PALERMO, SFIDA TRA EX ALLEATI: E I CINQUESTELLE STANNO A GUARDARE
GRILLINI FUORI DAI GIOCHI, PENALIZZATI DA INCHIESTE E VELENI INTERNI
Il Pd senza simbolo, i partiti dissolti, il condannato per mafia Salvatore Cuffaro in campo per un candidato, i grillini lacerati da una faida interna combattuta a colpi di dossier da fare invidia alla Prima Repubblica.
Il voto dell’11 giugno che ancora una volta, prima di tutto, è un referendum sull’uscente Leoluca Orlando, il sinnacollando dei quartieri popolari, l’uomo che negli ultimi trent’anni (ora ne ha quasi settanta) è stato l’autobiografia della città e che per la sesta volta si candida a governarla.
Appoggiato da sette liste espressione di pezzi di centro e di tutti i partiti di sinistra, che però ha preteso scendessero in campo senza simboli.
Una prima volta al timone del municipio dal 1985 al 1990 (con il pentapartito prima e con le giunte anomale aperte al Pci dopo) quando il sindaco era eletto dal consiglio comunale, poi altre tre volte scelto dal popolo.
In mezzo una sconfitta a opera del primo cittadino più impopolare dello storia di Palermo, quel Diego Cammarata spinto dall’ondata berlusconiana e finito nella polvere dopo dieci anni di governo.
Esclusa questa lunga parentesi, Palermo è stata Orlando e Orlando è stato Palermo. Lui, l’ex Orlando furioso, il padre della “Primavera” e del centro storico tornato a vivere, l’alfiere dell’antimafia prima che l’antimafia diventasse lobby, il professore universitario capace di parlare in tedesco a un dotto congresso di archeologi e mezz’ora dopo di sfoderare un dialetto verace addentando uno sfincione al mercato.
Per chi lo ama padre della rinascita della città (per cui ha incassato la nomina a Capitale italiana della cultura 2018 e l’organizzazione della Biennale d’arte contemporanea Manifesta), per i suoi detrattori patrigno e divoratore di figli politici, oscurati uno dopo l’altro dalla sua ombra ingombrante.
Certo un suo figlio è il suo diretto avversario, quel Fabrizio Ferrandelli, 37 anni, nato nei centri sociali e oggi — con una parabola a dir poco acrobatica — appoggiato da Forza Italia guidata da un redivivo Miccichè e dai cuffariani del “Cantiere popolare”. Già , Cuffaro, l’ex presidente della Regione.
Escluso in perpetuo dai pubblici uffici dopo la condanna a sette anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra, non può scendere in campo direttamente ma tira le fila senza nasconderlo.
Paladino dei diritti dei detenuti dopo gli anni di carcere a Rebibbia, si pone al mondo con lo stesso orgoglio di un condannato a ingiusta detenzione. “Se vincono loro, torna la palude”, taglia corto Orlando.
Parabola davvero imprevedibile per Ferrandelli, un giovane che di Orlando è stato – o ha creduto di essere – il delfino designato: capogruppo di Italia dei valori al consiglio comunale e grande accusatore dell’ex sindaco Cammarata, da cui è ora per paradosso è appoggiato.
La rottura alle scorse elezioni, quando Ferrandelli si candidò a sindaco e il suo padre politico scelse di appoggiare Rita Borsellino. Ferrandelli vinse le primarie per un soffio, e a quel punto Orlando decise di scendere in campo in prima persona: un mese di campagna elettorale dal sapore freudiano che decretò la vittoria del padre sul figlio.
Così Ferrandelli ripiega sull’Assemblea regionale, viene eletto nelle file del Pd, si dimette due anni fa quando scoppia lo scandalo (poi rivelatosi una bufala) sull’intercettazione di Crocetta che tace quando il suo amico chirurgo Matteo Tutino augura a Lucia Borsellino la fine del padre, martire dalla mafia.
Da allora una lunga cavalcata, alla testa del movimento de “I Coraggiosi”. “Tecnicamente — dice Ferrandelli – i miei Coraggiosi sono nati prima di En Marche e lo spirito è lo stesso, anche se Macron probabilmente non sa neppure che esisto. È il filone sperimentale della politica, il motto è: non mi importa da dove vieni, ma dove vuoi andare”.
Orlando tenta di acciuffare quel 40 per cento che lo re-incoronerebbe al primo turno (lo prevede la legge elettorale siciliana) ma la battaglia non è facile.
Se la borghesia illuminata è pronta a votarlo in massa – chi con convinzione, chi con rassegnazione – le periferie sono state dragate palmo a palmo da Ferrandelli e dai suoi alleati.
Molto sbiadita, sullo sfondo, la terza candidatura, quella del grillino Ugo Forello, avvocato e fondatore di Addiopizzo, azzoppato da una faida interna al movimento nata dall’inchiesta sulle firme false alle Comunali del 2012.
Contro di lui un gruppo di deputati nazionali, guidati da Riccardo Nuti, attivista della prima ora, e oggi indagato e sospeso dai probiviri Cinquestelle. Accusa il candidato di essere il regista che ha guidato le mosse della procura.
L’ultimo veleno, due settimane fa, un’intercettazione su Forello, accusato di far soldi con Addiopizzo. In un clima così, Grillo finora si è tenuto lontano da Palermo.
E, pare, continuerà a stare alla larga.
(da “La Stampa“)
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