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COSI’ GIOVANARDI MINACCIAVA I CARABINIERI: INDAGATO PER AVER FATTO PRESSIONI A FAVORE DI IMPRESA VICINA AD ‘NDRANGHETA

Maggio 10th, 2017 Riccardo Fucile

LE INTERCETTAZONI IN CUI EMERGONO LE MINACCE

Lui che ha sempre difeso l’onore delle forze dell’ordine, ora si ritrova accusato, tra l’altro, di aver minacciato con pressioni indebite due ufficiali dell’Arma dei carabinieri.
L’ex ministro del governo Berlusconi, Carlo Giovanardi, starà  ripensando a tutte quelle volte in cui si è schierato per proteggere dal “fango” mediatico gli uomini in divisa ogni volta che uno di questi finiva al centro delle cronache per aver violato la legge, vedi caso Cucchi, Aldrovandi e molti altri ancora.
Perchè il senatore ha un’idea di Stato molto particolare.
È lui stesso a spiegarla a un colonnello dei carabinieri, il quale, poi, sentito come persone offesa in un’indagine antimafia, ai pm riferisce: «Il senatore ha raccontato di un generale dell’Arma che aveva avuto problemi giudiziari, relativi agli anni Ottanta. Riferendosi alla successiva assoluzione del militare, Giovanardi disse che aveva ottenuto dall’allora ministro dell’Interno Mancino un interessamento a favore del medesimo per quanto riguardava il sostegno delle spese legali.
Disse precisamente che il giorno dopo aver parlato con Mancino si presentò qualcuno alla porta del generale con il contante. Specificò poi trattarsi di 70 milioni di lire. Mi pare che il senatore abbia riferito questo episodio dicendo che questo era quello che doveva fare lo Stato e cioè essere vicino, disse che lui lo Stato lo intendeva in quel modo, non compresi se alle forze di polizia o a chi risultava poi assolto».
La posizione dell’ex ministro è al vaglio del giudice delle indagini preliminari, che sta valutando la rilevanza di alcune intercettazioni e di numerosi tabulati, i contatti telefonici, cioè, del parlamentare con altre persone coinvolte nell’indagine.
La “vicenda Giovanardi” rientra nel filone investigativo relativo agli appoggi interni alla prefettura di Modena su cui poteva contare un’azienda sotto processo per ‘ndrangheta. I titolari sono imputati a Reggio Emilia per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nella stessa aula alla sbarra c’è il gotha della ‘ndrangheta emiliana: boss, gregari e complici del clan guidato da Nicolino Grande Aracri, detto “Mano di gomma”, che vanta amicizie massoniche e vaticane. Un maxiprocesso, questo, con oltre 140 persone in attesa di giudizio.
Il nome di Giovanardi è già  emerso durante alcune udienze del dibattimento. Nell’indagine a carico del senatore , componente anche della commissione antimafia, i pm Beatrice Ronchi e Marco Mescolini contestano la rivelazione di segreto e la minaccia a corpo amministrativo dello Stato.
Con un’aggravante molto seria: aver agevolato l’organizzazione mafiosa, cioè la ‘ndrangheta, che grazie alla società  Bianchini era entrata nel giro che conta degli appalti. Una società , la Bianchini, che gli inquirenti ritengono a disposizione dei clan.
Insieme al parlamentare sono indagate altre 11 persone, tra cui gli imprenditori che hanno chiesto aiuto al politico e il capo di gabinetto della prefettura modenese, Mario Ventura. Giovanardi, sostengono i pm, sarebbe stato consapevole delle relazioni pericolose degli imprenditori modenesi.
Eppure ha proseguito nella sua crociata per salvare l’azienda dai provvedimenti della prefettura di Modena, istituzione che aveva escluso la Bianchini costruzioni dalle “white list”, gli elenchi prefettizi delle aziende “pulite”.
Solo le imprese iscritte a queste liste possono lavorare nei cantieri pubblici della ricostruzione post terremoto.
Crociata fatta di un pressing costante sulle istituzioni locali e centrali. Minacciando trasferimenti e denunce nei confronti dei servitori dello Stato che, invece, resistevano al pressing a tutto campo del parlamentare.
L’atto d’accusa della procura antimafia è un lungo elenco di date, riunioni, colloqui registrati. Fatti che riconducono l’attività  dell’ex ministro, fino al 2011 anche sottosegretario alla presidenza del Consiglio, in un recinto ben preciso: ha agito, sostengono i pm, «in assenza di qualsiasi connessione, se non strumentale, con qualsivoglia attività  parlamentare».
Il senatore si difende affermando che ha agito sempre secondo le regole, del resto, dice, è prerogativa di un senatore della Repubblica svolgere attività  di sindacato ispettivo sulle altre istituzioni, in questo caso la prefettura.
Nulla da obiettare, se non fosse per gli incontri che, secondo gli inquirenti, sono andati oltre le «prerogative» del ruolo istituzionale che ricopre.
Sul comportamento di Giovanardi emergono ulteriori particolari, che a prescindere dal rilievo penale o meno, lo rendono una figura ingombrante all’interno della commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi.
È opportuno, infatti, che un membro di questa commissione pronunci frasi del tipo «purtroppo il prefetto è un coniglio, personaggio che pensa solo a non fare cose che siano controproducenti per lui», così come risulta dagli atti?
Oppure che manifesti l’intenzione di rivolgersi a un funzionario del ministero per chiedere «la testa del prefetto»?
E poi ci sono due verbali, che hanno un peso specifico non indifferente, che descrivono nei dettagli la strategia del politico.
Sono, appunto, quelli dei due carabinieri. Uno porta la firma del colonnello Stefano Savo, ex comandante provinciale dei carabinieri di Modena, l’altro è del tenente colonnello Domenico Cristaldi, capo del nucleo investigativo, il reparto cioè che ha seguito fin dall’inizio l’inchiesta Aemilia sulla ‘ndrangheta emiliana e dove è rimasto implicato l’imprenditore che “attiva” Giovanardi. Entrambi gli ufficiali sono stati contattati dal senatore per avere un incontro e discutere del caso “Bianchini”.
I due si recano all’appuntamento in uniforme, così da non lasciare spazio a equivoci. Il luogo stabilito era uno spazio pubblico, alla presenza, quindi, di altre persone.
Il colonnello Savo, per primo, riporta quanto dettogli quel giorno dal senatore: «Disse che qualcuno avrebbe dovuto rispondere dei danni derivanti da questi interventi, facendo il parallelo con la responsabilità  dei magistrati e dicendo che era sua intenzione presentare degli esposti su questa vicenda. Ho avuto la percezione che volesse riferirsi al mio comando e alla mia persona».
L’altro ufficiale chiarisce meglio il tono usato dal politico: «Mai immaginavo che le attenzioni manifestate dal senatore potessero giungere a un incontro del genere…voglio sottolineare che ha tenuto un comportamento estremamente deciso e perentorio, incalzante…Peraltro sia io che il comandante eravamo in divisa, in un esercizio pubblico, e il parlamentare non usava un tono di voce basso». Un grande imbarazzo, dice di aver provato Cristaldi, «per i temi trattati e i toni, proprio perchè riguardavano una nostra attività  di ufficio di natura riservata e di cui lui si mostrava pienamente a conoscenza».
C’è, tuttavia, una data che rappresenta uno spartiacque. Almeno questa è l’ipotesi dei pm. Si tratta del 18 ottobre 2014. È il giorno in cui nell’ufficio del politico, a Modena, si è tenuto uno degli incontri riservati tra Giovanardi e la famiglia Bianchini. In questa occasione gli imprenditori, con il “vizietto”di registrare gli incontri importanti, ammettono davanti al parlamentare di aver sgarrato più di una volta. Dove per sgarrare intendono rapporti commerciali e fatture false con pezzi grossi della ‘ndrangheta oltre che l’assunzione di operai tramite un boss calabrese. Oltre a verbali e registrazioni private, quelle effettuate dagli imprenditori, gli inquirenti chiedono di potere utilizzare alcune telefonate.
Da quanto risulta all’Espresso sono quattro dialoghi telefonici intercettati per caso durante un’altra indagine, parallela.
Si tratta di telefonate tra Giovanardi e un imprenditore, Claudio Baraldi, titolare di un’impresa anch’essa in passato bloccata dalla prefettura di Modena con un’interdittiva antimafia.
A differenza della Bianchini, la Baraldi, che orbita nella galassia confindustriale, è stata poi riabilitata. Pure per riabilitare quest’ultima società  Giovanardi si era speso moltissimo. È forse per questo motivo che chi indaga ritiene fondamentali quelle telefonate. Materiale investigativo utile a ricostruire tutta la vicenda e soprattutto il ruolo del senatore.
Se il giudice dovesse ritenerle rilevanti sarà  lui stesso a inviare tutta la documentazione alla giunta per le autorizzazioni del Senato.
Ma l’ultima parola spetterà  all’aula di palazzo Madama. Saranno i senatori, infatti, a esprimersi sull’utilizzo delle intercettazioni in cui spunta l’ex ministro che risolve problemi e che «sfruttava la sua influenza politica e il prestigio derivante dagli incarichi in passato occupati nel governo italiano nonchè quello instaurato con le autorità  prefettizie».
Nell’informativa dei carabinieri di Modena, inoltre, vengono individuate alcune utenze telefoniche contattate da Giovanardi. Ai pm interessano quelle di cinque persone, tra cui il capo di gabinetto della prefettura di Modena – grande amico del politico – e dei Bianchini.
Vista la delicatezza del ruolo ricoperto da Giovanardi, gli inquirenti nella loro richiesta al gip precisano che «non sono state disposte acquisizioni di dati relativi al traffico telefonico di utenze in qualsiasi modo ricollegabili al parlamentare… L’obiettivo iniziale era ricostruire la ragnatela di rapporti esistente attorno ai Bianchini e individuare coloro che avevano agito illecitamente nel loro interesse». In pratica, la procura di Bologna stava seguendo tutt’altra pista.
Poi, a un certo punto, piomba sulla scena Carlo Giovanardi, che le prova tutte per capovolgere l’esito dell’indagine amministrativa a carico dell’azienda modenese. Una missione ossessiva, tanto che il capo di gabinetto della prefettura definì l’amico parlamentare un «martello pneumatico» per la determinazione dimostrata nel voler salvare quell’impresa che secondo gli investigatori era nell’orbita del clan.
Dopo l’anticipazione dell’Espresso sull’indagine a carico del senatore Carlo Giovanardi da parte dell’antimafia di Bologna, la commissione presieduta da Rosi Bindi prende posizione, chiedendo al parlamentare di non partecipare più ai lavori per opportunità  politica. Stessa richiesta avanzata nei confronti dell’onorevole Riccardo Nuti (M5S).

(da “L’Espresso”)

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COMICHE PADANE, I PAESANI NON VOGLIONO CHE LA PARROCCHIA ACCOLGA 24 PROFUGHI, IL MEDICO DEL PAESE NON LI CURA PIU’

Maggio 10th, 2017 Riccardo Fucile

“RIVOLGETEVI A ME SOLO SE SIETE IN PERICOLO DI VITA”… SE VALE IL PRINCIPIO “PADRONI A CASA NOSTRA”, NELLA CASA DELLE OPERE PARROCCHIALI LA CHIESA OSPITA CHI GLI PARE… FORZA MINNITI, FAI VEDERE CHE FAI RISPETTARE LA LEGGE

“Comincia così la mia resistenza. Agli abitanti della frazione cuneese che hanno esposto il cartello “Noi i negri non li vogliamo”, comunico che non intendo prestar loro alcun intervento sanitario se non in caso di immediato rischio di vita o qualora si configurassero le condizioni di una denuncia per il reato di omissione di soccorso. Siete pertanto pregati di rivolgervi a un altro più qualificato professionista”
Il post è stato diffuso dal dottor Corrado Lauro, che opera anche in chirurgia generale all’ospedale Santa Croce di Carle di Cuneo.
Il messaggio su facebook è rivolto agli abitanti delle frazioni di Roata Canale e Spinetta dopo la polemica scoppiata per i manifesti anonimi comparsi nelle vie di questi paesi.
I cittadini protestavano aspramente contro l’ipotesi che la Casa delle opere parrocchiali ospitasse 24 migranti o richiedenti asilo.
Fomenta la rivolta   il comitato che sostiene la candidatura a sindaco di Giuseppe Menardi   per il centrodestra.
La polemica sui migranti aveva coinvolto anche il vescovo di Cuneo monsignor Piero Delbosco, che aveva incontrato circa 400 cittadini in un’assemblea pubblica il 30 aprile. Ma tutti gli avevano risposto quasi all’unisono: “Non li vogliamo”, dopo due ore e mezza di un dibattitto dai toni accesi in cui il vescovo aveva cercato di spiegare il progetto di accoglienza dell’associazione Ubuntu di Cuneo, una onlus che rientra nell’ambito dell’organizzazione internazionale Lvia.

(da agenzie)

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BOSCHI, IL GIORNO DOPO: DE BORTOLI ESCLUDE PRESSIONI, SOLO INTERESSAMENTO, NON SI SA COME E QUANDO

Maggio 10th, 2017 Riccardo Fucile

IL M5S SI ACCORGE CHE NON PUO’ PRESENTARE UNA MOZIONE DI SFIDUCIA ALLA BOSCHI, VISTO CHE NON E’ PIU’ MINISTRO… DA DUE GIORNI SI PARLA DEL NULLA

Continua la farsa sul caso Boschi-Unicredit-Banca Etruria.
“Da qui in poi si occuperanno di questa questione i miei legali”, annuncia in conferenza stampa a Palazzo Chigi la sottosegretaria, che ribadisce: “Quello che dovevo dire l’ho detto ieri, sono intervenuta in Parlamento il 18 dicembre del 2015 e confermo quello che ho detto”. Ma, ha aggiunto, “la misura è colma”.
Alla minaccia di una querela, l’ex direttore del Corriere della Sera risponde: “Sono assolutamente tranquillo e sicuro della bontà  delle mie fonti” ha detto, “non ho parlato di pressioni, mi è stato riferito da una fonte vicina a Unicredit”.
“Nel suo caso – ha spiegato – c’era un conflitto di interessi. Credo che un politico debba preoccuparsi di quello che succede a una banca, ma un conto è farlo, un conto è fare pressioni indebite e io non ho parlato di pressioni”.
“Ho parlato di interessamento e non di pressioni – ha ribadito – credo che si debba uscire dall’ipocrisia, i politici possono e debbono occuparsi dei problemi del territorio, non ci trovo nulla di strano. Ma un conto è preoccuparsi, altra cosa sono le ingerenze”. Secondo de Bortoli “Unicredit ha agito correttamente, da mie fonti ho saputo che ha aperto un dossier e poi l’ha chiuso”.
‘Eccessiva’, invece, gli sembra comunque la richiesta di dimissioni dell’ex ministra Boschi.
Boschi, già  in passato, aveva negato di aver intrapreso alcuna iniziativa attribuitale per tentare di salvare l’ex popolare dell’Etruria, commissariata dalla vigilanza nel 2015, e ieri, poco dopo le prime voci sul suo coinvolgimento nella vicenda, aveva ribadito la sua posizione su Facebook, mentre l’ex amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, per ora preferisce non rilasciare alcuna dichiarazione in merito.
Se l’ex ministra sceglie di usare poche parole e affida agli avvocati la sua difesa, il Movimento 5 stelle torna all’attacco e, nel corso di una conferenza stampa indetta a Montecitorio, chiede che il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, intervenga in Aula sulla vicenda e che vengano revocate alla sottosegretaria tutte le deleghe.
Il Movimento di Beppe Grillo, però, non presenterà  una mozione di sfiducia, perchè si è finalmente accorto che “come atto parlamentare non può essere presentato dato che Boschi non è più ministra”.
“È vergognoso e strumentale l’attacco M5s a Boschi teso unicamente a coprire i disastri di Roma o l’inchiesta sulle firme false a Palermo”, aveva dichiarato il capogruppo Pd alla Camera, Ettore Rosato, che oggi ha ribadito: “Anche Unicredit ha smentito tutto. Si tratta di una bufala montata dal Movimento 5 stelle per nascondere le sue disgrazie”.
Fine della seconda giornata di polemiche sul nulla.
Quante copie avrà  venduto De Bortoli oggi?

(da agenzie)

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NEW YORK TIMES SUI RIFIUTI A ROMA: “SONO OVUNQUE, LA RAGGI NON HA MANTENUTO LA SUA PROMESSA”

Maggio 10th, 2017 Riccardo Fucile

IL PREFETTO PECORARO: “SINDACA E GOVERNATORE COLLABORINO, ALTRIMENTI COMMISSARIAMENTO”

“A Roma ci sono rifiuti quasi ovunque” e i politici “continuano a promettere – e falliscono – di tenere il problema sotto controllo”.
Lo afferma un editoriale del New York Times firmato da Frank Bruni.
“La situazione” dei rifiuti “è peggiore del solito e più deprimente che mai, perchè i romani hanno eletto lo scorso anno un giovane sindaco di un nuovo e giovane partito politico che si era impegnato a cambiare le cose. Quasi 11 mesi dopo, non ha fatto quasi nulla del genere” si legge nell’editoriale.
Nell’editoriale dal titolo la ‘sporca metafora di Roma’, Bruni mette in evidenza il contrasto della città , con i monumenti tirati a lustro e la spazzatura.
I rifiuti “sono la prima cosa che i romani nominano a chi gli chiede della loro città  in questi giorni. Ma anche la seconda e la terza” si legge nell’editoriale, dove viene citato Massimiliano Tonelli che descrive la situazione come “tragica. Nessun altro paese europeo ha la sua capitale in queste condizioni”.
Tonelli insieme ad altri romani fa la cronaca dei rifiuti sul “sito tristemente popolare ROma Fa Schifo”, che ha contribuito a fondare.
Tonelli si lamenta del contrasto fra i monumenti splendenti per turisti mentre Roma puzza per i cittadini. Una contraddizione che ricorda costantemente agli italiani che “il settore pubblico è inefficiente e disorganizzato mentre quello privato funziona meglio”.
Il New York Times si spinge anche oltre. “Non sono solo i rifiuti. E’ la profusione di venditori ambulanti senza licenza nelle strade. Gli irregolari trasporti pubblici. La corsa a ostacolo delle auto parcheggiate dove non dovrebbero essere parcheggiate”.
Il prefetto Pecoraro: “Istituzioni collaborino altrimenti si commissari”.
“Non voglio entrare nella politica, ma credo che il dialogo tra le istituzioni sia indispensabile. Si crei un gruppo di lavoro interistituzionale: il Comune, la Regione e il ministero dell’Ambiente collaborino per individuare al più presto una soluzione, altrimenti si vada al commissariamento”.
Così all’Adnkronos il prefetto Giuseppe Pecoraro, già  prefetto di Roma ed ex commissario straordinario per l’emergenza rifiuti.

(da “Huffingtonpost”)

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COSTANZO CONTRO LA RAGGI: “A ROMA SONO I TOPI CHE PULISCONO LA CITTA’, SINDACO INCAPACE”

Maggio 10th, 2017 Riccardo Fucile

“NON CREDO CERTO AL SABOTAGGIO SUI RIFIUTI”

“La Raggi? Un’incapace”
È così che Maurizio Costanzo ha detto la sua sulle due personalità  più chiacchierate della sua Roma – il sindaco pentastellato e il capitano della squadra della capitale – nel corso di un’intervista rilasciata a Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio di Radio Cusano Campus.
Il conduttore del Maurizio Costanzo Show non ci sta a veder ridotta la sua città  così e ha quindi criticato duramente la sindaca Raggi, eletta nel corso dell’estate 2016 a primo cittadino della capitale.
“L’emergenza rifiuti c’è. A Roma ci sono dei topi con la maglietta gialla che puliscono la città . La sindaca Raggi è talmente incapace che i topi si sono messi d’accordo tra di loro e puliscono la città “.
Parole al vetriolo, quelle di Costanzo ai microfoni della radio universitaria, che sottolineano come il marito di Maria De Filippi non creda neanche alla versione complottista rilanciata dalla Raggi a più riprese. “Alla storia dei sabotaggi non ci credo, quando si parla di sabotaggi non si è fatto qualcosa”.
Il conduttore, poi, dice la sua anche sul calo di attenzioni nei confronti del primo cittadino rispetto ai primi tempi: “La Raggi non è più considerata dalla stampa perchè se ne è capita l’inconcludenza. Marino e Alemanno sono stati trattati peggio di lei, lei viene ignorata ed è ancora peggio. E a me dispiace, perchè questa città  va tenuta meglio”.
Del resto, non si tratta della prima volta che Costanzo accusa la sindaca. Nel febbraio del 2017, infatti, il giornalista aveva confidato ad HuffPost la sua delusione per la gestione pentastellata di Roma, auspicando in un miglioramento.

(da “Huffingtonpost”)

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LA “DISERZIONE” DI MARION LE PEN A CAUSA DEL TRADIMENTO DI MARINE

Maggio 10th, 2017 Riccardo Fucile

COSA SI NASCONDE DIETRO IL SUO ADDIO ALLA POLITICA… I CONTRASTI CON PHILIPPOT E CON MARINE… ORA SI TEME IL FLOP ALLE LEGISLATIVE

All’alba della sconfitta di Marine Le Pen al secondo turno delle presidenziali francesi Marion Marèchal-Le Pen ha deciso di cambiare vita e lasciare la politica.
La nipote della leader del Front National, deputata all’Assemblea Nazionale per la Vaucluse ha deciso che non si ripresenterà  alle prossime elezioni.
A ventisette anni la più giovane deputata francese, figlia del fondatore del movimento giovanile del Front National e nipote di Jean-Marie Le Pen del partito ha detto “basta” alla politica.
Come ha spiegato in una lettera aperta agli abitanti della Vaucluse e durante un’intervista a TVLibertès la Le Pen ha preso la decisione di abbandonare la vita politica già  da diverso tempo.
Per spirito di abnegazione e di lealtà  verso il partito però ha deciso di attendere l’esito delle presidenziali. Durante la campagna elettorale per l’Eliseo Marion Le Pen è stata impegnata, al fianco della zia e degli altri esponenti del Front National, per tentare di portare Marine Le Pen alla vittoria.
Diversi sono i motivi che l’hanno spinta a lasciare la politica.
Il principale, scrive nella lettera, è la necessità  di stare più vicina alla figlia Olympe nata da poco della quale, a causa dell’attività  di parlamentare, ha sentito terribilmente la mancanza. Motivi personali quindi.
La Le Pen prosegue spiegando che ci sono anche delle ragioni politiche. Nella lettera fa riferimento al fatto che i politici non devono essere disconnessi dalla realtà  e non devono mirare a guadagnare consensi per avere delle indennità  ma per servire il popolo. Più che ragioni politiche si tratta di principi morali ai quali la giovane Le Pen sembra non essere disposta a rinunciare.
Ma tra le righe si può leggere il malcontento per la gestione del partito da parte della zia e dei vertici del Front National.
A spingerla verso l’abbandono ci sarebbe anche la questione del suo ruolo nel partito, al cui interno non ha mai rivestito alcun incarico di dirigente ad eccezione di quello di segretario locale del FN.
Marion ha rapporti difficili anche con il vicepresidente Florian Philippot, accusato anche dal nonno di essere il responsabile della sconfitta del FN alle presidenziali di domenica scorsa.
Philippot rapresenterebbe l’ala “moderata” del partito e avrebbe anche intenzione di cambiare nome al FN per affrancarlo dalla nomea politica di partito di estrema destra.
Marion Le Pen invece rappresenta l’ala dei “duri e puri” del FN, quelli che non hanno gradito il parricidio rituale commesso dalla zia Marine nei confronti del fondatore del partito.
Marine ha infatti espulso il padre dal FN e nell’ansia di rendersi più appetibile agli elettori moderati ha rinnegato alcuni dei tratti distintivi della visione politica neofascista e ultracattolica del Front National.
La decisione di abbandonare quindi sarebbe motivata anche dalle difficoltà  di riuscire a conciliare le posizione delle due “anime” del partito.
Marion rinuncerà  anche al suo ruolo di consigliere regionale e alla presidenza del gruppo del FN nel Consiglio regionale della Provenza-Alpi-Costa azzurra.
Jean-Marie Le Pen, il grande vecchio costretto a stare ai margini e ad assistere allo sfascio del suo partito ha definito un tradimento la decisione della nipote. Il fondatore del FN ha visto quella di Marion come una vera e propria diserzione, avvenuta in uno dei momenti culminanti della battaglia.
È vero infatti che Marion lascia dopo la fine della campagna per le presidenziali, dove il FN ha subito una sonora sconfitta, ma all’orizzonte c’è quella — altrettanto decisiva — per l’elezione dei deputati dell’Assemblea Nazionale.
Il partito perde così uno dei suoi esponenti più amati e carismatici proprio mentre Marine Le Pen è alla ricerca di un accordo di desistenza con Nicolas Dupont-Aignan del movimento sovranista Debout la France per ritirare i suoi candidati da una cinquantina di circoscrizioni elettorali.

(da “NextQuotidiano”)

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LA FOGNA RAZZISTA FESTEGGIA LA MORTE DI DUE BAMBINE BRUCIATE VIVE

Maggio 10th, 2017 Riccardo Fucile

PROCURATORI DELLA REPUBBLICA, QUANDO AVETE UN MINUTO LIBERO DALLE INDAGINI SULLE ONG, DATE UN’OCCHIATA ALLA FECCIA CHE CIRCOLA SUL WEB… CON COMODO, OVVIO

Questa notte un camper ha preso fuoco in viale della Primavera, in zona Centocelle a Roma. Nel rogo hanno perso la vita tre persone: una ragazza di 20 anni e e due bambine di 4 e 8 anni.
La Procura di Roma ha acquisito i filmati di alcune telecamere di sorveglianza. In un video si vede una persona lanciare una bottiglia incendiaria verso la parte anteriore del camper. Sono state trovate tracce di un liquido infiammabile e i resti di quella che potrebbe essere la bottiglia usata per appiccare le fiamme al camper.
È stato quindi aperto un fascicolo d’indagine per i reati di omicidio volontario e di incendio doloso, al momento contro ignoti.
I superstiti dell’incendio — nel camper viveva una famiglia di 13 persone — hanno raccontato alla Polizia di aver subito delle minacce.
Altri testimoni raccontano che venerdì scorso, a poca distanza, ha preso fuoco un altro camper.
Fortunatamente in quel caso non ci sono state nè vittime nè feriti. In attesa della conclusione degli accertamenti degli inquirenti sulla responsabilità  degli incendi è possibile dire — come ha fatto   il presidente nazionale della Croce Rossa Italiana Francesco Rocca — che quelle tre persone sono morte di esclusione sociale.
Esclusione sociale è quel termine che serve ad indicare il modo con cui molti italiani — e anche diverse amministrazioni comunali e politici — guardano il “problema” dei Rom.
Per molti gli zingari non sono italiani e quindi vale lo slogan prima gli italiani. Slogan che si traduce in proteste quando un Comune assegna le case popolari a famiglie di etnia Rom. Nessuno vuole i Rom nelle case popolari, nessuno li vuole nei campi e men che meno nei camper.
Nessuno sottolinea mai che la maggioranza di rom e sinti sono italiani. E a quelli che dicono che i nomadi devono essere “mobili” va ricordato che la maggior parte sono stanziali alcuni di loro anche da 8-10 generazioni.
La storia è sempre la solita: dove molti esprimono il loro cordoglio e il loro dolore ce ne sono altrettanti che letteralmente godono perchè ci sono “tre Rom in meno”.
“Tre borseggiatrici in meno”, poco importa che due avessero 8 e 4 anni. Tanto lo sarebbero diventate prima o poi. E allora “W IL FUOCO PURIFICATORE” come scrive qualcuno tutto in maiuscolo.
Meglio le spedizioni punitive, le ronde, per sterminarli tutti. Questo è l’odio etnico che alimenta i roghi come quello di Centocelle.
C’è poi una nutrita schiera di antropologi laureati all’Università  della Strada che ci spiegano che è tutta colpa della cultura Rom che i soliti buonisti vorrebbero preservare.
L’idea che tredici persone siano costrette a vivere in un camper perchè non hanno altra sistemazione ovviamente viene esclusa a priori.
Qualcuno chiede il test del DNA per dimostrare che sono tutti figli loro mentre un novello Mengele propone una campagna di sterilizzazione di massa.
C’è addirittura la madre che scrive che della morte di quelle due bambine “dispiace più a lei” che ai genitori.
Non mancano gli insulti alla Boldrini, i riferimenti agli “italiani che si sono suicidati” per colpa dello stato e le accuse allo Stato che non se ne occupa.
E se credevate di esservela cavata senza che nessuno ricordasse che i terremotati stanno nelle tende mentre questi qui vivono in camper vi sbagliate.
Perchè abbiamo anche quello nel nostro campionario di razzismo quotidiano.
E di cosa ci stupiamo, in fondo abbiamo politici come Matteo Salvini che quotidianamente promuovono l’utilizzo della violenza contro i Rom.
Perchè quando Salvini invoca la ruspa sui campi rom per sgomberarli con la forza passa sopra ai diritti di quelle persone.

(da “NextQuotidiano“)

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MOLOTOV CONTRO CAMPER, ASSASSINATE TRE SORELLE ROM: CERCATE CHI HA TACIUTO SULLE RUSPE, RINUNCIANDO A PERSEGUIRE CHI ISTIGA ALL’ODIO RAZZIALE

Maggio 10th, 2017 Riccardo Fucile

GLI IPOCRITI PIANGONO LACRIME DI COCCODRILLO, MA QUESTO E’ UN PAESE DOVE NESSUNO HA LE PALLE DI MANDARE IN GALERA I RAZZISTI

La procura di Roma indaga per omicidio volontario, oltre che per rogo doloso, in relazione al rogo del camper in cui hanno perso la vita tre sorelle rom: una ragazza di 20 anni e due bambine di 4 e 8 anni alla periferia di Roma.
La procura ha acquisito un video in cui si vede una persona che lancia una bottiglia incendiaria verso la parte anteriore del camper e scappa via.
Trovati sul posto un accendino e il tappo della bottiglia incendiaria.
Mentre alcuni testimoni raccontano che “Venerdì sera a via Romolo Balzani è andato a fuoco un altro camper per fortuna vuoto. Quei nomadi parcheggiavano di solito vicino a villa de Santis. Vivevano qui intorno, li vedevamo spesso”.
Un cliente del centro commerciale, Massimiliano, ricorda di aver visto la famiglia qualche giorno fa. “Era lunedì pomeriggio – ricorda – i bambini giocavano sul piazzale davanti al camper”.
Toccherà  ora a chi indaga fare luce sulla tipologia delle minacce e individuare il movente dietro cui si è consumata la tragedia.
I superstiti: “Noi minacciati”.
I familiari delle tre vittime sfuggite alla strage, gia’ sentiti dalla polizia, hanno riferito di aver subito delle minacce. Stara’ a chi indaga capire se il rogo del veicolo, dove viveva una famiglia di 13 persone, sabbia motivazioni xenofobe.
Un clima di intolleranza confermato anche dalle dichiarazioni di alcuni abitanti della zona.
Le testimonianze: “Sembrava una bomba”.
“Ho sentito un boato e ho pensato a una bomba. Poi mi sono affacciata alla finestra e ho visto le fiamme altissime”. E’ il racconto di Amelia, una residente di un palazzo di via Giardino Cassandrino, a pochi metri dal parcheggio dove si trovava il camper distrutto dall’incendio della scorsa notte in cui sono morte tre sorelle di 20, 8 e 4 anni. “Non ho più dormito – ha aggiunto – sentivo urlare. Inizialmente ho pensato a qualche ragazzo che aveva dato fuoco alle auto. Quel camper lo avevo visto diverse volte, era lì all’angolo da settimane, forse mesi”.
L’incendio è divampato intorno alle 3 in viale della Primavera, nel parcheggio di un supermercato a Centocelle. Le tre vittime si chiamavano Elisabeth, Francesca e Angelica Halinovic. Nel furgone viveva la famiglia   composta dai genitori e 11 figli.I genitori e fratelli riusciti a scappare dal rogo, sono stati ascoltati in commissariato.
Il cordoglio delle istituzioni. Mattarella: “Crimine orrendo”.
“Chiunque sia stato, è un crimine orrendo: quando si arriva a uccidere dei bambini si è al di sotto del genere umano. Mi auguro che magistratura e forze dell’ordine riescano ad individuare e punire i colpevoli perchè è inaccettabile quel che è avvenuto, chiunque sia stato”.
Lo ha detto Sergio Mattarella ai giornalisti durante la sua visita a Bariloche. Per il capo dello Stato “è una cosa di una gravità  enorme. Non sappiamo quale sia l’origine, ma chiunque sia stato è davvero un crimine di cui individuare i responsabili e punirli severamente”.
Sul posto in mattinata è arrivata Virginia Raggi. “Esprimiamo cordoglio perchè quando ci sono delle vittime si rimane un attimo in silenzio. Poi c’è la procura che sta indagando sulle cause. Vi daremo aggiornamenti quando ne avremo”. Ha detto la sindaca di Roma   al termine del sopralluogo. Insieme a lei anche il presidente del V Municipio, Gianni Boccuzzi, e il comandante della Polizia locale, Diego Porta. “Bambine che bruciano vive dentro una roulotte: atroce dolore, orrore puro. Chiunque sia stato merita la pena più dura. #Roma #giustizia”. Lo scrive il segretario del Pd, Matteo Renzi, su Twitter.
“Mi sento in colpa pure io”: il biglietto lasciato con le rose .   Un mazzo di fiori, tre rose rosse, lasciate accanto alla carcassa del camper distrutto dall’incendio. A lasciarlo un cittadino con accanto un biglietto: “Carissime amiche, mi sento in colpa pure io”. Caritas: “Nuova tragedia”.
“Assistiamo a una nuova tragedia in questa città  dopo quella di Tor Fiscale nel 2011 in cui persero la vita quattro bimbi.   Non ci saremmo aspettati un altro episodio del genere, ma purtroppo si è riverificato. Questo ci deve far riflettere”.
Lo ha detto monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma, che si è recato sul luogo dell’incendio.”Serve una programmazione fatta in modo più serio e attento – ha aggiunto -. Ho parlato con il sindaco e mi ha detto che   l’obiettivo dell’amministrazione è il superamento. Non è una cosa semplice ma serve una progettualità  a lunga gittata”.
Croce Rossa: “Morti per stigma sociale”.
“Non è la prima volta che piangiamo la morte di bambini in un rogo di un camper o di un accampamento di fortuna. A febbraio 2011 quattro bambini erano morti in un rogo dentro un campo Rom, oggi ci troviamo a commentare un’ennesima tragedia dove hanno perso la vita tre sorelle di quattro, otto e venti anni. A Roma, come in tante altre parti d’Italia, si continua a morire di esclusione sociale e di stigma”.
Lo dichiara il presidente nazionale della Croce Rossa Italiana, Francesco Rocca. “Invece di versare lacrime amare dopo – aggiunge Rocca -, le istituzioni dovrebbero moltiplicare gli sforzi per arrivare nelle troppe zone grigie della nostra società , dove vivono gli ultimi, gli esclusi, i vulnerabili, gli invisibili”

(da agenzie)

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INTERVISTA A PAOLA MURARO: “CINQUESTELLE INCOMPETENTI, EMERGENZA PREVISTA”

Maggio 10th, 2017 Riccardo Fucile

“SE SI LAVORASSE SERIAMENTE SULLA DIFFERENZIATA GLI IMPIANTI   BASTEREBBERO, OCCORREVA SOLO UNA DISCARICA DI SERVIZIO, MA MI HANNO FERMATA QUANDO HO CHIESTO CHE FINE HANNO FATTO 150 MILIONI”

Com’era prevedibile, la sedotta (dal m5S) e abbandonata Paola Muraro torna a farsi sentire per criticare la Giunta Raggi e chi è arrivato dopo di lei sulla poltrona di assessora all’ambiente del Comune di Roma.
A parte la prevedibile rabbia nei confronti del MoVimento 5 Stelle per come è stata trattata, la Muraro dice cose molto interessanti riguardo il piano per i rifiuti da lei previsto e la differenza con quello di Pinuccia Montanari:
Come fa a dire che l’emergenza era prevista?
«Tutti sanno, anche i bambini, che a Roma – dove il ciclo è fragile e precario – c’è una stagionalità , ci sono dei picchi di produzione dei rifiuti, che iniziano a Pasqua per arrivare al culmine tra maggio e luglio. La capacità  impiantistica della città  può trattare 3mila tonnellate al giorno di indifferenziata, quindi il sistema regge se tutto funziona bene. Ma ciclicamente, proprio nel periodo di picco, gli impianti vanno in sofferenza e ne risente tutto il servizio».
Anche lei pensa al complotto?
«Dico solo che in Ama ci sono dirigenti che stanno lì da 20 anni. E che puntualmente si fanno trovare impreparati. Se si rompe un macchinario, bisogna intervenire subito, ma Ama non ha manutentori, usa ditte esterne. Facile gridare al sabotaggio. Vedrà  la Procura, io non ci credo».
Non sarà  pure colpa degli impianti vecchi e insufficienti?
«Se si cominciasse a lavorare seriamente sulla differenziata, basterebbero. Roma tra il 2012 e il 2016 ha ricevuto 150 milioni per aumentarla, ma è rimasta al palo. Dove sono andati a finire quei soldi? Quando una comincia a chiederselo, viene fatta fuori».
La Muraro infatti ricorda che nel piano che aveva presentato lei all’epoca era prevista una discarica di servizio: proprio quella che la Raggi e la Montanari non vogliono realizzare perchè ritengono che non ce ne sia il bisogno
Lei è stata fermata? E da chi?
«Da un sistema che vuol continuare a fare affari senza rendere conto di nulla. Sul mercato globale l’indifferenziata costa tre volte più della differenziata. Certo, dopo l’avviso di garanzia, ho scontato anche il codice etico del M5S, che però è valso solo per me».
Zingaretti chiede al Comune di indicare nuovi impianti, Raggi sostiene che non servono perchè nel 2021 Roma arriverà  al 70% di differenziata…
«Ho apprezzato la Regione che, con la determina 119/2016, aveva individuata il fabbisogno impiantistico anche di Roma Capitale. Con me l’Ama avrebbe realizzato mini-isole ecologiche, 4 impianti di compostaggio e una piccola discarica di servizio. Ma poi hanno bloccato tutto».

(da “NextQuotidiano”)

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