Giugno 24th, 2017 Riccardo Fucile
RAGGIUNTO IL MASSIMO DELLO SQUALLORE, TRA SMS CON SCONTI IN PALESTRA DALLO STESSO NUMERO DI QUELLI PER BUCCI
Avere un santo dalla propria parte, in campagna elettorale, fa la differenza. 
E il centrodestra si è preso, d’ufficio, san Giovanni Bosco. Che però, per voce del direttore dell’Istituto don Bosco, don Maurizio Verlezza, decisamente rifiuta ogni apparentamento.
Anche perchè il volantino, con il segretario provinciale della Lega che, sotto l’effige del Sacro Cuore bordata di verde, si offre di accompagnare a votare i genovesi, ha fatto davvero arrabbiare i vertici dell’Istituto: «Noi, proprio con la Lega, non c’entriamo niente».
Tutto è cominciato con una gragnuola di sms, diramati dallo stesso numero di telefono che diffonde campagne abbonamenti scontati al Palagym Don Bosco, la palestra affiliata al complesso dell’istituto salesiano.
«Due mesi gratuiti al Palagym Assarotti», scriveva il numero 320… quasi un mese fa. Mentre l’altro ieri, a tantissimi genovesi, dallo stesso numero, è arrivato il messaggio elettorale pro candidato di centrodestra: «Genova Superba con Bucci sindaco sarà Meravigliosa!».
Molti si sono stupiti che il Palagym Assarotti, collegato all’istituto don Bosco, facesse questo tipo di promozione elettorale. Dopo alcuni approfondimenti, però, si è accertato che il numero che dirama gli sms è un numero “terzo” cui si è affidato sia il Palagym per promuovere le proprie attività sportive, sia il candidato di centrodestra Marco Bucci, per invitare i genovesi a votarlo.
Qualche contiguità negli elenchi di numeri di telefono deve aver generato il corto circuito.
«Sia il Garante della Privacy, sia una sentenza della Corte di Cassazione indicano però che l’utilizzo per iniziative politiche di banche dati “neutre” sia illecita, soprattutto se i destinatari non hanno concesso l’autorizzazione a ricevere quel tipo di sms – spiega il segretario provinciale del Pd, Alessandro Terrile – anche noi mandiamo sms per invitare a votare il candidato di centrosinistra Gianni Crivello, o in passato i nostri candidati, ma li abbiamo inviati ai numeri dei nostri elettori che alle primarie avevano accettato di ricevere sms dal Pd e soprattutto avevano volontariamente lasciato il proprio numero di telefono».
E nella sentenza della Corte di Cassazione indicata da Terrile, il candidato in questione che aveva utilizzato banche dati di numeri di cellulare non “consenzienti” è stato condannato anche al pagamento di 16.000 euro.
A irritare ancora di più l’istituto don Bosco, poi, è stato il volantino diffuso per tutto il quartiere di Sampierdarena, e non solo, dal segretario provinciale della Lega Nord, Stefano Garassino.
Sotto l’effige di San Giovanni Bosco – e a Sampierdarena ha sede il grande complesso dell’istituto – e il logo di un presunto “Centro studi sociali San Giovanni Bosco Genova”, il volantino profilato di verde promette “Ti accompagniamo a votare! Servizio accompagnamento ai seggi anziani e disabili anche momentaneamente (infortunati)” e viene pubblicato un numero gratuito.
Il volantino è firmato da Stefano Garassino, che viene definito “socio fondatore del centro studi sociali San Giovanni Bosco – Genova” e pure Segretario provinciale della Lega Nord Liguria.
«Quel centro studi non lo abbiamo mai sentito nominare e non ha nulla a che fare con il nostro Istituto»: mette in chiaro, don Maurizio Verlezza, direttore del don Bosco di Sampierdarena, allibito e indispettito della vicenda. «Don Bosco ci ha insegnato ad essere del partito di tutti, quello dei più bisognosi, dei poveri – scandisce don Verlezza – siamo lontani mille anni luce dalla Lega».
Non è inusuale che le forze politiche si offrano di accompagnare i propri elettori, anziani o con difficoltà motorie, ai seggi: è sempre avvenuto. E anche il Pd lo fa. Lo conferma il segretario provinciale Alessandro Terrile, che però spiega: «Sempre a partire dai numeri di telefono che i nostri elettori, alle primarie, ci hanno consegnato, autorizzandoci a contattarli, abbiamo fatto sapere di essere disponibili ad aiutare le persone con difficoltà di movimento ad accompagnarle ai seggi, grazie all’opera di diversi volontari – dice Terrile – ma travestire l’operazione politica della Lega, accaparrandosi l’immagine di don Bosco e giocando sull’ambiguità , mi pare davvero troppo».
Intanto in Comune c’è curiosità intorno al dato sull’impennata di richieste di rinnovi dei certificati elettorali: all’ufficio anagrafe del Comune di Genova ne sono stati richiesti 7255, un numero che i tecnici indicano come davvero importante, soprattutto
in tempi di disaffezione alle urne. I rinnovi sarebbero stati richiesti da chi ha smarrito o ha completato la tessera elettorale e le richieste provengono soprattutto dai quartieri del Ponente e della Val Polcevera e Val Bisagno, anche se si registra un picco di richieste anche a Nervi.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 24th, 2017 Riccardo Fucile
ESPLODE A GENOVA IL CASO DEL NEOPRESIDENTE DEL MUNICIPIO LEVANTE DI FRATELLI D’ITALIA…SULLA SUA BACHECA FB ESALTAZIONE OMOFOBA, FALSE NOTIZIE SU PROFUGHI E ISLAMICI, INSULTI A BOLDRINI, GRASSO E LORENZIN…E MENO MALE CHE E’ UN EX CARABINIERE
A scorrere la sua bacheca su Facebook si rimane di ghiaccio: nemmeno Napalm51, l’odiatore social di Maurizio Crozza, riesce a inanellare una serie di fake news e luoghi comuni xenofobi, omofobi e neofascisti come Francesco Carleo, ex carabiniere ed ex militante di An, ora in Fratelli d’Italia.
Il problema è che da qualche giorno Carleo è un amministratore pubblico, sia pure ancora in pectore (per l’insediamento ufficiale bisogna infatti attendere il voto del consiglio). E’ stato infatti eletto presidente del municipio Levante.
Tra l’altro il presidente del Municipio in pectore, anche dopo l’elezione, continua a raccogliere sul suo profilo tutto il peggio che esce dalle fogne dei social network. Dall’esaltazione omofoba e castratrice di Putin, alle false notizie su migranti, islamici e “zingari”, oltre ai consueti insulti a Boldrini, Lorenzin, Grasso, Kyenge. Emerge poi una vera ossessione per il Duce.
Se quello del saluto fascista al dibattito Bucci-Crivello poteva essere un caso isolato, quello di Carleo potrebbe (o dovrebbe) diventare un caso istituzionale.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 24th, 2017 Riccardo Fucile
LA SOLITA POLEMICA SUL CONTRATTO DI FAZIO CON LA RAI DA’ SPAZIO A CHI VEDE LE CONTRADDIZIONI SOLO A CASA ALTRUI… E NEL CASO DI FAZIO, COME PER ALTRI, CONTA LA PUBBLICITA’ CHE PORTA
L’accordo da 11 milioni in quattro anni tra Fabio Fazio e la Rai riesce in un’impresa non
facile: mettere d’accordo un renziano di ferro come Michele Anzaldi e un esponente di spicco del Movimento 5 Stelle come Roberto Fico
Anzaldi, deputato del Partito democratico e segretario della commissione di Vigilanza Rai, ha inviato una lettera-esposto al presidente dell’Autorità nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, e al Procuratore regionale del Lazio della Corte dei Conti, Andrea Lupi, nella quale pone al’attenzione delle autorità di controllo alcuni punti: mancata applicazione della delibera del Cda sulla riduzione del 10% dei compensi sopra i 240mila euro; assegnazione di un compenso a Fazio attraverso una società che al momento risulta ancora non costituita; assegnazione parziale della produzione di “Che tempo che fa” a una società esterna senza bando di gara; pagamento dei diritti per una trasmissione che va in onda in Rai da 14 anni; anomalia del contratto quadriennale e non triennale, che scavalca anche il prossimo Cda
“Il caso del rinnovo milionario del contratto di Fabio Fazio in Rai, oltre ad alimentare perplessità e indignazione in termini di opportunità morale per un’azienda pagata per due terzi dal canone degli italiani, solleva gravi dubbi in ordine alla legittimità e al possibile danno erariale causato al servizio pubblico”, sostiene il deputato dem.
“Si configura uno scandalo di grandi proporzioni – aggiunge Anzaldi – che colpisce le casse dell’azienda e causa anche un evidente danno reputazionale di fronte al Paese che fa sacrifici e tira la cinghia, mentre una casta di intoccabili aumenta sempre di più i propri super compensi. A fronte di ciò, la Corte dei Conti, che ha un proprio rappresentate nel Cda Rai, e ad Anac, massima autorità di garanzia per i contratti pubblici, dovrebbero valutare se non sia opportuno accendere un faro su quanto sta accadendo nel servizio pubblico radiotelevisivo pagato con quasi due miliardi all’anno di soldi dei cittadini”.
Ancora più duro il commento di Roberto Fico, presidente della Commissione di Vigilanza Rai, che parla di “uno scandalo, un comportamento vergognoso” in merito al compenso della Rai per Fabio Fazio. “Quando era stato preventivato di toccare lo stipendio a Fazio, classico comunista col cuore a sinistra e portafogli a destra – ha affermato – voleva scappare in un’altra tv”. “Ora che è arrivato il suo compare Orfeo e gli aumentano lo stipendio – ha concluso – non vuole più scappare dalla Rai”.
Il cda della Rai ha approvato ieri la proposta di accordo con Fazio su indicazione del direttore generale Mario Orfeo: quattro anni in esclusiva e il trasloco su Rai1 con Che tempo che fa, per un compenso annuo da 2,2 milioni di euro.
A quanto si apprende, Fazio percepirebbe circa 2,2 milioni di euro all’anno per realizzare il suo programma su Rai1, 32 puntate da tre ore in prime time la domenica e altrettante da un’ora in seconda serata il lunedì.
Un ammontare al quale andrebbero sommati circa 500 mila euro l’anno, legati al format e alla produzione dello show. Nel complesso, la cifra raggiungerebbe circa 11 milioni di euro. Ci potrebbe essere spazio – stando alle indiscrezioni – anche a non meglio precisate ‘incursioni’ al Festival di Sanremo.
Al di là degli aspetti “formali” denunciati a Anzaldi che vanno verificati, è ora di farla finita con certa demagogia a buon mercato. A paprte che le cifre sono lorde e quindi vanno dimezzate, resta un problema di fondo: quanto costa Fazio in rapporto a quanta pubblicità porta? E’ lo stesso ragionamento del festival di Sanremo che da un paio di anni porta diversi milioni di attivo alla Rai.
Se Fazio costa 1 e porta 3, rinunciarvi significa far perdere alla Rai la cifra di 2, con la quale si possono fare altre trasmissioni più di nicchia ma di valore culturale.
Tutto il resto sono chiacchiere da bar.
Fico poi farebbe bene a guardare ai milionari “francescani” in casa propria che invece che con la Rai guadagnano facendo propaganda alle banche sul web.
(da agenzie)
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Giugno 24th, 2017 Riccardo Fucile
LA CONSIGLIERA COMUNALE DI ROMA ERA STATA SOSPESA PER LA VICENDA STADIO, ORA IL RICORSO CON L’AVV BORRE’
La grande lotta tra Beppe Grillo e la legalità torna d’attualità .
Cristina Grancio, consigliera comunale eletta con il MoVimento 5 Stelle e poi sospesa per dissidi con la maggioranza sullo stadio della Roma, porta Beppe Grillo in tribunale per farsi annullare la sospensione.
Ad assisterla è l’avvocato Lorenzo Borrè, che aveva seguito con successo i ricorsi di Roma e Napoli e il caso Cassimatis.
Nell’atto di citazione ex articolo 23 C.C, la Grancio cita l’Associazione MoVimento 5 Stelle nella persona di Beppe Grillo e chiede di sospendere l’efficacia del regolamento che ha portato alla sospensione della consigliera e di sospendere in via cautelare e inaudita altera parte il provvedimento di sospensione.
La parte più interessante dell’atto però sono le motivazioni.
La Grancio infatti in primo luogo chiede la sospensione dell’efficacia del regolamento su cui pende già un giudizio in tribunale proposto da alcuni iscritti assistiti dall’avvocato Borrè con motivazioni similari.
E cioè l’illegittimità del regolamento, la mancanza del quorum da raggiungere per le modifiche, l’esclusione di alcuni associati, le modalità di costituzione del comitato d’appello, la mancata modalità di previsione di nomina del Capo Politico (indovinate chi è?), e così via.
Ma qui il giudice potrebbe, come nel caso che coinvolge i cinque che hanno impugnato statuto e regolamento, riservarsi la decisione (che in effetti è ancora pendente presso il tribunale di Roma. Poi però fa notare anche altro.
Ovvero che la procedura che ha portato alla sospensione della consigliera Grancio prevede che «Nei casi nei quali è applicabile una sanzione disciplinare, il gestore del sito, su segnalazione comunque ricevuta che non risulti manifestamente infondata, ne dà contestazione all’interessato con comunicazione a mezzo e-mail, assegnandogli un termine di dieci giorni per la presentazione di eventuali controdeduzioni, dandone comunicazione al collegio dei probiviri, al quale vengono successivamente trasmesse anche le controdeduzioni eventualmente presentate. Nei casi più gravi, il collegio dei probiviri ha facoltà di disporre la sospensione cautelare dell’iscritto, dandogliene comunicazione a mezzo e-mail».
Nell’occasione però il gestore del sito, sostiene la parte in causa, non ha inviato alcuna comunicazione della contestazione disciplinare: «Si rileva che nel caso specifico il potere sanzionatorio “cautelare” è stato esercitato in difetto delle condizioni indicate nel Regolamento, e cioè la preventiva ricezione della contestazione da parte del Gestore, con conseguente illegittimità del provvedimento di sospensione “cautelare”», si sostiene nell’atto
Un errore nella procedura potrebbe invalidare tutto
Proprio per questo Cristina Grancio contesta una violazione del diritto alla difesa, perchè in quella comunicazione dovevano essere elencati i motivi oggetto del provvedimento disciplinare. Vero è che nella lettera che le hanno inviato i probiviri era presente un generico riferimento a «2. “dichiarazioni pubbliche contrarie alle decisioni assunte dal gruppo a maggioranza, nonchè nella presentazione in consiglio comunale di atti contrari alla posizione della medesima maggioranza e in atteggiamenti volti a favorirne la bocciatura di un progetto”».
Ma, appunto, a parte che la Grancio non ha fatto dichiarazioni pubbliche contrarie alle decisioni del gruppo M5S in Aula Capitolina, manca appunto la comunicazione di partenza del procedimento.
Non solo: fa notare l’avvocato Borrè che il voto contrario alle indicazione dei gruppi parlamentari non è mai stato motivo di provvedimento disciplinare per i parlamentari M5S, «tant’è che come risulta dall’elenco pubblicato da Openpolis -che si allega- i voti contrari contrari alle indicazioni del rispettivo Gruppo ascrivibili a ciascun senatore pentastellato oscillano da un minimo di 43 ad un massimo di 218, con una media di 120 voti contrari a testa, mentre alla Camera i voti contrari oscillano tra un minimo di 13 ad un massimo di 361».
Per questi motivi la Grancio chiede l’annullamento della sospensione. Una prima decisione del giudice potrebbe arrivare già in settimana. E potrebbe fondarsi proprio sulla mancanza di un atto.
D’altro canto, a che serve scrivere un regolamento per poi violarlo?
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 24th, 2017 Riccardo Fucile
ORA LACRIME DI COCCODRILLO, TRE ANNI FA INSULTI VERGOGNOSI PERCHE’ AVEVA OSATO CRITICARLO
“Gli abbiamo voluto bene e siamo vicino alla sua famiglia, alla quale facciamo le
condoglianze”: questo è il messaggio di Luigi Di Maio per la morte di Stefano Rodotà . Lo stesso toccante messaggio di cordoglio è stato inviato su Twitter da Roberto Fico: «Grazie al professore Rodotà per le tante battaglie in nome della Costituzione e in difesa dei diritti delle persone e dei nostri beni comuni».
In effetti Rodotà era stato anche il candidato del MoVimento 5 Stelle per il Quirinale nelle prime quirinarie in assoluto sul blog di Grillo. Ma con il tempo il rapporto con il professore deceduto oggi si era deteriorato. Anzi.
È successo tutto improvvisamente il 30 maggio 2013; in un post non firmato sul blog, ma in cui si usavano espressioni del tipo “con MIO sincero stupore”, si scriveva questo:
Dopo le elezioni comunali parziali che storicamente, come qualsiasi asino sa, sono sempre state diverse come esito e peso rispetto a quelle politiche, c’è un fiorire di maestrini dalla penna rossa. Sono usciti dalle cantine e dai freezer dopo vent’anni di batoste e di vergogne infinite del loro partito, che si chiami pdmenoelle o Sel, non c’è differenza. In prima fila persino, con mio sincero stupore, un ottuagenario miracolato dalla Rete, sbrinato di fresco dal mausoleo dove era stato confinato dai suoi a cui auguriamo una grande carriera e di rifondare la sinistra.
A incrinare il rapporto tra i due, raccontava Repubblica, l’intervista al Corriere in cui il giurista aveva dichiarato che il leader del MoVimento aveva compiuto degli errori, pensando che la Rete potesse bastare per vincere: “Nell’ultima campagna elettorale Grillo è partito dalla Rete, poi ha riempito le piazze reali con lo Tsunami tour, ma ha ricevuto anche un’attenzione continua dalla televisione. La Rete non funziona nello stesso modo in una realtà locale o su scala nazionale. Puoi lanciare un attacco frontale, ma funziona solo se parli al Paese”, aveva detto Rodotà , secondo cui alle ultime elezioni “hanno perso i due grandi comunicatori: Grillo e Berlusconi”.
Poi aveva aggiunto: “Le indicazioni di Grillo e Casaleggio non bastano più. Un movimento nato dalla Rete, che ha svegliato una cultura politica pigra, una volta entrato in Parlamento deve cambiare tutto”.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 24th, 2017 Riccardo Fucile
L’ESPERIENZA DEGLI ANNI DI PIOMBO, L’USO DELLE INTERCETTAZIONI, LA SCARSITA’ DI IMMIGRATI DI SECONDA GENERAZIONE
Perchè negli ultimi anni l’Italia è stata risparmiata da grandi attentati terroristici?
Se lo domanda il quotidiano britannico The Guardian, che ascoltando diversi esperti individua una serie di fattori che, tutti insieme, hanno reso il nostro Paese meno esposto alla minaccia del terrorismo islamico.
Innanzitutto c’è l’esperienza maturata, sia dal punto di vista legale che investigativo, durante gli anni di piombo.
“Abbiamo imparato una lezione molto dura durante i nostri anni di terrorismo”, spiega al Guardian Giampiero Massolo, direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) dal 2012 al 2016.
“Da quegli anni abbiamo capito quanto sia importante mantenere un dialogo costante a livello operativo tra l’intelligence e le forze dell’ordine. La prevenzione è la chiave di un controterrorismo efficace”.
Poi c’è la questione del controllo del territorio: “Un’altra caratteristica — aggiunge Massolo — è avere un buon controllo del territorio. Da questo punto di vista, l’assenza di luoghi paragonabili alle banlieu parigine nelle grandi città italiane e la predominanza di città medio-piccole rende più facile il monitoraggio della situazione”.
Un altro fattore centrale — spiega Francesca Galli, assistente universitaria alla Maastricht University ed esperta di politiche di antiterrorismo — “è che l’Italia non ha una consistente popolazione di immigranti di seconda generazione che sono stati radicalizzati o che potrebbero esserlo”.
A questa considerazione segue un corollario: l’assenza di italiani di seconda e terza generazione che potrebbero essere suscettibili alla propaganda dell’Isis consente alle autorità italiane di focalizzarsi su chi non ha la cittadinanza, che può quindi essere deportato al primo segnale di pericolo, spiega Arturo Varvelli, ricercatore ed esperto di terrorismo dell’Ispi, secondo cui da gennaio l’Italia ha già espulso 135 individui.
C’è poi la questione delle intercettazioni telefoniche, uno strumento su cui le autorità italiane contano molto, scrive il Guardian.
Da noi, infatti, a differenza che nel Regno Unito, le intercettazioni possono essere usate come prove nei processi e — in casi collegati a mafia e terrorismo — possono essere ottenute sulla base di attività sospette e non di prove solide.
L’infiltrazione e la distruzione delle reti terroristiche — scrive ancora il Guardian — richiede la rottura di relazioni sociali e persino familiari molto strette, proprio come nella lotta a Camorra, Cosa Nostra e ‘Ndrangheta.
Spiega ancora Galli: “le persone sospettate di jihadismo sono incoraggiate a dissociarsi dal gruppo e cooperare con le autorità italiane, che utilizzano i permessi di residenza e altri incentivi. Allo stesso tempo c’è la consapevolezza della pericolosità di tenere in carcere i sospetti terroristi, dal momento in cui la prigione è vista come un territorio particolarmente fertile per il reclutamento e la radicalizzazione (un po’ come avveniva con i capi mafia).
“Abbiamo una certa esperienza nel fronteggiare i network criminali”, conclude la ricercatrice, “e abbiamo molti agenti sotto copertura che fanno un grande lavoro di intercettazione delle comunicazioni”.
L’articolo passa in rassegna alcuni esempi di come vengono gestiti, in Italia, gli individui sospettati di attività terroristiche.
L’esempio più recente è quello di Youssef Zaghba, il 22enne italiano di origini marocchine identificato come uno dei tre attentatori del London Bridge.
Scrive il Guardian:
Ogni volta che Youssef Zaghba atterrava a Bologna, c’era qualcuno che lo aspettava in aeroporto. Non era un segreto in Italia che il 22enne […] era sotto stretta sorveglianza. “Venivano a parlargli in aeroporto. Poi, durante il suo soggiorno, ufficiali di polizia venivano un paio di volte al giorno a controllare”, ha raccontato al Guardian la madre del giovane, Valeria Collina. “Erano amichevoli con lui. Gli dicevano: ‘Hey, figliolo, dimmi cosa hai fatto ultimamente. Cosa ti sta succedendo? Come stai?'”.
[…] Franco Gabrielli, il capo della polizia italiana, ha raccontato degli sforzi dell’Italia per allertare il Regno Unito: “Abbiamo la coscienza pulita”.
Scotland Yard, dal canto suo, ha detto che Zaghba “non era un soggetto attenzionato nè per i servizi dell’MI5 nè per la polizia”.
La notizia, nelle ultime ore, dell’arresto in provincia di Alessandria della 26enne Lara Bombonati con l’accusa di terrorismo internazionale sembra ricalcare il ‘metodo’ descritto qui sopra.
Lara, che da almeno tre anni si faceva chiamare Khadija, era costantemente monitorata dalla Digos, che aveva iniziato a indagare su di lei dopo una denuncia di scomparsa da parte dei familiari, preoccupati dalla sua progressiva radicalizzazione.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 24th, 2017 Riccardo Fucile
BIG DELLA FINANZA IN FUGA, RINCARI MASSICCI IN ALCUNI SETTORI, SVALUTAZIONE DELLA STERLINA
Non è una invenzione dei giornali: la Brexit fa paura per davvero. 
Questa settimana, Londra ha assistito con sgomento allo spettacolo dei giapponesi – nella veste delle due maggiori banche del Sol Levante, Daiwa e Nomura – aggiungersi alla fila delle stelle della finanza che si incamminano verso Francoforte.
Per un paese che deve il 10 per cento del Pil, insieme ad una buona quota della occupazione meglio pagata, alla finanza è una processione carica di cattivi presagi. Infatti, nei giorni scorsi la Bce ha alzato il fuoco contro il quasi-monopolio di Londra sulle transazioni dei derivati in euro, un giro d’affari che sfiora gli 800 miliardi di euro al giorno.
Più o meno i due terzi del volume delle transazioni viene garantito dalle clearing houses su suolo inglese e la Bce, da tempo, reclama un controllo diretto su questi flussi, che possono incidere sulla stabilità finanziaria dell’area euro: in caso di attacco speculativo alla moneta comune, ad esempio, Francoforte potrebbe imporre alle clearing houses di alzare i margini di garanzia che le parti devono versare sui contratti.
Ma, oggi, non ha poteri diretti sulle case londinesi. Li aveva chiesti nel 2011, ma la Corte di Strasburgo – su ricorso inglese – aveva risposto che le norme attuali non lo imponevano. Ed ecco che, in questi giorni, Francoforte ha ufficialmente chiesto a Commissione e Parlamento di emendare le regole per assicurarsi questo potere.
Un divorzio consensuale potrebbe consentire a Londra di tenere in casa 600 miliardi di euro di traffico in derivati, con qualche forma di coordinamento con la Bce. Una rottura, no. Ma questo vale anche dall’altra parte.
Una rottura e un mancato accordo che rinviasse il commercio fra Ue e Gran Bretagna agli standard minimi del Wto, dice un rapporto appena diffuso da una grande società di consulenza, la Deloitte, avrebbe un impatto pesante sul gioiello più brillante della corona della Merkel: l’industria dell’auto.
L’anno scorso, le case tedesche hanno venduto quasi un milione di auto in Gran Bretagna. Con le regole Wto, le auto importate dalla Germania dovrebbero pagare un dazio del 10 per cento.
Deloitte calcola che, fra dazi e svalutazione della sterlina rispetto all’euro, le auto tedesche costerebbero agli inglesi il 21 per cento in più di oggi.
E le vendite di Volkswagen, Mercedes, Bmw, Ford e Opel crollerebbero, più o meno, nella stessa misura, mettendo a rischio almeno 18 mila posti di lavoro in Germania e, di rimbalzo, altre migliaia di posti di lavoro negli altri paesi, come l’Italia, legati alla catena produttiva dell’auto tedesca.
Ne guadagnerebbero le case con stabilimenti in Inghilterra, come la Nissan? Neanche, assicura Deloitte, perchè sui componenti auto il dazio Wto è del 4,5 per cento e, in un settore internazionalmente integrato come l’auto, l’importazione dei componenti è cruciale.
Anche senza leggere il rapporto della Deloitte, i consumatori britannici devono aver fiutato la trappola che li aspetta.
L’immagine dell’elettore inglese, pronto a recidere tutti i legami con l’Europa, pur di liberarsi dell’ombra dell’idraulico polacco, a quanto pare, non è più vera.
Il 58 per cento dei britannici è pronto ad accettare concessioni sull’immigrazione dalla Ue, in cambio di un accordo commerciale che sventi la rottura e l’orizzonte Wto.
Anche chi ha votato Leave, ha paura e ci sta ripensando: la quota degli anti-Ue che ritiene l’immigrazione una priorità , rispetto al commercio, è crollata, in un anno, dall’83 al 69 per cento.
Naturalmente, i sondaggi sono sondaggi e i ribaltoni vanno valutati con cautela. In questo sondaggio (curato, peraltro, dall’autorevole YouGov) risulta anche che, per la prima volta, gli elettori ritengono Jeremy Corbyn un premier più adeguato di Theresa May.
Che, come ribaltone, a pensare ai sondaggi di due mesi fa, farebbe impressione.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 24th, 2017 Riccardo Fucile
UN MESSAGGIO CONTRO TRUMP: “FAREMO DI NUOVO GRANDE IL NOSTRO PIANETA”
Una coppia inedita, ma unita nella tutela dell’ambiente contro la decisione di Donald Trump di ritirare gli Usa dall’accordo di Parigi sul clima.
I due sono il presidente francese Emmanuel Macron e l’ex governatore della California, alias ‘Terminator’, Arnold Schwarzenegger, che hanno registrato un video-selfie in chiave anti-Trump.
Per contestare il ritiro degli Usa dall’Accordo sul clima di Parigi, i due – entrambi convinti sostenitori delle politiche contro il surriscaldamento sul clima – hanno pubblicato un video girato in maniera improvvisata al termine di un incontro all’Eliseo, proprio sui temi green.
“Sono qui con il presidente Macron per parlare di questioni ambientali e un futuro ‘verde’”, dice Schwarzenegger, prima di passare il microfono a Macron.
“E ci impegneremo insieme per fare il pianeta grande di nuovo”, aggiunge Macron, con un chiaro riferimento al ‘tormentone’ della campagna elettorale di Trump “Make America Great Again”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 24th, 2017 Riccardo Fucile
UNA BUGIA AL GIORNO, TRANNE IL PRIMO MARZO… UN ELENCO IMPRESSIONANTE DI BALLE PROPINATE AGLI AMERICANI
“The liar in chief”, un bugiardo al comando. 
Con una iniziativa senza precedenti, il New York Times ha pubblicato una lista di tutte le affermazioni false pronunciate dal Donald Trump sin dal giorno del suo insediamento, il 20 gennaio, con tanto di grafici per illustrare le performance.
Ed è proprio da questi che si scopre che il primo giorno di The Donald passato da sincero è stato il primo marzo
Trump “sta cercando di creare un’atmosfera in cui la realtà è irrilevante”, avverte il quotidiano statunitense, secondo il quale il tycoon ha detto almeno una bugia al giorno durante i suoi primi 40 giorni di presidenza, ovvero fino al primo marzo.
Da allora bugie e falsità sono state registrate in 74 degli ultimi 113 giorni.
E le giornate passate senza dice cose false sono spesso quelle in cui non manda messaggi su Twitter: ovvero, in genere, quando si trova in vacanza nella sua residenza di Mar-a-Lago in Florida o quando gioca a golf.
“Non abbiamo mai avuto un presidente che passa così tanto tempo a dire cose non vere”, scrive il quotidiano, sottolineando che l’ascesa politica di Trump è stata costruita sulla bugia che Barack Obama non fosse nato in America.
E la sua propensione a non dire la verità è anche al centro del Russiagate, con l’ex direttore dell’Fbi James Comey che ha denunciato sotto giuramento le “bugie” del presidente.
La lista, qualche esempio: 21 Gennaio – “Non sono stato un fan dell’Iraq. Non volevo andare in Iraq”. (Prima ha supportato l’invasione, poi si è dichiarato contro). 21 Gennaio – “Tra i 3 e i 5 milioni di voti illegali mi hanno fatto perdere il voto popolare”. (Non ci sono prove che i voti fossero illegali). 23 Gennaio – “Il pubblico è stato il più grande di sempre. Era una folla enorme. Guardete fin dove arriva. Questa folla era enorme”. (Gli scatti aerei ufficiali mostrano che all’inaugurazione di Obama c’è stata molta più partecipazione). 11 Aprile – “Apprezzo Steve, ma dovreste ricordare che non è stato coinvolto nella mia campagna sino a tardi. Io avevo già battutto tutti i senatori e i governatori e non sapevo chi fosse Steve” (Conosceva Steve dal 2011). 12 aprile – “Il segretario generale e io abbiamo avuto una discussione produttiva su ciò che la Nato può fare in più per combattere il terrorismo. Mi sono lamentato di questo tempo fa e ora hanno fatto un cambiamento, ora combattono il terrorismo” (La Nato è coinvolta nella lotta al terrorismo dal 1980).
Nella metodologia utilizzata il giornale spiega: “Abbiamo fissato uno standard conservativo, lasciando fuori molte dichiarazioni dubbie (come l’affermazione che il suo travel ban è ‘simile’ alla politica dell’amministrazione di Obama)”.
“Alcune persone potrebbero obiettare che il presidente non parlava letteralmente – spiega ancora il quotidiano – “ma crediamo che il suo modello di impiegare le falsità per i suoi scopi, come uomo d’affari e politico, faccia pensare che le sue affermazioni non siano semplicemente errori trascurabili”.
Secondo la ricostruzione del Nyt, Trump ha detto 20 menzogne pubbliche nei primi 40 giorni da presidente.
Dalle affermazioni sulla propria contrarietà all’invasione dell’Iraq alla denuncia di “da 3 a 5 milioni di voti illegali” la cui esistenza non è mai stata provata. Fino alle affermazioni false sul caso Russiagate smentite dall’ex direttore dell’Fbi, James Comey. In seguito ha detto 74 bugie in 113 giorni.
Non è un caso se ora il 60 per cento degli americani pensa che Trump “non sia onesto”.
(da agenzie)
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