Maggio 22nd, 2017 Riccardo Fucile
IL PD IMMAGINA UN PROPORZIONALE TEDESCO
Direzione nazionale del Pd il 30 maggio, dedicata alla legge elettorale, proprio alla vigilia del suo approdo in aula il 5 giugno.
Stavolta Matteo Renzi ha intenzione di fare sul serio sul sistema di voto. “Per tutta la settimana – scrive su Facebook – il Pd sarà pronto a incontrare gli altri partiti, nelle forme e nelle delegazioni che siamo pronti a concordare con i singoli schieramenti”. L’offerta di Silvio Berlusconi di proporzionale alla tedesca piace sempre di più in casa Pd, anche perchè pare accompagnata dal voto anticipato a subito dopo l’estate.
Anche se negli incontri con gli altri partiti Renzi vuole comunque partire dal Mattarellum, prima proposta del Pd ma senza maggioranza in Parlamento.
“Vediamo, voteremo la legge elettorale che ha più voti”, ci dice Ettore Rosato, capogruppo Dem alla Camera. E intanto il ‘proporzionale alla Silvio’ miete simpatie da sinistra a destra: è questa la volta buona?
“L’ideale sarebbe un tedesco proporzionale, perchè nessun sistema garantisce la governabilità senza ballottaggio e con due camere non puoi avere il ballottaggio…”, dice un renziano doc, a taccuini chiusi.
Ancora il ‘sogno tedesco’ di Matteo Renzi non è maturo per farsi esplicito, ma certo si riscalda con l’offerta di Silvio Berlusconi: proporzionale con voto in autunno. Allettante. Il segretario Pd valuta la proposta, spera non sia un bluff, potrebbe anche dare il via libera per il voto in commissione a partire dalla prossima settimana, abbandonando il Rosatellum, proposto dal Pd soltanto la settimana scorsa.
Ma le incognite sul campo seminano ancora molto scetticismo sulla legge elettorale.
L’input che dal Nazareno arriva ai gruppi parlamentari del Pd è di procedere per gradi. Domani in commissione Affari Costituzionali il Pd proporrà l’adozione del Rosatellum quale testo base, prevedibilmente lo voterà con la Lega e pochi altri.
Non vuol dire che rimarrà Rosatellum fino alla fine di una diatriba parlamentare sulla legge elettorale che si annuncia ancora insidiosa e senza garanzie di riuscita.
Domani sarà Rosatellum, dopodomani chissà . I parlamentari del Pd domani sera sono convocati dal capogruppo Ettore Rosato per una riunione sulla legge elettorale.
Non tutti sono convinti della necessità di seguire il richiamo di Berlusconi. Il Pd renziano però aspetta Forza Italia alla prova degli emendamenti: saranno presentati questa settimana entro venerdì, mentre la prossima settimana dovrebbero essere votati.
Al quartier generale del segretario Dem sanno che il partito di Berlusconi presenterà un emendamento teso a trasformare il Rosatellum in proporzionale puro, alla tedesca. E potrebbero anche appoggiarlo la prossima settimana.
Ma questo dipende anche dalle reazioni del resto delle forze politiche. In modo particolare: il M5s. “Se esagerano con la propaganda dell’inciucio tra Pd e Forza Italia, noi andiamo avanti con il Rosatellum”, segnala una fonte Dem.
Maria Elena Boschi fa già scattare la controffensiva Dem. “Il Pd – dice il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio a un dibattito con Luigi Di Maio al Centro Studi Americani – ha parlato con atti parlamentari, abbiamo presentato il Mattarellum e il Rosatellum, ora rimesso al dibattito anche perchè il Pd da solo per l’approvazione i numeri non li ha. Il problema è che se il Pd è da solo ci dicono che siamo isolati. Se cerchiamo l’accordo ci dicono che facciamo l’inciucio. Abbiamo fatto una proposta vedremo cosa accadrà “.
Continua la fonte Dem: “Se il M5s invece valuta che il proporzionale l’avevano proposto anche loro tempo fa, allora…”.
E infatti dice oggi Di Maio, rispondendo a Boschi: “Noi abbiamo una posizione di massima apertura partendo dalla legge uscita dalla Consulta”. Che prevede un premio di maggioranza alla lista che raggiunga il 40 per cento dei consensi, ma resta un sistema proporzionale se nessuno raggiunge questa soglia.
Al Nazareno poi registrano tutte le aperture sul proporzionale.
C’è Maurizio Lupi di Ap che si dice interessato, benchè il leader del suo partito Angelino Alfano abbia dichiarato di “avere ormai le mani libere” sul governo, furioso per il dialogo tra Renzi e Berlusconi.
Dice invece Lupi: “Credo si debba dialogare insieme per trovare una buona legge elettorale, ben venga questo dialogo ritrovato con Fi. Certamente la strada del rosatellum non è una strada di dialogo”.
Ci sono aperture da Sinistra Italiana. “Pronti al confronto sul sistema tedesco”, dice Nicola Fratoianni. E apre anche Mdp.
Dice Pierluigi Bersani: “Sul modello tedesco si può discutere, ma chi pensa di andare al voto a ottobre sta dicendo agli italiani che si può andare in esercizio provvisorio e, tanto per dirne una, a gennaio scatta l’aumento dell’Iva”.
Del resto la preoccupazione su questa nuova corsa al voto anticipato serpeggia anche al governo. Ecco Graziano Delrio, pur vicino a Renzi: “La legge elettorale non è una merce di scambio. Il Pd non chiede elezioni anticipate e quindi non c’è nessuno scambio da fare”.
Mentre il Quirinale segue il tutto in assoluto riserbo.
Il Rosatellum, sistema composto da 50 per cento di maggioritario per collegi e 50 per cento di proporzionale, definito da Bersani un “un’invenzione pasticciata”, è al momento la proposta più invisa al M5s.
E scontenta anche Forza Italia, che sarebbe costretta a stringere alleanze per collegio con la Lega, con il rischio però di favorire eletti del Carroccio nei collegi del nord e non eleggere i propri al sud dove ormai è forte la concorrenza pentastellata.
“Però questa è materia che sta alla forza contrattuale del partito di Berlusconi con la Lega”, dicono da casa Dem, alzando le mani.
Insomma, Renzi va avanti a tentativi, ma intanto vuole vedere le carte di Berlusconi. “Chi ci assicura che poi al Senato non cambiano? E chi ci assicura che la parola data resta così fino alla fine?”.
Già , nessuno assicura niente. E questa è la migliore garanzia per un buco nell’acqua parlamentare sulla legge elettorale, un nulla di fatto che partorirebbe il sistema preferito da tutti: il proporzionale, il sogno sul quale però nessuno è disposto a lasciare le impronte.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 22nd, 2017 Riccardo Fucile
MALTA E’ DIVENTATA LA META PREFERITA DI TANTI ITALIANI PER SPOSTARE AFFARI E PATRIMONI… FENDI E ROCCA, ATTORI, IL MANAGER RENZIANO E LA SENATRICE
Dai cento metri di altezza della Portomaso Tower, il grattacielo che svetta nel mezzo della cittadina di Saint Julian, il colpo d’occhio è impressionante.
C’è l’azzurro abbagliante del Mediterraneo, la costa rocciosa, le mura della capitale La Valletta. E poi cemento: una selva di gru e palazzi in costruzione.
Questa è Malta, oggi: un cantiere in frenetica attività . Tutti sull’isola, dai politici ai banchieri ai negozianti che vivono di turismo, non fanno che celebrare il boom economico del mini-Stato, il più piccolo dell’Unione Europea, con i suoi 450 mila abitanti stipati su poco più di 300 chilometri quadrati
I numeri confermano. Il prodotto interno lordo cresce a un ritmo del 4 per cento annuo, i prezzi delle case sono in continuo aumento, la disoccupazione è inesistente, il bilancio pubblico viaggia in pareggio e le banche locali non sono mai state così ricche. Il miracolo economico maltese si spiega con una sola parola: fisco.
Nell’arco degli ultimi dieci anni il governo di La Valletta ha modellato le imposte sulle esigenze degli investitori internazionali con il dichiarato proposito di attirare sull’isola capitali e aziende. E ci sono riusciti.
Le ditte iscritte al registro pubblico crescono al ritmo di 4-5 mila l’anno. E alla fine del 2016 il conto totale aveva superato quota 70 mila.
«Per creare una società a Malta bastano un paio di giorni», spiega una pubblicazione di Malta Finance, la Camera di Commercio locale. Burocrazia zero, quindi. E tasse ai minimi termini.
«Malta è diventata la Panama d’Europa», ha protestato lo scorso 10 maggio Norman Walter-Borjans, il ministro delle Finanze del land tedesco Nord Reno Westfalia.
Più in concreto, un dossier diffuso nel gennaio scorso dal gruppo dei Verdi al Parlamento europeo calcola in circa 4 miliardi di euro l’anno il gettito fiscale che viene sottratto da Malta agli altri Paesi Ue grazie ai forti sconti sulle imposte generosamente concessi dal governo di La Valletta.
Davvero la piccola isola distante meno di 100 chilometri dalle coste meridionali della Sicilia si è trasformata in un paradiso offshore?
Per rispondere a questo interrogativo L’Espresso ha analizzato l’elenco completo di azionisti e amministratori delle società con base a Malta.
Oltre 100 mila documenti riservati sono stati analizzati nel corso di tre mesi di lavoro insieme al consorzio di giornalismo investigativo EIC (European Investigative Collaborations) .
Un’analisi esclusiva, perchè la consultazione del registro pubblico maltese è di regola possibile, via internet, solo partendo dalle società iscritte. L’Espresso invece ha potuto esaminare una banca dati costruita sulle persone fisiche coinvolte nella proprietà o nella gestione delle aziende. In totale quasi mezzo milione di nomi, che in alcuni casi ricorrono più volte, di una sessantina di nazionalità diverse.
Si scopre così che l’Italia è di gran lunga il Paese straniero più rappresentato nel gigantesco file: quasi 8 mila società maltesi sono controllate da azionisti italiani. Non solo.
Circa 15 mila nostri connazionali compaiono nei file in qualità di soci, amministratori o rappresentanti legali. Molti di loro sono imprenditori che hanno trasferito sull’isola attività reali, hanno aperto negozi o piccole aziende nei settori più diversi. La lista però comprende anche un gran numero di investitori che usano Malta per un redditizio gioco di sponda fiscale. Alcuni di loro, probabilmente non hanno neppure messo piede sull’isola. Tutto regolare, almeno fino a prova contraria.
La legge maltese ha steso un tappeto rosso agli investitori stranieri che creano società sull’isola.
A determinate condizioni, non troppo difficili da soddisfare, l’aliquota sui profitti d’impresa ufficialmente al 35 per cento può scendere fino al 5 per cento.
E sono praticamente esentasse anche altre voci del conto economico, come gli interessi incassati sui prestiti o le royalty maturate grazie a brevetti o marchi. Per dare un taglio alle imposte basta quindi trasferire reddito dalla società con base in Italia (dove l’imposta viaggia al 24 per cento) a quella registrata a Malta.
L’operazione è facilitata dal fatto che il piccolo Stato mediterraneo non solo è fuori dalle black list dei paradisi fiscali, ma è anche membro dell’Unione Europea. Strada spianata, quindi. Ecco i personaggi più conosciuti e le storie più sorprendenti che emergono dai Malta Files.
Se le chiedete perchè il suo nome compaia tra gli azionisti di una società maltese, la senatrice Laura Bianconi, ex Forza Italia, ex Ncd, ora presidente del gruppo di Alternativa Popolare a Palazzo Madama, risponde che «lo scopo concreto che ci eravamo prefissati con i soci era quello di costituire una fondazione, attraverso la società , che potesse operare nell’ambito sociale e prevalentemente nel campo dell’assistenza sanitaria per la cura degli indigenti nei Paesi poveri».
Insomma, la parlamentare del partito di Angelino Alfano avrebbe ritenuto conveniente fare un viaggio fino a Malta perchè sull’isola, parole di Bianconi, i costi per la creazione di una fondazione sono «minori».
Questa iniziativa benefica, battezzata “Live Today”, è dal 2015 in attesa di registrazione, dice la senatrice. Nel frattempo però Laura Bianconi risulta azionista sin dal 2014 della società Quantum Resources, con sede nella località maltese di Naxxar.
A libro soci compare il nome di un altro uomo politico, il siciliano Benedetto Adragna, anche lui senatore, ma sui banchi del Pd fino alle elezioni 2013, quando si candidò senza successo con il partito di Mario Monti. Il terzo azionista è invece il romano Giuseppe Bruno, che nel 2012 è stato condannato in primo grado dalla Corte dei Conti a risarcire un danno erariale di quasi 2 milioni di euro per una vicenda di corsi di formazione fantasma. Bruno, si legge nella sentenza, «ha posto in essere (ovvero non ha impedito) la realizzazione di un articolato sistema di falsificazione al fine di percepire indebitamente contributi pubblici».
I tre soci della Quantum Resources si spartiscono il capitale in parti uguali. Un terzo delle azioni è quindi di proprietà della senatrice Bianconi, che però non ha inserito i titoli maltesi nella sua dichiarazione patrimoniale depositata a Palazzo Madama.
Renziani in Cina
Dall’Italia alla Cina passando per Malta. È questo l’itinerario scelto dal manager toscano Giorgio Moretti, che nell’ottobre 2016 ha fondato a La Valletta con alcuni partner la società Summer Breeze Investments. L’obiettivo dell’iniziativa, come spiega Moretti all’Espresso, è quello di investire nel mercato cinese puntando sul settore immobiliare.
Tutto parte da Firenze, dove Moretti, imprenditore in proprio con il gruppo Dedalus (software clinico per i medici), si è legato al carro di Matteo Renzi, che nel 2009, quando ancora era sindaco del capoluogo toscano, lo ha scelto per presiedere Quadrifoglio, l’azienda pubblica cittadina dei rifiuti.
Tra gli azionisti della maltese Summer Breeze troviamo insieme a Moretti anche Jacopo Mazzei, esponente di una storica famiglia fiorentina che di Renzi è amico e finanziatore. In passato Mazzei è stato presidente della Cassa di Risparmio di Firenze e anche amministratore di Banca Intesa di cui la cassa fiorentina è azionista.
Smemorato a Cinque Stelle
A Livorno tutti lo conoscono come un grillino della prima ora. Un militante senza se e senza ma che già nel 2009 animava il locale meet up. Tanto impegno ha portato Enrico Cantone fino al Consiglio regionale della Toscana, dove è stato eletto nel 2013, un anno prima che il Cinquestelle Filippo Nogarin conquistasse la poltrona di primo cittadino di Livorno. Giovedì 11 maggio L’Espresso ha inviato una mail a Cantone per chiedergli informazioni su due società registrate a Malta di cui risulta proprietario.
La risposta è arrivata nel pomeriggio di lunedì 15 maggio e poche ore dopo il consigliere toscano dei Cinquestelle ha annunciato con un post su Facebook l’intenzione di lasciare gli incarichi politici, compreso, quindi, quello in Regione. Come risulta dai documenti consultati dall’Espresso, Cantone è azionista di due società con sede a Malta, la CR holding e la Carsins.Eu, entrambe costituite nel 2010. Nella sua dichiarazione dei redditi non compare però alcun riferimento a queste attività . E neppure nei documenti patrimoniali che il politico Cinquestelle è obbligato a depositare in Regione. Su Facebook, Cantone dice di essersi «disinteressato» di queste società , «travolto» dal suo «impegno sociale e politico».
A quanto sembra, quindi, sono stati i quesiti de L’Espresso a riattivare la memoria del consigliere regionale. «Una mia mancanza, seppur involontaria, di cui mi scuso per primo coi cittadini toscani e con il Movimento Cinquestelle», ha spiegato nel suo post Cantone, che a Livorno è ben conosciuto anche come imprenditore.
La sua azienda di famiglia, la Cantone Ricambi, possiede un’officina che rimette a nuovo vecchi maggiolini Volkswagen e online rivende pezzi di ricambio della marca tedesca.
Interpellato in proposito, il politico Cinquestelle ha risposto per iscritto che le società maltesi servivano «per possibili nuovi affari per scambi commerciali con la Libia e la Tunisia (sic)». Non è chiaro quali siano gli eventuali rapporti tra le attività a Livorno e quelle all’estero. Queste ultime segnalano a bilancio movimenti per poche migliaia di euro. Difficile fare valutazioni sulla parte italiana del business: la Cantone ricambi non deposita un bilancio dal 2012. Un’altra dimenticanza del Cinquestelle.
Grandi famiglie offshore
Nel gennaio del 2017, un’inchiesta dell’Espresso ha svelato la ragnatela di società offshore con cui la famiglia Rocca controlla il gruppo Tenaris, un colosso industriale con attività sparse ovunque nel mondo e un giro d’affari di oltre 16 miliardi. Ora, grazie ai Malta Files elaborati con il consorzio giornalistico Eic, si scopre che gli eredi del fondatore Agostino Rocca sono i beneficiari di un elaborato sistema di trust, quasi tutti con sede a Malta.
Questa complicata struttura è stata per molti anni gestita dalla filiale della Valletta della Bsi, la Banca della Svizzera Italiana. Più di recente, l’istituto elvetico è stato affiancato da Credence, una società di servizi finanziari anche questa con base sull’isola del Mediterraneo.
In totale, sono almeno una ventina gli schermi fiduciari riconducibili alla famiglia di industriali capitanata in Italia da Gianfelice Rocca, fino a poche settimane fa presidente di Assolombarda, la potente associazione milanese degli imprenditori.
Alla porta di Credence ha bussato anche Alda Fendi, una delle cinque sorelle che nel 2001 ha venduto il famoso marchio della moda italiana ai francesi del gruppo Lvmh. I documenti consultati da L’Espresso segnalano che Credence ha il ruolo di trustee, cioè di gestore, del Traiano trust, di cui risultano beneficiarie le due figlie di Alda Fendi, Giovanna e Alessia e i loro discendenti.
Alcuni documenti bancari datati giugno 2015 segnalano che due società offshore controllate dal Traiano trust amministrano oltre 50 milioni di euro depositati su un conto della Banca della Svizzera Italiana. «Tutto regolare ai fini fiscali – ha dichiarato a L’Espresso una fonte vicina alla famiglia Fendi – perchè il trust è stato considerato dall’Agenzia delle Entrate effettivamente residente all’estero e di conseguenza non doveva pagare le tasse in Italia».
Riccardo Zacconi
Chi non conosce Candy Crush? Il gioco spopola da anni sugli smartphone di tutto il mondo. Un affare da miliardi di dollari, che sono in parte transitati anche da Malta. Come rivelano le carte consultate dall’Espresso, la società che gestisce la app della caramelle ha sede sull’isola. Si chiama King.com e all’inizio del 2016, con un complicato gioco di holding, è passata sotto il controllo del gruppo americano Activision, noto tra l’altro per un videogame di grande successo come Call of duty. L’operazione ha fatto la fortuna di Riccardo Zacconi, l’imprenditore italiano da anni residente a Londra che aveva il duplice ruolo di amministratore delegato e grande azionista della società maltese.
Dopo aver ceduto, nel 2014, parte della sua quota con un collocamento alla Borsa di Wall Street, nel 2016 Zacconi è passato una seconda volta alla cassa girando agli americani le sue azioni residue del gruppo King Digital Entertainment. Non sono mai state rese note cifre ufficiali, ma secondo alcune stime la doppia vendita potrebbe aver fruttato oltre mezzo miliardo di dollari al manager, che è entrato nella squadra di vertice di Activision.
Marra & friends. Catello Marra
Qualche mese fa il nome di Catello Marra e i suoi affari a Malta erano finiti sui giornali per via delle disavventure giudiziarie di suo fratello Raffaele, l’ex braccio destro della sindaca di Roma, Virginia Raggi, arrestato per corruzione a dicembre dell’anno scorso.
All’epoca si scrisse dei due ristoranti aperti a Malta (Himu e Parthenope) e dei suoi molti incarichi tra cui quello di “Governatore generale” di un’organizzazione non governativa, la “International Organization for Diplomatic Relations”.
Adesso però i Malta Files illuminano anche altri aspetti delle molteplici attività di Catello Marra che risulta azionista della Starlight Movie Production, una società che si è conquistata uno strapuntino nelle cronache recenti dello show business organizzando un premio per celebrità dello spettacolo (l’International Mediterranean Award) assegnato nell’aprile con una cerimonia a villa Miani a Roma.
Francesca Rettondini
Tra i protagonisti della serata mondana c’era l’attrice Francesca Rettondini, nota per le sue interpretazioni in film e fiction tv. Dalle carte di Malta risulta che Rettondini è socia di maggioranza di Starlight Movie Production con Catello Marra come secondo azionista.
Al fratello dell’ex collaboratore di Virginia Raggi è riconducibile anche un’altra società maltese, la Academy for International Security, che si occupa di investigazioni e sicurezza. Questa volta come socio di Catello Marra troviamo il criminologo Vincenzo Mastronardi, docente all’Università di Roma, La Sapienza.
Mastronardi è finito sui giornali perchè nel 2014 invitò a tenere una lezione sulla gestione del panico nientemeno che Francesco Schettino, il comandante che nel 2012 lasciò affondare la nave Costa Concordia davanti all’Isola del Giglio e che per questo è stato condannato nei giorni scorsi a 16 anni di carcere. L’invito innescò un vespaio di polemiche, ma alla luce dei Malta Files viene da chiedersi come l’avrà presa Francesca Rettondini. L’attrice e socia di Marra era infatti a bordo della Concordia il giorno del naufragio.
In nome del Billionaire
Flavio Briatore non ha mai fatto mistero di aver spesso fatto ricorso ai paradisi fiscali come sede di alcune delle sue società . Nel corso degli anni, il nome del vulcanico uomo d’affari, nonchè testimonial di se stesso, è più volte stato associato a holding con base in Lussemburgo o alle British Virgin Islands.
Lo sbarco a Malta risale invece al 2014, dove Briatore, che risiede da tempo tra Londra e Montecarlo, ha costituito la Bl Development Ltd insieme a Francesco Costa, un imprenditore che nel 2011 aveva ceduto a Western Union l’azienda di famiglia attiva nel money transfer.
A Londra, Costa è socio di Janina Wolkow, nota nella capitale britannica come proprietaria dei ristoranti sushi di lusso col marchio Sumosan. E qui si torna a Briatore, perchè a Londra, Montecarlo e Dubai i locali di Sumosan sono realizzati in partnership con il Twiga e Billionaire, le due più celebri invenzioni del boss italiano di “The Apprentice”. La Bl Development ha comunque avuto vita breve. La società maltese di Briatore risulta liquidata già nel 2016.
Mistero Micheli
Carlo Micheli, classe 1970, è figlio di Francesco Micheli, finanziere con un lungo curriculum di affari multimilionari alla Borsa di Milano. Il più ricco di tutti porta il marchio di Fastweb, di cui vendette la sua quota nel 2003 con un profitto stimato intorno al miliardo di euro. Della società di telecomunicazioni, oggi controllata da Swisscom, Micheli junior è stato vice presidente esecutivo fino al 2005, prima di entrare nei consigli d’amministrazione di diverse grandi società italiane tra cui Unipol, Banca Leonardo e Genextra, la società biotech fondata dal padre insieme a Umberto Veronesi. A Malta invece Carlo Micheli è approdato nel 2015, quando ha costituito Kemmunett Ltd, di cui risulta azionista unico. Difficile capire di che cosa si occupi questa società , che non ha mai pubblicato un bilancio.
L’oggetto sociale è a dir poco ampio: si va dai servizi di consulenza ai prestiti di denaro, dalla compravendita di materie prime al business immobiliare. Micheli non ha risposto alla richiesta di informazioni inviata dall’Espresso. Dai documenti ufficiali si scopre però che per rappresentare Micheli si è scomodato un personaggio molto influente nell’isola.
L’atto costitutivo è stato infatti siglato, per conto dell’azionista italiano, da Francis J. Vassallo, governatore della banca centrale di Malta negli anni ’90, oggi titolare di uno dei più importanti studi fiscali sull’isola.
Mattoni e politica
Erasmo Cinque, classe 1940, è un imprenditore romano con ruoli di vertice in decine di società italiane di costruzioni. È indagato in due delle più famose inchieste attuali per corruzione su appalti pubblici: quella sul Mose di Venezia e quella sull’Expo di Milano. A Malta, Cinque risulta azionista, con il 20 per cento delle quote, della Notorious Trading Limited, una società fondata nel 2011, che da allora non ha mai depositato un bilancio. Chi detiene il restante 80 per cento? Un’altra maltese: si chiama The Notorious Corporation Limited e appartiene a una fondazione basata in Liechtenstein, la Foundation Assunta Maria. Impossibile dunque sapere chi è il socio di Cinque nell’azienda maltese. Che altro non è se non una casella postale. La sede della Notorious Trading Limited, così come quella della The Notorious Corporation Limited, si trova infatti a La Valletta, in una palazzina che ospita unicamente gli uffici della Ganado Advocates, uno dei più grandi studi legali dell’isola.
La società maltese doveva servire come «punto commerciale con la Libia», ha detto Cinque all’Espresso. Questi progetti però sono rimasti sulla carta, sostiene l’imprenditore romano, sia per la guerra nel Paese nordafricano e anche per «motivi personali». Amico e consulente dell’ex ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, Cinque è accusato dai magistrati di Venezia di aver preso appalti con una delle sue aziende, la Socostramo, grazie all’aiuto dello stesso Matteoli. Il nome del costruttore romano emerge anche dagli atti dell’inchiesta su mafia Capitale. Cinque, che in questo caso non risulta indagato, secondo la ricostruzione degli inquirenti è stato il tramite attraverso cui la presunta associazione mafiosa guidata da Massimo Carminati voleva incontrare l’imprenditore e in seguito candidato sindaco di Roma Alfio Marchini.
Yacht esentasse
Il registro navale di La Valletta è il più affollato d’Europa e il sesto nel mondo. Tanto successo è alimentato dagli sconti sulle tasse accordati dalla legge maltese. Nel caso degli yacht, l’imposta diminuisce con l’aumentare della lunghezza dello scafo. Questa tassazione progressiva, ma al contrario, finisce quindi per favorire i proprietari delle imbarcazioni più grandi, che di solito sono i più facoltosi. A Malta c’è quindi un gran traffico di barche di lusso. Un traffico solo virtuale, però, visto che gran parte della flotta naviga in realtà ben distante dalle coste rocciose dell’isola. Per beneficiare delle agevolazioni fiscali è infatti sufficiente che la barca sia di proprietà di una società locale
Davide Serra alla Leopolda
L’esercito dei ricchi che batte bandiera maltese comprende anche Davide Serra, un finanziere che di preferenza viaggia tra l’Italia e la City di Londra, dove risiede da anni. Serra, noto per il suo impegno a favore di Matteo Renzi, risulta azionista di maggioranza della Plum Yachting ltd. Registrata a Malta nel 2011, questa società possiede uno yacht a vela di lusso, il Kamana, un 21 metri attrezzato per traversate oceaniche.
Socio di Serra nell’impresa è Enrico Tettamanti, skipper famoso che tramite Plum Yachting vende crociere-avventura negli angoli più remoti del globo. Un’attività redditizia, probabilmente, ma è difficile stabilirlo con precisione perchè nemmeno la società maltese di Serra ha mai depositato un bilancio.
Serra e Tettamanti, che risulta residente a Panama, fino a un paio di anni fa erano affiancati da altri quattro soci, che in seguito si sono defilati. Tra loro Fabio Cannavale, l’imprenditore che ha inventato e portato al successo siti come “edreams” e “volagratis”.
Serra non è certo l’unico che ha fatto rotta su Malta. Hanno gettato l’ancora sull’isola anche i Rovati, la famiglia che tre anni fa ha ceduto per oltre 2 miliardi di euro l’azienda farmaceutica Rottapharm. Fa capo a loro, attraverso un trust dell’isola di Jersey, la società maltese Leonis Yachting. A La Valletta ha sede anche la White Squaw ltd nata nel 2008, si legge nell’atto costitutivo, per gestire imbarcazioni.
La società fa capo a Eleonora Gardini, figlia del famoso finanziere Raul Gardini, lo scalatore della Montedison, morto suicida nel 1993. Stefania Fossati, erede della famiglia che controllava la Star, l’azienda alimentare del famoso dado, possiede invece la A Star Shipping, che, come si intuisce dal nome, si occupa di barche. Vale lo stesso per Giuseppe Gentile, noto alle cronache come amministratore delegato della compagnia aerea Meridiana e fondatore di Air Italy. A Malta però Gentile risulta proprietario della Yacht Leasing Limited. Dai cieli al mare.
(da “L’Espresso”)
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Maggio 22nd, 2017 Riccardo Fucile
LE COPERTURE NON ESISTONO: PROPOSTE BIZZARRE, ALTRE IRREALIZZABILI, TALUNE SOVRASTIMATE, MAGGIORI TASSE E TARIFFE
Dopo mesi in cui i pentasetallati sono stati aspramente criticati e tacciati di impreparazione e demagogia, perchè promotori di un reddito di cittadinanza sul cui finanziamento erano meno che fumosi, dato l’avvicinarsi delle elezioni, hanno deciso di sostanziare la proposta spiegando un po’ meglio come intenderebbero la finanziaria senza dare il colpo di grazia al debito pubblico.
La tabella che il Sole 24 Ore ha preparato sulla base delle loro dichiarazioni è piuttosto dettagliata e il totale delle risorse identificate ammonta a oltre 20 miliardi di euro.
Alcune delle proposte sono bizzarre; altre palesemente irrealizzabili, talune vistosamente sovrastimate e quasi tutte possono essere ricondotte, al di là della loro enunciazione, a due categorie: maggiori tasse e imposte e maggiori tariffe.
Gli interventi più vistosi sono la riduzione e l’abolizione delle detrazioni fiscali.
La seconda gabella sarebbe prevista per i redditi (accertati, e questo in Italia non è secondario) superiori a 90mila € lordi annui (con un gettito poco rilevante dato che sono circa l’1% dei redditi dichiarati), la prima non è dato di sapere come sarebbe scaglionata, ma dato il gettito che il M5S si aspetta (cinque miliardi di €), dovrebbe andare a colpire anche redditi dichiarati piuttosto bassi, perchè solo l’11% dei contribuenti denuncia redditi superiori a 35mila € lordi annui (circa 2mila € netti mese).
E’ da notare che le principali voci di detrazione fiscale sono genericamente le spese sanitarie, i mutui, i versamenti ai fondi pensione, le tasse scolastiche, gli asili nido, pertanto l’impossibilità di detrarle sarebbe misura assai poco civica.
Altra voce che, seppure mascherata, è di fatto una tassazione: è il taglio delle cosiddette “pensioni d’oro”, da non confondersi con i vitalizi di parlamentari e consiglieri regionali, oggetto di un’altra voce.
Si tratta di pensioni da 90mila € lordi annui in su, prevalentemente retributive, ma tra le quali parecchie hanno un montante contributivo versato che giustifica completamente il loro ammontare e per le quali il prelievo costituirebbe una tassazione per di più retroattiva, perchè applicarla svaluterebbe il rendimento dei contributi versati nel passato anche remoto.
Dal punto di vista fiscale, i pensionati con assegni significativi sembrano essere le prede più odiate dai M5S: infatti, sarebbero gli unici destinatari di due misure riduttive: contributo di solidarietà e abolizione delle detrazioni.
Quest’ultima è particolarmente gravosa perchè, a rigore di ogni logica, gli anziani spendono in sanità cifre multiple di quanto spendono cittadini giovani.
Passando all’aumento delle tariffe, ci sarebbero da aspettarsi oltre 2 miliardi di incrementi, dovuti all’aumento di tasse su assicurazioni e banche (tramite la non detraibilità degli interessi passivi) poichè, in regime di libero mercato, è assolutamente prevedibile che le compagnie ribalteranno sui clienti i maggiori costi di esercizio, aumentando i costi di gestione dei conti e i tassi debitore.
Alle misure poco eque di cui sopra, vanno aggiunte quelle la cui realizzabilità sembra impraticabile o addirittura nociva.
Davvero si pensa che le compagnie petrolifere saranno disposte a pagare 1,5 miliardi in più per le concessioni?
Non preferiranno, piuttosto, trivellare altrove (per esempio al largo della Croazia)? Tasse, tasse e poi tasse; non molto creative come misure. Soprattutto, misure vessatorie se si considera che già oggi il carico fiscale è distribuito in modo poco realistico a causa di un’evasione con cui non si può non fare i conti (specialmente se si vuole fare intendere che le misure che si prendono vadano in direzione dell’equità ). La distribuzione dei pani e dei pesci mediante il reddito di cittadinanza rischierebbe di colpire i soliti noti produttori di reddito, per sussidiare chi non ne produce e soprattutto darebbe il segnale che non conviene darsi troppo da fare, soprattutto in modo onesto e trasparente.
Per essere stato il primo passo del M5S verso la presa d’atto della necessità di proposte che vadano oltre la reiterazione della critica caustica a chi fa (e spesso falla), per chiarire cosa si pensa di fare di alternativo, sembra un bel passo falso. Riproporre tasse a martello su chi produce il reddito non sembra esattamente una buona cura per risollevare l’economia.
Forse non è nemmeno una gran mossa dal punto di vista elettorale, qualora quei 15 milioni di contribuenti elettori che sono nel mirino si freghino bene gli occhi e capiscano cosa li aspetterebbe per finanziare (oltre ai servizi pubblici) evasori fiscali, falsi invalidi e via dicendo.
Una buona notizia per tutti coloro che non si riconoscono nelle misure populistiche.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 22nd, 2017 Riccardo Fucile
A SEI ANNI DALL’INDIPENDENZA IL PAESE E’ DEVASTATO DAL CONFLITTO… A JUBA L’UNICA SALVEZZA E’ ANDARE NEL CAMPO DELL’ONU…100.000 PERSONE PROSSIME ALLA MORTE PER FAME
Una volta dentro il campo di sfollati della capitale del Sud Sudan, sorvegliato a vista dai caschi blu delle Nazioni Unite, le possibilità di sopravvivenza per Peter, un giovane di 21 anni, aumentano all’istante.
Vita o morte sono divise da un lungo perimetro di filo spinato.
Da una parte l’impunità delle strade polverose della capitale Juba. Dall’altra un fazzoletto di terra dove vivono 40 mila persone scappate da una guerra civile che dal 2013 a oggi ha causato 100 mila vittime e 3,5 milioni di sfollati (stime Onu). I più fortunati, circa 1,5 milioni, hanno trovato rifugio in Uganda, Etiopia e Kenya; mentre oltre 2 milioni sono ancora prigionieri del proprio Paese, il più giovane del mondo, nato nel 2011 e già in frantumi.
L’incubo della guerra
Peter, scappato nel cuore della notte dalla sua casa di Yei, 150 chilometri dalla capitale, da due anni vive barricato in quello che le Nazioni Unite hanno ribattezzato Campo di protezione per i civili. Il primo nella storia delle operazioni di pace Onu, che mai aveva dato mandato ai caschi blu di trasformare un campo di sfollati interni in base militare.
Torri di avvistamento, sacchi di sabbia e check point ogni chilometro. A presidiarli si alternano militari nepalesi e cinesi, uomini e donne, parte dei 17 mila soldati di Unmiss, la missione di pace dell’Onu in Sud Sudan.
Peter è uno dei pochi coraggiosi che a volte esce dal campo, per respirare l’illusione di una vita normale.
Ma dura poco, il tempo di una passeggiata senza inciampare nei picchetti delle tende ammassate all’interno di quella che molti ormai definiscono casa.
I soldati governativi del Spla (Sudan People Liberation Army), in mimetica e basco rosso pattugliano le strade al di fuori della base Onu. Fedeli al presidente del Paese Salva Kiir, la maggior parte di loro condivide con il capo di Stato l’etnia d’origine, quella Dinka, maggioritaria in Sud Sudan. E per Peter, di etnia Nuer, la principale tra le minoranze, i rischi aumentano. «Non capisco perchè devo vivere rinchiuso qui dentro solo per non essere Dinka, siamo tutti sud-sudanesi» si interroga Peter all’ingresso del campo.
Civili nel mirino
Sia le Nazioni Unite che il Center for civilians in conflict hanno pubblicato documenti in cui denunciano le violenze subite dai civili appena fuori dalla struttura: donne stuprate, uomini uccisi.
Lo scorso luglio, negli scontri che hanno sancito la fine del fragile accordo di pace del 2015 tra il presidente Kiir e il vicepresidente Machar, di etnia Nuer e ora confinato in Sudafrica, neanche i campi dei civili sotto protezione Onu sono stati risparmiati dai colpi di artiglieria.
Terminati i rigidi controlli di sicurezza per evitare che entrino armi all’interno del campo, Peter si dirige verso la sua tenda, fino a pochi mesi fa condivisa con la sorella 18enne, l’unico famigliare superstite e che adesso si è sposata con un ragazzo conosciuto nella capitale.
«Quella notte ho ricevuto una telefonata che mi avvisava: l’esercito stava cercando casa per casa gli uomini di etnia Nuer — ricorda l’inizio del suo incubo — sono scappato nella savana, ma era buio totale, non vedevo niente, sentivo solo il fischio dei proiettili sopra la mia testa».
«Nella fuga due membri dell’esercito mi hanno fermato. Ho detto che ero un civile, ma avevo paura che riconoscessero il mio accento e che per me fosse finita — spiega Peter — uno era Dinka, l’altro Kakwa (minoranza etnica musulmana, ndr). Quest’ultimo mi ha salvato la vita convincendo l’altro a lasciarmi andare».
Da allora è iniziato un calvario che l’ha portato prima nel Nord dell’Uganda, dove il numero di rifugiati sud-sudanesi ha toccato quota un milione e, poi, nel campo Onu a Juba, dove i 40 mila sfollati vivono grazie alle razioni di cibo distribuite dal World Food Programme.
La tenda dove vive Peter è circondata da altre famiglie scappate dal Nord del Paese, l’area più contesa per la presenza del petrolio, la cui gestione significa il controllo del Paese, dato che il 97% degli introiti nazionali derivano dal greggio. In questa regione, già duramente segnata da oltre 40 anni di guerra con il Sudan, gli scontri tra ribelli e governativi sono ancora più intensi. Un’area paludosa che ha reso più difficile la fuga dei civili.
Alcuni si sono nascosti per giorni negli acquitrini mangiando radici e provando a pescare pesci con le mani. Acque infestate da coccodrilli e ippopotami. Un rischio da prendere pur di evitare di cadere in mani nemiche.
La carestia
Una guerra che, oltre a vittime e sfollati, sta affamando 5 milioni di persone, metà della popolazione, con almeno 100 mila civili prossimi alla morte per fame (stime Onu). Un conflitto politico che rischia di trasformarsi sempre più in scontro etnico, dove non esiste una linea di demarcazione netta data le decine di etnie che popolano il Sud Sudan.
Dove la base si trova a subire il vertice, ma non a comprenderlo e il presente sembra cancellare tradizioni secolari. «Per noi Nuer incidere sei linee orizzontali (gaar) sulla nostra fronte era un simbolo di distinzione — spiega Nhial, un quarantenne vicino di tenda di Peter — ma adesso si è trasformato in una condanna perchè siamo facilmente riconoscibili».
A rendere ancora più pesante l’aria all’interno del campo di sfollati di Juba, il caldo torrido provocato dai riflessi del sole sui pezzi di lamiera usati per coprire gli squarci delle tende.
La stagione delle piogge è in ritardo, decine di bambini aspettano in coda il loro turno per riempire una tanica d’acqua. L’olezzo proveniente dalle latrine a cielo aperto è nauseabondo. «Il sovraffollamento rischia di far esplodere un’epidemia di colera come nel 2016» spiega la dottoressa Sadia Azam, a capo dell’ospedale realizzato dall’organizzazione umanitaria statunitense International Medical Corps all’interno del campo.
A pochi isolati di distanza, l’esercito ha ripreso a pattugliare le strade della capitale. Per gli stranieri rimasti, quasi tutti membri di ong e organizzazioni umanitarie, il coprifuoco è fissato per le 20,30.
Le vie di Juba, antitesi delle capitali africane, sono sempre più deserte. Oltre ai boda boda (moto taxi) si vedono le jeep bianche con la scritta delle Nazioni Unite che fanno la spola tra l’aeroporto e i compound blindati. Il carburante è razionato: massimo 20 litri a macchina e l’economia è al collasso. Il pound locale è scambiato 120 a un dollaro e le banche sono quasi prive di valuta straniera.
Ong sotto attacco
Appena fuori della capitale, nelle strade impervie che attraversano la savana verdeggiante, si intravedono giovani armati di kalashnikov a difesa del proprio bestiame, preso di mira dalle diverse fazioni in conflitto.
Le imboscate di milizie più o meno connesse al contesto politico nazionale sono sempre più frequenti. Servono soldi per armarsi e per mangiare. Spesso a pagare il prezzo più alto sono le ong. Dal 2013 ad oggi 83 cooperanti sono stati uccisi.
Dietro ai disperati tentativi per resuscitare i negoziati di pace non mancano le interferenze degli Stati africani e delle grandi potenze straniere interessate al petrolio, Stati Uniti e Cina in primis. Con l’amministrazione Trump pronta a staccare il supporto al presidente Kiir, aumentando così il rischio di una regionalizzazione del conflitto e di una deriva multietnica da cui sarebbe difficile uscire.
(da “La Stampa”)
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Maggio 22nd, 2017 Riccardo Fucile
A 28 ANNI E’ CANDIDATO NELLA LISTA CIVICA “ORGOGLIO ACERRANO”: “I PARTITI NAZIONALI HANNO ALLONTANATO DALLA POLITICA, IL NOSTRO PROGETTO LOCALE INCARNA I VALORI IN CUI ABBIAMO SEMPRE CREDUTO”… “TUTTI I NOSTRI CANDIDATI HANNO PRESENTATO IL CERTIFICATO DEI CARICHI PENDENTI”
Secondo la tradizione, riportata da un testo del ‘500, ed un famoso dipinto attribuito a Ludovico Carracci, è la città che ha dato i natali alla celeberrima maschera di Pulcinella, adottata in seguito dai Napoletani.
Parliamo di Acerra, comune di 60.000 abitanti ad appena 14 chilometri da Napoli, dove l’11 giugno si vota per il rinnovo del consiglio comunale.
Si contendono la carica di sindaco cinque candidati che potremmo collocare rispettivamente al centro, alla sinistra, a un’alleanza Pd-Forza Italia, a Fdi , al M5S e a Noi per Salvini .
E’ in questa città che si candida un giovane 28enne di destra Carmine Ruotolo, con lo slogan “Orgoglioso di essere Acerrano”, a sostegno di Lettieri, sindaco uscente.
Un passato “movimentista” nei gruppi studenteschi di destra, in prima linea nelle denunce sui danni nella “terra dei fuochi”, una laurea e una professione di consulente in campo ammministrativo e giuridico.
Perchè “orgoglioso” di essere acerrano? Ritieni importante il radicamento al tuo territorio?
Sono orgoglioso di essere acerrano perchè Acerra, oltre ad essere la mia città natale, ha rappresentato nella sua storia una città fiera delle sue tradizioni. Una città che nei periodi più bui ha saputo riscattarsi e nonostante le mille avversità
Hai aderito a una lista civica, ritieni superate le connotazioni “partitiche” che caratterizzano gli altri candidati sindaci?
Io ho sempre creduto che fare politica significasse militare in un partito nazionale, partendo dalla militanza delle sezioni all’attivismo in piazza , ma mi rendo conto che a causa di una classe dirigente sorda che ha svenduto le proprie ideologie , i nostri cittadini si ritrovano oggi a non credere più nella politica. È vero , noi siamo un movimento locale, ma il nostro agire non è nato da un semplice scopo elettorale bensì dalla necessità di mettere in piedi un progetto valido che racchiuda i valori e gli ideali che ci hanno sempre contraddistinto.
Cosa dovrebbe rappresentare oggi la destra, visto che a soli 28 anni puoi dire di aver sperimentato una militanza politica giovanile di base?
Da giovanissimo ho militato in Azione Giovani , movimento giovanile di Alleanza Nazionale, e come molti dei miei coetanei ero attirato da quello spirito di militanza attiva di mettermi al servizio della mia comunità , cercando di dare sempre il meglio senza volere nulla in cambio. Questo è per me il significato della parola “Destra” , che nulla ha a che vedere con il razzismo e l’odio degli attuali partiti che si ritengono di destra.
A pochi chilometri da Acerra è nato un tuo coetaneo, Luigi Di Maio, cosa distingue il tuo impegno civico dal suo? Spesso il Sud è accusato di favorire il clientelismo, trovi che il modus operandi dei grillini ne sia scevro?
Conosco poco Luigi Di Maio, anche se in diverse occasioni prima del suo ingresso in Parlamento abbiamo avuto modo di confrontarci in occasione di assemblee cittadine riguardanti le tematiche ambientali. Quello che posso dire è che ciò che differenzia me da Luigi Di Maio parte appunto da un percorso di militanza iniziato , come ho detto poc’anzi , alla giovane età di 15 anni e che prosegue ancora oggi. Al contrario il sig. Di Maio, come tanti del suo partito, cavalcando il malcontento e il fallimento dei principali partiti italiani , si è lanciato alla conquista della notorietà ricoprendo un incarico parlamentare grazie ad una legge elettorale che gli ha consentito senza preferenze di sedere a Montecitorio. Per quanto riguarda il Sud , io credo che l’Italia abbia bisogno di più unità e non di continue divisioni; su questo argomento il M5S non ha prodotto nè al Nord nè al Sud nessun cambiamento epocale.
Di Maio viene da una famiglia benestante di costruttori, tu che categoria sociale pensi di rappresentare?
Io provengo da una famiglia semplice di origine acerrana in cui il valore del lavoro è sempre stato importante , io non rappresento una categoria in particolare , io rappresento tutte le persone per bene che lavorano e che fanno sacrifici per vivere dignitosamente.
Negli ultimi anni hai lavorato nello staff del sindaco uscente Lettieri: passare dalle enunciazioni di principio alla soluzione pratica dei problemi dei cittadini non è facile…La tua lista è l’unica che ha richiesto ai candidati di allegare persino il certificato dei carichi pendenti: cosa vuol dire per te legalità ?
Voglio precisare che non solo la mia lista , ma tutta la coalizione che appoggia il sindaco uscente Raffaele Lettieri ha richiesto ai propri candidati il casellario giudiziario e il certificato dei carichi pendenti . La legalità per me è una parola che non va solo enunciata ma praticata, nel senso che ci troviamo in un contesto fatto di regole in cui ognuno deve fare la sua parte. Cercare di imbrogliare il sistema con furberie che danneggiano la comunità è per me l’atto più abominevole che si possa fare.
Molte amministrazioni, anche al Sud, non sempre hanno avuto la necessaria trasparenza nelle regole degli appalti pubblici, com’è la situazione ad Acerra?
Nel corso di questi cinque anni si sono svolte ad Acerra diverse gare d’appalto per milioni e milioni di euro e al giorno d’oggi nessun avviso di garanzia è stato mosso nei confronti dell’Amministrazione Comunale uscente, questo a testimonianza della trasparenza e nello spirito di impegno che abbiamo voluto infondere al nostro agire politico.
Un nuovo business per molte amministrazioni, dopo la tragedia della terra dei fuochi, pare sia quello dello smaltimento dei rifiuti: che precauzioni avete preso?
Acerra da anni si distingue per una raccolta differenziata che ad oggi raggiunge un livello molto alto rispetto ai comuni limitrofi della Provincia di Napoli, questo grazie all’intervento dell’Amministrazione Comunale e alla civiltà del popolo Acerrano. Molti parlano di terra dei fuochi come se fosse una cosa positiva ma si dimenticano che il nostro territorio è ricco di una sana agricoltura che ha una tradizione importante. Dire che tutti i terreni di Acerra sono inquinati è una falsità e danneggia i tanti agricoltori che con sacrifici lavorano sul nostro territorio.
Esiste un problema sicurezza ad Acerra? E come viene affrontato?
In questi anni si è cercato di risolvere il problema della sicurezza aumentando il controllo del territorio con interventi mirati e in collaborazione di tutte le forze dell’ordine presenti nella nostra città .
La promozione di eventi culturali sta caratterizzando molte amministrazioni, come veicolo di attrazione del flusso turistico. Come si colloca Acerra rispetto a queste forme di aggregazione?
Dopo anni in cui Acerra era rimasta fuori dai cosiddetti “flussi turistici”, grazie al lavoro di questa Amministrazione nel saper gestire le risorse provenienti dalla Comunità Europea e dalla Regione Campania, sono state realizzati nel corso di questi cinque anni diversi progetti come “Il Giracastelli” e il “Pulcinella Music Festival” che hanno portato nelle piazze acerrane turisti di altre regioni d’Italia.
Nel territorio del Comune annoverate un migliaio di stranieri, siete intervenuti per favorirne l’integrazione? Con che risultati?
Il popolo acerrano è sempre stato accogliente nei confronti delle persone che hanno deciso di vivere nel nostro territorio ed è per questo che si è cercato negli anni di creare momenti di aggregazione in cui tutti ,acerrani e non, potessero creare le condizioni di una sana convivenza.
Il riscatto del Sud passa attraverso il ridare dignità all’individuo o il percorso è accidentato e la meta ancora lontana?
Io penso che la strada per il cambiamento l’abbiamo intrapresa ma solo con la costanza e l’impegno potremo arrivare alla risoluzione di ogni problema.
Creare impresa ad Acerra è una via percorribile per evitare l’esodo dei giovani verso altre mete?
Certamente, noi abbiamo cercato di motivare le imprese locali nel dotarsi di tutte quelle certificazioni necessarie per partecipare ai bandi pubblici. Naturalmente mi rendo conto che c’è tanto lavoro da fare al riguardo, ma il nostro impegno resta costante.
A 28 anni non sono molti i giovani così “innamorati” della propria città da impegnarsi in politica: cosa vorresti dire ai troppi disillusi? C’è ancora una speranza di cambiamento?
Il mio impegno è frutto di una voglia di riscatto, non solo per me, ma per tutti i miei coetanei che non vogliono lasciare la nostra città . Essere “innamorati” di Acerra significa mettersi a disposizione della propria comunità 365 giorni l’anno. Ai giovani come me dico di non perdere la speranza e di credere in un futuro migliore, perchè solo noi possiamo essere i fautori del nostro futuro. Soltanto noi possiamo essere gli artefici di una “Acerra Ambiziosa”. Noi, come recita una vecchia canzone, “siamo fuoco sotto la cenere. Noi, siamo quello che può succedere…”
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Maggio 22nd, 2017 Riccardo Fucile
“IO STO CON LA LEGA NON CON SALVINI, NON PUOI METTERE INSIEME TUTTO E L’INCONTRARIO DI TUTTO”… “NON SONO ISOLATO, SONO SOLO L’UNICO CHE HA IL CORAGGIO DI PARLARE, ALTRI PER CONVENIENZA PER ORA STANNO ZITTI”
Umberto Bossi in un’intervista a Repubblica assicura di non voler lasciare la Lega Nord anche se non concorda con la linea del nuovo segretario.
“Io sto con la Lega, non con Salvini. I segretari vanno e vengono. Il punto è che non mi riconosco in questa Lega, non ho mai capito questo volersi allargare al Sud dimenticando le nostre origini, noi che eravamo contro il centralismo e contro Roma. Quanto ci costano quei voti che vogliamo conquistare nel meridione? Il nostro popolo di riferimento poi si confonde”.
Così Umberto Bossi in un’intervista a Repubblica in cui assicura di non voler lasciare la Lega Nord anche se non concorda con la linea del nuovo segretario.
“Questa è casa mia, l’ho costruita io, l’ho fatta io, ho dato la vita per un sogno. Ho il diritto di esprimere le mie idee, di fare delle valutazioni politiche, nel rispetto di tutti — ha aggiunto — Sono l’unico che dice quello che pensa, altri per convenienza preferiscono restare in silenzio e non parlano mai, non si espongono”.
Secondo il Senatur “il Nord ora non può essere di aiuto al Sud, non ci sono le condizioni, migliaia di aziende chiudono ogni anno. Non possiamo insegnare agli altri popoli ad autodeterminarsi se non lo sappiamo fare prima noi”.
Bossi è critico anche sulle primarie stravinte da Salvini con circa l’80% dei voti: “C’è stata una defezione di massa, quasi la metà delle persone, dei militanti, non è andata a votare. I numeri hanno la testa dura. La mia domanda rimane: qual è il programma? Non puoi mettere insieme tutto e il contrario di tutto, alla fine devi decidere per chi farai gli interessi, o per la Padania oppure per Roma”.
(da agenzie)
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Maggio 22nd, 2017 Riccardo Fucile
GIOVEDI’ FORZA ITALIA ATTENDE UN SI’ AGLI EMENDAMENTI PER UN SISTEMA ALLA TEDESCA… IN CAMBIO DEL PROPORZIONALE OFFRE A RENZI IL VIA LIBERA PER ELEZIONI IN AUTUNNO… SALVINI SPIAZZATO
Alla fine è arrivato il segnale che Renzi attendeva dopo dieci giorni di ambasciate segrete: un via libera forte e chiaro di Berlusconi al voto in ottobre, sia pure subordinato all’adozione di un sistema elettorale “alla tedesca”.
Cioè rigorosamente proporzionale e con uno sbarramento al 5 per cento che funzionerebbe da “decespugliatore”.
L’ex Cavaliere l’ha dichiarato al «Messaggero», facendo ben sperare Matteo («Se Silvio non bluffa, ci agganciamo al treno dell’Europa») e cogliendo di sorpresa un’ala del suo stesso partito, quella che già pregustava accordi con la Lega.
Spiazzatissimo ovviamente è Salvini, il quale credeva di avere stretto un patto d’acciaio con il Pd a sostegno del «Verdinellum».
Ma così va la politica nella patria di Machiavelli, le alleanze durano un giro di valzer. Non a caso, il vero dubbio renziano è fino a che punto fidarsi del Cav: se terrà ferma la posizione oppure confermerà la «legge del pendolo», per cui Silvio oggi è qua e domani è là .
«Vedere cammello»
Manco a dirlo, il diretto interessato la vede in maniera speculare. A sentire Berlusconi, l’onere di dimostrarsi affidabile cade proprio su Renzi, che già una volta lo beffò (almeno nella sua ricostruzione) promettendogli di condividere la scelta del nuovo Presidente in cambio del «sì» all’«Italicum», salvo incassare e basta.
Ragion per cui, sostiene l’ex premier nei suoi privatissimi colloqui, prima di «dare moneta» stavolta «esigo di vedere cammello»: vale a dire un testo di riforma elettorale come piace a Forza Italia.
L’attesa si annuncia breve. Giovedì prossimo Sisto, che rappresenta i berlusconiani in Commissione Affari costituzionali della Camera, presenterà una serie di emendamenti proporzionalistici al testo base che proporzionale al momento non è. Se i renziani li voteranno, ci sarà la prova che nessuno sta barando.
La quadratura del cerchio
Qualcuno fa paragoni con il Palio di Siena, dove la corsa incomincia nell’istante in cui pure l’ultimo cavallo si allinea alla partenza: Berlusconi è finalmente piazzato, adesso toccherebbe a Grillo.
Se pure lui ci stesse, sarebbe la quadratura del cerchio. I Cinquestelle per ora osservano e si domandano, scettici: sul serio il Pd sarebbe disposto a sposare un sistema di voto come quello che dal 2005, in Germania, ha già prodotto due «grandi coalizioni»?
La risposta degli esperti renziani è sì, nessun problema: grazie alla soglia di sbarramento, che fa pulizia etnica di tutti i partitini e ne ridistribuisce i resti, di fatto verrebbero favorite le forze maggiori.
Dunque si tratterebbe di un sistema proporzionale, ma con un «premio» nascosto tra le sue pieghe in grado di favorire la governabilità .
Altro ragionamento che si ascolta a Largo del Nazareno: la «grande coalizione» sta bene ai tedeschi e adesso pure ai francesi, che male ci sarebbe se pure noi vi fossimo costretti? L’importante, va confidando in queste ore Renzi, «è andare alle urne col resto d’Europa e non restare un altro anno nell’incertezza, in preda ai mercati».
Il ruolo del Colle
Poi, si capisce, l’ultima parola sulle urne spetta sempre al Capo dello Stato («non trascurabile questione», ironizza il centrista Pino Pisicchio). Ma intanto un primo passo è stato fatto proprio nella direzione indicata da Mattarella, che chiede un consenso il più ampio possibile sulle nuove regole elettorali.
«C’è già un fronte molto largo, anzi finora non si era mai registrata una convergenza così», si faceva notare ieri sera ai piani altissimi del Pd, mettendo in fila tutte le aperture di credito della giornata: oltre a Forza Italia, per bocca del suo leader, anche da Mdp, da Sinistra Italiana, dal Gruppo misto. Lo stesso Salvini ha evitato di impugnare il bazooka, forse perchè da parte berlusconiana sarebbe stato facile ribattergli che il primo a fare business con Renzi era stato proprio lui (già erano pronte le dichiarazioni di replica, casomai avesse osato).
Alle armi, alle armi
Vale quel che vale, ma una vecchia volpe come Massimo D’Alema è convinto che sotto sotto stavolta ci sia davvero qualcosa; non a caso ieri mattina metteva fretta al suo mondo, «bisogna riunirsi con chi c’è e fare le liste» in quanto la resa dei conti è più vicina.
(da “la Stampa”)
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Maggio 22nd, 2017 Riccardo Fucile
GRILLINI FUORI DAI GIOCHI, PENALIZZATI DA INCHIESTE E VELENI INTERNI
Il Pd senza simbolo, i partiti dissolti, il condannato per mafia Salvatore Cuffaro in campo per un candidato, i grillini lacerati da una faida interna combattuta a colpi di dossier da fare invidia alla Prima Repubblica.
Il voto dell’11 giugno che ancora una volta, prima di tutto, è un referendum sull’uscente Leoluca Orlando, il sinnacollando dei quartieri popolari, l’uomo che negli ultimi trent’anni (ora ne ha quasi settanta) è stato l’autobiografia della città e che per la sesta volta si candida a governarla.
Appoggiato da sette liste espressione di pezzi di centro e di tutti i partiti di sinistra, che però ha preteso scendessero in campo senza simboli.
Una prima volta al timone del municipio dal 1985 al 1990 (con il pentapartito prima e con le giunte anomale aperte al Pci dopo) quando il sindaco era eletto dal consiglio comunale, poi altre tre volte scelto dal popolo.
In mezzo una sconfitta a opera del primo cittadino più impopolare dello storia di Palermo, quel Diego Cammarata spinto dall’ondata berlusconiana e finito nella polvere dopo dieci anni di governo.
Esclusa questa lunga parentesi, Palermo è stata Orlando e Orlando è stato Palermo. Lui, l’ex Orlando furioso, il padre della “Primavera” e del centro storico tornato a vivere, l’alfiere dell’antimafia prima che l’antimafia diventasse lobby, il professore universitario capace di parlare in tedesco a un dotto congresso di archeologi e mezz’ora dopo di sfoderare un dialetto verace addentando uno sfincione al mercato.
Per chi lo ama padre della rinascita della città (per cui ha incassato la nomina a Capitale italiana della cultura 2018 e l’organizzazione della Biennale d’arte contemporanea Manifesta), per i suoi detrattori patrigno e divoratore di figli politici, oscurati uno dopo l’altro dalla sua ombra ingombrante.
Certo un suo figlio è il suo diretto avversario, quel Fabrizio Ferrandelli, 37 anni, nato nei centri sociali e oggi — con una parabola a dir poco acrobatica — appoggiato da Forza Italia guidata da un redivivo Miccichè e dai cuffariani del “Cantiere popolare”. Già , Cuffaro, l’ex presidente della Regione.
Escluso in perpetuo dai pubblici uffici dopo la condanna a sette anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra, non può scendere in campo direttamente ma tira le fila senza nasconderlo.
Paladino dei diritti dei detenuti dopo gli anni di carcere a Rebibbia, si pone al mondo con lo stesso orgoglio di un condannato a ingiusta detenzione. “Se vincono loro, torna la palude”, taglia corto Orlando.
Parabola davvero imprevedibile per Ferrandelli, un giovane che di Orlando è stato – o ha creduto di essere – il delfino designato: capogruppo di Italia dei valori al consiglio comunale e grande accusatore dell’ex sindaco Cammarata, da cui è ora per paradosso è appoggiato.
La rottura alle scorse elezioni, quando Ferrandelli si candidò a sindaco e il suo padre politico scelse di appoggiare Rita Borsellino. Ferrandelli vinse le primarie per un soffio, e a quel punto Orlando decise di scendere in campo in prima persona: un mese di campagna elettorale dal sapore freudiano che decretò la vittoria del padre sul figlio.
Così Ferrandelli ripiega sull’Assemblea regionale, viene eletto nelle file del Pd, si dimette due anni fa quando scoppia lo scandalo (poi rivelatosi una bufala) sull’intercettazione di Crocetta che tace quando il suo amico chirurgo Matteo Tutino augura a Lucia Borsellino la fine del padre, martire dalla mafia.
Da allora una lunga cavalcata, alla testa del movimento de “I Coraggiosi”. “Tecnicamente — dice Ferrandelli – i miei Coraggiosi sono nati prima di En Marche e lo spirito è lo stesso, anche se Macron probabilmente non sa neppure che esisto. È il filone sperimentale della politica, il motto è: non mi importa da dove vieni, ma dove vuoi andare”.
Orlando tenta di acciuffare quel 40 per cento che lo re-incoronerebbe al primo turno (lo prevede la legge elettorale siciliana) ma la battaglia non è facile.
Se la borghesia illuminata è pronta a votarlo in massa – chi con convinzione, chi con rassegnazione – le periferie sono state dragate palmo a palmo da Ferrandelli e dai suoi alleati.
Molto sbiadita, sullo sfondo, la terza candidatura, quella del grillino Ugo Forello, avvocato e fondatore di Addiopizzo, azzoppato da una faida interna al movimento nata dall’inchiesta sulle firme false alle Comunali del 2012.
Contro di lui un gruppo di deputati nazionali, guidati da Riccardo Nuti, attivista della prima ora, e oggi indagato e sospeso dai probiviri Cinquestelle. Accusa il candidato di essere il regista che ha guidato le mosse della procura.
L’ultimo veleno, due settimane fa, un’intercettazione su Forello, accusato di far soldi con Addiopizzo. In un clima così, Grillo finora si è tenuto lontano da Palermo.
E, pare, continuerà a stare alla larga.
(da “La Stampa“)
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Maggio 22nd, 2017 Riccardo Fucile
MASIA: “SE ARRIVA AL 2% E’ GIA’ TANTO”… DIAMANTI: “CONTA L’ANNUNCIO”
In questi giorni sono circolate le percentuali più svariate sul valore, in termini di mercato elettorale, del nuovo partito animalista lanciato sabato a Milano da Silvio Berlusconi e Michela Brambilla.
I numeri rimbalzati su siti e giornali andavano dal 5% fino addirittura al 20%, che in realtà corrisponde alla platea delle persone interessate al tema.
Ma, più realisticamente, a quanto può ammontare il bacino di voti dei difensori degli animali?
La storia italiana in verità dimostra che i partiti tematici — dai pensionati, ai cacciatori, dagli automobilisti ai consumatori ai ciclisti — non hanno mai riscosso grandi successi in passato.
Il picco massimo è stato raggiunto dal partito dei pensionati, che alle politiche del 2006 conquistò l’1%, risultato rispettabile ma non sufficiente a conquistare alcun seggio. Tutti gli altri movimenti tematici non hanno mai superato, in media, lo 0,3%.
E i sondaggisti che abbiamo interpellato confermano questa tendenza: “Quando si tratta di elezioni politiche l’elettorato vuole vedere un progetto complessivo”, spiega Antonio Noto, direttore di Ipr Marketing.
E aggiunge: “Il cittadino vota per il Paese, guarda alla sua tasca, alla qualità della vita, al lavoro, alle tasse. Non siamo in una nazione in cui regna il benessere a livelli tali da poterci permettere di votare pensando all’animale che ho a casa piuttosto che alla situazione economica della mia famiglia”.
Insomma, il partito partito animalista non può avere il 20% di consensi perchè c’è il 20% di italiani che hanno un cane o un gatto. “Pensiamo che Forza Italia arrivava al 22% nei tempi d’oro”, conclude Noto.
È vero, però, che in un’ipotetica ottica di coalizione potrebbe essere utile anche un partito che può aggiungere una piccola percentuale come lo 0,3%.
E allora l’idea di Berlusconi di cavalcare la battaglia animalista potrebbe essere frutto di una precisa scelta tattica.
Per Ilvo Diamanti, ordinario di Scienza Politica a Urbino e fondatore dell’istituto Demos & Pi, più che l’iniziativa in sè conta l’annuncio che se ne è fatto: “Berlusconi non è uno sprovveduto, ha trovato un altro modo per far parlre di sè. Poi bisognerà vedere se effettivamente questo partito nascerà e chi saranno i candidati”.
Più ottimistiche le previsioni di Fabrisio Masìa, direttore di Emg: “Considerando l’alta penetrazione degli animali nelle famiglie italiane, potenzialmente è plausibile che il 20% degli intervistati risponda di essere disposto a votare per un partito animalista. Ma poi tra il dire e il fare ce ne corre. Concretamente ritengo che questo partito non possa andare al di sopra del 2-3%, nella migliore delle ipotesi. Che comunque è più o meno quanto oggi potrebbero raccogliere singolarmente Mdp, Sinistra italiana, e gli alfaniani. Inoltre il fatto che questo partito non appaia come indipendente ma come un’emanazione di Forza Italia potrebbe spingere gli animalisti di sinistra a non votarlo”.
Come accennato, quel 20% sbandierato da Berlusconi alla presentazione del suo movimento non è proprio un numero campato in aria.
Una spiegazione ce l’ha, come chiarisce Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia Research: “Nel nostro Paese quasi la metà degli italiani ha uno se non due animali in casa. Nel 2016 è stato stimato che gli animali domestici fossero 60 milioni, quasi come il numero di umani. Fatte queste premesse, abbiamo calcolato che il tema animalista interessi il 20% della popolazione. Quella percentuale è dunque un bacino di utenza potenziale al quale ci si rivolge. Ma la tematica animalista è di accompagnamento a un discorso politico molto più ampio. Poi bisognerà vedere come sarà la legge elettorale”.
(da “La Stampa”)
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