Destra di Popolo.net

LE PROVANO TUTTE, MA UNA MAGGIORANZA NON C’E’: NEANCHE FACENDO FUORI I PICCOLI PARTITI TROVANO 316 VOTI ALLA CAMERA

Maggio 30th, 2017 Riccardo Fucile

SECONDO EMG-LA7, ALLO STATO ATTUALE I SEGGI SAREBBERO QUESTI: M5S 219, PD 208, FORZA ITALIA 96, LEGA 94…. PD + FORZA ITALIA + AUTONOMIE ARRIVEREBBERO A 310, M5S + LEGA A 313

Se non fosse tragica, sarebbe da ridere: dopo aver discusso per mesi di maggioritario e premio di lista o di coalizione, ora Pd, M5S e Lega sono diventati gli alfieri del proporzionale alla tedesca con soglia di sbarramento al 5%., ovvero quel sistema che per Cinquestelle e padani fino a pochi giorni fa era un “attentato alla democrazia”.
Ma per chi segue le simulazioni dei sondaggisti c’è un aspetto ancora più esilarante: se con il maggioritario nessuno sarebbe riuscito a raggiungere quota 316 deputati alla Camera (quota minima per formare un governo che duri almeno un mese), ora si scopre che non si riesce a fare neppure, allo stato attuale, un governo di coalizione.
Non ci sono infatti i numeri nè per un governo Pd-Forza Italia, nè per uno targato M5S-Lega: il primo si fermerebbe a quota 310, il secondo a quota 313.
E se anche vi fossero minimi spostamenti da qui a settembre-ottobre sarebbe sempre un governo dai numeri risicati, esposto alla prima influenza stagionale di   due-tre parlamentari.
In questa prospettiva fanno davvero ridere tutti, in primis i quattro megalomani che guidano i partiti maggiori e che parlano come se fossero già  premier senza aver fatto due semplici conti.
Per non parlare dei partitini destinati al massacro che fingono di non temere quota 5% ma se la stanno facendo sotto perchè rischiano di scomparire.
Cominciano da questi:
All’estrema sinistra ce ne sono tre: Mpd ha circa il 3,2%, Sinistra Italiana il 2,2%, il movimento di Pisapia potrebbe arrivare a un 2%.
Diciamo che esiste una sinistra radicale che in teoria potrebbe raccogliere un 6-7% se fosse unita, ma unita non è. E non è detto che se si unisse raccoglierebbe quella percentuale. Metterli d’accordo è quasi impossibile, l’unico collante potrebbe essere la paura di perdere le poltrone.
Quanto a leadership, tolte le mezze tacche e le vecchie glorie, vediamo solo due personalità  di livello che potrebbero avere le phisique du role: Landini (che non ci pensa neppure) e Pisapia. Chi vivrà  vedrà .
Al centro è rimasto con il cerino in mano Alfano: ha due alternative, inserire qualche suo uomo nelle liste del Pd e qualcun altro in quelle di Forza Italia o tentare qualche aggregazione estemporanea. Il problema è che non esistono più altri partiti di centro e AP parte da un 2,8%-3% e qui rischia di rimanere.
O trovano un leader credibile e nuovo o le esequie sono annunciate.
A destra con il cerino in mano è rimasta Giorgia Meloni, con il suo 4,5%: passare dalla certezza di 30 deputati a zero è una brutta botta, anche se cerca di ostentare ottimismo.
Che fare? Due possibilità : andare da soli e rischiare di scomparire o fare con Salvini il partito sovranista unitario, ma quanti posti può cederle Salvini?
Non certo al Nord, qualcuno al centrosud, ma non certo trenta. Senza contare che finora la Meloni, con il suo partito personale, ha potuto promettere posti a destra e a manca perchè avrebbe triplicato i deputati, in un’alleanza non sarà  possibile.
Altro problema: farsi assorbire da Salvini sarebbe digerito   dalla base elettorale? Vedremo se la Meloni avrà  il coraggio di andare da sola, rischiando anche la propria poltrona.
E arriviamo ai quattro partiti che passeranno il turno.
Salvini aveva solo una priorità , andare a votare prima di perdere altri voti e monetizzare il numero dei parlamentari: se fossero 94 vorrebbe dire quadruplicare gli attuali e sistemare le fameliche truppe padane. Di governare non gliene frega nulla, l’unica possibilità  è farlo con il M5S ma i numeri non ci sono .
Berlusconi è stato il più abile nella trattativa, ma se non riesce ad arrivare a un 16% recuperando altri 10-15 deputati, oltre ai 96 che gli sono attribuiti oggi, non riesce nell’operazione “grande alleanza” con Renzi e resta al palo pure lui. Come chi, in vista del traguardo, fora la gomma allo striscione dell’ultimo chilometro.
Renzi è l’altro leader capace di cambiare le carte in tavola in 24 ore: ha massacrato la sinistra, cacciandola di fatto fuori dal partito, ha “tradito” i centristi, ha fatto un accordo con Forza Italia, sperando di tornare premier con l’aiuto di Silvio.
Vale per lui lo stesso discorso: se non sale almeno al 32% la sua corsa è finita, i numeri per governare non ci sono. E quanto sia difficile mettere insieme due “faccio tutto io” sarà  uno spettacolo per i mesi a seguire.
Infine il M5S che ha la solita posizione ambigua: da solo non va da nessuna parte, solo Di Maio non l’ha capito, ma prima o poi ci arriverà  anche lui.
La preniata azienda Grillo-Casaleggio (lo scriviamo da mesi) ha in mente un governo con la Lega, ma si vergogna a dirlo, nel timore di perdere voti.
Ma vale lo stesso discorso di Renzi: dato che la Lega è bollita e non arriva al 12%, per superare quota 316 occorre che Il M5S arrivi ben oltre il 32% o tutte le contorsioni xenofobe non sono servite a nulla e dobbiamo chiamare Frontex per salvare i profughi grillini.
Il modello tedesco dovrebbe insegnare una cosa: le grandi coalizioni si fanno tra due grandi partiti, non basta uno grande e uno medio-piccolo.
In Italia vorrebbero governare due soli partiti con uno al 29-30% e altro al 12-13%.
Mi sa che hanno sbagliato i conti anche   questa volta.

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L’ASSE RENZI-BERLUSCONI: TEDESCO, VOTO E PROMESSE SUL DOPO

Maggio 30th, 2017 Riccardo Fucile

LEGGE ELETTORALE ENTRO IL 7 LUGLIO, BRUNETTA IPOTIZZA IL 24 SETTEMBRE

C’è un asse inscalfibile in questa teutonica corsa alle elezioni anticipate. Impermeabile ai dubbi dei mondi che contano, che vanno da Confindustria ai principali gruppi editoriali del paese. Tutti mondi preoccupati per l’impatto sui conti pubblici di un voto a breve, in un paese che non ha il debito pubblico della Germania ed esposto al rischio di un attacco speculativo.
L’asse è quello, ritrovato tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.
Inscalfibile, al momento. Ecco che, al termine dell’incontro tra i capigruppo del Pd e di Forza Italia, il vulcanico Renato Brunetta pronuncia, per la prima volta in chiaro, la “data” delle elezioni, il vero punto di caduta di tutta questa trattativa sulla legge elettorale: “È legata — dice Brunetta — a quella dell’iter parlamentare della legge elettorale, ma per noi può andare bene anche il 24 settembre”.
Il che significa che entro il 20 giugno, giorno più giorno meno, la legge elettorale sarà  approvata dalla Camera. E, almeno questa la road map concordata, entro IL 7 luglio, al massimo entro la metà  del mese, a palazzo Madama.
E non si tratta di una voce dal sen fuggita di Brunetta, rappresentato spesso come l’ala meno prudente del movimento. Perchè, in questi giorni di contatti diretti e di telefonate, a palazzo Grazioli è finalmente arrivata la “grande rassicurazione”.
E cioè che l’intesa di oggi sulla legge elettorale è solo un anticipo dell’accordone di governo domani. Proprio così. Raccontano che qualche giorno fa il Cavaliere era molto turbato a causa di strane voci che giravano, a proposito dell’accordo sul tedesco. “Silvio stai attento”, “Silvio questa legge non ti conviene, conviene soprattutto a Renzi e ai Cinque Stelle”, “guarda che poi quello l’accordo di governo con te non lo fa”.
Pare che tra i seminatori di dubbi ci sia stato anche qualche vecchio amico di Verdini che lo scorso fine settimana ha fatto visita a palazzo Grazioli. C’è stato un momento, domenica, in cui le perplessità  hanno superato le certezza, al punto che il sì definitivo è entrato in forse, con grande preoccupazione dei suoi fautori più spinti come Gianni Letta.
È a quel punto che è stato favorito un secondo contatto diretto tra il Cavaliere e Renzi, dopo il primo di giovedì scorso, coinvolgendo gli ambasciatori del Pd ai massimi livelli. Nel corso della telefonata, meno breve e ancor più cordiale della prima, è arrivata la rassicurazione che, dopo il voto, se c’è da aprire una trattativa per un governo di coalizione, come probabilmente sarà , il vecchio Silvio sarà  il primo interlocutore.
Trattativa che, invece, neanche si apre con i Cinque Stelle e che nessuno, almeno per ora, ha intenzione di aprire con la sinistra di Mdp.
Come si diceva una volta, è sempre azzardato cucinare ricette per l’osteria dell’avvenire e le buone intenzioni poi si devono misurare con la realtà . Ma deve essere stato un colloquio assai convincente se poi il Cavaliere è apparso assai più sicuro del rinnovato patto, anche se la sintonia del primo Nazareno non c’è più dopo il tradimento sulla vicenda di Amato. Incontrando i suoi sindaci, a palazzo Grazioli, ha proprio ricordato che l’accordo, ai tempi, era chiuso fino alle otto di sera, poi la mattina spuntò il nome di Mattarella: “Renzi – ha detto ai sindaci – è un nostro interlocutore, è bravo anche se bisogna stare attenti a fidarsi”.
Spiegano i suoi che tutta l’operazione ruota, più che attorno all’amore, all’interesse. Non si spiegherebbe altrimenti una legge elettorale che non è la migliore delle possibili per Forza Italia in termini di dimensioni dei gruppi, ma che certo lo mette in posizione di avere un rilevante peso politico. E, come si sa, da cosa nasce cosa.
Perchè a questo punto è chiaro che, nell’ambito di questo percorso, tutti danno per acquisito che l’accordo tra Pd e Forza Italia già  investe tutta una serie di dossier, dal nuovo direttore generale della Rai al giudice della Corte costituzionale che deve sostituire Frigo. In attesa del piatto ricco, le larghe intese, che ha scatenato una certa frenesia nel mondo berlusconiano, con Gianni Letta diventato uno dei più convinti sostenitori del 24 settembre e dei comizi sotto il solleone.

(da “Huffingtonpost”)

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DI MAIO CONTINUA IL TOUR DEI POTERI FORTI E DEI LOBBISTI

Maggio 30th, 2017 Riccardo Fucile

OGGI IN VATICANO CON OPEL, ENEL E QUESTUANTI VARI… ORMAI IL GIOCO SI FA SCOPERTO

Può capitare, a un convegno, di dover stare al gioco e di assecondare le richieste di un relatore eccentrico, ma se questo aggiunge un tassello all’incessante opera in corso di accreditamento quale forza di governo presso cosiddetti “poteri forti” o comunque imprescindibili per aver il nulla osta a prendere il timone del paese, il gioco vale la candela.
Il gioco di oggi, dopo la visita al Centro Studi Americani che lo ha visto fianco a fianco al ministro Boschi, per Luigi Di Maio e compagni, è stata una specie di “ola” chiesta ai presenti dal direttore innovazione e sostenibilità  dell’Enel, Ernesto Ciorra, perchè a suo avviso si tratta di un esercizio utile ad aumentare la concentrazione e favorire l’ascolto.
Richiesta esaudita con qualche titubanza iniziale dalla pattuglia pentastellata presente in sala che, a parte questo, comincia a sentirsi sempre più a proprio agio in contesti fino a qualche tempo fa rigorosamente considerati off-limits.
E oggi, in ballo, di questi centri di potere ce n’era più di uno, ognuno dei quali indispensabile a quella legittimazione inseguita ormai con grande impegno.
La cornice, anzitutto: il Vaticano, o meglio uno dei numerosi istituti universitari dello Stato della Chiesa (l’Augustinianum), padrone di casa di una giornata di studio sul tema dell’energia sostenibile il cui riferimento francescano nel titolo all’enciclica “laudato si'” suonava quasi come un invito a nozze, a dieci giorni dalla marcia grillina Perugia-Assisi per il reddito di cittadinanza.
Un invito a cui Di Maio ha risposto con grande solerzia, offrendo per buona parte del convegno assieme al collega Riccardo Fraccaro una presenza che è apparsa un qualcosa in più rispetto a quella istituzionale rappresentata dalla sindaca Raggi, già  abbondantemente alle prese con la prova del governo.
Di Maio, giunto con largo anticipo, dopo aver ribadito ai cronisti presenti di essere “disponibile” a presentarsi come candidato premier del suo movimento e di pensare a una “grande rivoluzione energetica per l’Italia”, è stato accolto calorosamente da Monsignor Vincenzo Paglia, plenipotenziario di Bergoglio su temi quali bioetica e politiche familiari, col quale si è intrattenuto per qualche minuto in una sala vietata alla stampa, mentre giungevano anche gli altri relatori più importanti.
Un dialogo che si infittisce, e che fa da ideale corollario alla famosa intervista di Grillo all’Avvenire, sullo sfondo dell’iter parlamentare di leggi come il testamento biologico, per le quali è fondamentale sopratutto per la Chiesa attivare un canale di comunicazione coi grillini.
Ma nella saletta non c’erano solo prelati: anzi, a farla da padrone erano lo staff del presidente del Cda Opel Karl-Thomas Neumann, che rappresenta un alto mondo per ora largamente inesplorato (quello dei grandi gruppi industriali internazionali) e gli uomini dell’Enel, ideatori del convegno.
Con loro, il rapporto di Di Maio e di altri parlamentari grillini è già  abbastanza consolidato, e lo testimonia la visita fatta qualche tempo fa a Copenaghen da una delegazione di M5S per visitare una centrale rinnovabile gestita dall’Enel e l’appoggio dato allo sviluppo della tecnologia V2G per i veicoli elettrici (guarda caso montati su auto Opel).
Nella zona mista, contemporaneamente, un fitto scambio di biglietti da visita tra gli staff grillini (erano presenti anche i nuovi manager di Acea targati Casaleggio Stefano Donnarumma e Luca Lanzalone) e quelli degli altri soggetti presenti, tra i quali abbondavano quei lobbisti che per mesi lo stesso Di Maio ha additato come manovratori occulti di tutte le altre forze politiche e che ora non di rado lo chiamano per nome.

(da “Huffingtonpost”)

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RAGGI: “DIMISSIONI SE RINVIATA A GIUDIZIO? DIREI DI NO…”

Maggio 30th, 2017 Riccardo Fucile

CERTO, SI DEVONO DIMETTERE SOLO GLI ALTRI… LA SINDACA CHIAMATA A TESTIMONIARE NEL PROCESSO A MARRA E SCARPELLINI

“Stiamo parlando in questo momento di una cosa che non è attuale e comunque direi di no”. E’ quanto ha risposto la sindaca di Roma, Virginia Raggi, ai cronisti che le chiedevano se si dimetterà  nel caso di rinvio a giudizio per la vicenda Marra.
La sindaca di Roma testimonierà  al processo che vede imputati per corruzione l’ex capo del Personale del Campidoglio Raffaele Marra e l’immobiliarista Sergio Scarpellini.
I giudici ai quali è affidato il processo hanno disposto che ognuno dei due imputati possa citare 10 testimoni tra quelli indicati nelle liste depositate. E la difesa di Marra ha inserito la Raggi tra i 10 testimoni scelti.
La sindaca di Roma potrebbe essere sentita come testimone a partire dal 30 giugno.
“Il dovere di testimonianza è previsto dal codice e quindi andrò lì come previsto dalla legge”, ha detto.I giudici della seconda sezione penale hanno stilato un primo calendario di udienze: quella del 20 giugno sarà  dedicata al deposito delle trascrizioni delle intercettazioni; il 22 ed il 27 successivi sarà  la volta dei testimoni dell’accusa e nell’udienza del 30 comincerà  l’esame dei primi cinque testi indicati dalle difese.
A disporre queste ultime citazioni saranno i difensori degli imputati. La stessa Virginia Raggi ha dichiarato recentemente che in caso di convocazione andrà  in tribunale “perchè è un dovere previsto dal codice e quindi si rispetta”.
Lo stesso collegio della seconda sezione ha anche respinto alcune eccezioni preliminari fatte dalle difese in materia di procedure adottate per l’esecuzione delle intercettazioni e del rito processuale avviato, il giudizio immediato.
Marra e Scarpellini, attualmente agli arresti domiciliari, devono rispondere di corruzione per la vicenda dei 370 mila euro dati, nel 2013, dall’immobiliarista al dirigente comunale per l’acquisto di un appartamento. Secondo l’accusa quella dazione di Scarpellini era finalizzata all’ottenimento di favori alla luce della posizione occupata in Campidoglio da Marra.

(da “Huffingtonpost”)

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ANNA MARIA GABRIELLI: LA CONSIGLIERA M5S CHE SI DIMETTE AL XII MUNICIPIO DI ROMA PER COERENZA

Maggio 30th, 2017 Riccardo Fucile

DOPO LA FIGURACCIA SUL CONFLITTO DI INTERESSI DEL PRESIDENTE GRILLINO, C’E’ CHI VEDE TRADITI I VALORI FONDANTI DEL MOVIMENTO E SE NE VA

Anna Maria Gabrielli, consigliera del MoVimento 5 Stelle al XII Municipio, si è dimessa. La Gabrielli, che era anche presidente della Commissione Affari Sociali del municipio, ha abbandonato così il suo posto nel municipio della minisindaca Silvia Crescimanno, di recente funestato dal caso di Massimo Di Camillo, il presidente dell’assemblea in conflitto d’interesse che è stato salvato prima e poi sfiduciato dalla sua maggioranza perchè deteneva quote di una società  che opera in convenzione con il Comune di Roma. Ma il M5S in nome della trasparenza ha sempre negato l’incompatibilità .
La storia è emblematica del modo di fare dei 5 Stelle.
Di Camillo è stato eletto dieci mesi fa consigliere municipale e successivamente presidente del consiglio del Municipio retto dalla Crescimanno.
Ma non avrebbe potuto farlo perchè socio al 50% di una società  titolare di un asilo nido in convenzione con il Comune di Roma.
Durante questi dieci mesi curiosamente Di Camillo ha anche espresso parere contrario all’apertura di un altro nido nella zona costato 1,2 milioni di euro e frutto di un accordo tra il Comune e il consorzio Solari.
Il consigliere 5 Stelle spiegava che «Nella zona abbiamo un altro asilo che attualmente non è occupato. Questo fa venire dei dubbi su facoltà  o legittimità  di aprire un nuovo asilo. Aspettiamo il nuovo bando e vediamo quante richieste ci saranno».
L’altro asilo era l’Only Kids di proprietà  della società    RO.MA.Srl della quale fino al 27 settembre 2016 Di Camillo era anche amministratore.
Il caso di Camillo è stato di recente affrontato nell’aula consigliare del XII Municipio con una mozione di sfiduci. Nell’occasione Francesca Benevento, all’epoca capogruppo del M5S, acconsentì al voto segreto e la votazione finì in pareggio con 11 voti contro 11 e tre tra schede bianche o nulle. Subito dopo il M5S ha deciso di togliere il ruolo di capogruppo alla Benevento.
Proprio dopo la defenestrazione di Benevento, nell’occasione “colpevole” di non aver voluto il voto palese per lasciar esprimere in libertà  di coscienza i consiglieri, è scoppiato il caos all’interno della maggioranza grillina al XII Municipio.
La consigliera Gabrielli ha inviato una lettera di dimissioni che oggi è stata ufficialmente protocollata. «Ha esaurito le sue forze in un grande impegno nel sociale, non trovando più confronto e coerenza nei valori 5 stelle preferisce dimettersi per ritrovare le energie dai tavoli da cui proviene», ci dicono alcuni colleghi della Gabrielli.
Venerdì scorso si è vista persino Virginia Raggi nella riunione di maggioranza che avrebbe dovuto riportare la pace e scongiurare la caduta della giunta, come è successo all’VIII Municipio.
Un triste epilogo

(da “NextQuotidiano“)

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AL SUD CENTINAIA DI MINORI IN AUTO E SOTTO I PONTI, AL NORD IN AUMENTO I CONFLITTI TRA I GENITORI

Maggio 30th, 2017 Riccardo Fucile

IN CAMPANIA 200 INCESTI L’ANNO, NEL QUARTIERE CIAMBRA DI GIOIA TAURO 170 MINORI ABITANO TRA TONNELLATE DI RIFIUTI

Più che Ombudsman, i garanti per l’Infanzia sono un avamposto nelle situazioni di emergenza.
Soprattutto nel centro-sud devono misurarsi ogni giorno con le situazioni più drammatiche. «Al Parco Verde di Caivano allestiamo un centro polifunzionale in una periferia priva di tutto», racconta Cesare Romano che con un budget di 30mila euro deve occuparsi dei primati negativi della Campania: baby gang, gioco d’azzardo minorile, obesità  infantile,evasione scolastica.
«Ci siamo accorti che gli insegnanti hanno paura di segnalare ai servizi sociali le situazioni a rischio e così abbiamo creato un sistema di segnalazioni riservate al garante», spiega Romano che dall’indagine sugli incesti ha scoperto 200 casi all’anno («ma sono 4 volte di più»).
Tra il rione Madonnelle di Acerra e le piazze di spaccio di Scampia e Chiaiano, a cercare di sottrarre i minori al disagio si rischia la vita.
«Nel Mezzogiorno, mezzo milione di minorenni vive sotto la soglia di povertà : uno su quattro non ha soldi sufficienti per alimentarsi e vestirsi in maniera adeguata- osserva Romano-.Il dilagare del cibo spazzatura a bassissimo costo è un’allerta sanitaria». Lo sa bene anche Antonio Marziale, garante della Calabria.
I vigili urbani gli riferiscono i dati sui bambini che non vanno a scuola. «Siamo la regione più malconcia: zero infrastrutture e sanità  al collasso, qui già  nascere è un problema, gli ospedali sono pochi e difficili da raggiungere», precisa.
«Soffriamo una carenza spaventosa di assistenti sociali nei comuni e nella giustizia minorile e la metà  dei fondi a nostra disposizione li spendiamo per formare medici e infermieri», aggiunge. Battaglie quotidiane come il reparto di terapia intensiva pediatrica da aprire a Cosenza o l’assicurazione del pulmino scolastico per i bambini del «ghetto più indecente d’Italia».
Nel quartiere Ciambra di Gioia Tauro «170 minorenni abitano tra tonnellate di rifiuti in case a rischio crollo, senza scarico fognario e illuminazione pubblica. In comuni commissariati per mafia, chi denuncia il disagio minorile subisce la lettera scarlatta del «ladro di bambini».
Il sommerso è colossale. Allontanare un bimbo da una «famiglia disfunzionale» e darlo in affido espone all’accusa di «sequestro di Stato» e spesso a ritorsioni violente.
In Basilica Vincenzo Giuliano monitora una popolazione di 92mila minori. In ballo ci sono questioni delicate come il rapporto tra capienza e iscritti negli asili nido, i costi delle rette per le famiglie.
Da qui una rete di progetti per il contrasto della povertà  educativa minorile: 3 milioni e mezzi di bandi per l’infanzia e l’adolescenza nel 2016.
Nel suo ufficio alla Regione Lazio il garante Jacopo Marzetti incontra senza sosta famiglie in difficoltà . «Abbiamo una settantina di casi in cui i genitori separati usano i figli come un arma- evidenzia-.Abbiamo avviato un’indagine per sapere quante sono le case famiglia ». Nelle Marche sono in corso iniziative contro il cyberbullismo e in Umbria è stato istituito (con enti locali, psicologi, assistenti sociali) un Osservatorio sull’affido per scongiurare «dicotomie disastrose», dice la garante Maria Pia Serlupini.   LA SITUAZIONE AL NORD
Più conflitti tra genitori e segnalazioni via web
“Siamo in prima linea ma senza poteri effettivi. Ci occupiamo un po’ di tutto pur non avendo risorse», sintetizza Massimo Pagani, dal 2015 garante per l’infanzia della Regione Lombardia. Ma nel centinaio di segnalazioni che arrivano ogni anno al suo ufficio, il tema dominante, come in buona parte del centro-nord, è la conflittualità  genitoriale. Liti che si ripercuotono sui figli. E poi «problemi tra i genitori e i servizi territoriali».
Col rischio di eccedere negli allontanamenti dei figli, invece di aiutare i genitori in difficoltà . È quanto sembra emergere in Liguria. «Abbiamo la percentuale più alta di affidi in tutta Italia, 316 solo su Genova. E la maggior parte ha come causa l’inadeguatezza genitoriale. Che però resta un dato discrezionale», commenta Dario Arkel, il funzionario a supporto del tutore ligure, al quale arrivano un centinaio di segnalazioni all’anno.
La conflittualità  fra genitori è l’emergenza più importante, assieme ai minori stranieri non accompagnati, anche per Rita Turino, garante del Piemonte. «Bisognerebbe avviare percorsi sperimentali per insegnare alle coppie a separarsi e per sostenere i genitori in crisi», commenta. In Emilia-Romagna, dove nel 2016 sono arrivate 137 segnalazioni, il 57 % è stata presentata dai genitori. I problemi? Al primo posto ci sono ancora i temi socio-assistenziali, seguiti da difficoltà  scolastiche e sanitarie. «Situazioni di grande conflittualità  aggravate dalla crisi economica», spiega Clede Maria Garavini, psicologa e pedagogista. Spesso i garanti si trovano a fare ora da ultima spiaggia. «Oltre alle poche risorse a disposizione, dobbiamo affrontare la mancanza di dati statistici su cui programmare le attività », spiega Mirella Gallinaro. garante in Veneto.
Storia a sè sono le province autonome di Trento, dove il ruolo è affidato al difensore civico dal 2009, e di Bolzano. Negli ultimi otto anni la «Kija» ha pubblicato una relazione annuale che tiene conto di tutte le attività : lo scorso anno l’ufficio ha gestito 551 pratiche tra pareri, ricerche legali, rapporti, perizie e verbali.
A queste consulenze si aggiungono 793 colloqui telefonici, 125 incontri di consulenza e poi richieste via mail, WhatsApp e anche Facebook.
«Non sempre gli adulti coinvolti nella vicenda conoscono o riconoscono il bene del minore. — spiega Maria Ladstà¤tter, garante per l’infanzia e l’adolescenza dell’Alto Adige -. Ecco perchè vogliamo aiutare i minori in difficoltà  a contattarci direttamente: il nostro obiettivo sarà  raggiunto quando non ci sarà  più bisogno di noi. Oggi il 10%delle richieste arrivano direttamente dai ragazzi, ma in Trentino, dove l’istituto opera da più tempo, superano il 50%».
E, aggiunge Ladstà¤tter, «gran parte della nostra attività  si svolge tra consulenza e mediazione, ho la possibilità  di accedere a tutti gli atti della pubblica amministrazione, posso intervenire come mediatrice anche nel corso di giudizio pendente. Situazioni così complicate da richiedere una soluzione condivisa. E’ mio potere convocare le parti: e davanti alle istituzioni noi rappresentiamo gli interessi degli adolescenti».

(da “La Stampa”)

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“SEMPRE PIU’ BAMBINI NON VANNO A SCUOLA E VIVONO IN POVERTA'”: L’ALLARME DEI GARANTI DELL’INFANZIA

Maggio 30th, 2017 Riccardo Fucile

L’ITALIA HA LIVELLI DI POVERTA’ SUPERIORI ALLA MEDIA EUROPEA, UN MINORE SU TRE E’ A RISCHIO

Non è un paese per bambini.
In Italia le principali minacce per l’infanzia sono la povertà  nel Mezzogiorno e i conflitti tra genitori separati che si accusano a vicenda di abusi al centro-nord, dove però anche il disagio economico pesa in maniera crescente.
Dai garanti regionali per l’infanzia a quello nazionale Filomena Albano, dai tribunali per i minori alla Direzione per l’inclusione del ministero del Welfare, arriva l’allarme sulle condizioni di vita dei bambini italiani.
Un elenco di emergenze, a cominciare dai minori senza fissa dimora che non sono censiti tra i 50mila homeless perchè non frequentano dormitori e mense, ma sono segnalati in accampamenti, sotto i ponti e nelle macchine.
Casi limite che non entrano in nessuna statistica.
E ancora, abbandono scolastico record, mancanza di reparti di terapia intensiva pediatrica in Calabria e 170 bimbi costretti a vivere tra i rifiuti e senza fogne nel quartiere ghetto Ciambra di Gioia Tauro, 200 incesti all’anno in Campania, case famiglia non censite nel Lazio.
A ciò si aggiunge la zona grigia del disagio che non finisce sulle carte bollate dei giudici e dei servizi sociali.
Per ricostruire il quadro generale La Stampa ha incontrato i garanti costituiti in 16 regioni. Anche se l’Autorità  è stata istituita nel 2011 per promuovere le misure previste dalla convenzione di New York sui diritti dell’infanzia, mancano ancora all’appello Abruzzo, Sardegna e Valle d’Aosta. In Toscana e Sicilia invece esiste già  un ufficio, ma senza titolare.
Il 13 giugno la relazione nazionale sui 10milioni di minori approderà  in Parlamento. Tante emergenze locali si compongono in un preoccupante scenario generale, mentre il governo lavora a una banca dati unificata sull’infanzia.
L’Italia ha livelli di povertà  minorili superiori alla media europea: un minore su tre (32,1%) è a rischio di povertà  ed esclusione sociale in Italia, 4 punti e mezzo sopra la media europea (27,7%), rileva Save the children.
In Olanda e Germania il rischio è sotto la soglia del 20%. Soprattutto al Sud è altissimo il sommerso.
«Nel Mezzogiorno solo una piccola parte delle condizioni di difficoltà  affiora, resta una cappa di silenzio che scoraggia qualsiasi denuncia, mentre c’è una carenza spaventosa di assistenti sociali negli enti locali nella giustizia minorile», spiega Antonio Marziale, garante dell’infanzia della Regione Calabria.
E nonostante la gravità  della situazione, l’Italia è il Paese in Europa dove si allontanano meno bambini dalle famiglie d’origine.
«Siamo un Paese che individua in ritardo le situazioni problematiche e che sconta un grave ritardo nelle mappatura dei fenomeni sociali», evidenzia Sandra Zampa, vicepresidente della Commissione parlamentare per l’infanzia. Per legge, aggiunge, «gli allontanamenti devono essere temporanei», ma solo un bambino su tre poi torna a casa sua perchè i tempi dell’affido a comunità  o altri nuclei sono troppo lunghi e spesso i servizi sociali non riescono a ricostituire la relazione fiduciaria con le famiglie d’origine.
La quota di spesa per il Welfare che l’Italia destina all’infanzia è la metà  della media europea (4,1% rispetto all’8,5%).
«Alle scarse risorse e all’impossibilità  di avere dati certi sulle situazioni di fragilità  sociali si aggiunge la scarsa sinergia tra i soggetti coinvolti», dice Mirella Gallinaro, garante per l’infanzia in Veneto.
Nelle separazioni «i tempi della giustizia sono incompatibili con i bisogni dei minori». Tra gli aspetti più delicati del lavoro dei garanti c’è anche la formazione dei tutori. Scarseggiano nelle facoltà  di giurisprudenza corsi dedicati al diritto minorile. «Le dinamiche familiari sono in continua evoluzione – commenta Clede Maria Garavini, psicologa e pedagogista, garante in Emilia Romagna -. Assistiamo a episodi di bullismo che hanno per protagonisti bambini di dieci anni, la violenza si è sposata anche sul web: serve maggiore consapevolezza degli adulti di riferimento».

(da “La Stampa”)

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VOUCHER, IL REFERENDUM ELUSO, ELETTORI DEFRAUDATI

Maggio 30th, 2017 Riccardo Fucile

UN ALTRO PASSO NEL RESTRINGERE GLI SPAZI DI ESPRESSIONE DELLA VOLONTA’ POPOLARE

Sono tempi di “manovrina”, quella per aggiustare i conti pubblici lasciati in eredità  dal precedente governo. E — come sempre — questi provvedimenti omnibus sono treni a cui ciascuno aggancia i vagoni che preferisce (anche a rischio di incostituzionalità , considerato che si tratta comunque della conversione di un decreto legge, per cui la Consulta richiede omogeneità )
Un vagone aggiunto è proprio l’emendamento di Titti Di Salvo (deputata del Pd eletta nelle file di Sel) nella riformulazione del relatore Mauro Guerra, approvato in Commissione con 19 voti favorevoli, 6 voti contrari e nessun astenuto, che reintroduce, con alcune modifiche (art. 54-bis della legge di conversione), i voucher, che erano stati eliminati con decreto legge 25 del 2017, convertito con legge 49 del 2017, dopo che la Corte costituzionale aveva dichiarato l’ammissibilità  del referendum per la loro totale abrogazione (sent. 28 del 2017).
I referendum sociali presentati dalla CGIL erano tre: quello sui licenziamenti illegittimi (art. 18), dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale; quello sulle disposizioni limitative della responsabilità  solidale in materia di appalti e, appunto, quello sui voucher, ammessi al voto popolare.
Nonostante fosse il primo quello su cui si concentrava la maggiore attenzione, anche l’ultimo era considerato in grado di portare alle urne molti elettori, visti anche i numerosi riscontri sull’abuso di questo strumento, che aveva portato al superamento dell’occasionalità , tanto che la stessa Corte costituzionale aveva sottolineato come “l’evoluzione dell’istituto, nel trascendere i caratteri di occasionalità  dell’esigenza lavorativa cui era originariamente chiamato ad assolvere, lo ha reso alternativo a tipologie regolate da altri istituti giuslavoristici”.
Quindi, il Governo, con il suddetto decreto legge 25 del 2017, superava entrambi i quesiti referendari rimasti in piedi dopo il giudizio della Corte e, in base all’art. 39 della legge n. 352 del 1970, l’Ufficio centrale per il referendum dichiarava di conseguenza la cessazione delle operazioni referendarie.
Ora, dopo poche settimane, proprio nei giorni in cui si sarebbe dovuto svolgere il referendum (previsto per domenica 28 maggio), i voucher vengono reintrodotti, seppure con alcune modifiche rispetto alla disciplina precedente, in evidente frode al referendum, o — per dirla più chiaramente — per la possibilità  dei cittadini di esprimersi sulla questione.
Se il Governo avesse ritenuto che i voucher non dovessero essere del tutto eliminati, ma modificati, come l’emendamento presentato alla manovrina fa, avrebbe dovuto a suo tempo proporre non l’eliminazione, ma la sostituzione della precedente normativa con una nuova (come quella ora approvata in Commissione).
In tal caso, infatti, sempre in base all’art. 39 della legge n. 352 del 1970 (come modificato dalla Corte con sent. n. 68 del 1978), l’Ufficio centrale non avrebbe dichiarato cessate le operazioni referendarie, ma avrebbe trasferito il quesito sulla nuova disciplina, consentendo agli italiani di pronunciarsi in merito.
Il percorso seguito dal Governo e dalla maggioranza (che in realtà  non pare quella che lo ha sostenuto finora, ma forse quella che lo sosterrà  in futuro) è stato quindi evidentemente compiuto in frode agli elettori, per timore che questi si pronunciassero. La maggioranza sembra, in effetti, sempre preoccupata dal voto dei cittadini, che di fronte alla proposta sulla quale il Governo Renzi aveva maggiormente investito (cioè la riforma della Costituzione) l’ha vista respingere sonoramente (con quasi il 60% dei contrari).
È da precisare che rispetto ai referendum già  in altre occasioni gli elettori sono stati raggirati, con la reintroduzione di norme sostanzialmente analoghe a quelle abrogate; ricordiamo, ad esempio, il caso del finanziamento pubblico ai partiti politici (eliminato solo nel 2013) o quello del Ministero dell’agricoltura (che esiste ancora). Il caso forse più clamoroso si è registrato a seguito del voto nei referendum del 2011 (gli unici ad avere raggiunto il quorum dopo il 1995), quando il Governo Berlusconi reintrodusse una disciplina sui servizi pubblici locali, sostanzialmente riproduttiva di quella abrogata soltanto poche settimane prima, con la conseguente dichiarazione d’incostituzionalità  della Corte costituzionale (sent. 199 del 2012).
Nel caso che ci occupa, invece, non ci sarà  neppure questa possibilità  perchè gli elettori sono stati defraudati, non rispetto alla volontà  espressa, ma alla stessa possibilità  di esprimerla.
Come direbbe una certa retorica degli ultimi tempi, ancora una volta si è fatto un passo avanti, sempre nella direzione di restringere gli spazi di espressione della sovranità  popolare.
Andrea Pertici
Professore ordinario di diritto costituzionale nell’Università  di Pisa

(da “Huffingtonpost”)

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LA LETTERA CHE IMBARAZZA L’EX SINDACO LEGHISTA DI VARESE

Maggio 30th, 2017 Riccardo Fucile

UN TERRENO DI FAMIGLIA’   DA ARBOREO DIVENTA EDIFICABILE, CON AUMENTO ELEVATO DEL VALORE… E ORA INDAGA LA PROCURA

C’è una lettera che imbarazza l’ex sindaco leghista di Varese Attilio Fontana e tutto lo stato maggiore del Carroccio che nella città -simbolo del movimento di Umberto Bossi e Roberto Maroni ha governato saldamente per 23 anni.
Una lettera che segnala «un possibile conflitto d’interesse e un eventuale abuso d’ufficio» arrivata in forma anonima al nuovo sindaco di Varese, il democratico Davide Galimberti. E finita direttamente sul tavolo del procuratore Massimo Politi che ha deciso lo scorso febbraio di chiedere tutta la documentazione e accendere un faro sul caso.
Una storia tutta in famiglia di un terreno dell’ex primo cittadino (in carica per dieci anni fino a giugno 2016) in comproprietà  con la moglie e passato prima alla figlia e poi trasformato dal nuovo Piano di governo del territorio da “arboreo” a edificabile, con un aumento notevole di valore.
Lui è uno dei pesi massimi del movimento di Matteo Salvini: ex presidente del parlamentino lombardo, chiamato nel 2005 a salvare la faccia della Lega Nord nella città  giardino dopo l’inchiesta che portò alle dimissioni del suo compagno di partito
Aldo Fumagalli.
Avvocato penalista e consigliere di amministrazione del colosso Fiera di Milano spa, a capo dell’Anci Lombardia per 5 anni.
Per capire questo pasticcio brutto occorre fare un passo indietro. Nel 2010 la moglie dell’allora sindaco, Laura Castelli, chiede il cambio di destinazione da agricolo a zona con possibilità  edificatorie per un terreno in comproprietà  con il marito nel quartiere di Bosto (vicino alla residenza della coppia) mettendo nero su bianco nella richiesta ufficiale che il terreno «non ha le caratteristiche di un parco ed è incolto».
Due anni dopo la proprietà  di 4mila metri quadrati passa di mano: dal padre Attilio alla figlia Maria Cristina, anch’essa avvocato nello studio di famiglia Fontana-Marsico. Nel 2014 l’affare si complica quando con il nuovo piano urbanistico che decide dove si può costruire e dove è vietato e nonostante le osservazioni dei cittadini che chiedevano l’eliminazione di quell’area, il consiglio comunale approva la modifica.
Secondo i verbali ufficiali di quella seduta il sindaco non si sarebbe astenuto dal dibattito e dal voto, facendo nascere il presunto conflitto d’interesse emerso a distanza di 3 anni.
«Sapevo che era il terreno di mia figlia ma ignoravo che fosse l’oggetto della mozione, abbiamo votato gli emendamenti tutti in blocco», spiega Attilio Fontana, aggiungendo: «Io di quella proprietà  non ho mai parlato con nessuno per evitare condizionamenti. È un colpo basso diretto a me. So chi ha organizzato: sono pochi i vigliacchi che usano la lettera anonima e a Varese li conosco tutti».
Questa la ricostruzione di Luca Conte, attuale capogruppo del Pd a Palazzo Estense e all’epoca consigliere: «Abbiamo votato contro semplicemente per impedire il consumo di suolo, ma chi immaginava che dietro a quel voto ci fossero gli affari di famiglia di Fontana?».

(da “La Stampa”)

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