhi nei lunghi digiuni, è il protagonista assoluto di questa lunghissima vita politica.
Una vita politica in cui —forse non troppo paradossalmente- Pannella ha avuto un solo incarico di guida istituzionale, quando nel 1992 per 100 giorni guidò la circoscrizione di Roma-Ostia.
Della morte e della sua stessa longevità  politica ha parlato in diverse occasioni, come se i due percorsi- la vita terrena e quella politica- non potessero far altro che correre sullo stesso binario.
“La mia vita è la storia del partito”, ha spiegato. Una volta l’ha messa giù con una citazione cinematografica, cosa assai rara per lui che amava parlare solo di politica: “Avete presente il finale di Luci della ribalta, quando Calvero dice: ‘Non vi preoccupate sono morto tante volte’? Ecco, io mi limito a dire che tante volte sono stato proclamato morto…”.
Da ragazzo tentò persino il suicidio. Poi, a ottant’anni, nella già  citata intervista a Ceccarelli, spiegò la sua concezione buddista della “compresenza dei morti e dei viventi”.
“Io spero di accogliere la morte con grande familiarità . Spero che arrivi di notte, e io possa darle il benvenuto, felice di trovarmi così, ehi vieni, vieni qui…”.

(da “Huffingtonpost”)

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FELTRI: “NON MI SENTO UN VOLTAGABBANA. MEGLIO RENZIANO CHE FIGLIO DI PUTTANA”

Maggio 19th, 2016 Riccardo Fucile

CONTINUANO LE POLEMICHE DOPO IL CAMBIO AL VERTICE DI “LIBERO”

“Sul Fatto Quotidiano scrivono che ho pranzato con Renzi, uno che non ho mai visto in vita mia. Prima di diventare un fedelissimo di qualcuno bisognerebbe averci un minimo di rapporto. E poi essere favorevoli alle riforme istituzionali, dire che voterò sì al referendum, non significa essere renziani. E comunque meglio renziano che figlio di puttana”.
A dirlo è Vittorio Feltri, che in un colloquio con il Foglio smentisce di essere stato chiamato a dirigere Libero per spostare la linea del giornale e fare campagna per il referendum.
“Ero in contatto con gli Angelucci, gli editori, da luglio. Ad Angelucci, al figlio, dissi: ‘Non vengo a fare il maggiordomo di Belpietro. Già  è difficile scrivere sul Giornale che Berlusconi fa delle sciocchezze (per così dire), figurarsi se mi devo fare condizionare da un altro direttore”, racconta Feltri.
“Belpietro l’ho inventato io”, dice.
Quanto a Berlusconi, “sono stato molti anni dalla sua parte, quando era lucido. Ora lui è sincero solo quando mente. Non sono berlusconiano”
Nel primo editoriale del suo ritorno alla direzione di Libero, Feltri promette di dire “pane al pane, vino al vino”, con un “linguaggio colloquiale, più ironico che acido, perchè siamo convinti che sia già  faticoso vivere la vita e non sia il caso di raccontarla con la bava alla bocca per polemizzare a ogni costo”.
“Prenderemo di mira chi sbaglia e incoraggeremo chi sbaglia meno degli altri, posto che l’errore è il denominatore comune dell’umanità “, prosegue Feltri.
“I nostri commenti e le nostre cronache non saranno improntate a pregiudizi”.

(da “Huffingtonpost“)

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MENO MEET UP E PIU’ DIRETTORIO, COSI’ IL M5S HA TRADITO SE STESSO: “DAL MOVIMENTO DEGLI ATTIVISTI A QUELLO DEGLI ARRIVISTI”

Maggio 19th, 2016 Riccardo Fucile

UNO STUDIO SMONTA IL MITO DELLA PARTECIPAZIONE DELLA BASE GRILLINA… “IL MOVIMENTO E’ DIVENTATO UN PARTITO DI PARLAMENTARI, ATTIVISTI RELEGATI AI MARGINI”

Il Movimento cinque stelle, se mai lo è stato, non è più un Movimento di meet up ma è diventato soprattutto un Movimento degli eletti: in primis il direttorio. E naturalmente la Casaleggio.
Chi studia il Movimento da anni sa che questa è la mutazione genetica in corso, ma adesso questa conclusione è rafforzata dal primo studio scientifico di questo genere, un’indagine condotta dall’Università  La Sapienza e coordinata da Antonio Putini, che l’ha pubblicata su «Sociologia», la rivista quadrimestrale di scienze storiche e sociali (con un’ampia introduzione di Arianna Montanari).
I sociologi, in occasione della kermesse “Italia a 5 Stelle” organizzata dal Movimento a Roma fra il 10 e il 12 ottobre del 2014, hanno diffuso 500 questionari agli attivisti (l’86% dei quali ha risposto), delineando un identikit non statistico, ma mai condotto con questi numeri, su che cos’è oggi l’attivista del M5S, e soprattutto come funzionino, se funzionino, e eventualmente, se esistano ancora, i meet up.
I risultati sono rilevanti: scrive Putini che «i meet up “Movimento 5 Stelle” presenti sul comune di Roma sono 93 secondo la piattaforma “meet up ”, mentre solo 61 sono quelli ufficialmente riconosciuti dalla piattaforma Beppegrillo.it.
Inoltre, dei 97 meet up presenti nel blog beppegrillo.it relativi alle quattro città  di Milano, Roma, Napoli e Palermo, ben 21 erano inesistenti, e in altri 15 l’attività  più recente (convocazione di una riunione, pubblicazione di un post o risposta ad un post), risaliva almeno all’anno precedente, mostrando una sostanziale inattività  del gruppo». Traduciamo noi, e perdonate la brutalità : il Movimento cinque stelle dei meet up non esiste più, siamo dinanzi a un partito di parlamentari, peraltro collegato e almeno in parte diretto da un’azienda.
Nel 2012-2013, l’elettorato M5S era rappresentato in maggioranza da uomini di età  fra i 35 e i 41 anni, oggi (fonte Cise) la classe di età  più numerosa è fra i 45 e i 64 anni.
Nel 2012 l’elettorato era equamente diviso tra nord, centro e sud, oggi il 57% dei voti proviene dalle regioni del Sud, il 31,4% dal Nord, e l’11,6% dal Centro.
Gli attivisti M5S sono al 60% uomini. L’età  media è di 39 anni, mentre la fascia di età  più rappresentata è quella fra i 25 e i 29 anni.
I laureati sono il 34,2% del totale (a differenza del 12,7% registrato nella media dei dati Istat), mentre il 49,1% dichiara di possedere un diploma. Il ceto medio impiegatizio rappresenta il 31,3% del totale, al quale va aggiunto un 5.3% di insegnanti, mentre il 25,5% sono liberi professionisti o dirigenti. Il 22,3 sono operai (14,9) e lavoratori atipici.
Il 26.7% degli attivisti che ha risposto ha espresso un posizionamento nell’area di centro-sinistra, il 66% dice di non riconoscersi nella distinzione destra-sinistra (un’espressione che però, aggiungiamo noi, connota storicamente in Italia simpatizzanti di centrodestra).
Ricorda la Montanari che le deliberazioni online, «su un Paese di sessanta milioni di abitanti, non superano mai il numero di qualche migliaia».
Putini nota che i meet up, anche quando sono presenti sul territorio, dipendono «dal centro per le posizioni e decisioni politiche, pena l’esclusione dal movimento»: «Nonostante la creazione nell’ultimo anno di un direttorio composto da cinque parlamentari, i cinque stelle non hanno creato i meccanismi di collegamento per ciò che riguarda i diversi presidi territoriali. In genere la ricomposizione dei diversi interessi e dei bisogni espressi dal variegato mondo dei grillini passa dal centro».
Con tanti saluti alla partecipazione e ai territori.
Anche il sistema operativo è pochissimo usato: partecipa a votazioni online solo il 36.4% degli attivisti.
«Dal Movimento degli attivisti siamo diventati il Movimento degli arrivisti», chiosa amaramente uno degli attivisti fondatori.
Difficile, stando a questi dati, dargli torto.

Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)

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COME PARLA, LA RAGGI FA DANNI: “SE GRILLO ME LO CHIEDESSE, MI DIMETTEREI”

Maggio 19th, 2016 Riccardo Fucile

SCOPPIA IL CASO RAGGI: MA UNO CHE LA VOTA, PER CHI VOTA?

Quando resta sotto quota periscopio, tutto sembra girare per il meglio.
Ma quando Virginia Raggi si avventura tra giornali e interventi pubblici, iniziano i guai.
La donna nella quale sperano i Cinquestelle per arrivare al Campidoglio ha rilasciato ieri un’intervista a “L’Espresso” spiegando di essere «pronta al passo indietro» dalla carica di sindaco se, nell’eventualità  di un’indagine, Grillo dovesse chiederle di farsi da parte.
E così il Pd ha avuto gioco facile nell’accusare Raggi di essere «eterodiretta».
Il suo sfidante Giachetti ha commentato spiegando di avvertire «un certo raccapriccio nel sentire queste considerazioni. Renzi non si azzarderebbe proprio non solo a propormi un contratto, ma neanche a chiedermi una cosa del genere».
Ma Raggi ha tenuto il punto, ribadendo l’importanza nel M5S della figura del garante «che ci aiuta a rispettare i nostri principi, quindi io ritengo che nel momento in cui una persona si discosta da questi principi, se è onesta deve fare un passo indietro; se invece nonostante le violazioni continua a fare le cose in nome del Movimento, è giusto che ci sia qualcuno che a un certo punto dica basta».
Parole che rimandano al convitato di pietra di questa come di ogni altra discussione che riguardi il M5S negli ultimi giorni: Federico Pizzarotti.
Ieri pomeriggio si era sparsa la voce che a decidere la sorte del sindaco di Parma sarebbe stato un voto online tra gli attivisti.
Ipotesi smentita seccamente da Luigi Di Maio in televisione.
Eppure nei gruppi parlamentari ormai s’è fatta strada la consapevolezza che l’affare Pizzarotti stia creando solo un mucchio di grattacapi al Movimento a pochi giorni dalle comunali.
Inoltre il timore è che, cacciandolo, molti attivisti uscirebbero con lui.
Convinzioni diffuse nel Movimento, tanto che persino Grillo avrebbe chiesto ai suoi di risolvere in fretta la questione.
Il sindaco di Parma ieri ha «teso la mano per la terza volta» al M5S, come ha spiegato in una lettera.
Difficile che la soluzione passi davvero per un voto online che rischierebbe di spaccare in due la base del Movimento, regalando magari una vittoria allo stesso Pizzarotti.
Più probabile che la quadra la si cerchi sull’asse Roma-Milano, quando Luigi Di Maio, che oggi presenterà  tutti i candidati sindaci del M5S nelle principali città  italiane, tenterà  l’ultima mediazione con la Casaleggio Associati per tenere Pizzarotti dentro al Movimento.

Francesco Maesano
(da “La Stampa”)

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LA STORIA DI BORIS GIULIANO: “IL CORAGGIO DI ESSERE IMPAVIDI CON I POTENTI”

Maggio 19th, 2016 Riccardo Fucile

LA SUA STORIA SU RAI UNO: “UN POLIZIOTTO MITO PER I SUOI UOMINI, LA MAFIA AVEVA CAPITO CHE L’UNICO MODO PER FERMARLO ERA UCCIDERLO”

C’è un clima di commozione nella grande sala della Scuola superiore di Polizia di Roma, alla presentazione della miniserie Boris Giuliano, un poliziotto a Palermo di Ricky Tognazzi, in onda il 23 maggio (nel giorno della strage di Capaci) e il 24 maggio, c’è la famiglia dell’investigatore ucciso dalla mafia a Palermo il 21 luglio 1979, il figlio Alessandro è questore a Lucca.
Un lungo applauso accompagna i titoli di coda del film tv, in platea con gli uomini che lavorarono con Giuliano a Palermo ci sono il presidente del Senato Pietro Grasso, il direttore generale della Rai Antonio Campo Dall’Orto e gli allievi della polizia.«Giuliano è stato un autentico mito per gli uomini che ebbero la fortuna di lavorargli accanto e anche per i poveri della città  che si precipitarono in migliaia ai suoi funerali. Non si era mai visto un poliziotto così impavido con i potenti – dice Grasso – che sapeva essere poi così umano con chi era diventato piccolo delinquente in mancanza di alternative. Boris aveva capito la mafia ma la mafia aveva capito Boris, aveva capito che non avrebbe ceduto e che l’unico modo per fermarlo era ammazzarlo. Il suo grande senso del dovere, il suo amore per il lavoro» sottolinea «sono state le vere cause della sua morte».
Il presidente del Senato ricorda il primo incontro con l’investigatore che — negli anni del sacco di Palermo, del rapimento del giornalista Mauro De Mauro – avrebbe cambiato il modo di indagare sulla mafia.
«Era il settembre del 1970, eravamo nella stanza del già  famoso giudice Cesare Terranova (ucciso anche lui dalla mafia il 25 settembre 1979, ndr). Io ero un giovane magistrato che cercava di carpire i segreti del mestiere. Appena vidi Boris Giuliano, mi apparve la sua esplosione di allegria. Gioviale, simpatico e alla mano, dopo avergli detto che mi sarei sposato a giorni volle conoscere mia moglie e consegnare a entrambi personalmente i passaporti per farci partire».
Il film, scritto da Tognazzi con Angelo Pasquini e Giovanna   Koch, con la consulenza del giornalista Francesco La Licata, amico di Boris Giuliano, interpretato da Adriano Giannini (nel cast Nicole Grimaudo, Antonio Gerardi, Ettore Bassi, Tony Sperandeo, Francesco Benigno, Enrico Lo Verso) intreccia indagini e vita privata restituendo, come sottolinea anche il figlio Alessandro Giuliano, «l’umanità  del padre, un valore aggiunto, oltre alla sua professionalità , al suo metodo di indagine, alla sua intuizione sulle dinamiche dei nuovi traffici di eroina dalla Sicilia nel mondo. Al suo funerale era pieno di gente comune. In quegli anni a Palermo non c’erano grandi dimostrazioni di affetto nei confronti della polizia, tanto più nei quartieri popolari».
«Boris era un segugio senza eguali, un investigatore rispettato e temuto, gentile, intelligente, capace e integerrimo, il vero nemico della mafia. Una volta -racconta Grasso – mi chiese di assistere all’interrogatorio di un mafioso che lui aveva arrestato pochi giorni prima e che era appena arrivato all’Ucciardone. Il detenuto voleva sapere chi gli avesse fatto la soffiata e gli aveva consentito di catturarlo. Boris gli disse: “Vediamo se indovini” ed è così che seppe i nomi dei complici. In realtà  era riuscito ad arrestarlo grazie a un’intercettazione. Per me fu una lezione».
E fu grande soddisfazione quando a Quantico, in Virginia, vide che fra gli agenti morti in servizio dell’Fbi c’erano due italiani a essere commemorati: Boris Giuliano e Giovanni Falcone.
Alessandro Giuliano sottolinea come una fiction come questa «sia importante per la memoria. Con la famiglia siamo stati molto esigenti con gli autori e loro sono stati molto pazienti con noi. Voglio ringraziarli per questo. In tutti questi mesi sia il regista che gli attori ci hanno tenuto al corrente interpellandoci anche per i minimi dettagli. Per noi era importante che venisse fuori la persona, perchè anche chi finisce nei libri di storia ha la sua umanità . Era facile cadere nello stereotipo, ma papà  oltre a essere un servitore dello Stato era un uomo solare».
Dal film si capisce che Giorgio Boris Giuliano, solo Boris per i suoi uomini, eroe borghese siciliano che da Milano dov’è andato a lavorare torna in Sicilia per combattere la mafia dopo la strage di Ciaculli, era un padre — nonostante l’impegno — molto presente in famiglia, tenero, attento ai figli.
Il figlio Alessandro non rivela se gli episodi descritti nella fiction (in cui canta con loro le canzoni in inglese, o insegna proprio al figlio, bambino al mare, di impegnarsi sempre, anche per arrivare alla boa), siano veri.
«Posso confermare che era un papà  molto affettuoso» dice con pudore, la stessa discrezione dietro cui si trincera quando non risponde sulla scelta di vita. Ha seguito le orme del padre: investigatore brillante, capo della Squadra Mobile a Milano, ora questore a Lucca.
Quali sono le doti di un bravo investigatore? «Deve essere flessibile e tenere conto delle mutazioni della criminalità , mio padre ha avuto la bravura di capire come la mafia avesse cambiato scena, metodo. La mafia, come ripeteva Falcone, è un fenomeno umano e anche l’azione di contrasto lo è. Perseguire la legalità  è un impegno per la democrazia, sono particolarmente contento che la proiezione sia stata fatta qui nella Scuola della polizia perchè papà  non è un nome su una lapide, ma un esempio di chi ha fatto il proprio dovere».

Silvia Fumarola
(da “la Repubblica“)

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SONDAGGI REFERENDUM CAMBIANO VERSO: FRONTE DEL SI’ GIU’, PERSI 5 PUNTI IN UNA SETTIMANA

Maggio 19th, 2016 Riccardo Fucile

PER PIEPOLI I FAVOREVOLI SCESI DAL 46% AL 41%… MA UNO SU QUATTRO E’ INDECISO

I sondaggi sul referendum confermativo sulla riforma costituzionale allarmano Matteo Renzi.
La rilevazione condotta dall’istituto Piepoli* per “La Stampa” dice che il 41% degli elettori pensa di votare a favore. Uno su tre dichiara di volersi esprimere in maniera contraria. Mentre il 26% degli interpellati afferma di non essersi ancora fatto un’idea o di non aver intenzione di recarsi alle urne.
Ma a far scattare l’allarme rosso a Palazzo Chigi è il trend negativo.
I «sì» sono in netto calo. Appena una settimana fa erano il 46%. Significa che in sette giorni il 5% degli interpellati ha voltato le spalle alla riforma Boschi.
Mentre, nello stesso periodo, il fronte del «no» è balzato dal 28 al 33%.
In quest’ottica va letta anche la retromarcia di Renzi, che fa sapere di non avere più intenzione di personalizzare la consultazione. E che semmai sono le opposizioni a provarci, perchè senza argomenti.
Verso le urne 9 su 10
«La flessione di cinque punti non va interpretata come una caduta libera – avverte il professor Nicola Piepoli -. Piuttosto è un assestamento dovuto al dietrofront del governo sulle urne aperte anche il lunedì. Un balletto che ha disorientato non poco l’opinione pubblica».
Di certo c’è che la sfida d’autunno è decisiva. Il più occasioni il premier ha ribadito che, in caso di bocciatura della riforma, lascerà  non solo la guida del governo, ma la vita politica.
Anche se la percentuale di indecisi resta elevata (uno su quattro), nove interpellati su dieci (88%) si dicono propensi ad andare a votare. Il 62% non ha dubbi: risponde che «certamente» si recherà  alle urne, mentre il 26% sostiene che «probabilmente» parteciperà  alla consultazione.
Al netto di un 3% senza opinione, solo uno su dieci (9%) sostiene di non volersi esprimere.
«Significa che attorno a questo referendum c’è entusiasmo», aggiunge Piepoli. «Alla fine qualcuno cambierà  idea e altri magari andranno al mare, ma l’affluenza supererà  sicuramente il 60%».
I punti chiave
Il contenuto della riforma che convince maggiormente gli italiani è la riduzione del numero dei senatori dagli attuali 310 a cento (74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 senatori nominati dal capo dello Stato per 7 anni): l’86% degli interpellati si dice favorevole.
Il 78% promuove l’introduzione di referendum propositivi per introdurre nuove leggi. Il 54% si dice d’accordo con l’abolizione del Cnel.
I temi che convincono meno sono la riduzione dell’autonomia degli enti locali a favore dello Stato centrale (48%) e l’elezione del presidente della Repubblica dalle due camere riunite in seduta comune senza più la partecipazione dei 58 delegati delle Regioni (49%).
Personalizzare la competizione, però, comporta rischi.
«Se Renzi non parla del referendum, vince», spiega Piepoli. «Perchè oggi la gente, a torto o a ragione, pensa che il governo stia riformando il Paese. Se il premier insiste troppo, invece, passerà  il messaggio che ha paura di perdere».

Gabriele Martini
(da “La Stampa”)

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MARCO PANNELLA RICOVERATO IN CONDIZIONI GRAVI. IL MEDICO: “CHIAMATEMI A QUALSIASI ORA”

Maggio 19th, 2016 Riccardo Fucile

IL MONDO POLITICO IN APPRENSIONE PER UN GRANDE PROTAGONISTA DEL NOSTRO TEMPO

Il medico, riporta il quotidiano il Messaggero, lasciando la clinica di sera dice al personale: “Ovviamente mi chiamerete in ogni momento, se c’è bisogno”.
Segno che le condizioni Si aggravano di salute di Marco Pannella sono molto gravi, quasi senza speranza.
Il leader radicale è stato “ricoverato presso una struttura ospedaliera per garantirgli un ambiente adeguato alle sue attuali condizioni”.
Il comunicato di Radio Radicale – poche e misurate parole – arriva nelle redazioni alle 18:20 di mercoledì e immediatamente scatta l’allarme sullo stato di salute dell’anziano leader radicale da anni in lotta contro due tumori.
Negli ultimi giorni le sue funzioni vitali – spiegano fonti mediche – sono peggiorate al punto che è stato ritenuto opportuno un trasferimento in una clinica romana più attrezzata presso il quale “non sono previste visite”.
Una accortezza per garantire tranquillità  e riservatezza a Pannella. Anche i cellulari delle persone che in questi mesi lo hanno assistito più da vicino risultano spenti o non rispondono. Insomma, il momento è particolarmente difficile.
Da marzo, quando si sono intensificate notizie su un aggravamento delle condizioni fisiche di Pannella (in lotta con un tumore ai polmoni ed uno al fegato), si sono moltiplicati gli allarmi ma anche le testimonianze di affetto nei suoi confronti.
Papa Francesco gli ha inviato il suo libro “Dio è misericordia” in regalo da per l’ottantaseiesimo compleanno del capo carismatico radicale festeggiato lo scorso 2 maggio in casa con amici e militanti. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha telefonato, così come i presidenti di Camera e Senato.
Ma tutti i leader di partito hanno voluto inviare un messaggio o sentire il “protagonista di tante battaglie politiche”.
Dopo la notizia del ricovero i social network hanno rilanciato l’allarme in rete. Migliaia di utenti hanno fatto sentire la loro vicinanza al fondatore del Partito Radicale: l’hashtag #Pannella è diventato in pochi minuti uno dei trend topic di twitter. “Sai come si lotta, non mollare!”, “Tieni duro”, “Forza vecchio leone”, “Se ci lasci anche tu io espatrio definitivamente”, “Un uomo che con le sue battaglie e la sua tenacia mi ha trasmesso la passione per la politica. Forza Marco” sono alcuni tweet tra i più condivisi.
Anche su facebook la pagina del capo carismatico radicale è stata inondata in pochi minuti di centinaia di messaggi.
D’altronde, Pannella è sempre stato molto attivo sulla rete. Fino a mercoledì, lui stesso ha ritwittato messaggi e link con iniziative dei Radicali.
Nei giorni scorsi ha pubblicato fotografie che lo ritraggono con amici e sostenitori del partito.
Il mondo della politica è in apprensione. Anche Matteo Renzi ha voluto incontrarlo lo scorso 12 marzo: “Tutti condividono l’idea che Pannella sia una grandissima personalità  della storia politica italiana”, disse il premier al termine dell’incontro nella casa romana del leader radicale.

(da “Huffingtonpost”)

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