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I TERREMOTATI SFRATTATI DAGLI HOTEL: LE CASETTE PROMESSE DOVE SONO?

Maggio 2nd, 2017 Riccardo Fucile

A PORTO SANT’ELPIDIO GLI SFOLLATI SONO INVITATI A LASCIARE ALBERGHI E CAMPEGGI PER LASCIARE POSTO AI TURISTI… LA REGIONE: “NON E’ OBBLIGATORIO”

Sta per iniziare la stagione turistica e per gli sfollati del terremoto dell’autunno scorso ospitati nelle strutture della costa adriatica è tempo di andarsene.
La Regione Marche ha infatti “invitato” 150 sfollati che dall’ottobre 2016 vivono nei camping e negli alberghi di Porto Sant’Elpidio (Fermo) a spostarsi altrove per lasciare spazio ai turisti. Non torneranno però nelle loro case e nei loro paesi ma verranno ulteriormente sfollati a Lido di Fermo e a Marina Palmese.
I terremotati quindi verranno ulteriormente allontanati dai loro paesi e le persone, che in questi mesi avevano cercato di ricostruire una precaria forma di comunità , saranno di nuovo disperse.
Gli sfollati denunciano anche come diversi nuclei familiari, con la nuova “sistemazione”, verranno separati. C’è chi ha la zia malata che sarà  destinata ad una struttura mentre il resto della famiglia verrà  sistemato in un’altra ad una certa distanza. Un dramma nel dramma che rende ancora più difficile accettare quello che Regione Marche presenta come un invito e non come un obbligo.
Ma il motivo del nuovo trasferimento è chiaro: i camping e gli alberghi devono fare spazio ai turisti. I terremotati, che non hanno ancora ricevuto le chiavi delle famose “casette”, non possono tornare nei loro paesi d’origine.
Le casette d’emergenza, promesse mesi fa, infatti non ci sono. A complicare le cose c’è il fatto che la situazione è tutt’altro che chiara.
L’avviso di trasferimento consegnato agli sfollati dei terremoti del 26 e 30 ottobre 2016 prevede che il trasferimento avvenga entro il 15 maggio. Come ha spiegato Diego Camillozzi dell’associazione La Terra Trema Noi No quel foglio, arrivato sostanzialmente senza spiegazione, è stato visto da molti come un avviso di sfratto.
Se i terremotati vedono quel foglio consegnato dalla protezione civile come un ordine la Regione ha un’altra teoria.
Regione Marche, che da ottobre non è stata in grado di costruire le casette, nega si tratti di uno sfratto. L’assessore regionale Moreno Pieroni, parlando del trasferimento degli ospiti di un camping ha insistito sulla “volontarietà ” dei trasferimento:
Nessuno sfollato ospite dei camping verrà  costretto a trasferirsi in un’altra struttura. Chi si vuole spostare lo farà  spontaneamente. Questa è la linea dettata dal presidente delle Marche Luca Ceriscioli nei giorni scorsi, e a questa ci atteniamo
Ma la situazione sembra diversa perchè Unioncamping, l’associazione dei titolari dei campeggi ribatte che la causa del problema è proprio la Regione:
I titolari dei camping hanno fatto il massimo per garantire in questi mesi l’accoglienza e il supporto agli sfollati. Se siamo arrivati a questo punto è perchè la Regione non ha individuato a suo tempo alcuna soluzione alternativa.
Regione Marche, spiegano invece terremotati, non è riuscita in questi mesi a trovare un accordo con gli albergatori e quindi ora si vede costretta a trasferire gli sfollati in altre strutture.
I terremotati si sentono così trattati come pacchi postali e nella loro situazione è difficile comprendere il senso di questa modalità  d’aiuto che continua a complicare loro la vita.
I terremotati si trovano così presi in mezzo a questa lotta e sono i primi a rimetterci.
Il Sindaco di Pieve Torina, Alessandro Gentilucci, ha fatto sapere, tramite un rappresentante dei comitati, che “nessuno si deve muovere da proprio attuale alloggio” e che, se qualcuno si permettesse di fare azioni forzose, si chiami immediatamente il sindaco stesso.

(da “NextQuotidiano”)

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PERCHE’ LE STRADE ITALIANE STANNO CROLLANDO

Maggio 2nd, 2017 Riccardo Fucile

L’ERA DEL CEMENTO DEPOTENZIATO IN CAMBIO DI MAZZETTE INIZIA A PRESENTARE IL CONTO… UN ESEMPIO? SULLA RAMPA CHE HA CEDUTO A FOSSANO FU PAGATA UNA STECCA DI DUE MILIARDI DI LIRE

Il viadotto crollato a Fossano contiene il paradosso strutturale delle grandi opere italiane. La sua ragion d’essere come pretesto per distribuire mazzette e, in una parola, la sua inutilità  hanno evitato che si perdessero vite umane.
Al chilometro 61,3 della statale 231 che collega Asti e Cuneo passano, secondo uno studio per il prolungamento della tangenziale, «circa 300 veicoli equivalenti per direzione nell’ora di punta». Fanno cinque macchine al minuto. Una ogni dodici secondi nel momento del traffico più asfissiante.
Per fortuna quando il viadotto si è inginocchiato, bella espressione tecnica per indicare il cedimento dei cavi di precompressione, erano da poco passate le 14.30 di martedì 18 aprile, il giorno dopo Pasquetta. Gli unici esseri viventi nei dintorni erano i carabinieri che avevano parcheggiato la loro Fiat sotto il ponte per procedere ai controlli stradali. Per fortuna erano distanti dal mostro di cemento.
Forse i militi saranno contenti di sapere che sarà  un uomo dell’Arma, il generale Roberto Massi, nominato responsabile delle tutela aziendale dell’Anas il primo ottobre 2016, a guidare la commissione d’inchiesta interna ordinata dal numero uno della società  pubblica, Gianni Vittorio Armani. Di sicuro saranno felici di averla scampata e di non essere entrati nell’elenco di vittime per crolli simili che hanno provocato due morti sull’A 14 il 10 marzo 2017 e un morto ad Annone in Brianza, sulla Milano-Lecco, il 28 ottobre 2016.
Mentre si celebrano i 25 anni da Tangentopoli , e chi sa che ci sarà  da celebrare, l’età  d’oro di cementi e acciai depotenziati in cambio dell’arricchimento dei politici inizia a presentare il conto. Non c’è bisogno di andare a caccia di simboli a ogni costo per rilevare che i lavori di Fossano, finanziati nel 1990 per 40 miliardi di lire nel quadro delle Colombiadi di Genova del 1992, sono entrati in esercizio a 500 anni dalla scoperta dell’America e sono coetanei di Mani Pulite. Non è una semplice coincidenza, come si vedrà .
In attesa che la Procura di Cuneo guidata da Francesca Nanni e che gli ingegneri dell’Anas Achille Devitofranceschi e Massimo Simonini spieghino perchè il viadotto è crollato, qualche fatto certo si può elencare.
Numero uno: il viadotto di Fossano era stato controllato dai tecnici dell’Anas la stessa mattina in cui è crollato. Il cemento era perfetto e non mostrava quei segni di infiltrazione che possono erodere la tenuta dei cavi nascosti all’interno della struttura. Del resto, l’opera era giovane. Non c’era motivo per cui l’Anas dovesse inserirla nell’elenco della manutenzione straordinaria sulla quale insiste molto la gestione attuale per disposizione del ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio.
Numero due: l’asse stradale è rimasto sottoutilizzato perchè è privo di svincoli e di collegamenti con i tracciati vicini.
Numero tre: le ipotesi sulle ragioni del crollo, in questa fase, si limitano a un errore della progettazione oppure al cedimento dei cavi interni.
Numero quattro: fra il 1990 e il 1991 sull’opera sono stati pagati 2 miliardi di lire in tangenti, pari al 5 per cento dell’importo della commessa, all’allora ministro dei Lavori Pubblici e consigliere di amministrazione dell’Anas, il democristiano Giovanni Prandini.
Numero cinque: a pagare è stata l’impresa capogruppo dell’appalto, l’Itinera costruzioni generali di Marcellino Gavio, che ha versato la tangente attraverso il direttore generale dell’Anas, e fedelissimo di Prandini, Antonio Crespo
Stabilire una relazione diretta causa-effetto fra la corruzione umana e la corruzione dell’acciaio è, al momento, improprio. Bisognerà  che i tecnici, quelli dell’Anas e quelli del tribunale, completino il lavoro
Dall’interno della società  si parla di mesi, forse un anno. Ma dipende. Com’è accaduto con lo smottamento del viadotto Scorciavacche sulla Palermo-Agrigento a capodanno del 2015, la magistratura ha la precedenza
In questo momento, l’Anas ha subito il sequestro di tutto il materiale relativo alla commessa. Fonti della società  dicono di non potere ricostruire chi sia stato a progettare l’opera e chi fosse in associazione di impresa con Itinera per la realizzazione dell’appalto da 40 miliardi di lire. Men che meno si sa chi siano stati i fornitori dei materiali, a maggior gloria della trasparenza.
L’Espresso ha chiesto lumi all’attuale guida del gruppo di Castelnuovo Scrivia (Alessandria), Beniamino Gavio, figlio di Marcellino. «Stiamo ricostruendo i passaggi della vicenda ma non è semplice. Dopo venticinque anni non c’è più nessuno dell’epoca ancora in azienda», dice Gavio da San Paolo del Brasile dove sta proseguendo la sua campagna di acquisizioni autostradali iniziata con Ecorodovias a dicembre 2015.
Il traffico di mazzette è cambiato, come il modo di versarle. Dalle valigette ai politici si è passati a consulenze, prestanomi e affidamento lavori. Un nuovo sistema basato su triangolazioni e più difficile da smantellare.
La perizia interna del gruppo Gavio per adesso ha messo in evidenza che il primo lotto della statale fu completato nel 1993. In seguito c’è stata una sospensione dell’opera, dovuta alla mancanza di finanziamenti da parte dello Stato. Dopo un lungo periodo in cui i viadotti di Fossano sono rimasti sospesi nel nulla, alla fine degli anni Novanta è stato terminato anche il secondo lotto. Se si accertasse che il danno infrastrutturale è stato provocato dall’interruzione dei lavori, si potrebbe configurare una corresponsabilità  fra la stazione appaltante (Anas) e l’impresa appaltatrice.
L’incertezza del quadro generale non depone a favore di una rapida soluzione del caso. Del resto, anche nel caso dello Scorciavacche, dov’è intervenuta la Procura di Termini Imerese, a oltre due anni dall’incidente non esiste un’attribuzione di responsabilità  certa fra Anas e le imprese che hanno realizzato i lavori.
Per il crollo di Annone, sabato 29 aprile c’è stata una marcia per ricordare la tragedia ma dopo sei mesi ancora non sono stati divulgati i risultati della perizia disposta dal tribunale*
Per il viadotto di Fossano l’iter non potrà  essere tanto diverso. La commissione guidata dal generale Massi, ex comandante provinciale dell’Arma a Torino e direttore degli affari generali al ministero dello Sviluppo dal 2009 al 2011 su chiamata di Claudio Scajola, avrà  parecchio materiale da analizzare.
Nell’epopea di Mani Pulite la statale 231 di Santa Vittoria è una nota a margine dentro l’ampio paragrafo delle tangenti sui lavori pubblici, sul ministero guidato dal bresciano Prandini e sull’Anas che ancora era saldamente nel controllo della holding pubblica Iri, guidata dall’andreottiano di ferro Franco Nobili.
Crespo è fra i primi indagati dell’allora ente per le strade. Dopo una breve latitanza a Parigi, a marzo del 1993 si consegna al pool di magistrati romani (Giancarlo Armati, Sante Spinaci, Giorgio Castellucci e Cesare Martellino) che indagano sugli appalti delle Colombiadi e dei mondiali di calcio di Italia ’90. Gli interrogatori di Crespo sono un atto di accusa a Prandini e, nell’estate successiva, si trasformano nella domanda di autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro, del deputato dc Francesco Cafarelli, dello stesso Crespo e di un giovane consigliere del Comune di Roma, destinato a una bella carriera. È Lorenzo Cesa, prandiniano in una capitale dove dominano i colonnelli del Divo Giulio, personaggi a forti tinte con soprannomi da Romanzo Criminale: “lo squalo” Vittorio Sbardella e “il biondo” Giorgio Moschetti.
Il 27 luglio il collegio del tribunale di Roma presieduto da Ivo Greco concede l’autorizzazione a procedere nei confronti di Prandini, Cafarelli, Cesa e Crespo con questa motivazione: “si può concludere che il ministro Prandini con il concorso di alti dirigenti dell’Anas abbia ideato, organizzato ed attuato un vero e proprio sistema concussorio nel conferimento degli appalti Anas”.
L’elenco comprende 17 episodi. Il più noto è quello della cessione dell’hotel Rosa Camuna di Borno, di proprietà  del ministro e della sua famiglia, venduto al costruttore Antonio Baldi con la mediazione di Cesa per 7 miliardi di lire. Per Baldi era un “prezzo esorbitante”. Ma l’imprenditore si era sentito rispondere che “se voleva i lavori dell’Anas, quello e non altro doveva essere il prezzo”.
Il costruttore, che aveva bisogno assoluto di rimpinguare il portafoglio ordini della sua società  (Baldi-Carriero), aveva acquistato l’albergo in Val Camonica a marzo del 1990. Prandini era stato di parola. Nei due anni successivi l’impresa di Baldi aveva ottenuto lavori in affidamento per 670 miliardi di lire.
In quanto alla tangenziale di Fossano, la procedura era stata la stessa. L’Itinera di Marcellino Gavio aveva ottenuto l’assegnazione dei lavori dall’Anas il 26 luglio 1990 insieme a un pacchetto di altre opere legate alle Colombiadi. La contropartita, come si legge nei documenti giudiziari dell’epoca, era consistita nella somma di “circa 2 miliardi di lire in contanti in più riprese, richiesta e ricevuta dal Crespo per conto del ministro Prandini, con la minaccia di non affidare i lavori alla suddetta impresa, cagionando al medesimo Gavio un danno patrimoniale di rilevante entità ”.
Per l’imprenditore alessandrino, scomparso nel novembre 2009, la fase terminale della Prima Repubblica è coincisa con gli anni della grande espansione. Partito insieme al fratello Pietro da una semplice impresa di trasporti che prelevava la ghiaia sul letto del Po per fornirla alle imprese edili, Gavio era diventato lui stesso costruttore acquisendo Itinera negli anni Sessanta e si era ingrandito prima su base locale, poi su base nazionale grazie ai suoi appoggi politici a 360 gradi, dalla Dc al Pci.
Tutti condannati e tutti assolti
Gli anni dell’appalto di Fossano sono quelli in cui Gavio, che si è affidato alla Mediobanca di Enrico Cuccia, inizia a fare incetta di concessioni autostradali, prima rilevando la Torino-Milano dalla Fiat, poi con la Milano-Serravalle, il tracciato più vicino a casa, con il terzo valico dell’alta velocità  Milano-Genova e con il nuovo progetto affidato dall’Anas della Asti-Cuneo. Insieme ai pedaggi il gruppo alessandrino acquista da Salvatore Ligresti anche l’impresa padovana Grassetto che poi assorbirà  Itinera costruzioni generali, da non confondere con l’Itinera che ancora oggi è in attività 
Durante Tangentopoli, non sempre Gavio e i suoi sono stati considerati semplici vittime o concussi, come si diceva nelle cronache giudiziarie del tempo. Il manager operativo di Gavio, Bruno Binasco, è stato più volte arrestato soprattutto per i suoi rapporti con l’area delle cooperative rosse e con il funzionario del Pci Primo Greganti, passato alla storia come “il compagno G”.
Lo stesso fondatore del gruppo, raccolto sotto la holding Argo Finanziaria, è stato latitante a Montecarlo per alcuni mesi dall’agosto 1992. Ma nessuno lo ha risarcito delle tangenti pagate per le Colombiadi, come nessuno ha risarcito il contribuente.
Il processo sui 35 miliardi di lire di tangenti Anas su 750 miliardi di lavori si è concluso in modo trionfale per gli imputati. Dopo le condanne in primo grado a Prandini, Crespo, Cesa, nel giugno 2003 la corte d’appello di Roma ha annullato la sentenza e rimandato gli atti alla Procura della repubblica in base a un verdetto con valore retroattivo della Corte costituzionale dove si stabiliva che il tribunale dei ministri non poteva fungere da pubblica accusa e da gip contemporaneamente.
Nel 2005 il gip di Roma ha dichiarato il non luogo a procedere definitivo perchè gli atti erano inutilizzabili. Nello stesso anno è sopraggiunta la prescrizione grazie ai nuovi criteri fissati dal governo Berlusconi che, in quella fase, aveva come alleato di governo l’Udc dell’europarlamentare Cesa, eletto segretario nazionale proprio nel 2005.
Incidenti e fusioni
Benchè l’attuale dirigenza dell’Anas non abbia responsabilità  nelle vicende del crollo di Fossano, l’incidente non poteva avvenire in un momento peggiore. La società  pubblica, dopo anni di annunci a vuoto, si sta concentrando sulla fusione con le Ferrovie dello Stato che era uno degli obiettivi strategici fissati dall’allora premier Matteo Renzi ad Armani, all’atto della nomina due anni fa. La fusione mira a portare l’Anas, in quanto controllata da un’azienda di diritto privato, fuori dal perimetro dell’amministrazione pubblica per recuperare uno 0,3 per cento nel rapporto deficit-pil.
L’operazione, in sè tutt’altro che semplice, potrebbe risentire delle pressioni degli amministratori locali che, a partire dal governatore piemontese Sergio Chiamparino, hanno invocato controlli in serie sulle infrastrutture, anche quelle più recenti. Nè si vede per quale motivo i controlli straordinari sull’ordinario dovrebbero essere limitati al Piemonte e non estesi al resto dell’Italia.
Intensificare le verifiche significa una sola cosa: aumento dei costi. Dal punto di vista delle Fs, la fusione con l’Anas, che a differenza delle Ferrovie ha ricavi modesti, è già  abbastanza mal vista in termini di impatto sul bilancio. L’effetto impiombamento contabile, che finora è stato il maggiore responsabile della mancata fusione, è stato oggetto di lunghe trattative in sede ministeriale.
Il problema maggiore, ossia il contenzioso da 9 miliardi di euro dell’Anas con le imprese, sembrava essere stato superato con una megasanatoria da 700 milioni di euro complessivi gestita riesumando il vecchio criterio dell’accordo bonario, un sistema che ha creato un’emorragia finanziaria colossale da parte dello Stato in favore delle imprese.
Ma, a parte il danno all’immagine presentato dal viadotto piemontese afflosciato sull’asfalto sottostante, nell’insieme è improbabile che l’incidente rimetta in discussione la nuova conglomerata Fs-Anas. Purtroppo è altrettanto difficile che si possano effettuare i controlli necessari sulle opere ereditate dall’età  di Tangentopoli, ammesso che Tangentopoli si possa inquadrare fra un inizio e, soprattutto, una fine. Proverbialmente, è come cercare un ago nel pagliaio, anche se di aghi sembrano essercene parecchi.
In quanto a rimettere in piedi il viadotto di Fossano non c’è fretta. Tanto non ci passava nessuno neanche prima.

(da “L’Espresso”)

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TORINO, PER IL M5S MEGLIO I CENTRI SOCIALI DEI SINDACATI, E’ LA DEMOCRAZIA “DIRETTA”: QUELLA DELLE UOVA MARCE DIRETTE CONTRO LE FORZE DELL’ORDINE

Maggio 2nd, 2017 Riccardo Fucile

E UNA CONSIGLIERA GRILLINA VUOLE CHE NON SIANO PIU’ CONCESSE PIAZZE AI SINDACATI

Ieri Susanna Camusso ha attaccato Beppe Grillo, in risposta alle sue esternazioni: chiunque intenda limitare la presenza del sindacato ha pulsioni totalitarie.
Sempre ieri, a seguito della manifestazione (e dei soliti scontri) del Primo Maggio a Torino, una consigliera comunale dei 5 Stelle ha sostenuto che “non dobbiamo più concedere la piazza ai sindacati”.
È bene sorvolare sui trascorsi e sui curriculum della consigliera. E si trascuri anche il fatto che non pochi pentastellati, anche parlamentari, abbiano avuto trascorsi nei sindacati di base: sarà  un caso.
Ma almeno questo va detto: il M5S prefigura il superamento del ruolo dei sindacati unitari, per andare verso un rapporto diretto tra datore di lavoro e lavoratore, quasi che la loro forza contrattuale sia sempre alla pari.
Un po’ come per la democrazia diretta: bastano i click su ogni questione e i parlamentari eseguono la volontà  del popolo.
In compenso, sentono il dovere di difendere i manifestanti dei centri sociali. Che tirino le uova marce ai poliziotti è solo una forma di espressione creativa.
Appunto, di democrazia diretta.

(da “Huffingtonpost“)

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SALVINI PASSA (PURTROPPO) SOLO UNA NOTTE AL CARA DI MINEO, NELLA VILLETTA CON I CONFORT

Maggio 2nd, 2017 Riccardo Fucile

POI SPARA LE SOLITE CAZZATE SULLE ONG: “CHI ATTACCA ZUCCARO SE LA VEDRA’ CON ME”: BUUUU, SAI CHE PAURA… E MENTE SULLE ONG COME SEMPRE

Notte al Cara (Centro accoglienza richiedenti asilo) di Mineo per Matteo Salvini, il leader della Lega Nord che ieri pomeriggio è arrivato nel Centro d’accoglienza del catanese che ospita oltre 3.300 migranti.
Insieme con Salvini hanno dormito al Cara di Mineo anche i due parlamentari siciliani della Lega-Noi con Salvini, Angelo Attaguile e Alessandro Pagano.
Ai tre deputati è stata riservata una delle piccole villette solo per loro, non hanno scelto di suddividersi tra gli ospiti della struttura.
Salvini ieri ha vistato il centro e ha parlato di un “vero e proprio mercato dove puoi acquistare di tutto, si vendono scarpe nuove e pantaloni, ma soprattutto quello che contesto è che questa sia integrazione”.
E qui la prima gaffe: in primo luogo i Cie li vuole lui, in secondo luogo sono centri di identificazione ed espulsione, dove i richiedenti asilo dovrebbero sostare pochi giorni per poi vedere accolta la richiesta (e quindi iniziare il processo di integrazione) o essere espulsi se non hanno titolo per restare (e quindi l’integrazione non è necessaria).
Poi altra sparata falsa:   “Ci sono che stanno rifiutando di essere audite dal nostro Parlamento, perchè non vogliono dire chi li finanzia”. Basterebbe leggesse i giornali per sapere che anche il Moas ha accettato l’audizione non avendo nulla da nascondere, non solo quelle più note.
Infine la manipolazione del caso Zuccaro: “Spero che il procuratore di Catania Zuccaro non venga processato e perseguito per avere documentato quello di cui è a conoscenza”.   Peccato che non abbia ducomentato una mazza, ma per Salvini la verità  poco conta.
E conclude gonfiando il petto: “Chi intende toccare Zuccaro dovrà  fare i conti prima con me”. Dopo aver visto come è scappato a gambe levate a Bologna di fronte a 4 ragazzotti dei centri sociali, fossimo in Zuccaro sceglieremmo altro genere di protezione.
La notizia triste è che la permanenza di Salvini al Cara di Mineo è durata solo poche ore necessarie per lo spot.
Abbiate pazienza: per l’espulsione dei clandestini del genere umano dal nostro Paese c’è ancora bisogno di tempo .

(da agenzie)

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CHE FIGURA LE PEN-OSA: MARINE COPIA IL DISCORSO DI FILLON PAROLA PER PAROLA

Maggio 2nd, 2017 Riccardo Fucile

NEL COMIZIO DEL PRIMO MAGGIO UTILIZZA QUATTRO INTERE PARTI DEL DISCORSO TENUTO DA FILLON DUE SETTIMANE FA A PUY-EN-VELAY SULLA CULTURA… LO AVESSE FATTO CITANDO L’AUTORE PER UN ESCAMOTAGE POLITICO AVREBBE AVUTO ANCORA UN SENSO, MA COSI’ HA DIMOSTRATO DI ESSERE ESPERTA SOLO DI COCKTAIL

Durante il comizio tenuto ieri a Villepinte, Marine Le Pen, la candidata del front national al secondo turno delle presidenziali francesi, ha copiato almeno quattro passaggi di un discorso tenuto il mese scorso da Francois Fillon, l’ex premier sconfitto al primo turno.
Il 15 aprile scorso infatti il candidato della destra aveva evidenziato la geografia della Francia, in particolare le “frontiere terrestri: innanzitutto i pirenei, che immettono la Francia in questo grande insieme che è il mondo ispanico e latino. La frontiera delle Alpi, verso l’Italia nostra sorella, e da lì l’europa centrale, balcanica e orientale”.
Ieri, Le Pen ha ripetuto le stesse frasi, quasi parola per parola, lodando a sua volta “le frontiere terrestri: i pirenei che immettono la francia in questo grande insieme che è il mondo ispanico e latino. Le nostre alpi, che si aprono verso l’Italia nostra sorella e da lì verso l’europa centrale, balcanica e orientale”.
Stesse frasi anche sulla lingua francese da parte di Fillon e Le Pen: “se si impara la nostra lingua, a volte a caro prezzo, in Argentina e in Polonia, se esistono liste di attesa per iscriversi all’alliance francaise di Shanghai, Tokyo, Città  del Messico, o presso il liceo francese a Rabat come di Roma, se Parigi è la principale destinazione turistica del mondo, è perchè la Francia non è solo una potenza industriale, agricola o militare”.
Sia Fillon che Le Pen hanno indicato una terza via “francese” per il xxi secolo: “la via della cultura, del dubbio, della discussione, del compromesso, del dialogo, della via dell’equilibrio, della libertà  degli individui e dei popoli”.
Se per Fillon questa è un’alternativa al nazismo e allo stalinismo per Le Pen è un’alternativa alla “globalizzazione” e “all’ideologia islamista”.
Infine, Le Pen ha citato, come aveva fatto anche Fillon, le stesse due frasi del premier Georges Clemenceau e dello scrittore Andre Malraux.
Il copia-incolla avrebbe avuto ancora un senso, come escamotage dialettico, se alla fine avesse detto: “non sono parole mie, ma di Fillon” per ingraziarsi gli elettori repubbicani, ma se n’è ben guardata, a dimostrazione che di semplice plagio si trattava.
Interpellato dalla france presse, il vicepresidente del front national, Florian Philippot, ha detto imbarazzato che si è trattato di un “cenno di un breve passaggio di un discorso sulla francia” da parte di “un candidato”.
Idee proprie evidentemente la Le Pen, slogan qualunquisti a parte, non ne ha.

(da agenzie)

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INTERVISTA A EDOUARD LOUIS: “HO VOTATO MELENCHON, ANCHE SE NON LO AMO VOTERO’ MACRON”

Maggio 2nd, 2017 Riccardo Fucile

LO SCRITTORE: “LA VERA NOVITA E’ MELENCHON CHE HA GUADAGNATO DIECI PUNTI, NON MARINE LE PEN CHE NE HA PERSI OTTO”

Lo scrittore francese à‰douard Louis risponde da New York dove sta presentando l’edizione americana dei suoi due romanzi «Il caso Eddy Bellegueule» e «Storia della violenza» (finalista al premio Gregor von Rezzori di Firenze).
Orienta per un istante il computer per mostrare via Skype i grattacieli di Manhattan, sorride, poi accetta di parlare di politica, quindi di sè.
Per chi ha votato al primo turno?
«Jean-Luc Mèlenchon. Per la prima volta dopo decenni una parte delle classi popolari si è finalmente sentita rappresentata dalla sinistra, e questo per me è il dato più importante delle presidenziali. Mio fratello minore 18enne mi ha scritto un’ email per dirmi che faceva il volontario per Mèlenchon. Una rottura straordinaria con il nostro ambiente. In un villaggio dove alle elezioni europee il Front National ha preso più del 50%, se mio fratello vota Mèlenchon è successo davvero qualcosa a sinistra».
In «Eddy Bellegueule» lei descrive la sua famiglia di sottoproletari poverissimi del Nord della Francia, elettori entusiasti della dinastia Le Pen.
«Quando Jean-Marie Le Pen passò al secondo turno, nel 2002, mi ricordo l’esplosione di gioia di mio padre davanti alla tv, era commosso fino alle lacrime. Nel nostro piccolo villaggio mio padre accompagnava mio nonno e mia sorella fin dentro il seggio per verificare che votassero FN».
Come mai questa passione per il FN?
«Dicevano sempre “in ogni caso destra e sinistra sono la stessa cosa, non fanno niente per noi”, e in quel ”in ogni caso” c’era tutta la delusione per essere stati abbandonati dalla sinistra che si è messa al servizio del mercato. La sinistra ha smesso di difendere i deboli, e si è occupata al massimo di come gestirli all’interno di rapporti di forza ormai accettati».
Invece i Le Pen, padre e figlia, parlano al popolo?
«Per quanto sia paradossale, i miei genitori si sentono considerati da loro. Quando ero piccolo li sentivo dire “sono gli unici che parlano di noi”, e questo è decisivo. I miei volevano esistere agli occhi degli altri, che in fondo è quello che vogliamo tutti. Mio padre e mia madre non potevano godersi il lusso di votare in base a un programma, un’opinione. Quella è una cosa da privilegiati. Per loro il voto è il tentativo di esistere. La differenza tra dominanti e dominati, come diceva Pierre Bourdieu, sta certamente nel denaro, diplomi, cultura, ma soprattutto i primi hanno il diritto di esistere due volte. Vivono come tutti, con il loro corpo, mangiano, bevono, dormono, ma in più hanno una seconda esistenza nel mondo delle rappresentazioni, nella letteratura, nel cinema, alla televisione. Nella mia infanzia noi eravamo il nulla, esistevamo solo al momento delle elezioni, e i miei andavano a votare per Le Pen perchè anche loro volevano esistere due volte, almeno il giorno delle elezioni».
La politica è una questione personale?
«Sì, per me. Una cosa sensibile, corporea, personale. Quando sono arrivato a Parigi mi sono reso conto che per la borghesia e la sinistra parigina la politica non contava così tanto, che al potere ci sia la destra o la sinistra la borghesia resta tale e quale, mentre la politica per noi era una questione di vita o di morte, un governo o un altro voleva dire “possiamo mangiare, o no?”. Mio padre è andato dal dentista la prima volta della sua vita quando aveva 14 anni, per lui la politica è una cosa fisica, significa dire avere mal di denti o no. A Parigi mi sentivo male nel vedere che per tutte queste persone, alla Normale per esempio, la politica è una questione di conversazione, se ne parla a fine cena come si parla dell’ultima esposizione. Ma per un migrante la politica vuole dire morire nel Mediterraneo o riuscire a mettere piede in Europa. Per me la politica non è un gioco intellettuale, e mi accusano di essere violento, di essere troppo veemente, ma a me sembra che i violenti siano gli altri, quelli che accettano la miseria e la povertà . Su 66 milioni di abitanti in Francia, 8,8 sono poveri. Non è una realtà  residuale superata dai tempi».
Mèlenchon si rifiuta di invitare a votare per Emmanuel Macron al ballottaggio. Lei che cosa farà ?
«Pur di evitare Marine Le Pen presidente voterò Macron, e Mèlenchon fa un grosso errore a non esprimersi in suo favore, perchè bisogna sempre servirsi della politica per ridurre al minimo la violenza. Questa è l’altra cosa che mi separa da Mèlenchon, oltre a una politica estera terrificante. Il grande paradosso di questa elezione però è che Macron è considerato l’antidoto al FN mentre penso che sono gli uomini come Macron ad avere fatto crescere Marine Le Pen negli ultimi anni. Sono i liberali di sinistra, più o meno, quelli che hanno abbandonato i miei genitori. Fanno riforme liberali e il risultato è che le diseguaglianze di classe sono sempre più violente e profonde. Voterò Macron al ballottaggio ma non lo amo. Nega la divisione tra destra e sinistra come hanno sempre fatto i regimi autoritari, e temo che finirà  per provocare involontariamente un’ulteriore avanzata del Front National. Non ho granchè paura per l’esito di questa elezione, ma sono davvero preoccupato per la prossima».
Perchè è così critico nei confronti di Emmanuel Macron?
«Mio padre una volta perse il lavoro in fabbrica, e se voleva conservare gli aiuti dello Stato era obbligato ad accettare le proposte di lavoro più improbabili. Gli davano 600 euro al mese per un lavoro part-time a 50 chilometri da casa, avrebbe speso 300 euro di benzina. Macron vuole inasprire questo genere di sorveglianza. Sta dalla parte degli imprenditori, e ha detto di voler varare leggi per decreto senza passare dal Parlamento. Se Melenchon avesse detto questo lo avrebbero accusato di colpo di Stato». Macron è andato a incontrare gli operai a Amiens, i ragazzi di periferia a Sarcelles. «Mi ricorda un ministro che aveva annunciato che avrebbe visitato il locale delle scope nell’azienda dove lavorava mio padre, un uomo di destra molto inviso alle classe popolari. Mio padre per giorni minacciava, ”vedrete, gliene dico quattro, lo insulto, gliela faccio vedere io”. Ma il giorno in cui il ministro è arrivato mio padre non gli ha detto niente. Era intimidito, c’erano le guardie del corpo, e il ministro era vestito così bene… Mio padre è stato umiliato e ridotto al silenzio dagli attributi del potere, è tornato a casa dicendo “ma no, tutto bene, è una brava persona”. Macron che parla di dialogo sociale, ma dov’è il dialogo sociale se non teniamo in conto questi rapporti obiettivi di classe?».
Quali conseguenze avrà  il risultato di Jean-Luc Mèlenchon e della sua «France insoumise»?
«La rinascita di una vera sinistra, spero. Tutti parlano della nuova avanzata di Marine Le Pen, ma sei mesi fa lei era al 30%, ha perso oltre 8 punti, mentre Melenchon era a 8 punti e ne ha guadagnati oltre 10. E le primarie del Partito socialiste sono state vinte dall’outsider più a sinistra, Benoà®t Hamon. La sinistra è riuscita a imporre il suo linguaggio e i suoi temi». Negli ultimi anni il dibattito politico è stato dominato dalle idee della destra. «Ma una delle ragioni per le quali stavolta Marine Le Pen non ha sfondato più di tanto è che per fortuna l’islam non è diventato il tema centrale delle elezioni. E perchè? Perchè ne parlava solo lei, mentre la sinistra imponeva i temi del reddito universale, delle pensioni, della disoccupazione. La grade catastrofe della sinistra in passato è stata di limitarsi a rispondere alla destra, che ha occupato il terreno».
Le classi sociali, e la lotta di classe, esistono ancora?
«Secondo me sì. Sto viaggiando molto per promuovere i miei libri, e ovunque vada tutti mi dicono ”ah sì, ci interessa molto come parli delle classi sociali in Francia ma da noi non è così”. E’ molto curioso, le classi sociali sono sempre altrove, mai nel proprio Paese. Vai in Cile, Giappone, Kosovo, in Norvegia, ti dicono la stessa cosa. E’ una rimozione che è una dimensione della violenza e spiega che cosa succede poi nelle urne».
I confilitti di classe sono al centro anche del suo secondo romanzo, «Storia della violenza». Quale differenza con il primo su «Eddy Bellegueule»?
«In Storia della violenza c’è una dimensione supplementare rispetto a Eddy Belleguele, perchè lì descrivevo un ambiente popolare bianco, e nel secondo romanzo invece parlo delle classi popolari francesi non banche, arrivate dal Nordafrica, che vivono in periferie, con l’esplorazione delle differenze e di quel che può unire queste classi. Il protagonista Reda è algerino e molto violento, una violenza legata dinamiche sociali di esclusioni che conosco bene. Nel libro io incarno, per questo ragazzo, la classe dominante. La violenza di classe esiste anche senza volerlo, esattamente come il ministro nella storia di mio padre, con quel suo modo di parlare e di vestirsi. Nel librosi pone la questione di sormontare il paradosso: il più delle volte, se parli delle classi popolari, è perchè le hai lasciate, ne parli precisamente perchè te ne sei andato».
Lei critica molto il romanticismo che alcuni fanno sull’idea di popolo.
«La sinistra cade nell’ideologia meritocratica quando difende le classi popolari provando a dimostrare che «sono delle brave persone. Ma io posso dire allo stesso tempo che mio padre non è una brava persona, e battermi contro le violenze obiettive che è stato costretto a subire. Non mi interessa che una persona sia gentile o no, mi chiedo se è vittima o no di una vera violenza, e se questa violenza è sopportabile o no. Le persone spesso non se ne rendono conto, ma la riproduzione sociale esiste. Tu nasci con le classi sociali e le ineguaglianze e partecipi del loro mantenimento. Magari anche solo con la frase ”ma chi ti credi di essere”, una frase che tutti ripetono, come se fosse un problema prendersi per chi non si è, come se si dovesse essere sempre quelli che si è stati e quel che il mondo ha deciso che si debba essere. Per me è formidabile se le persone si credono di essere qualcosa che non sono, se producono uno scarto tra quel che sono stati e quel che vogliono diventare».
Come vive il suo trovarsi a New York, e la sua indubbia scalata sociale?
«Sento di non avere tradito nessuno. “Tu hai tradito” significa dire “tu appartieni alla tua famiglia, al tuo ambiente, al tuo villaggio”, ma io voglio definire le mie appartenenze. Il che è anche ironico, perchè poi scrivo sempre delle classi popolari. Comunque, la mia è una sinistra di progresso. Tutte le persone dovrebbero avere la possibilità  di reinventarsi»«Sento di non avere tradito nessuno. “Tu hai tradito” significa dire “tu appartieni alla tua famiglia, al tuo ambiente, al tuo villaggio”, ma io voglio definire le mie appartenenze. Il che è anche ironico, perchè poi scrivo sempre delle classi popolari. Comunque, la mia è una sinistra di progresso. Tutte le persone dovrebbero avere la possibilità  di reinventarsi».

Stefano Montefiori
(da “il Corriere della Sera”)

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OMICIDIO ANZIANA A GENOVA, L’ASSASSINO E’ IL TIZIO CHE AVEVA INCOLPATO “UNO STRANIERO DI COLORE”

Maggio 2nd, 2017 Riccardo Fucile

L’ EFFERATO DELITTO IN UN QUARTIERE POPOLARE: E’ STATO IL FIGLIO TOSSICODIPENDENTE DELLA VICINA DI CASA PER 30 EURO E TRE ANELLI

Una donna di 86 anni , Anna Carla Arecco, scomparsa da tre giorni, è stata trovata priva di vita all’interno dell’abitazione dei vicini di casa in via del Lagaccio 2 : il corpo della pensionata era nascosto sotto il letto e presentava una vistosa ferita alla testa, inferta molto probabilmente con un corpo contundente.
Sull’accaduto indagano i carabinieri, che hanno rintracciato il figlio della proprietaria della casa e lo hanno portato in caserma.
L’uomo è stato interrogato tutta la notte dai militari del nucleo Investigativo: si chiama Pierluigi Bonfiglio, ha 34 anni, ed è un genovese di professione cuoco. È stato fermato per il reato di omicidio volontario e occultamento di cadavere.
Bonfiglio, un ex cuoco disoccupato, per spiegare il ritrovamento del cadavere della donna sotto il letto della sua camera aveva detto che era stata uccisa da uno straniero di colore, senza però riuscire a fornire notizie utili ad identificarlo.
Nella notte l’uomo ha confessato il delitto: «L’ho fatto perchè avevo bisogno di comprarmi la droga»; accusato anche di rapina, Bonfiglio ha raccontato che «l’ho attirata con una scusa e poi l’ho uccisa con un oggetto. Quindi ho nascosto e dormito con il cadavere tre giorni perchè in camera mia non entrava mai nessuno»; l’uomo è ora in carcere a Marassi.
Questa mattina Bonfiglio ha parzialmente modificato la sua versione dei fatti durante l’interrogatorio davanti al magistrato alla presenza del suo avvocato, Alessandro Sola, dicendo che «venerdì sera (l’omicidio sarebbe avvenuto intorno alle 19, ndr) sono salito in casa della signora con uno spacciatore. Mi sono fatto aprire la porta con una scusa. Il pusher l’ha portata in casa mia e io sono rimasto nell’appartamento per rubare perchè dovevo pagarmi la droga».
Bonfiglio ha detto di avere preso 30-40 euro e tre anelli, di cui «uno l’ho dato al pusher e gli altri due li ho rivenduti a un “compra oro” di via Balbi. Dopo ho nascosto il corpo sotto al letto, non sapevo cosa fare. Ho cercato di ripulire in fretta per non far trovare le tracce di sangue a mia madre al suo ritorno a casa».
Gli investigatori stanno vagliando il racconto dell’uomo e sono alla ricerca dell’arma del delitto, oltre che del presunto complice e delle chiavi di casa della vittima: secondo gli inquirenti sarebbero sparite e qualcuno sarebbe tornato nell’appartamento della pensionata dopo l’omicidio, visto che sono stati trovati i mobili spostati.
A scoprire il corpo senza vita dell’anziana è stata la madre di Bonfiglio, che subito dopo ha accusato un malore: l’uomo era già  noto alle forze dell’ordine per questioni legate alla droga.

(da “Il Secolo XIX”)

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