Destra di Popolo.net

RADIO E IMMOBILI: L’ASSALTO DEI QUARANTENNI AL FORTINO RADICALE

Maggio 24th, 2016 Riccardo Fucile

IL PARTITO DIVISO TRA I SEGUACI DI MARCO E I GIOVANI VICINI AD EMMA

«Il suo testamento è la sua vita» ripete Rita Bernardini.
Il fatto è che Marco Pannella, un testamento vero e proprio, sembra non lo abbia lasciato e molto della galassia radicale faceva capo proprio a lui.
È un intreccio di società , centri di produzione, sigle, simboli, associazioni, scatole ormai vuote (come il Partito radicale transnazionale) e altra roba “piena” di valore: appartamenti a Roma e una Radio che del movimento è il simbolo ma anche l’unica fonte ormai di entrate (pubbliche)
Il leader radicale è stato sepolto da poche ore nella sua Teramo e la profezia funesta di Marco Cappato si è già  avverata.
«Sarebbe penoso se tra noi Radicali ci fosse una guerra di fazioni, pannelliani contro amici di Bonino», dice il candidato sindaco di Milano vicino a Emma.
Del resto è bastato vedere cosa è accaduto sul palco di Piazza Navona, la lacerazione sotto gli occhi della folla.
Adesso i quarantenni vicini alla Bonino vanno alla resa dei conti, radio e immobili e quel che resta dei finanziamenti non possono restare in mano ai pochi pannelliani d’antan che gestiscono il fortino, anche se non vogliono che la questione venga posta in questi termini.
E il riferimento è al tesoriere Maurizio Turco, a Rita Bernardini, Laura Arconti e Aurelio Candido che ora tengono le redini dell’associazione Lista Pannella, col simbolo della Rosa nel pugno.
Solo un logo polveroso? Non proprio.
Fortino perchè alla sigla fa capo il “tesoretto” radicale: la società  “Torre Argentina servizi” a cui è intestato l’appartamento della storica sede nell’omonima via di Roma e la “Centro di produzione spa” intestataria di Radio Radicale (18 giornalisti e 45 dipendenti in totale, 9 milioni ogni due anni di finanziamento da convenzione Camera-Senato) e dell’immobile che la ospita in via Principe Amedeo.
Dunque: Associazione Lista Pannella (col suo fortino) da una parte, Radicali italiani (vicini alla Bonino) dall’altra, questi ultimi con molto volontariato e un bilancio di appena 200mila euro l’anno.
E poi a margine della galassia le altre sigle di vecchie battaglie: “Nessuno tocchi Caino”, l’Associazione Coscioni (destinataria di 5 per mille per la ricerca), il Partito radicale transnazionale e transpartito che non fa un congresso dal 2011, da quando l’avvocato del Mali nominato segretario, Demba Traorè, si è volatilizzato.
C’è già  una data cerchiata per decidere che fare e come e chi deve “gestire” il futuro.
Per l’1-3 luglio il segretario Riccardo Magi ha convocato il Comitato dei “Radicali italiani”.
«Quello sarà  un luogo per confrontarsi e porre le questioni – spiega Magi – Ci accusano di ignorare le grandi battaglie ideali e di voler fare solo politica, ma è falso. Noi ci riuniamo con scadenze ravvicinate, loro non fanno un congresso da anni, certo anche la questione della Radio e di altro andrà  affrontata. Turco poi mi sembra sia tesoriere ma dimissionario…».
Turco è in silenzio da anni ma a fare da punchball non ci sta. «Sono al partito da 30 anni, ho avuto la tesoreria nel 2011 perchè nessuno ne voleva sapere e non sono dimissionario. Quante congetture, insinuazioni, bugie in questi giorni amari».
Tra oggi e domani anche i big della vecchia guardia si ritroveranno alla spicciolata in via di Torre Argentina per ragionare del “dopo Marco”.
E del fortino sotto assedio da difendere.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)

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M5S, LA TENTAZIONE DELLA PACE CON PIZZAROTTI E NIENTE ESPULSIONE

Maggio 24th, 2016 Riccardo Fucile

SI FA STRADA LA COMPONENTE INTERNA CHE APPOGGIA LA RICOMPOSIZIONE

 C’è un’ala moderata, nei 5 stelle, che lavora in silenzio e preme affinchè la sospensione di Federico Pizzarotti venga congelata.
Un’ala pragmatica, che pensa che la cacciata di un buon amministratore – a un passo dalle comunali del 5 giugno – sia tutt’altro che una buona idea.
Alcuni sperano, addirittura, che non si tratti solo di rimandare l’espulsione. Che si riesca a non arrivarci, a calmare l’ira di Beppe Grillo nei confronti di quel “figlio” troppo ribelle allontanato già  da tempo.
Del gruppo fanno parte soprattutto i parlamentari che stanno facendo campagna elettorale laddove la vittoria è più vicina.
Le loro motivazioni sono arrivate agli esponenti del direttorio. Non ultima, la paura di un ricorso al tribunale già  minacciato dal sindaco e dai suoi fedelissimi: “Se va come a Roma – si lascia sfuggire qualcuno – è un bel pasticcio, visto che il giudice ci ha fatto riammettere quattro espulsi su quattro”.
Fico, Di Maio, Di Battista, Ruocco e Sibilia hanno però chiarito a più riprese: “Decide Beppe”.
E così sarà : la scelta sul futuro di Federico Pizzarotti è affidata al garante, che al momento sarebbe tentato dal passo indietro.
Davide Casaleggio fa filtrare – dal sempre più fortificato quartier generale di Milano – di volerne restare il più possibile lontano. Continua a lavorare all’associazione Rousseau e al nuovo sistema operativo, ma non vuole entrare ufficialmente nelle decisioni politiche. Non vuole in alcun modo che il suo volto abbia un rilievo pubblico.
Un risultato “attendista” non è però affatto scontato. Perchè se anche Federico Pizzarotti ha mandato, nella notte di domenica, le “controdeduzioni” spiegando punto per punto le sue ragioni sulla mancata comunicazione dell’avviso di garanzia, il sindaco di Parma non ha rinunciato a mettere nero su bianco le cose che secondo lui – nel Movimento devono cambiare.
Ha ridetto, anche in conferenza stampa, di sentirsi un vero 5 stelle. Ha ricordato il ruolo di Grillo nella vittoria a Parma. Ha sottolineato come l’intera vicenda nasca da un esposto del Pd. Un partito con cui – nonostante le voci “messe in giro ad arte contro di me, non ho mai cercato accordi”.
Ma ha anche parlato di un “abuso del diritto”, di una “caccia alle streghe”, di decisioni diverse a seconda dei casi (tra il suo avviso di garanzia e quelli ricevuti dai sindaci di Livorno e Pomezia Filippo Nogarin e Fabio Fucci), di una “sospensione illegittima” che va revocata.
Soprattutto, in fondo al documento presentato, ha posto sei richieste: ristabilire un confronto “strutturato” tra il centro e le periferie (“Non ci si può incontrare solo online”, ha detto ai cronisti); indire tavoli di lavoro per condividere linee politiche ed esperienze; studiare una formula efficiente di dialogo tra gli eletti; convocare un meet up nazionale; scrivere regole interne chiare a tutti; espellere i suoi consiglieri infedeli, come fatto altrove.
“Noi non chiediamo la grazia nè il perdono”, dice il braccio destro Marco Bosi, capogruppo in consiglio comunale. “Significherebbe ammettere colpe che non abbiamo. Stiamo solo spiegando le nostre ragioni”.
Se le colombe volevano una resa da portare di fronte al capo politico, da Pizzarotti non l’avranno.
A Parma intendono continuare a dire quel che pensano. Anche se questo significasse doverlo fare fuori dai 5 stelle.

(da “La Repubblica”)

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LA CAMPAGNA DI “LIBERO” (DI ANGELUCCI) IN SOCCORSO DE “IL TEMPO” (DI ANGELUCCI) CHE NON PAGA L’AFFITTO ALL’INPS DAL 2012

Maggio 24th, 2016 Riccardo Fucile

E FELTRI DEDICA DA GIORNI DUE PAGINE DEL GIORNALE SULLE PRESUNTE TRUFFE DELL’INPS AI DANNI DEI PENSIONATI: SIAMO TORNATI AL METODO BOFFO

Tre anni di affitti non pagati, per un totale di oltre 3 milioni di euro.
C’è (anche) questo dietro le due pagine al giorno, in apertura di giornale, che Libero da giovedì scorso dedica ai presunti sprechi e privilegi dell’Inps e del suo presidente Tito Boeri.
Qualche titolo: “Le rapine dell’Inps“, “L’Inps ha un tesoro che non usa”, “Aiutare i poveri è una scusa per tagliarci gli assegni“, “Boeri punisce chi paga i contributi”, “Tutti i tesori d’arte dell’Inps in magazzino ad ammuffire”.
Ma soprattutto: “L’ufficio di lusso di Boeri è pagato dai pensionati”.
Piccolo particolare: l’ufficio “di lusso” in piazza Colonna, proprio di fronte a Palazzo Chigi, dove l’economista bocconiano si è trasferito da qualche mese, si trova al primo piano di Palazzo Wedekind. Che è di proprietà  dell’istituto di previdenza.
Nessuno scandalo, dunque. Il problema è che quel gioiello nel cuore della Capitale ospita anche la redazione de Il Tempo, proprio quest’anno acquistato dalla cassaforte Tosinvest della famiglia Angelucci, proprietaria di Libero.
E il 10 giugno il quotidiano romano verrà  sfrattato per morosità  perchè l’ex proprietario, il costruttore romano Domenico Bonifaci, ha smesso di pagare l’affitto nel 2012 accumulando nei confronti del padrone di casa Inps un debito superiore ai 3 milioni.
La campagna del giornale di Angelucci, dunque, va in soccorso dell'(altro) giornale di Angelucci.
Ed è lo stesso Vittorio Feltri, che proprio per scelta degli editori mercoledì 18 maggio è tornato al timone del giornale al posto di Maurizio Belpietro, ad ammetterlo nell’editoriale di domenica: “Non vorremmo che egli (Boeri, ndr), per ritorsione, minacciasse di sfrattare il quotidiano Il Tempo dallo stesso edificio di Piazza Colonna, sede della redazione. Sarebbe meschino“.
Lo sfratto per morosità  — che in realtà  è già  stato notificato e rinviato e il 10 giugno, appunto, si concretizzerà  — viene dunque presentato come una ritorsione.
Così ai lettori è servito un nuovo prodotto del “metodo Boffo“, come fu definita la campagna di diffamazione condotta nel 2009 da Feltri — dalle pagine de Il Giornale — contro Dino Boffo, direttore di Avvenire, reo di aver scritto alcuni editoriali critici sullo stile di vita dell’allora premier Silvio Berlusconi.
Il Giornale, come è noto, era di suo fratello Paolo. Che la gestione del mattone Inps sia su molti fronti inefficiente, come raccontato anche da Il Fatto Quotidiano, corrisponde al vero. Ma sembra difficile sostenere che pretendere il pagamento dell’affitto rientri tra gli aspetti da censurare.
Del resto che a preoccupare Libero, oltre al futuro delle pensioni degli italiani, siano le sorti del Tempo, è scritto chiaro e tondo anche in uno dei numerosi pezzi scritti negli ultimi giorni sul tema dal vicedirettore Fausto Carioti: “Negli ultimi anni la crisi si è fatta sentire sui bilanci della società  editrice, e qualche fitto è rimasto indietro“, minimizza Carioti dopo aver ricordato che il palazzo ottocentesco “dal 1945 era sede del quotidiano” e “nessun dirigente dell’istituto di previdenza vi aveva mai messo piede”.
Quanto al debito accumulato negli anni, “quando ancora a guidare l’istituto di previdenza c’era Tiziano Treu è stato fatto un accordo fra le parti: rateizzazione del dovuto e riduzione degli spazi locati, lasciando a disposizione della proprietà  primo e secondo piano”.
Ma “le vicende della politica ci hanno messo lo zampino. Prima che la ristrutturazione fosse finita, Renzi ha congedato Treu e messo in sella Boeri. A lavori ultimati il presidente dell’Inps ha deciso che proprio quello“, un edificio dell’Inps, “dovesse essere il suo ufficio di rappresentanza”.
“Quella porzione di palazzo è stata tolta dalla lista degli immobili da reddito e inserita tra i beni strumentali”, scrive il giornale, stimando il valore del mancato incasso tra i 550mila e i 600mila euro annui di affitto.
Il quotidiano contesta insomma a Boeri di avere rinunciato ad affittare o vendere i due piani, perdendo milioni di euro di potenziali entrate.
“Qui il danno è assai più salato per l’istituto di previdenza e di conseguenza per i pensionati assistiti — scrive Libero — Ma che importa? Ora il presidente può affacciarsi davanti a Palazzo Chigi e sorridere festoso a chi l’ha nominato…”.
E godere addirittura, chiosa, di un “piccolo box per la sua auto di servizio” perchè “da quelle parti è assai difficile parcheggiare”.
L’istituto dal canto suo, nella replica che Libero ha pubblicato martedì dopo giorni di attacchi, fa notare che “dei circa 650 mq del piano ristrutturato nel 2014, solo 50 sono utilizzati per uffici, mentre le sale, fra cui la Sala Angiolillo, vengono regolarmente affittate per eventi”.
E aggiunge che “i proventi dalla messa a reddito di Palazzo Wedekind non potranno che aumentare quando sarà  possibile riqualificare e mettere a reddito anche il terzo e quarto piano dell’edificio, oggi occupati dal quotidiano Il Tempo, che dal 2012 non paga l’affitto”.
Proprio come la “gente che non salda la pigione” degli “appartamenti occupati abusivamente“, casi che Feltri cita a esempio della gestione “da cani” del patrimonio immobiliare dell’istituto.

Chiara Brusini e Stefano De Agostini
(da “il Fatto Quotidiano”)

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NAPOLI, NELLA LISTA VERDINI SUL MANIFESTO COMPARE IL COGNATO (MORTO) DEL BOSS ‘O NASONE

Maggio 24th, 2016 Riccardo Fucile

L’INQUIETANTE PUBBLICITA’ DEL CANDIDATO RIGANATO

Lui il primo piano, alle spalle la foto del parente deceduto di un capozona di camorra. Può capitare di vedere anche questo, a Napoli, tra i manifesti elettorali.
L’uomo in primo piano è Giuseppe Riganato, candidato al Consiglio comunale per Ala, la formazione che fa capo a Denis Verdini.
L’uomo sullo sfondo, ormai morto, è Giovanni Di Vincenzo, ex Pdl e poi Ala, consigliere comunale e cognato del capopiazza Giuseppe Parisi, o’ Nasone, ucciso dai sicari di camorra nel 2011.
Il caso è stato segnalato da Repubblica Napoli, che spiega come Riganato fosse “alter ego, accompagnatore e factotum” di Di Vincenzo, esponente della Settima Municipalità  di San Pietro a Patierno-Miano-Secondigliano.
Quando quel consigliere, Di Vincenzo, già  destinato da mesi a candidarsi al Comune sotto le insegne di Ala, è scomparso prematuramente per un’improvvisa ischemia, solo poche settimane fa quando già  si preparava a correre per il Comune, Riganato, il suo robusto accompagnatore ne ha preso il posto.
Così il signor Riganato, vicino al senatore verdiniano Antonio Milo, fa stampare e posta sul proprio profilo Facebook il manifesto che tiene insieme le due storie. Alle sue spalle, anche la foto del morto, Di Vincenzo, ovvero il cognato del pregiudicato Parisi, noto capopiazza del clan Amato-Pagano al rione Berlingieri – che fu assassinato da un commando della Vinella Grassi nell’aprile del 2011: ovvero nel periodo di piena guerra di assestamento dopo le faide degli anni precedenti. In particolare, gli atti giudiziari riportano un eccezionale documento di auto-confessione in relazione all’omicidio del capopiazza Parisi.
In un summit con Arcangelo Abete a Milano, gli emergenti boss della Vinella Grassi comunicarono al vertice delle cinque famiglie, questo concetto: con l’omicidio di Parisi, ci siamo presi anche il Perrone.
Il dietrofront, “la girata”, dei feroci boss ragazzi contro gli Scissionisti si doveva compiere con quel raid.

(da “La Repubblica“)

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MILANO, IL CANDIDATO SINDACO CHE NON PAGA 10.000 EURO DI SPESE CONDOMINIALI

Maggio 24th, 2016 Riccardo Fucile

LUIGI SANTAMBROGIO, CANDIDATO DI ALTERNATIVA MUNICIPALE, HA RICEVUTO IL DECRETO INGIUNTIVO

Dopo un ex sindaco come Gabriele Albertini che amava definirsi “amministratore di condominio”, ora a Milano è tempo di un candidato sindaco che a un condominio crea problemi. Il suo condominio.
Tanto da avere ricevuto un decreto ingiuntivo per oltre 10mila euro di spese non pagate.
Lui è Luigi Santambrogio, l’uomo con un passato nella giunta Formentini che Alternativa municipale ha scelto per puntare soprattutto a quegli elettori di centrosinistra che non si riconoscono in una coalizione guidata da Giuseppe Sala. Ecco la prima cosa che dice al telefono quando gli si chiede conto dei soldi non versati: “Il pagamento è in corso con un assegno circolare che arriverà  all’amministratore domani o dopo domani”.
Grana quasi risolta quella dello stabile signorile di via Goldoni, almeno stando alle promesse via cornetta.
Ma perchè arrivare a questo punto, con il rischio per gli altri condòmini di farsi carico del debito? Beghe condominiali, sminuisce Santambrogio: “Visioni diverse su alcune spese straordinarie che si vogliono realizzate nel condominio. Ho iniziato a lesinare i pagamenti, per evitare che si arrivasse a un sovradimensionamento delle spese per il tetto. Molti condòmini ritengono che non sia necessario il rifacimento del tetto per un milione di euro”.
Peccato che il decreto ingiuntivo non dica una parola del tetto, ma attribuisca la morosità  a spese straordinarie per l’ascensore, spese straordinarie per l’impianto di riscaldamento e spese di ordinaria manutenzione.
Non c’è dietro anche una questione di senso civico?
“Di senso civico ne ho tantissimo — ribatte Santambrogio — Nelle relazioni è più quello che ho donato di quello che ho ricevuto. La mia generosità  è nota. Ancor più nota nella mia vita pubblica. Ora stiamo parlando di un condominio privato in cui c’è stata tensione su alcune spese. Non c’entra nulla il civismo rispetto al mio impegno civico nella realtà  milanese”.
Già , perchè “civico” è una delle parole chiave di Alternativa municipale, lista che lo stesso Santambrogio ha definito come “l’unica forza civica, l’unico vero progetto indipendente per un municipalismo vero e partecipato”.
Una lista nata in quell’area di centrosinistra che dopo il risultato delle primarie ha provato in un primo momento a fare sintesi su un’unica soluzione anti Sala, per poi dare origine a tre diverse candidature: Basilio Rizzo per Milano in Comune, Marco Cappato per i Radicali e, appunto, il nostro Santambrogio, assessore alla Mobilità  e ambiente ai tempi del leghista Marco Formentini ed ex presidente regionale di Italia Nostra.
Tra i suoi sostenitori c’è il socialista Roberto Biscardini, consigliere comunale uscente ed ex senatore, mentre il capolista di Alternativa municipale è Felice Besostri, uno degli avvocati che con un ricorso alla Consulta ha fatto dichiarare incostituzionale il Porcellum e oggi una delle principali voci contro l’Italicum e contro la riforma della Costituzione targata Renzi.
Sicuri che amministrare una città  sia più facile che amministrare un condominio?
“Io l’ho amministrata per quattro anni dal ’93 al ’97, in piena Tangentopoli, con partiti importanti con cui sono state fatti scelte importanti — dice Santambrogio -. Non sono l’amministratore del mio condominio, sono uno degli azionisti. E ci sono state delle divergenze di opinioni. Fa tutto parte di una dialettica relazionale”.

Luigi Franco
(da “il Fatto Quotidiano“)

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MATERNITA’ A OSTACOLI

Maggio 24th, 2016 Riccardo Fucile

ECCO PERCHE’ L’ITALIA HA SMESSO DI FARE BIMBI

Non è stata solo la crisi a determinare un numero così basso di nascite, e non è vero che le donne non vogliono più avere bambini.
Piuttosto, è vero invece, che siamo un Paese in cui è difficile vivere l’esperienza della maternità  e crescere figli.
Le donne sono iperflessibili e cercano di conciliare tutto, ma incontrano enormi difficoltà  perchè il resto della società  non lo è.
E’ rigida e cambia con lentezza la divisione dei ruoli nella coppia; i congedi parentali, per stereotipi duri a morire, sono ancora presi in massima parte dalle madri.
E’ rigida l’organizzazione del lavoro, specie nel settore privato, così come la pianificazione e l’organizzazione dei servizi per la prima infanzia, che sono scarsi, costosi e distribuiti in modo squilibrato a svantaggio del Sud.
I tempi delle città  e dei luoghi di vita non sono organizzati per rendere accoglienti e semplici le nostre vite.
Il part-time non è abbastanza flessibile per migliorare la conciliazione dei tempi di vita.
I tassi di occupazione femminile sono più alti per le single e più bassi per le madri, e frequenti sono le interruzioni del lavoro in seguito alla nascita dei figli.
Le donne non ce la fanno più, troppo sole nell’assunzione dei carichi familiari.
E’ vero che le nonne rappresentano una grande risorsa, ma l’estensione della vita lavorativa delle donne, le rende meno «disponibili» di una volta, quando erano per lo più casalinghe.
Il problema è che tutti questi elementi contribuiscono a fare del nostro un Paese in cui il clima sociale è sfavorevole alla maternità  e alla paternità . Tutto gioca contro questo desiderio e la sua realizzazione.
L’Istat lo ha documentato da anni. Flessibilità , termine femminile per eccellenza, deve diventare parola d’ordine di tutti se vogliamo invertire la tendenza.
Soprattutto serve flessibilità  maschile, quella dei luoghi di lavoro e quella delle politiche, non flessibilità  solo in funzione delle esigenze delle aziende.
Non basta il bonus bebè, il sostegno economico è importante, ma cambierà  poco se non diventiamo una società  a misura di bambino che punti allo sviluppo della qualità  della vita delle cittadine e cittadini di questo Paese
Il problema non nasce oggi, perchè il nostro è un Paese a bassa fecondità  da molto tempo. Lo si affronta e lo si rimuove, in modo altalenante, senza mai adottare una strategia adeguata, di ampio respiro e di lungo periodo, per reinvertire la situazione.
Il tempo passa e in mancanza di strategie complessive sono i singoli a costruirsi percorsi di adattamento alle difficolt�
Nel nostro Paese le nascite toccarono la punta massima di 1 milione e 35 mila nel 1964 e il minimo nel 1995 con 526 mila nati, la metà .
Da allora iniziò una continua seppur lenta ripresa. L’arrivo della crisi con il 2008 ha solo peggiorato una situazione già  critica da anni.
E’ normale che succeda, la crisi incide e agisce tradizionalmente sui rinvii delle nascite a tempi migliori, sia per problemi economici che di fiducia nel futuro.
Peccato che ciò sia avvenuto in un contesto già  di bassa fecondità . Ma se nel corso degli anni, e per parecchi anni, ci sono meno nascite, diminuiscono le donne giovani, cioè quelle che possono avere figli.
E’ un processo a catena: meno giovani donne significa meno figli. Ormai il Sud sta peggio del Nord quanto a fecondità , prima la situazione era opposta.
Serve una strategia multidimensionale che metta al centro tutti gli elementi che agiscono sul clima sociale sfavorevole alla maternità  e alla paternità : flessibilizzazione dell’organizzazione dei tempi, dei luoghi e dei soggetti, oltre a sostegno economico. Rendere praticabile la maternità  e la paternità  nella realtà  e non solo sulla carta è la questione fondamentale.
Dobbiamo creare una società  in cui si possano avere realmente tutti i figli che si desiderano, dove non solo la metà  delle coppie che vogliono un secondo figlio riescano ad averlo.
Una società  in cui non si deleghi solo alle donne il carico della cura, della maternità  e della paternità  e in cui le donne non paghino il prezzo del sovraccarico di lavoro e cura. I bambini sono un tesoro inestimabile e devono tornare ad essere considerati tali, un bene comune della nostra comunità .
E le donne con loro.

Linda Laura Sabbadini
(da “La Stampa”)

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