Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
LA SPERICOLATA CORSA AL VOTO FERISCE RENZI E GRILLO E SCHIANTA LA LEGISLATURA
La gatta frettolosa fece i gattini ciechi. Il popolare proverbio, usato dalle mamme per controllare le impazienze di generazioni di bambini, stavolta si è elevato anche a norma politica: la legge elettorale frettolosamente messa insieme con un accordone da Santa Alleanza, fra quattro leader diversissimi tra loro, pur di andare alle elezioni, si è schiantata al primo voto in aula.
Schiantata in mezzo a una coreografia — il cartellone che per errore manda in chiaro un voto segreto, accuse reciproche di tradimento fra partiti — che esalta un clima caotico, la mancanza di organizzazione, un’aria da rompete le righe, uno sbando ad alta intensità emotiva. Una scena da sussurri e grida. Insomma aria che parla in tutto di fine legislatura.
La camera ha vissuto così, come nei suoi momenti peggiori, il fallimento di quello che sicuramente possiamo considerare l’ultimo possibile tentativo di fare una legge elettorale. Una sconfitta che condiziona ora il modo di come si chiude la legislatura, ma anche gli equilibri dentro e fra partiti.
Per il Pd e per il suo leader Matteo Renzi, che sono state le forze che più si sono impegnate a portare a casa una legge elettorale, costitusce la seconda battuta d’arresto in pochi mesi. Non è una batosta pubblica come la prima, quella del Referendum, ma rimane una seconda brusca frenata di un progetto mirato a riportare un partito rinnovato (dopo scissione e congresso) e il suo segretario al centro della dinamica politica.
Perchè Matteo Renzi e la sua organizzazione non riescano a “rialzarsi” è forse la parte meno visibile, e più significativa, di questa vicenda.
Moltissimo ha a che fare con la turbolenta relazione fra il Segretario e il Sistema — intendendo per quest’ultimo in questo caso il complesso istituzionale, economico e politico, dato.
Fra le due entità non c’è mai stato idillio, con un giovane fiorentino arrivato brandendo la bandiera della rottamazione e una Roma da tempo, cioè dall’ultimo anno di Silvio Berlusconi nel 2011, in bilico fra richiami europei, crisi economica, scollamento dei partiti, rabbia dei cittadini.
La discesa a Roma del Rinnovatore, applaudita, facilitata, e spesso adulata, si è ben presto però rivelata incline anche a colpi testa, forzature, improvvisazioni. Insomma impresa spesso troppo solitaria ed autoreferenziale, per istituzioni molto consapevoli della fragilità degli equilibri complessivi.
Al netto di discussioni di merito sulle scelte politiche, che pure hanno contato, è proprio il metodo renziano, la forzatura come cardine dell’azione politica, che ha costituito alla fine il peggior nemico del Premier/Segretario.
Questione, questa della forzatura, di non poco conto. Di questo si è trattato infatti per il Referendum: sarebbe stato diverso il percorso se i contenuti politici molto controversi di quella riforma non fossero stati proposti con la tagliola di un si o un no? A questa domanda, nelle ore della sconfitta, lo stesso Renzi sembrava rispondere con un forte dubbio.
La legge elettorale, anticipatrice necessaria di un ritorno anticipato al voto, è stata segnata dalla stessa voglia di forzare i processi, e infatti portata avanti con la stessa fretta.
Incontrando le stesse razionalità , gli stessi dubbi. Nel caso specifico non si è trattato di un processo vasto e popolare come quello del referendum, ma si è trattato comunque di obiezioni pervenute dal mondo istituzionale.
Confindustria, Ministero del Tesoro, Palazzo Chigi, Quirinale, in vari modi, hanno additato il pericolo di un voto anticipato in piena Finanziaria, con nodi irrisolti di debito pubblico, e rapporti incerti con la situazione internazionale.
Ma quel che forse di più ha frenato la corsa sono state una serie di opinioni pesanti uscite dal seno dello stesso partito del Segretario. Alla fine di una settimana in cui si si sono messe in fila sulle pagine dei media dissensi espressi da Veltroni, Bindi, Prodi, Letta, Finocchiaro, e soprattutto Giorgio Napolitano, si può capire come molti nello stesso Pd cominciassero ad avvertire dubbi su quanto costasse questa legge.
Lo stesso dubbio sul costo ha schiantato il Movimento 5 Stelle, attraversato, a differenza del Pd renziano, da una feroce deriva interna di dissenso.
Lo sbarco dei pentastellati fra i quattro firmatari del patto ha avuto in effetti per la organizzazione di Grillo l’impatto di un vero Congresso interno.
Con due ipotesi in campo, entrambe rappresentative del bivio di fronte a cui si trova il movimento: la necessità di diventare sempre più istituzionali a fronte di un potenziale ruolo di governo e la fedeltà ai proprio principi di alterità . Alla fine ha prevalso quest’ultima.
Non è un caso che le accuse reciproche siano alla fine volate fra queste due forze, Pd e M5s. In questo processo erano diventate lo specchio di uno stesso drastico e forzato riadeguamento: il primo nella alleanza con Berlusconi, il secondo nella alleanza con il sistema.
La legge lascia entrambi i gruppi scossi, anche se non feriti. Sia Pd che M5s infatti possono ritirarsi, come già indicano che faranno, sulla più sicura spiaggia della identità separata.
In compenso la spericolata manovra lascia una ferita profonda sulla legislatura.
Messa in discussione, messa da parte come cosa finita dai legislatori aspiranti stregoni, ne esce segnata dalla sua spendibilità .
Il finale caotico del voto, di cui parlavamo all’inizio, è infatti la rappresentazione di tutto quello che in questi ultimi cinque anni è diventata la politica: un instabile cocktail di ambizioni personali, arrembaggi, privatismo, nutritosi della e nella crisi dei partiti.
Non sarà un caso che l’accordo elettorale è stato formulato da Quattro leader nessuno dei quali siede in Parlamento.
Nè è un caso che appena arrivato in Parlamento l’accordo si sia liquefatto, come un gelato al sole di questo inizio di estate romana.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
TUTTO RINVIATO A DOPO LE AMMINISTRATIVE
L’istinto è di urlare “al voto, al voto”, “con la legge che c’è”. O meglio, “prima un decreto, per mettere mano a qualche tecnicalità poi voto”.
Perchè “non si può fare finta di niente, ed è evidente che questo Parlamento non è in grado di fare la legge elettorale”.
Racconta più di uno dei presenti che Matteo Renzi, quando nel pomeriggio riunisce la segreteria del Pd, non è stravolto più di tanto per la frana del “patto” nel voto segreto. Perchè la botta c’è. Ma torna la prima opzione.
Quella sostenuta dal primo minuto: al voto con la legge che c’è, il Consultellum.
Però è tutto maledettamente complicato. Dice uno dei big presenti in segreteria: “Ora basta, non è che sulla legge elettorale giochiamo al ‘ritenta che sarai più fortunato’. È finita qui. Mattarella ci ha chiesto un tentativo, noi l’abbiamo fatto, ci siamo presi palate di fango da Prodi, Napolitano, i fondatori del Pd. Ora sarà anche un problema degli altri. Noi abbiamo dato. Che vogliono fare? Loro che propongono?”.
Tutto il ragionamento ruota attorno a quel “loro”, che si riferisce in primo luogo all’inquilino del Colle. Che convocò i presidenti di Camera e Senato, per sottolineare l’urgenza della legge elettorale e stoppare il tentativo di elezioni a giugno. Formalmente, dice Matteo Richetti uscendo dal Nazareno, se ne riparla dopo le amministrative.
Da martedì, quando — questo è il non detto — il segretario del Pd spera di avere una spinta dalle urne, qualora Grillo — come pare dicano i suoi sondaggi — dovesse andare male a Genova e Palermo e qualora Pizzarotti dovesse vincere a Parma.
Ma i contatti col Quirinale sono già in atto. E ruotano attorno a una valutazione di quel che è successo e alla fattibilità del decreto sulla legge elettorale.
Ipotesi tanto azzardata quanto complicata, alla quale peraltro il governo finora si è sempre sottratto.
Consisterebbe in questo: il governo, dove mezzo consiglio dei ministri è contrario al voto anticipato, dovrebbe varare un decreto per rendere utilizzabile la legge attuale. Come noto il decreto, appena viene promulgato, ha valenza di legge per sessanta giorni durante i quali va convertito, poi decade.
Spiega una fonte: “In questo clima, se fai un decreto neanche lo converti, perchè te lo impallinano alla Camera col voto segreto. L’unica cosa sarebbe sciogliere le Camere prima della conversione”.
I ben informati sostengono che al Quirinale l’ipotesi del decreto è fuori dai radar e verrebbe presa in considerazione solo alla fine della legislatura, di fronte a un Parlamento che non è riuscito a fare i minimi aggiustamenti e con le elezioni alle porte.
Tradotto, a dicembre, se si vota a febbraio.
Solo a quel punto si giustificherebbe la “necessità e urgenza”, ovvero i presupposti costituzionali per poterlo fare. Trapela “preoccupazione” dal Quirinale per lo stop dialogo. Il quadro è evidentemente lacerato e tutto può succedere, anche una fine anticipata della legislatura.
Tuttavia resta l’esigenza di intervenire su alcuni aspetti tecnici della legge — come la preferenza di genere al Senato — magari con una leggina anche se non un disegno organico di riforma.
Nazareno, Quirinale, palazzo Chigi. Da questo triangolo diplomatico si capirà , di qui a martedì, quale destino avrà la legislatura.
Renzi continua a volere le elezioni a ottobre, ma è consapevole che una manovra di questo genere, stavolta, non si fa urlando, ma solo con il consenso di tutti, dal Quirinale al premier che dovrebbe essere disposto a dimettersi.
Prosegue un altro dei presenti in segreteria: “La questione è semplice. Non sarà il Pd a far mancare il sostegno a Gentiloni, ma dopo il voto di oggi bisogna vedere se Paolo è ancora disponibile a portare la croce. Al Senato la prossima settimana c’è lo ius soli: c’è la maggioranza con Alfano? Poi c’è la manovrina: c’è la maggioranza con Mdp? Nel frattempo sulla legge elettorale non si farà nulla. È possibile andare avanti fino al 2018?”.
È chiaro che il segretario del Pd non farà nulla per aiutare a ricompattare la maggioranza. Anzi, farà di tutto per dimostrare che il game over di oggi sulla legge elettorale coincide col game over della legislatura.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
E DI VIGILI NEMMENO L’OMBRA, COMUNE LATITANTE
Ecco cosa hanno visto i turisti (e i poveri romani) che nella tarda mattinata di mercoledì hanno scelto i giardini di Castel Sant’Angelo per una passeggiata: un barbone che fa le sue abluzioni nella fontana con protome leonina, in pieno centro di Roma. Purtroppo, non è tutto.
Dopo la denuncia del Corriere sull’invasione dei topi che hanno colonizzato la zona, adesso la mancanza di controlli e del rispetto delle regole rischia di degradare irrimediabilmente uno degli scorci di Roma più pregevoli.
50 metri da incubo
Sono centinaia le persone che ogni giorno percorrono il tratto di strada che da San Pietro (lasciata via delle Conciliazione alle spalle e costeggiando il Tevere) passa davanti l’ingresso di Castel Sant’Angelo per poi proseguire su ponte Sant’Angelo.
Lo spettacolo che accoglie il turista non è certamente all’altezza di una Capitale europea.
In 50 metri da film dell’orrore, s’incontrano: un camion bar, diverse bancarelle di cappelli, gadget, occhiali e cianfrusaglie varie.
Venditori di bastoni da selfie, musicisti di strada muniti di amplificatori che sparano watt a tutto spiano. Superato questo, si piomba addosso ad un paio di centurioni a caccia di prede.
Rifugio per clochard
Ma se si abbassa lo sguardo sul fossato che circonda il Castello si rischia lo svenimento: superata la vegetazione che ricorda una giungla, sotto gli archi, un clochard ha parcheggiato i suoi averi e ne ha fatto un rifugio. Ed è lì da mesi.
Le panchine dei giardini sono quasi tutte occupate dai senza fissa dimora che con tutti i loro fagotti ci passano la giornata senza essere disturbati: nel perimetro l’assenza dei vigili è evidente, visto che gli abusivi e i clochard sono lì, appunto, da mesi.
Ma la cosa che rattrista e che in questo percorso da incubo, i cumuli di «monnezza» che circondano i cestini dei rifiuti sono quasi confortanti.
La zona, nel 2016, durante l’anno del Giubileo della Misericordia voluto da Francesco, grazie al costante controllo delle forze dell’ordine che in quel quadrante strategico – essendo appunto di passaggio per i pellegrini diretti a San Pietro – avevano alcuni presidi, ne salvaguardava oltre che la sicurezza, anche il decoro.
Ora, è terra di nessuno.
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
A MILANO MARITTIMA SABATO SERA IL FANCAZZISTA ERA FUORI SERVIZIO E NON DOVEVA RACCONTARE LA PALLA CHE GLI IMMIGRATI NON SONO UNA RISORSA E I MUSULMANI DEVONO STARE A CASA LORO…. IN QUESTO CASO MEGLIO AVERLI VICINI
Dopo aver speso la settimana a ironizzare sugli “immigrati- finta risorsa dell’Italia”, con il solito diluvio di post con cui ci informa anche su quante volte usufruisce dei servizi igienici, sabato sera Matteo Salvini è stato beccato a Milano Marittima in una nota discoteca in versione “libera uscita”.
Forse per quello indossava una maglietta con un bel paio di manette in vista: che sia un preveggente?
In ogni caso quando è “fuori servizio” Salvini prova, nonostante sia un datato over 40, a tornare quel giovane fancazzista che studiava poco e che preferiva frequentare il “Leoncavallo”.
Nella nuova versione “borghese” eccolo farsi immortalare in una istantanea con Ahlam El Brinis, una giovane modella 21enne di origini marocchine.
Lui sorride con l’occhio un po’ perso, lei ha una posa avvenente e abiti succinti: lo scatto finisce sul profilo Facebook di lei.
Tanto basta a scatenare una bufera mediatica e di commenti anche pungenti:
«Ma lo sa che sei araba?»; «Qui alla ruspa non ci pensa? Visto che è marocchina ovvero straniera?» chiede un altro utente sottolineando la vicinanza del segretario della Lega Nord con una modella di origini nordafricane.
Ahlam, veneta di origini marocchine, ha 21 anni: è nata a Padova, è diplomata al liceo linguistico e nel 2013 ha vinto la fascia di Miss Schio, partecipando poi due anni dopo a Miss Italia con la fascia di Miss Eleganza.
«Dovevi dirgli le tue origini…» le scirve qualcono e lei stessa risponde: «Lo sa. Mi ha pure detto che il Marocco è un bellissimo paese».
A quando la conversione all’Islam?
(da agenzie)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
DURO ATTO DI ACCUSA DELL’EX CAPO DELL’FBI: “TRUMP HA SCELTO DI DIFFAMARE ME E L’FBI”
“Trump ha mentito su di me. E Mosca ha interferito sul voto americano”. È la testimonianza, sotto giuramento, dell’ex direttore dell’Fbi James Comey davanti alla Commissione intelligence del Senato, che indaga sulla possibile interferenza della Russia nelle elezioni del novembre scorso e sui legami tra Donald Trump e i russi. Comey venne silurato ai primi di maggio dal presidente americano mentre indagava sul Russiagate.
E ieri, nelle anticipazioni della dichiarazione di oggi, ha rivelato che Trump gli chiese di lasciar perdere le indagini sull’allora consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn.
Comey si è detto “confuso” e “preoccupato” delle spiegazioni del suo licenziamento, che “prendendo in parola Trump” è dovuto al modo in cui dirigeva l’indagine sulla Russia. “Fino ad allora mi era stato ripetuto che stavo facendo un gran lavoro. Trump ha scelto di mentire e di diffamare me e l’Fbi”, ha continuato.
Le interferenze di Mosca.
Durante l’udienza, Comey si è detto convinto che “la Russia abbia interferito nelle elezioni americane e che cercherà di farlo ancora. Non sono devoti a un partito o un altro, lavorano solo per ottenere vantaggi per loro stessi”.
Ciononostante, l’ex capo Fbi ha ribadito la sua fiducia sul fatto che nessun voto sia stato alterato, anche se sono “almeno centinaia”, o forse “migliaia” le istituzioni americane prese di mira dagli hacker russi durante la campagna presidenziale del 2016.
Ma a una domanda sulla possibile collusione tra Trump e la Russia durante la campagna elettorale, Comey ha affermato di non poter rispondere, sottolineando che sarà l’indagine a chiarire la questione.
Le conversazioni con Trump.
Incalzato dalle domande, Comey ha precisato che nè Trump nè il ministro della Giustizia Jeff Sessions gli chiesero di fermare l’inchiesta sul Russiagate.
Gli venne chiesto solo di “lasciar andare” su Michael Flynn. Trump, dunque, “non ha espressamente chiesto” di far cadere le indagini dell’Fbi, ma ha detto di “sperare” che Comey “lasciasse correre”. Parole interpretate da Comey “come una direzione” da seguire.
Comey ha raccontato di essere rimasto “sorpreso” e “innervosito” quando, in un incontro a gennaio, il presidente gli ha chiesto se volesse rimanere a capo dell’Agenzia.
L’ex leader dell’Fbi ebbe allora la sensazione che Trump “volesse ottenere qualcosa in cambio della mia richiesta di restare in carica”.
Comey ha ammesso di aver passato a un amico, giornalista del New York Times, alcune informazioni sui loro incontri. E ha confessato di aver iniziato ad annotare le sue conversazioni con Trump, perchè era “preoccupato che potesse mentire sulla natura dei nostri incontri”.
“Spero che ci siano davvero le registrazioni”, ha continuato, facendo riferimento a un tweet in cui Trump lasciava intendere l’esistenza dei nastri dei loro incontri.
“Non sta a me dire se le conversazioni con il presidente erano un modo per ostruire la giustizia”, ha detto Comey.
L’ostruzione di giustizia è uno dei reati per il quale si potrebbe ricorrere all’impeachment del presidente.
Hillary Clinton e il mail-gate.
Comey ha parlato anche dello scandalo delle e-mail che rischiò di travolgere Hillary Clinton durante la campagna presidenziale, dicendosi convinto di avere gestito al meglio la vicenda. La mia decisione “ha causato molto dolore personale, ma guardando indietro credo sia stato il modo migliore per proteggere la giustizia e l’Fbi”, ha detto l’ex direttore dell’agenzia.
Secondo la Clinton, fu proprio la gestione del cosiddetto emailgate da parte di Comey a costarle la presidenza.
Nel frattempo, nella capitale, molte persone si sono messe in fila al bar per assistere all’audizione, trasmessa in tv.
Al punto che la giornata di oggi è stata ribattezzata il “Superbowl di Washington”. Alla fine della testimonianza, Comey è stato nuovamente ascoltato, a porte chiuse.
Se il Senato riconoscerà gli elementi per configurare il reato di intralcio alla giustizia, il Congresso potrebbe votare l’impeachment per il presidente.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
COSA GUARDARE PER CAPIRE I RISULTATI DI UNA ELEZIONE STORICA
Il Regno Unito torna alle urne per la terza volta in 2 anni, fra le due elezioni (maggio 2015 e giugno 2017) lo storico referendum sulla Brexit del 23 giugno scorso.
Oggi 45,7 milioni di elettori di Inghilterra, Scozia, Irlanda del Nord e Galles, sceglieranno i loro rappresentanti nel Parlamento di Westminster.
Oltre 3500 candidati per 650 seggi a Westminster. Urne aperte alle 7 (le otto in Italia) e chiusura alle 22.
Sette i partiti, oltre a quelli “nazionali”, Liberal-democratici, Conservatori, Laburisti, Verdi e Ukip, quelli espressione delle regioni, come l’SNP (indipendentisti scozzesi), o irlandesi del Dup e gallesi Plaid Cymru.
Perchè le elezioni anticipate
È stata una mossa della premier Theresa May che ha chiesto il via libera al Parlamento il 18 aprile 2017, il 22 ha ottenuto luce verde. Downing Street infatti ritiene necessario avere una maggioranza più ampia di quella attuale (appena 4 seggi) per condurre con sicurezza e forza i negoziati con la Ue sulla Brexit.
Le trattative inizieranno ufficialmente il 19 giugno dopo che a fine marzo la May ha attivato l’Articolo 50 che da il via formalmente al processo di distacco del Regno Unito dall’Unione europea.
Le prossime elezioni si svolgeranno entro il maggio del 2022, la durata normale della legislatura è infatti di 5 anni. Il potere di convocare le elezioni è del premier che però, dopo una riforma di qualche anno fa, ha bisogno del voto del Parlamento.
Quando arriveranno i risultati
Alle 22 (le 23 in Italia) i principali media e la BBC diffonderanno un exit poll fatto da un pool di società . Sarà uguale per tutti, ci sarà già la suddivisione per seggi perchè – ricordiamolo – conta quello non la percentuale di voti complessivi presi da un partito. Due anni fa ad esempio lo Ukip prese il 13% eppure elesse solo 3 deputati.
Variabili
Per orientarsi nella notte elettorale ci sono diverse chiavi di lettura. Eccone alcune.
1) Dove andranno i voti dello Ukip?
Alcune ricerche ritengono che più della metà andrà ai conservatori.
2) Come andrà l’Snp?
Nel 2015 la Sturgeon fece filetto, 56 seggi su 59. Quest’anno potrebbe fermarsi a 50, se ne avantaggerebbero i conservatori e solo in parte i laburisti.
3) Affluenza.
È la grande incognita, soprattutto se legata ai giovani. Il 73% degli under 24 sta con Corbyn. Ma i giovani sono l’unica fascia in cui è diviso l’elettorato schierata con i laburisti. Vero che quest’anno c’è un record di iscrizioni alle liste elettorali da parte dei giovani e giovanissimi, ma i dati ufficiali dicono che la stragrande maggioranza vive e vota in collegi già laburisti. Di fatto il loro rischia di essere un voto “inutile” ai fini del risultato.
4) La classe operaia avremmo detto una volta.
Attratta dalla May secondo i sondaggi, per un soffio.
5) Funzionerà il voto tattico?
In moltissimi collegi i candidati di partiti perdenti hanno preferito ritirare la candidatura e cercare di spostare i voti su un laburista o un conservatore per frenare la corsa degli avversari. È quanto fa lo Ukip o in un caso specifico hanno fatto i verdi per battere (con i laburisti) Amber Rudd (vedi più avanti)
I sondaggi
Sono moltissimi, sono compiuti con metodi diversi e danno risultati talvolta clamorosamente differenti. A quali credere? A chi azzecca la previsione verrebbe da dire. Ma è troppo facile. Guardiamo allora un po’ più in profondità .
Nel 2015 i sondaggi erano tutti sbagliati, avevano previsto un pareggio fra laburisti e conservatori e uno scenario da hung Parliament, ovvero una Assemblea dei deputati senza un partito con i numeri per governare da solo. Invece vinsero i conservatori e acciuffarono la maggioranza.
Tracollo per i liberal-democratici che erano stati per 5 anni in coalizione con i Tory, i laburisti di Ed Miliband sconfitti. Perchè sbagliarono?
Per due ragioni: 1) sovrastimarono l’affluenza e questo sbaragliò i modelli predittivi. 2) Valutarono il voto delle mamme con figli tendente ai labour. Invece quel gruppo le mamme d’Inghilterra sostennero Cameron fidandosi della crescita economica che aveva assicurato al Regno Unito
E quest’anno? Anzitutto una premessa: i sondaggi bisogna leggerli consapevoli che si vota con il maggioritario in collegi unominali. Secondo, la grande differenza che c’è fra città e campagna, fra Nord del Paese e Sud, è un fattore che incide molto. Ovviamente i pollster tengono conto di questi fattori, ma essendo volatili c’è sempre una grossa incognita.
In terzo luogo il referendum sulla Brexit ha mescolato le carte e sovrapposto in moltissimi collegi voto Leave a voto laburista.
Uno dei grandi interrogativi di oggi infatti è se le costituency labour dove ha vinto il Leave opteranno ancora per il Partito di Corbyn oppure no.
Vediamo alcuni sondaggi.
L’ultimo uscito ieri sera è quello di ComRes che dà ai Tory un vantaggio di dieci punti (44% a 34%). La media dei poll che ha fatto il Guardian da i Tory avanti sempre, la forbice è fra il 4% e il 7%.
Ma You Gov, il primo istituto a lavorare in questo ciclo elettorale a livello di collegi, ha stimato che i conservatori arriveranno a 304 seggi, i laburisti a 266. Quindi nessuna maggioranza.
Cosa succederebbe? Che Corbyn potrebbe chiedere un aiuto all’Snp e ai liberal democratici e formare un governo di minoranza.
Scenario difficile e cammino pericoloso, ma non impossibile. Attenzione però, Hanretty, bravissimo ricercatore dell’Anglia University, ha adottato un altro modello che dà un risultato diverso: secondo i suoi calcoli i Tory vinceranno alla grande, 375 seggi, Corbyn si fermerà a 198, 34 in meno di quelli che prese Ed Miliband. Qualcuno insomma avrà trovato la formula magica, ma chi lo scopriremo solo in serata.
Cosa guardare
Eppure ci sono dei punti di riferimento importanti per capire il trend. Anzitutto dipenderà molto dai primi exit poll, quale forbice fra i partiti mostreranno. I risultati ufficiali cominceranno a fluire dai collegi a partire dalle 23.
Il primo sarà Sunderlan South, e già è un test significativo. Zona laburista, votò Brexit. Qui nel 2015 lo Ukip prese 8mila voti, e arrivo secondo. Quest’anno non esiste. Se la May sarà riuscita a dragare quei voti, le probabilità di una vittoria netta aumenteranno. Altrimenti, prima tazza di caffè e andiamo avanti.
Mezzanotte, tocca a Nuneaton.
Se i conservatori dovessero andare bene e tenere il seggio, sarebbe il segnale che la May è sulla rotta della vittoria.
Alle 12,30 Darlington, è un target dei conservatori, i Labour vinsero per 3158 voti nel 2015. You Gov ha registrato un aumento dei consensi per i conservatori. Si realizzasse il sorpasso la partita potrebbe essere chiusa. O come dice John Curtice, il massimo esperto di flussi nel Regno Unito, sarà vittoria a valanga.
Per l’1 attendiamo Northampton North, una costituency che dal 1974 vota per il vincitore (l’Ohio in piccolo d’Inghilterra). Conservatori in testa.
Attenzione invece all’appuntamento delle 2 a Bury Nord, seggio in bilico pro-Tory, appena 378 voti di margine nel 2015. In nome del voto utile, lo Ukip non presenta un candidato. Quindi se i conservatori non dovessero vincere il segnale sarebbe terribile per la May.
Alle 2 e dopo molte tazze di caffè, tocca al ministro degli Interni uscente Amber Rudd finire sulla graticola.
Siamo Abs Hastings e Rye, i Verdi che presero 2mila voti nel 2015 hanno deciso di rinunciare a correre per far convogliare i voti sui laburisti anti-Rudd. Secondo You Gov Amber Rudd potrebbe persino perdere.
Insomma se il primo exit poll dirà che vi sono tanti collegi in bilico, la notte sarà lunga. Altrimenti entro mezzanotte si potrà staccare la spina. Felici o scontenti.
(da “La Stampa”)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
DI MAIO IMPIETRITO, GRILLO FURIBONDO, E’ SALTATO TUTTO… GLI EMENDAMENTI M5S, PRESENTATI PER FAR CONTENTI GLI ORTODOSSI, AVREBBERO DOVUTO ESSERE BOCCIATI, NEL GIOCO DELLE PARTI… MA DA FORZA ITALIA E PD E’ ARRIVATO L’AIUTINO PER FAR SALTARE IL BANCO
La debacle. Quella di Luigi Di Maio, il tessitore.
Passa in Transatlantico e sembra di colpo diventato pallido. In privato lo raccontano prima impietrito, poi furioso. Vede il voto anticipato sfumare. E insieme alle urne, si allontana e si complica il percorso della sua incoronazione.
“Adesso si deve andare votare e basta, io non perderei altro tempo – sibila a denti stretti – impensabile riprovare a fare la legge elettorale”.
Gli fa eco Beppe Grillo, che liquida il Pd: “Ma fatevela da voi”.
Fosse stato per Di Maio – raccontano i ben informati – gli emendamenti della discordia sarebbero stati ritirati pur di andare avanti con l’accordo, ma ormai è troppo tardi e i duri e puri non glielo avrebbero permesso.
E infatti, tre metri più in là , ecco Roberto Fico che è l’icona della felicità . La legge elettorale è saltata sulla mina del Trentino, che guarda caso è stato il teatro principale della Prima guerra mondiale, e i grillini ortodossi gongolano come se avessero vinto il primo congresso interno.
Il promesso candidato premier grillino guarda nervosamente il cellulare. Mano sulla bocca, quasi pietrificato adesso Di Maio è seduto tra i banchi della Camera.
Ogni tanto qualcuno si avvicina a lui, ma si capisce che il vicepresidente della Camera parla controvoglia. Non può però non sentire quello che gli ortodossi del Movimento dicono sottovoce: “Abbiamo piazzato una mina sul percorso della legge elettorale e il Pd è scoppiato sopra”. E con il Pd tutto l’accordo sulla legge elettorale.*
Alla fine il Movimento non ha retto l’abbraccio con il Pd e Forza Italia.
E infatti, per sedare il dissenso interno, i pentastellati hanno depositato sei emendamenti, uno sull’estensione della legge elettorale al Trentino, ma altri tre particolarmente rilevanti: voto disgiunto, preferenze e premio di maggioranza.
Tutto questo per dire alla base: “Guardate che non siamo cambiati”.
E per far contenti gli ortodossi, convinti — così almeno pensavano i vertici — che sarebbero stati respinti e quindi l’accordo siglato da Di Maio non avrebbe avuto conseguenze.
Ma i franchi tiratori di Pd e Forza Italia questa mattina sono entrati in azione, dando un segnale politico e votando con il Movimento la proposta di modifica sul Trentino. Il Pd ha visto il pericolo dietro l’angolo, cioè che lo stesso schema si potesse ripetere sul voto disgiunto e ha chiesto agli M5s di ritirare gli emendamenti. Ma nulla di fatto. Il testo torna in commissione.
Di nuovo Roberto Fico, il vincitore della partita: “Ritirare gli emendamenti? Impossibile. Quindi ci chiedono di non intervenire in Aula su una legge di interesse nazionale?”.
Sta tutta qui la presa di posizione dell’ala anti Di Maio. E mentre in Aula i grillini che fanno capo al candidato in pectore si agitano tra i banchi, spaesati e stanchi (“In fondo questa legge ci conveniva”, dice un deputato molto vicino al vicepresidente della Camera), Fico li richiama all’ordine.
È il suo giorno ed è anche quello dei senatori, alcuni sono a Montecitorio a godersi lo spettacolo, che esultano: “Con il voto del blog volevano mandarci in galera e non permettere a noi del Senato di presentare emendamenti”.
Era questa infatti la strategia. Presentare emendamenti alla Camera per far contenti gli ortodossi, farli respingere da una maggioranza, che sarebbe dovuta essere compatta, e far votare il blog sul testo approvato dalla Camera.
In questo modo i senatori, molti dissidenti, avrebbero avuto le mani legate.
Adesso è cambiato lo scenario, anche dentro M5s.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
E MANDANO UN MESSAGGIO A MATTARELLA: “AL VOTO CON LA LEGGE CHE C’E'”
Game over. Ecco Lorenzo Guerini, dopo l’incidente. Sembra che non aspettasse altro: “La legge elettorale è morta, i Cinque stelle l’ammazzata. Parliamoci chiaro: non ci sono più le condizioni per andare avanti”.
Il Pd, alla ripresa dei lavori in Aula, proporrà il rinvio in commissione della legge.
Il che equivale a dire che è finita. Già da ora. Al primo incidente d’Aula su un emendamento che non è l’architrave della legge.
Game over, soprattutto, anche per chi nutre l’alibi che non si può votare. La sensazione è che il Pd sia già al “dopo”, alla prossima mossa.
Matteo Orfini, presidente del Pd, spiega all’HuffPost: “Mi pare evidente che questo Parlamento non è in grado di modificare o varare alcuna legge elettorale. Abbiamo provato col Mattarellum… Abbiamo tentato col tedesco… E, aggiungo, non è che siamo al gioco dell’oca che ogni volta si riparte d’accapo. Ci sono due leggi elettorali per definizione auto-applicative, quelle uscite dalla Consulta. Andremo al voto con quelle. Punto”.
Nelle prossime ore, sarà un crescendo.
Sui Cinque Stelle, che “non sono dimostrati affidabili”, che “votano una cosa in commissione, poi in Aula si tirano indietro”, che “hanno paura del voto anticipato”. Un crescendo sul Parlamento che riesce più a fare nulla, già diretto alle orecchie del capo dello Stato.
Il Renzi pensiero è che a questo punto non può fare finta di niente: Mattarella ha chiesto una legge elettorale, il Pd ha fatto il tentativo, l’accordo votato dall’80 per cento delle forze politiche è franato, dunque, che fare di fronte a un Parlamento che non è in grado di proseguire? Votare, appunto, con la legge che c’è, aggiustata con un decreto sui punti che a cuore Mattarella.
Il contesto giustificherebbe questa richiesta, che la volta scorsa fu stoppata proprio da Mattarella, anche in modo brusco e solenne.
Convocò i presidenti delle Camere, chiese con “urgenza” una legge elettorale. Un gesto pesante quasi come un messaggio alle Camere. Ora il contesto sarebbe di un tentativo franato in un cumulo di macerie. Un Parlamento impazzito, ma anche una maggioranza terremotata, col rapporto incrinato tra Pd e Alfano. Meglio dunque il voto, dice Renzi, con la legge che c’è.
Insomma, il primo voto sulla legge elettorale è stato l’Incidente, tanto cercato. Vissuto quasi come una liberazione.
Più di una vecchia volpe d’Aula spiega: “È evidente che siamo di fronte a una drammatizzazione da parte del Pd. In fondo se ci fosse un accordo politico la roba dell’emendamento Biancofiore la rimetti al Senato. Mica è una cosa fondamentale. Invece lo stanno caricando, imputando ai Cinque Stelle la responsabilità . Il punto è che l’accordo non lo reggeva nè l’uno nè l’altro. E si è rotto”.
E tale rimarrà anche se i Cinque stelle dovessero provare a riaprirlo, rinunciando ai loro emendamenti. Più di un parlamentare racconta che parecchi renziani, nel voto segreto, hanno aiutato a picconarlo.
Perchè, in fondo, lo schema del segretario del Pd è sempre stato questo: al voto col Consultellum. Il resto era una mossa per far vedere al Quirinale che l’appello non era caduto nel vuoto, anzi rispettato fino in fondo.
Ora, pensa Renzi, l’alibi è caduto.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
LO AVEVA INDOSSATO UNA RAGAZZINA DI COLORE DURANTE LA VISITA DI MATTARELLA A MIRANDOLA… L’ESPOSTO SAREBBE UNA BUONA OCCASIONE PER I CARABINIERI PER NOTIFICARE IL REATO DI ISTIGAZIONE ALL’ODIO RAZZIALE AL RAZZISTA IN QUESTIONE PER QUELLO CHE PUBBLICA SULA SUA PAGINA FB
Si è tanto parlato dell’abito tricolore indossato da Mbayeb Bousso in occasione della visita del Presidente Mattarella a Mirandola.
A farlo in maniera più rumorosa sono stati i soliti razzisti. Chi pensava che la questione fosse finita si sbaglia, perchè un cittadino ha presentato alla Procura di Pistoia un esposto contro ignoti per vilipendio alla bandiera.
Come riferisce la Gazzetta di Modena l’autore dell’esposto è il signor Giulio Cozzani.
Sembra uno scherzo ma la denuncia è seria ed è stata recapitata ai Carabinieri di Buggiano.
Nella denuncia il signor Cozzani scrive che a suo avviso vi sono due aspetti della cerimonia di Mirandola nei quali ravvisa violazioni del regolamento dell’uso della bandiera italiana.
Il primo riguarda il fatto che la bandiera “non deve mai toccare il suolo nè l’acqua“. Il secondo è che la bandiera non deve essere “mai usata come copertura di tavoli o sedute o come qualsiasi tipo di drappeggio, nè usata come involucro per qualsiasi oggetto da contenere trasportare o spedire”.
Secondo Cozzani (che cita questo regolamento dove i passi menzionati non ci sono) il fatto che il tricolore sia stato usato come drappeggio e che sia stato trascinato per terra lasciano intravedere il reato di vilipendio.
Per il denunciante il Presidente Mattarella, in qualità di Capo dello Stato avrebbe dovuto impedire “questo disonore”.
L’abito indossato dalla ragazza, studentessa dell’istituto Galilei di Mirandola, è stato confezionato dalle alunne della scuola di moda.
Secondo la dirigente dell’istituto l’intento non era assolutamente quello di offendere la bandiera ma anzi di rendere omaggio al vessillo nazionale.
C’è da dire che un vestito non è una bandiera.
Inoltre affinchè si possa parlare di vilipendio il Brocardi ricorda che in base ad una sentenza della Cassazione la condotta di vilipendio (art 292 del Codice Penale) si deve concretizzare “in un atto di denigrazione di una bandiera nazionale e non anche di un’altra cosa che ne riporta i colori”. Va infine tenuto conto del fatto che ci deve essere anche la manifesta intenzione di disprezzare o dileggiare la bandiera. Cosa che non sembra essere avvenuta.
Cozzani, che sembra essere un fervente monarchico e che ha invitato gli italiani a “unirsi sotto la bandiera sabauda” per cacciare gli invasori, potrà quindi tornare alle sue occupazioni
Certo, il dubbio che il denunciante sia mosso da motivazioni che vanno ben oltre quello di difendere “l’onore della bandiera” viene a tutti quelli che in queste ore stanno visitando il suo profilo Facebook e trovano post dove parla dei migranti come “persone che non sono degne di rappresentare l’umanità ”.
Oppure quando ci spiega che è Dio che vuole che “gettiamo a mare gli emigrati”. Il che è alquanto confondente: si riferisce agli immigrati (e quindi alle persone come Mbayeb Bousso che è di origine senegalese) o agli emigrati, e quindi ai cervelli in fuga?
Speriamo che Dio sia più chiaro la prossima volta.
(da “NextQuotidiano”)
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